1. Premessa
Con l’ordinanza n. 25495 del 17 settembre 2025, la Corte di Cassazione affronta in modo esplicito la questione della spettanza di un assegno periodico all’ex partner di un’unione civile a seguito dello scioglimento del vincolo. La problematica non è nuova alla riflessione giuridica: sin dall’entrata in vigore della legge 20 maggio 2016, n. 76 (c.d. legge Cirinnà), dottrina e giurisprudenza hanno discusso in che misura il regime delle unioni civili dovesse essere assimilato a quello matrimoniale, soprattutto in materia di conseguenze patrimoniali della cessazione del vincolo.
La legge Cirinnà ha costruito l’unione civile come formazione sociale “specifica”, modellata in parte sullo schema matrimoniale, ma con soluzioni autonome, soprattutto per quanto riguarda i rapporti patrimoniali post-scioglimento. L’assenza di una disciplina espressa dell’assegno ha aperto spazi interpretativi che la giurisprudenza di merito aveva finora affrontato in modo disomogeneo.
2. Il contenuto della decisione
La Cassazione, con la pronuncia in esame, ha riconosciuto che al partner economicamente più debole di un’unione civile sciolta possa essere attribuito un assegno periodico secondo criteri analoghi a quelli elaborati in materia di divorzio (art. 5, comma 6, l. n. 898/1970).
La Corte richiama i principi già consolidati:
- Funzione assistenziale: l’assegno tutela chi non disponga di mezzi adeguati né abbia possibilità concrete di procurarseli, ossia chi non può affrontare autonomamente, malgrado il ragionevole sforzo che gli si può richiedere in virtù del principio di autoresponsabilità, il percorso di vita successivo al divorzio.
- Funzione compensativa-perequativa: l’assegno riequilibra la disparità economica ove derivante da scelte comuni, sacrifici o rinunce professionali compiute nell’interesse della coppia.
Sottolinea la Suprema Corte la necessità di operare una complessiva ponderazione dell’intera storia della coppia, rendendo anche una prognosi futura, ove parità e solidarietà si coniugano con il principio di autoresponsabilità, svincolando l’assegno dal criterio del tenore di vita, parametrandolo invece a un livello reddituale adeguato al contributo fornito nella realizzazione della vita familiare (Cass. 22/03/2023, n.8254; Cass. 13/04/2023, n. 9824; Cass. 18/1/2024 n. 1897.
Pur abbandonando l’automatismo del tenore di vita quale parametro esclusivo, la Corte non ne esclude la rilevanza residua, potendo esso concorrere, insieme ad altri elementi, a definire l’entità dell’obbligazione.
Particolare importanza, come per la determinazione dell’assegno divorzile, ha la ricostruzione della storia di vita comune, anche antecedente alla formalizzazione dell’unione, al fine di valutare la portata dei sacrifici compiuti e dei contributi offerti.
3. Il fondamento normativo
L’art. 1 comma 25 della legge Cirinnà stabilisce espressamente chesi applicano, in quanto compatibili, gli articoli 5, primo, quinto, sesto, settimo, ottavo, decimo e undicesimo comma, 9 secondo comma, 9-bis, 10 secondo comma, 12-bis, 12-ter, 12-quater e 12-quinquies della legge 1° dicembre 1970, n. 898, nonché le disposizioni di cui al Titolo IV-bis del libro secondo del codice di procedura civile ed agli articoli 6 e 12 del decreto-legge 12 settembre 2014, n. 132, convertito, con modificazioni, dalla legge 10 novembre 2014, n. 162. Di qui la possibilità di utilizzare, anche in caso di scioglimento delle unioni civili, i criteri ed i parametri cui si fa riferimento ai fini della determinazione dell’assegno divorzile.
4. Il profilo compensativo dell’assegno: una chiave di lettura estensibile alle unioni civili
Uno dei passaggi più significativi dell’ordinanza in commento riguarda il riconoscimento della funzione compensativa compensativa-perequativa dell’assegno. L’evoluzione giurisprudenziale degli ultimi anni, a partire dalla nota sentenza delle Sezioni Unite del 2018 (n. 18287) ha spostato l’attenzione dal mero parametro del tenore di vita alla valorizzazione delle scelte condivise di coppia e degli effetti economici che esse determinano.
Il nucleo della funzione compensativa risiede nella considerazione che la vita familiare, sia matrimoniale sia unione civile, è spesso fondata su una divisione dei ruoli: uno dei partner può rinunciare o limitare lo sviluppo della propria carriera, assumere compiti di cura domestica o dedicarsi alla crescita dei figli, consentendo all’altro di sviluppare il proprio percorso professionale e di accumulare risorse economiche. La rottura del vincolo rischia di trasformare tale scelta, inizialmente condivisa e funzionale alla coppia, in un pregiudizio esclusivamente a carico del partner più debole.
