di Maria Ivana Cardillo, Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Catania

Sommario: 1. Introduzione – 2. Il controllo dell’imputazione e la declaratoria di nullità della richiesta di rinvio a giudizio – 3. La regola di giudizio per la sentenza di non luogo a procedere – 4. Conclusioni.

1. Introduzione.

La legge 27 settembre 2021, n. 134 (“Delega al Governo per l’efficienza del processo penale nonché in materia di giustizia riparativa e disposizioni per la celere definizione dei procedimenti giudiziari”), pubblicata nella Gazzetta ufficiale del 4 ottobre 2021, disciplina la riforma del processo e del sistema sanzionatorio penale a lungo attesa.

Com’è noto le nuove norme prendono le mosse dai lavori della Commissione di studio Lattanzi insediatasi lo scorso mese di Marzo su iniziativa del Ministro della giustizia per elaborare proposte di riforma con la presentazione di una serie di emendamenti governativi al disegno di legge A.C. 2435 presentato dal precedente Governo alla Camera il 13 marzo 2020.

Il provvedimento si articola in 2 articoli strutturati in più commi. Il primo articolo contiene deleghe al Governo che dovranno essere esercitate entro un anno dall’entrata in vigore della legge; il secondo, invece, introduce previsioni innovative immediatamente applicabili.

Nel dossier dei Servizi e degli Uffici del Senato della Repubblica e della Camera dei deputati, “Riforma del processo penale”, del 31 luglio 2021 pubblicato sul sito del Ministero della giustizia in cui è analizzato il contenuto del provvedimento all’esame dell’Assemblea (il testo a fronte del disegno di legge A.C. 2435 – recante delega al Governo per l’efficienza del processo penale e disposizioni per la celere definizione dei procedimenti penali pendenti presso le corti d’appello – e delle proposte di emendamento formulate dalla Commissione, presieduta da Giorgio Lattanzi) si legge che “in generale, le disposizioni del disegno di legge sono riconducibili a una serie di diverse finalità, tra le quali è preminente l’esigenza di accelerare il processo penale anche attraverso una sua deflazione e la sua digitalizzazione. Misure sono rivolte al potenziamento delle garanzie difensive e della tutela della vittima del reato. Una innovativa disciplina concerne la ragionevole durata del giudizio di impugnazione, del quale è prevista l’improcedibilità in caso di eccessiva durata”.

Se queste sono le finalità dichiarate di immediata percezione, in realtà la ratio dell’intervento riformatore, come è stato acutamente osservato, si inserisce, tuttavia, in obiettivi ben più ampi che accomunano la riforma del processo penale a quella del processo civile e che consistono nell’efficienza del processo e della giustizia attraverso il raggiungimento degli obiettivi del P.N.R.R. della riduzione dei tempi del processo entro cinque anni corrispondenti, nei tre gradi del giudizio, al 25% nel settore penale ed al 40% nel settore civile (Gian Luigi Gatta, Riforma della giustizia penale: contesto, obiettivi e linee di fondo della “Legge Cartabia”, in Sistema penale rivista on line, Ottobre 2021, pagg. 1-3).

2. Il controllo dell’imputazione e la declaratoria di nullità della richiesta di rinvio a giudizio.

Particolare rilevanza rivestono, ad avviso della scrivente, i principi e i criteri direttivi volti ad introdurre elementi di novità su taluni aspetti della disciplina dell’udienza preliminare strettamente connessi ad una nuova e più pregnante configurazione dei poteri del giudice in questa fase processuale finalizzati, per quanto sopra già detto, alla deflazione ed accelerazione del processo penale.

Ed invero, l’art. 1 comma 9 della legge oltre a prevedere l’ampliamento dei tipi di reati per i quali è consentita la citazione diretta innanzi al Tribunale in composizione monocratica (individuati in quelli puniti con pena della reclusione non superiore nel massimo a sei anni, anche se congiunta alla pena della multa, che non presentino rilevanti difficoltà di accertamento)      detta nuove regole di giudizio per il giudice dell’udienza preliminare sia con riferimento al controllo della formulazione (valida) dell’imputazione in relazione a quanto previsto dall’art. 417 comma 1 lett. b codice procedura penale sia con riferimento alla pronuncia della sentenza di non luogo a procedere di cui all’art. 425, comma 3, c.p.p. (analogamente a quanto previsto per l’archiviazione dall’art. 125 disposizioni di attuazione al c.p.p.).

