Palermo, 23 settembre 2025

Ringrazio per l’invito a partecipare ad una riflessione condivisa intorno a un tema che costituisce uno degli ambiti di intervento in cui la Procura per i minorenni di Palermo dedica particolare attenzione ed impegno.

La Procura per i minorenni di Palermo è un ufficio distrettuale che esercita le sue funzioni in tutto il territorio del distretto della corte di appello di Palermo e quindi nelle province di Palermo, Trapani ed Agrigento.

Si tratta, come è noto, di un territorio caratterizzato non solo da forti diseguaglianze economiche e da situazioni di diffuso disagio sociale, ma anche dalla persistente ed asfissiante presenza della organizzazione mafiosa COSA NOSTRA.

Invadenza mafiosa e fragilità economico-sociale rappresentano, nel territorio siciliano, caratteristiche specifiche legate da un rapporto reciproco di causa ed effetto.

Come si rileva dalle più recenti risultanze investigative e dalla conseguenti verifiche giurisdizionali, l’organizzazione mafiosa, nonostante l’importante azione di contrasto sviluppata dalle forze di polizia e dalla magistratura, continua ad esercitare un significativo controllo del territorio, mantenendo la capacità di infiltrarsi nelle strutture amministrative degli enti locali, di realizzare lucrosi traffici di sostanze stupefacenti, di condizionare, nel proprio interesse, lo svolgimento di attività produttive (in particolare quelle nei settori della edilizia e del commercio, con la imposizione delle proprie imprese e del pizzo).

La persistente forza di COSA NOSTRA trova ragione anche nella capacità di adattare il proprio assetto organizzativo, modificandolo in funzione del contesto e delle condizioni ambientali in cui volta per volta si trova ad operare.

Un adattamento che però non prescinde da alcuni punti fermi, alcuni aspetti strutturali che da sempre connotano l’organizzazione mafiosa che agisce nel territorio delle province di Palermo, Trapani ed Agrigento.

Tra questi aspetti tipici, tradizionali, ma tuttora rilevabili nella struttura organizzativa di COSA NOSTRA, quello che riveste maggiore importanza ed impone maggiore attenzione in relazione all’attività della Procura per i minorenni è costituito dal vincolo di natura familiare che lega, in termini significativamente ricorrenti, gli appartenenti al sodalizio mafioso.

L’appartenenza ad un nucleo familiare di un esponente mafioso ed il legame parentale con un associato mafioso, per un verso agevolano il percorso di inserimento nella struttura criminale e, per altro verso, forniscono una particolare legittimazione mafiosa.
La storia di COSA NOSTRA è caratterizzata dalla importanza di famiglie di riconosciuto lignaggio mafioso: i MADONIA, i BRUSCA, i GALATOLO, i GANCI, i MARCHESE e così via.

Risulta una evenienza tutt’altro che eccezionale quella per cui i figli dei boss subentrano nei ruoli e nelle cariche dei padri, quasi ci fosse una trasmissione ereditaria di un codice genetico mafioso.

Matteo MESSINA DENARO, per citare l’ultimo, era un capomafia figlio di capomafia.

Ed è una tradizione che non è evidentemente superata, considerato che anche in recenti processi pendenti a Palermo per fatti di criminalità organizzata è frequente trovare padre e figlio in uno stesso elenco di imputati.

Le ragioni di questa perdurante rilevanza del vincolo familiare nel sistema di relazioni mafiose sono facilmente intuibili: la maggiore solidità del legame, la maggiore sicurezza del reclutamento, la più stabile conservazione di patrimoni ed assetti di potere mafioso.

Leonardo Sciascia ha scritto ne “La Sicilia come metafora” che “In Sicilia la famiglia, nelle sue vaste ramificazioni, ha questa funzione: di proteggere, privilegiare i suoi membri rispetto ai doveri che la società e lo Stato impongono a tutti. E’( la famiglia ) la prima radice della mafia”.