In questa prospettiva, l’assegno non si limita a garantire una tutela assistenziale (copertura del fabbisogno minimo), ma opera anche come strumento di riequilibrio patrimoniale: non tanto per mantenere un certo tenore di vita, quanto per compensare lo squilibrio creato da decisioni comuni che hanno inciso in modo irreversibile sulle opportunità reddituali e professionali.
Trasporre questa logica alle unioni civili significa riconoscere che anche tali formazioni sociali possono fondarsi su dinamiche di solidarietà e di divisione dei ruoli, meritevoli di protezione giuridica al momento dello scioglimento. La Cassazione, dunque, afferma implicitamente che la “dignità” dei sacrifici compiuti all’interno dell’unione civile non può essere minore di quella dei sacrifici matrimoniali: l’uguaglianza sostanziale esige un identico trattamento.
Si tratta di profili difficili da dimostrare, specie in unioni civili meno formalizzate o di breve durata. In concreto, il richiedente dovrà provare:
- L’inadeguatezza dei mezzi di sostentamento: occorre dimostrare che i redditi e il patrimonio disponibili non consentono un’esistenza dignitosa e autonoma.
- L’impossibilità di procurarsi mezzi adeguati: va allegata l’assenza di reali possibilità lavorative, per età, condizioni di salute o competenze professionali, evitando atteggiamenti meramente rinunciatari.
- Il contributo dato alla vita comune: qui entra in gioco la funzione compensativa. Il partner dovrà dimostrare di aver rinunciato a opportunità professionali o economiche, di aver svolto attività di cura, assistenza o sostegno che abbiano favorito la carriera o l’accrescimento patrimoniale dell’altro.
- Il nesso causale tra le scelte di coppia e lo squilibrio economico attuale: il sacrificio deve essere legato a decisioni comuni e non a mere scelte individuali.
Questi requisiti, se già nel divorzio risultano onerosi, lo sono ancor di più nelle unioni civili, che talvolta si caratterizzano per una minore formalizzazione e documentazione della vita economica. Può risultare difficile, ad esempio, provare rinunce lavorative non accompagnate da dimissioni ufficiali, oppure valorizzare attività di cura familiare non registrate o non quantificate economicamente.
In assenza di parametri oggettivi, il rischio è che il rigore probatorio richiesto determini una frustrazione del diritto sostanziale, con il paradosso di riconoscere in astratto la funzione compensativa e di negarla in concreto per difetto di prove. Non a caso, parte della dottrina ha suggerito che, in questi casi, il giudice di merito dovrebbe valorizzare la prova presuntiva e i dati indiziari, riconoscendo al vissuto della coppia una dimensione che non sempre può essere cristallizzata in documenti scritti.
La questione dell’onere probatorio si collega anche al tema della quantificazione dell’assegno: quanto più difficile è dimostrare il sacrificio e il contributo, tanto più incerta diventa la misura della prestazione. Senza criteri legislativi o giurisprudenziali uniformi, l’apprezzamento discrezionale del giudice rischia di produrre decisioni eterogenee.
Un ulteriore punto aperto è la quantificazione: quanto “vale” un sacrificio professionale di dieci o vent’anni? La giurisprudenza non ha ancora sviluppato criteri stabili, oscillando tra approcci più equitativi e valutazioni strettamente patrimoniali.
Molto dipende dall’età della persona richiedente l’assegno.
Tale fattore incide in modo diretto sulla valutazione della possibilità di procurarsi mezzi adeguati: quanto più giovane è la persona che richiede l’assegno, tanto più realistiche appaiono le sue possibilità di reinserimento nel mercato del lavoro, e tanto più stringente diventa l’onere di dimostrare l’esistenza di ostacoli concreti e insormontabili. Al contrario, l’età avanzata riduce fisiologicamente le opportunità professionali, rafforzando la componente assistenziale della prestazione. Invero, l’aver trascurato per lungo tempo le proprie aspettative professionali, anche in termini di creazione di un curriculum adeguato, costituisce un handicap che se giustificato da esigenze di cura della famiglia, va certamente valorizzato ai fini della quantificazione del contributo al mantenimento.
5. Considerazioni conclusive
L’ordinanza n. 25495/2025 segna un passo importante nel percorso di equiparazione tra matrimonio e unione civile, ponendo al centro i principi di solidarietà post-coniugale e di uguaglianza sostanziale. Essa valorizza il contributo personale ed economico reso da ciascun partner alla vita comune, evitando che la cessazione del vincolo si traduca in un pregiudizio irreversibile per chi abbia compiuto scelte di sacrificio.
La sfida futura sarà quella di coniugare la tutela effettiva del partner debole con l’esigenza di certezza e prevedibilità, nella consapevolezza che la piena parità tra istituti non può essere lasciata alla sola opera della giurisprudenza, ma richiede un coerente e meditato intervento del legislatore.