Siffatte previsioni appaiono particolarmente innovative in quanto incidono sull’essenza stessa dell’udienza preliminare rimodulando i contorni della funzione di “filtro” che le è propria attraverso la modifica sostanziale del sindacato del giudice finalizzato sia ad accertare l’utilità (o meno) del dibattimento  sia (e prima ancora) la completezza e precisione dell’atto imputativo che, secondo il disposto dell’art. 417 c.p.p., comma 1 lett. b), deve contenere “l’enunciazione, in forma chiara e precisa, del fatto…”.

Sotto quest’ultimo profilo è chiaro che l’enunciazione in forma chiara e precisa della imputazione incida direttamente su interessi di rilievo costituzionale essendo volta ad assicurare all’imputato la piena conoscenza delle accuse allo stesso contestate e, quindi, a garantire l’effettivo rispetto del diritto di difesa e l’osservanza della garanzia del contraddittorio, tutelati dagli artt. 24 e 111 della Costituzione nonché dall’art. 6 par. 3.1 Convenzione europea dei diritti dell’uomo.

La nuova regola di giudizio in materia di verifica dell’imputazione contenuta nella delega al Governo (“…..prevedere che, in caso di violazione della disposizione dell’articolo 417, comma 1, lettera b), del codice di procedura penale, il giudice, sentite le parti, quando il pubblico ministero non provvede alla riformulazione dell’imputazione, dichiari, anche d’ufficio, la nullità e restituisca gli atti; prevedere che, al fine di consentire che il fatto, le circostanze aggravanti e quelle che possono comportare l’applicazione di misure di sicurezza, nonché i relativi articoli di legge, siano indicati in termini corrispondenti a quanto emerge dagli atti, il giudice, sentite le parti, ove il pubblico ministero non provveda alle necessarie modifiche, restituisca, anche d’ufficio, gli atti al pubblico ministero…..”) recepisce i principi giuridici già espressi dall’orientamento della giurisprudenza di legittimità -ormai consolidato dopo la pronuncia della Suprema Corte pronunciatasi a Sezioni unite con la sentenza n. 5307 del 20/12/2007 – solo con riferimento all’ipotesi in cui la storicità del fatto, così come contestato nel capo di imputazione, non sia uniforme rispetto alle emergenze probatorie in atti prevedendo, invece, espressamente che la violazione della disposizione dell’articolo 417, comma 1, lettera b), c.p.p. dia luogo alla nullità rilevabile anche d’ufficio dal giudice.