E non è un caso che nella terminologia propria della criminalità organizzata si ricorra all’uso di espressioni che richiamano i vincoli familiari, quale l’appellativo di “padrino” per indicare il capo mafioso, l’espressione “affiliazione” per indicare la 3 relazione tra l’individuo e la cosca o la parola “battesimo” per significare l’ingresso nella consorteria mafiosa.

Nel tessuto organizzativo mafioso, la trama costituita dai legami familiari è quella di gran lunga più resistente.

E’ un aspetto, tipico della mafia siciliana (e non solo), che può essere studiato ed analizzato con diverse visuali (storica, sociologica o culturale), anche con approfondimenti su temi specifici (come il ruolo femminile, l’importanza dei modelli educativi esterni, etc.).

Dal mio punto di vista, credo che possa risultare più utile provare a fornirvi una diretta testimonianza delle concrete modalità operative con cui il mio ufficio interviene nelle situazioni in cui il minore vive in nuclei familiari mafiosi ovvero è in qualche modo coinvolto in contesti mafiosi.

Del resto, la mia presenza e la mia partecipazione a questo incontro trova ragione proprio nella mia esperienza professionale.

Ciò premesso, in primo luogo è opportuno ricordare che gli interventi della procura per i minorenni nelle situazioni indicate non riguardano, nella quasi totalità dei casi, l’azione repressiva.

Sebbene in tempi recenti si stia registrando una espansione, in termini quantitativi e qualitativi, del protagonismo criminale dei minori, con un significativo incremento dei procedimenti penali aventi ad oggetto reati di una certa gravità (tra cui gli omicidi), il numero delle iscrizioni di minorenni quali persone sottoposte ad indagini per reati di criminalità organizzata presenta una dimensione statistica piuttosto limitata: negli ultimi cinque anni sono stati avviati nove procedimenti nei confronti di minorenni accusati di diversi reati (estorsione, minacce, incendio, lesioni, porto d’armi) contestati con la circostanza aggravante del metodo mafioso (art. 416 bis 1 C.P.); nessuna iscrizione, invece, per il reato di partecipazione mafiosa.

Ben altra dimensione assume lo spazio di intervento a tutela del minore attraverso i procedimenti civili promossi per la decadenza e/o limitazione della responsabilità genitoriale.

Le informazioni statistiche relativi ai procedimenti di questa natura avviati dalla procura per i minorenni di Palermo evidenziano, con chiarezza, non solo la consistenza dell’azione, ma anche la significativa crescita tendenziale degli interventi: 33 fascicoli nel 2023, 41 fascicoli nel 2024 e già oltre 170 fascicoli nei primi 8 mesi del 2025.

Questi dati, più che rivelare una espansione del fenomeno criminale, testimoniano una maggiore incidenza dell’intervento giurisdizionale diretto a verificare le situazioni di pregiudizio in cui si trovano i minori che vivono in contesti familiari deviati (con componenti dediti ad attività delinquenziali anche di stampo mafioso).

Le ragioni di questo importante incremento quantitativo (ma anche qualitativo) sono essenzialmente due e rappresentano, per la mia esperienza, aspetti di rilievo decisivo nella metodologia di approccio alla problematica che stiamo esaminando.

La prima è costituita dalla forte volontà di agire a tutela dei minori anche in ambiti e contesti difficili e rischiosi, in cui è tradizionalmente complicato accedere ed intervenire.

La volontà di intervenire non più, come si verificava fino a qualche tempo fa, in modo tardivo, sporadico od occasionale, ma con tempestività e sistematicità, con modalità progettate ed organizzate.

E’ un obiettivo progettuale che trova origine e ragione per un verso nella dimensione culturale col tempo acquisita dalla giustizia minorile; dalla coscienza, sempre più diffusa e radicata tra i magistrati minorili (ma anche tra gli altri operatori del settore), del ruolo nevralgico e centrale della giustizia minorile.

E, per altro verso, in termini più specifici, nella consapevolezza che il contrasto alle mafie non possa esaurirsi alla fase della repressione, ma debba occuparsi, in modo concreto e produttivo (e non solo con dichiarazioni di principio) degli aspetti e delle implicazioni sociali e culturali del fenomeno criminale.

In questo senso, l’intervento diretto a distaccare il minore dal sistema di valori negativi imposto dalla sub-cultura mafiosa finisce per essere una vera e propria scelta strategica, idonea a conseguire risultati concreti di notevole importanza che vanno oltre l’obiettivo primario (che è quello della tutela del minore), assumendo rilievo sia nell’azione di contrasto (con il ridimensionamento del bacino di reclutamento mafioso) che in quella 5 di prevenzione (con la riduzione della dimensione di condivisione pseudo-culturale del codice comportamentale mafioso).

Una seconda ragione che spiega la maggiore e crescente incidenza dell’attività svolta dalla procura per i minori nella materia della criminalità organizzata di tipo mafioso è rappresentata dalla costituzione di adeguati rapporti collaborativi con gli altri uffici requirenti del distretto.

Nell’esperienza giudiziaria del nostro Paese risulta ormai indiscutibilmente riconosciuta la rilevanza che assume, per le attività degli uffici requirenti, la condivisione di informazioni.

Nell’azione giurisdizionale svolta per la tutela dei minori che vivono in contesti familiari in cui sono presenti soggetti autori di gravi reati, in particolare delitti di criminalità organizzata, questo metodo operativo riveste una importanza decisiva.

Nel giugno 2023 il Procuratore Generale presso la Corte di appello di Palermo, il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Palermo ed il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale per i minorenni di Palermo hanno sottoscritto un protocollo di intesa per il coordinamento e la comunicazione in materia di procedimenti civili a tutela di minori figli di soggetti indagati per reato di cui all’art. 51 comma 3 bis c.p.p..

Rilevate le esigenze di implementare il coordinamento informativo tra uffici requirenti in relazione alla materia del contrasto al fenomeno mafioso concernente soggetti minorenni nonché di avviare procedimenti civili minorili in parallelo o in esito ai procedimenti penali a carico di soggetti adulti, il protocollo prevede che nei casi di genitori di figli minorenni indagati per i reati di cui all’art. 51 coma 3 bis c.p.p., la procura della Repubblica, compatibilmente con le esigenze investigative, provveda a segnalare la situazione (con trasmissione di copia degli atti) alla procura per i minorenni, prescrivendo che la informazione sarà sempre tempestiva quando sia stata eseguita una misura cautelare (in questo caso anche con la trasmissione di copia della richiesta e della ordinanza cautelare).

L’accordo contempla, inoltre, un significativo impegno della procura della Repubblica/direzione distrettuale antimafia, ad acquisire, anche con l’ausilio delle 6 forze dell’ordine che hanno compiuto le indagini, informazioni riguardanti il nucleo familiare dei soggetti sottoposti ad indagini, verificando (anche con semplice certificazione anagrafica) la eventuale presenza di soggetti minorenni. Ed inoltre, nei casi in cui, nel corso delle indagini si acquisisca notizia del coinvolgimento anche inconsapevole di minori (anche non imputabili), nelle attività dei familiari, ovvero emergano elementi dai quali si ricavi la sussistenza di situazioni di devianza cui siano eventualmente sottoposti i minori, il protocollo prevede che il procuratore della Repubblica informi il procuratore per i minori al fine di consentire la tempestiva ed efficace attivazione delle necessarie e opportune iniziative a tutela, trasmettendo copia di tutti gli atti utili (i quali, ove non ostensibili, sono inseriti in un fascicolo riservato della procura per i minori).