In particolare, le Sez. un. erano intervenute per dirimere proprio il contrasto relativo alla valutazione dell’abnormità (o meno) dell’ordinanza del g.u.p. dichiarativa della nullità della richiesta di rinvio a giudizio e/o restitutoria degli atti al P.M. (cfr. motivazione della Suprema Corte secondo cui “secondo un primo, risalente e prevalente orientamento (v., ex plurimis, Cass., Sez. 5, 12/12/1991, Cavuoto, rv. 189547; Sez. 6, 5/5/1992, Nichele, rv. 191347; Sez. 2, 9/1/1996, Lanzo, rv. 204029; Sez. 2, 6/2/1996, Pellegrino, rv. 204751; Sez. 1, 18/12/1996, Di Stefano, rv. 206666; Sez. 1, 17/12/1998, Adamo, rv. 212454; Sez. 1, 7/11/2001 n. 45698, Molè, rv. 220470; Sez. 1, 4/4/2003 n. 28987, Esposito, rv. 227383; Sez. 6, 7/10/2004 n. 42011, Romanelli, rv. 230384; Sez. 6, 10/11/2004 n. 48697, Casamonica, rv. 230842; Sez. 6, 29/9/2004 n. 42534, D’Avanzo, rv. 231185; Sez. 6, 25/11/2004 n. 2567, Scipioni, rv. 230883), la tesi dell’abnormità sarebbe fondata sul duplice argomento che per la mancata, generica o insufficiente enunciazione del fatto, che pure costituisce uno dei requisiti formali della richiesta di rinvio a giudizio ai sensi dell’art.  417 c.p.p., lett. b), non è prevista alcuna nullità e che, ai sensi del successivo art. 423 c.p.p., è consentito al P.M. di procedere alle necessarie modifiche ed integrazioni dell’imputazione indeterminata nel corso dell’udienza preliminare, imponendosi l’eventuale proscioglimento dell’imputato ove ciò non avvenga: con la conseguenza che l’ordinanza del g.u.p. dichiarativa della nullità della richiesta di rinvio a giudizio e/o restitutoria degli atti al P.M. determinerebbe un’indebita e patologica regressione del procedimento, in violazione del principio d’irretrattabilità dell’azione penale. L’opposto orientamento (v., fra le tante, Sez. 1, 5/5/2000, P.M. in proc. Ferrentino, rv. 216422; Sez. 5, 11/7/2001 n. 36009, Di Lorenzo, rv. 220208; Sez. 1, 24/10/2003 n. 1334, Guida, rv. 229513; Sez. 6, 8/1/2004, P.M. in proc. D’Alessandro, rv. 228032; Sez. 5, 20/5/2004 n. 27990, Fraglia, rv. 228684; Sez. 4, 3/6/2004 n. 39472, Scolari, rv. 229572; Sez. 4, 14/10/2005 n. 46271, Statello, rv. 232825) nega, invece, l’abnormità di siffatto provvedimento, ritenendo che rientri nei poteri del g.u.p., a garanzia del contraddittorio e del diritto di difesa dell’imputato, verificare l’adempimento da parte del P.M. dell’obbligo di procedere, nell’atto di esercizio dell’azione penale, all’enunciazione in forma chiara e precisa del fatto, sicchè l’esercizio di detto potere, sebbene talora non corretto per le forme adottate, non può comunque ritenersi extra ordinem).

Nella predetta sentenza ed in quelle successive (da ultimo Cass. pen., sez. VI , n. 53968 del 26/10/2016 e Cass. pen. sez. III, n. 8078 del 10/10/2018) era stato affermato il principio secondo cui in caso di genericità o indeterminatezza dell’imputazione il provvedimento del g.u.p. di restituzione degli atti al P.M., intervenuto successivamente alla formulazione dell’invito alla pubblica accusa di precisazione dell’imputazione e non seguito da riscontro, non era affetto da abnormità ma non poteva nemmeno essere preceduto da una declaratoria di nullità della richiesta di rinvio a giudizio da parte del giudice.

La motivazione posta alla base dell’orientamento della Suprema Corte che riteneva, al contrario, abnorme il provvedimento di restituzione degli atti al P.M. previa declaratoria di nullità della richiesta di rinvio a giudizio in caso in cui il P.M., sollecitato dal giudice, non avesse provveduto a modificare l’imputazione si basava non solo sul principio di tassatività delle nullità e sulla mancata previsione della sanzione della nullità per incompleta formulazione dell’imputazione nella richiesta di rinvio a giudizio a differenza di quanto previsto per il decreto che dispone il giudizio (art. 429 c. 2 c.p.p.) ma anche sul fatto che l’ordinamento apprestava già i rimedi necessari per consentire l’esatta delimitazione della contestazione nel corso dell’udienza preliminare essendo possibile procedere, nel corso dell’udienza stessa, anche oralmente, alle necessarie modifiche ed integrazioni della imputazione (sottolineava la Corte di legittimità che il g.u.p. “ha il “potere- dovere” di attivare i meccanismi correttivi nel corso dell’attività fisiologica della medesima udienza, rappresentando, con ordinanza motivata e interlocutoria, gli clementi di fatto e le ragioni giuridiche del vizio d’imputazione e richiedendo espressamente al pubblico ministero di provvedere, di conseguenza, alle opportune precisazioni e integrazioni, secondo il paradigma contestativo dettato dall’art. 423 c.p.p., comma 1”).