In sostanza, il protocollo, il primo intervenuto in materia, costituisce, per certi aspetti, una svolta epocale, in quanto persegue l’obiettivo non solo di sottrarre la manovalanza dei “picciutteddi” all’associazione mafiosa, ma anche e soprattutto di sottrarre i figli deisoggetti già imputati per fatti di mafia alla spirale di violenza che comporta l’ineluttabile ingresso nell’associazione mafiosa, ovvero il far parte della “famigghia”, garantendo un’azione sinergica e funzionale delle AA.GG coinvolte.

All’azione propulsiva, di carattere penale e repressivo delle Procure coinvolte, corrisponde un’azione della Procura per i minorenni volta alla tutela dei figli degli imputati colpiti da misure cautelari, sì da garantire ai bambini ed agli adolescenti, loro malgrado coinvolti nell’associazione mafiosa, un futuro migliore di quello che viene loro segnato dalle scelte dei genitori.

E’ agevole intuire quale sia l’importanza di questo accordo per l’attività finalizzata alla tutela dei minori figli di genitori mafiosi.

In particolare, sono due i punti qualificanti dell’accordo che rivestono importanza decisiva sotto un profilo strettamente operativo.

Il primo è l’impegno della procura della Repubblica e delle forze dell’ordine che si occupano delle indagini di mafia ad acquisire informazioni preliminari sulla eventuale presenza di minori nei nuclei familiari in esame (quindi acquisendo 7 sistematicamente ed in tempo reale delle informazioni che in passato rimanevano sommerse ovvero emergevano occasionalmente a distanza di tempo).

Il secondo è la prescritta tempestività dello scambio informativo, tale da consentire la immediata (e per questo più efficace) attivazione della procedura a tutela del minore.

La puntuale applicazione delle disposizioni del protocollo (sottoposte al periodico monitoraggio da parte del Procuratore Generale e realizzata grazie all’attenzione ed manifestata dai magistrati della Procura ordinaria di Palermo) si è rivelata fondamentale nel dare impulso agli interventi, in questo ambito, della Procura per i minorenni di Palermo.

A seguito della trasmissione degli atti vengono iscritti procedimenti civili per ogni nucleo familiare e delegati accertamenti socio-familiari che vengono compiuti da tutte le aliquote della sezione specializzata di PG, nonché dai servizi sociali del territorio.

Gli accertamenti sono svolti a 360 gradi sulla vita del nucleo familiare, anche allargato: stile e condotta di vita, andamento scolastico del minore, eventuali indici di irregolarità della condotta del minore sintomatici di introiezione della cultura della illegalità, non necessariamente coincidenti con condotte penalmente rilevanti.

La Procura per i minorenni, procede anche all’ascolto delle “madri” dei minori i cui padri sono stati tratti in arresto per reati di mafia, e nei casi di arresto di entrambi i genitori, dei “nonni” ovvero degli zii o altri affidatari dei minori.

Tale prassi che prevede anche l’ascolto diretto, da parte del Pubblico Ministero, del e/o dei genitori si è rivelata particolarmente significativa, ancorchè molto impegnativa: alle madri dei minori viene prospettata subito la possibilità di una “alternativa di vita” per i propri figli, anche con l’allontanamento dal territorio dei minori e, se consenziente, della stessa madre.

Ciò anche in aderenza al protocollo LIBERI DI SCEGLIERE cui anche la magistratura palermitana ha aderito lo scorso anno.

Nei casi di accertato e concreto pregiudizio viene formulato ricorso finalizzato alla limitazione ovvero alla decadenza della responsabilità genitoriale; nei casi più gravi in cui si ipotizzi un sostanziale abbandono del minore, viene formulato ricorso finalizzato alla dichiarazione dello stato di adottabilità.

Attraverso l’allontanamento dalla famiglia di origine si sottrae infatti il minore al pregiudizio, consentendogli così di poter acquisire quei valori civici che lo renderanno, raggiunta la maggiore età, un uomo libero dalla mentalità mafiosa, un adulto con le medesime possibilità degli altri uomini adulti.

E’ opportuno ricordare che l’adozione di un provvedimento di decadenza o limitazione della responsabilità genitoriale non avviene secondo un principio di automatismo, solo in ragione dell’appartenenza mafiosa di un componente familiare; di volta in volta è necessario verificare, con adeguati accertamenti, se esista una effettiva situazione di pregiudizio e se un provvedimento ex artt.330 e seguenti c.c. garantisca effettivamente il miglior sviluppo psico-fisico del minore.

Se è del tutto evidente che la semplice appartenenza a una famiglia mafiosa non può costituire presupposto sufficiente per l’emanazione di provvedimenti ablativi o limitativi della responsabilità genitoriale, è anche vero che l’educazione dei figli non è lasciata al libero arbitrio dei genitori.

In sostanza, la funzione dei genitori, per quanto attiene soprattutto alla educazione dei figli, non può essere dissociata dai valori generali della collettività. L’azione pedagogica dei genitori deve trovare rispondenza in quei valori fondamentali della coscienza sociale che la collettività considera in un certo momento storico come essenziali al vivere civile e, per converso, deve riflettere l’interesse del minore a essere educato e istruito socialmente per divenire il cittadino dotato di quella maturità necessaria a chi debba vivere in una comunità democratica, quale è quella che emerge dal nostro ordinamento costituzionale.

E’ evidente allora che un’educazione improntata ai valori dell’antistatalità e della criminalità organizzata non può che costituire abuso o violazione dei doveri inerenti la responsabilità genitoriale e legittima, a seconda della sua gravità, l’adozione di interventi a tutela del minore con le azioni previste nell’ordinamento negli artt. 330 e 333 c.c..

Ma la direttrice fondamentale seguita è sempre quella del concreto e grave pregiudizio per il minore correlato alla trasmissione dei modelli culturali e dei comportamenti criminali posti in essere dal genitore/i.

E nella valutazione del pregiudizio minorile ciò di cui si tiene conto non è l’intrinseca gravità ed il disvalore morale della condotta del genitore, quanto piuttosto la circostanza che tale condotta, anche a prescindere dal livello di intenzionalità, abbia cagionato o possa concretamente cagionare un danno al regolare sviluppo psico-fisico del minore.

Credo che queste considerazioni rivelino, con chiarezza, la complessità e la delicatezza dell’intervento a tutela dei minori che vivono in contesti familiari mafiosi.

E’ una azione che per un verso deve garantire la corretta comparazione degli interessi in gioco e, per altro verso, deve confrontarsi con una realtà difficilissima, una mentalità radicata e che in molti casi appare come un muro imperforabile.

Alcune dichiarazioni delle madri, le donne di mafia, risultano, in tal senso, estremamente significative.

(…) Io ed i miei figli stiamo bene dove stiamo. Per me, mio marito è innocente in quanto non ho mai visto niente (…)

E’ un contesto in cui i valori negativi della mafiosità vengono inculcati dalla famiglia, mediante l’esecuzione di crimini in concorso, o mediante una vera e propria educazione al delitto, c.d. indottrinamento mafioso, affidata alle donne allorquando la componente maschile è stata uccisa, è in carcere o latitante.

Al minore viene trasmesso un sistema di valori distorti, basato sulla violenza, la forza e la sopraffazione, su una diversità che si nutre di valori propri illegali, ed in alcuni casi anche le scelte più intime (matrimonio) sono condizionate dalla “famiglia” e spesso diventano un modo per suggellare sodalizi.

In alcuni casi i minori nascono e crescono in contesti dove hanno visto uccidere i loro padri, fratelli, parenti.

Ed in queste situazioni ambientali il minore, assorbendo la cultura negativa della mafiosità, subisce anche la disincentivazione del processo di distacco dal nucleo familiare di appartenenza, con la deleteria compressione della propria individualità.