Inoltre la Corte cost., richiamata espressamente nella sentenza delle sez. un., con ordinanza n. 131 del 1995, aveva dichiarato manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 417 c.p.p., nella parte in cui non prevedeva alcuna sanzione per la richiesta di rinvio a giudizio difforme dal modello legale, siccome generica nella formulazione del capo d’imputazione e nell’indicazione delle fonti di prova, ribadendo quanto già affermato con la sentenza n. 88 del 1994, sul rilievo che non è precluso al giudice dell’udienza preliminare “sollecitare il pubblico ministero a procedere alle necessarie integrazioni e precisazioni dell’imputazione” inadeguata, anche mediante un provvedimento di trasmissione degli atti che intervenga dopo la chiusura della discussione”.

Ciò posto la nuova formulazione contenuta nella legge delega, pur riconoscendo al g.u.p. il potere di restituzione degli atti al P.M. sia nel caso di formulazione incompleta o generica sia nel caso di fatto storico diverso da quello contestato nel caso di mancato riscontro da parte del P.M. (ipotesi di restituzione degli atti ,queste, già accomunate tra loro nell’orientamento espresso dalla giurisprudenza di legittimità sopra richiamata) ricollega, invece, la sanzione della nullità, preventivamente dichiarata, alla sola ipotesi di violazione della norma di cui all’art. 417 c. 1 lett. b c.p.p..

La nuova previsione di una nullità rilevabile anche d’ufficio dal giudice sembrerebbe tipizzare una sanzione di nullità “almeno” a regime intermedio, rilevabile d’ufficio e sanabile nei termini di cui agli artt. 180 e 182 c.p.p., sanzione più grave rispetto a quella della nullità relativa del decreto che dispone il giudizio di cui all’art. 429, comma 2 c.p.p. che pure consegue alla medesima violazione di legge che esige chiarezza e precisione dell’imputazione.

L’art. 1 della riforma non distingue, invece, nell’ambito della violazione richiamata di cui all’art. 417 c. 1 lett. b c.p.p. l’ipotesi della genericità o indeterminatezza dell’imputazione rispetto a quella della mancanza (assoluta) della stessa con riferimento al tipo di sanzione che consegue al diverso vizio accertato facendo conseguire alla predetta violazione la nullità rilevabile anche d’ufficio dal g.u.p. senza ulteriori specificazioni.

Fino ad oggi la dottrina e la giurisprudenza che hanno escluso la configurabilità della sanzione della nullità nel caso della violazione di cui all’art. 417 c. 1 lett. b c.p.p.. non hanno dubitato, invece, del fatto che nell’ipotesi in cui l’imputazione manchi del tutto venga in considerazione la più grave sanzione della nullità assoluta rilevabile anche d’ufficio in ogni stato e grado del giudizio ex art. 178 c. 1 lett. b) e 179 c. 1 c.p.p. (cfr. Cass. pen., Sez. VI, 27 ottobre 1998 Bertolami, in C.E.D. Cass. n. 212019, richiamata da Ercole Aprile e Maurizio Saso, L’udienza preliminare, Giuffrè editore, Milano 2005, pagg. 62-63; Luigi Lombardo, Nota a: Cassazione penale, 20 dicembre 2007, n.5307, sez. un., Genericità dell’imputazione e poteri del giudice dell’udienza preliminare, in Cass. pen., fasc.2, 2009,banca dati De iure, pag. 633,nonché Cass. pen., sez. VI, n.9659 del 03/02/2015, e Cass. pen., Sez. I, n. 19928 del 9 aprile 2014, in C.E.D., nella quale si è ritenuto che l’omessa enunciazione del fatto in relazione alla condotta tipica del reato integri un’ipotesi di nullità assoluta del decreto di citazione a giudizio, ai sensi dell’art. 179, comma 1, c.p.p., per inosservanza delle disposizioni che concernono l’iniziativa del pubblico ministero nell’esercizio dell’azione penale).