Ci sono però anche situazioni diverse e donne che iniziano a comprendere l’importanza di allontanare i propri figli dal contesto mafioso.

Vi leggo lo stralcio delle dichiarazioni rese pochi giorni fa da una giovane donna (classe 1986), compagna di un esponente di spicco di Cosa Nostra e madre di XXXX bambini:

“— Io rispetto alle accuse a XXXXX di essere il promotore ed organizzatore della famiglia mafiosa di XXXX, posso dire che come donna e compagna ero molto rispettosa nei suoi confronti e non facevo domande anche se mi accorgevo di “qualcosa”.-// A.D.R. XXX stava sempre fuori …

Io non ho mai avuto la gestione dei soldi, perché non ho mai lavorato e neanche ora lavoro. Gestiva tutto XXXX e stavamo bene economicamente…

 A.D.R.: Per quanto riguarda XXX sono consapevole adesso del suo ruolo in “cosa nostra”, ma devo dirvi come penso voi sappiate, che gli uomini d’onore in casa non parlano e le loro compagne non devono fare domande, perché se provi a chiedere qualcosa, loro non te la dicono e rispondono che sono cose che non ci riguardano.

A.D.R.: Io molte cose le ho apprese dai quotidiani, perché prima non le sapevo. Io quando convivevo con lui non ho visto droga.

A.D.R. Dopo l’arresto di XXXX altri appartenenti a cosa nostra mi hanno aiutato portandomi spesa e giocattoli per i bambini.

I miei figli XXXX sanno che il loro papà è a lavoro . Adesso loro fanno le video chiamate con il padre … I miei figli quando hanno arrestato il padre erano piccolissimi. XXX ora ha 5 anni ma gli ultimi due compleanni li hanno festeggiati senza di lui , mentre XXX addirittura quasi non conosce il padre perché aveva 11 mesi quando lo hanno arrestato.

I bambini non vanno più in carcere a trovare il padre e nemmeno me lo chiedono.

A.D.R. Non voglio che i miei figli vadano in carcere dal padre, perché già sono abbastanza traumatizzati per quello che è successo e perché stanno crescendo senza un padre. Tra l’altro ora lui è detenuto ad XXXXXXX , quindi i poveri bambini sarebbero costretti ad arrivare in aereo sino a XXXXX e poi dovrebbero prendere il treno che li porta dove c’è il carcere. Sarebbe uno stress troppo grande, io non voglio che loro debbano subirlo.- 11 A.D.R. Per me la mafia è una cosa brutta che rovina le persone. Meno male che ci sono le istituzioni perché altrimenti saremmo tutti rovinati. Ora ci sono i nostri figli, vedo certe cose e mi dico : “ma come si fa?” Io spero che i miei figli non facciano come ho fatto io che non sono voluta andare a scuola perché ero “lagnusa” ed ora me ne sono pentita. Spero di tenerli lontani dall’ambiente del padre e da altri brutti ambienti….

…Quando io ho conosciuto XXX , lui stava finendo di scontare una condanna per mafia di 8 anni.- Io purtroppo ero infatuata di lui, e non mi sono resa conto che mi stavo mettendo nei guai.-…”.

Sono dichiarazioni importanti, estremamente significative che ci che danno speranza.

E che mi fanno pensare alle parole di Padre Pino Puglisi, nel corso di una famosa intervista:

Padre Pino Puglisi: “… i grandi, cercare di cambiarli è pura illusione, ma i piccoli… lei dovrebbe vedere i loro occhi. Sono lì che non aspettano altro di giocare. E invece, all’età di andare a scuola, fanno da corrieri alla mafia. E poi, sembrerebbe una bestemmia, ma per molti di loro la strada e mille volte meglio della casa. Ecco: sottrarli alla violenza, dargli l’opportunità di studiare, di imparare l’italiano, di crescere liberi. Questo è il progetto…”

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