Sarà compito del legislatore delegato, nei limiti tracciati dalla legge delega, disegnare compiutamente l’esatta portata della violazione di cui all’art. 417 c. 1 lett. B c.p.p. e lo statuto giuridico delle sanzioni applicabili.

3.La regola di giudizio per la sentenza di non luogo a procedere.

L’aspetto innovativo della legge n. 134 del 2021 che incide maggiormente sull’assetto attuale dell’udienza preliminare è costituito senza dubbio, ad avviso di chi scrive, dall’introduzione di una nuova regola di giudizio per il giudice dell’udienza preliminare ai sensi dell’art. 425 comma 3 c.p.p.

La lettera m) dell’art. 1 comma 9 prevede:“ modificare la regola di giudizio di cui all’articolo 425, comma 3, del codice di procedura penale nel senso di prevedere che il giudice pronunci sentenza di non luogo a procedere quando gli elementi acquisiti non consentono una ragionevole previsione di condanna” e ciò in correlazione con quanto previsto dalla precedente lettera a) con riferimento alla richiesta di archiviazione: “modificare la regola di giudizio per la presentazione della richiesta di archiviazione, prevedendo che il pubblico ministero chieda l’archiviazione quando gli elementi acquisiti nelle indagini preliminari non consentono una ragionevole previsione di condanna”.

Il dossier sopra richiamato recita testualmente:” con la lettera a), il Governo è delegato a riformare la disposizione che attualmente prevede che il pubblico ministero presenti al giudice la richiesta di archiviazione quando ritiene l’infondatezza della notizia di reato “perché gli elementi acquisiti nelle indagini preliminari non sono idonei a sostenere l’accusa in giudizio”. Il PM dovrà richiedere l’archiviazione se gli elementi acquisiti sono inidonei a consentire una “ragionevole previsione di condanna”….”con la lettera m) il Governo è delegato a modificare la disciplina della sentenza di non luogo a procedere al termine dell’udienza preliminare, modificando la regola, enunciata dal comma 3 dell’art. 425 c.p.p., in base alla quale il g.u.p. pronuncia la sentenza di non luogo a procedere anche quando gli elementi acquisiti risultano insufficienti, contraddittori o comunque non idonei a sostenere l’accusa in giudizio”.

Il tema dell’ampiezza dei poteri del giudice dell’udienza preliminare è complesso e di assoluta importanza riguardando uno snodo fondamentale del nostro sistema penale ed è da sempre oggetto di un acceso dibattito in dottrina ed in giurisprudenza intersecandosi con i principi della completezza delle indagini e, più in generale, di quelli posti alla base del sistema accusatorio accolto nel nostro codice.

Il controllo giurisdizionale sull’esercizio dell’azione penale incide sia sulle garanzie di difesa dell’imputato sia sulle esigenze di economia processuale, essendo evidente come la scelta di una piuttosto che di un’altra regola di giudizio posta alla base della valutazione della richiesta di rinvio a giudizio formulata dal pubblico ministero, ampliando o restringendo i poteri riconosciuti al g.u.p., non possa non influire sul flusso degli affari che possono trovare sviluppo nella fase dibattimentale nel senso di ampliarlo o di restringerlo evitando, in quest’ultimo caso, un inutile dibattimento a vantaggio dell’imputato e con un effetto oggettivamente deflattivo dello sviluppo dibattimentale.

Proprio questo effetto è quello chiaramente voluto dal legislatore della riforma tenuto conto di quanto già detto ed espressamente riportato nel dossier richiamato secondo cui “i principi e criteri direttivi di cui alle lettere a) ed m) ….. paiono riconducibili all’obiettivo di deflazionare i ruoli dibattimentali”.

La regola enunciata dal vigente comma 3 dell’art. 425 c.p.p., risultante dalla modifica intervenuta con la L. 16 dicembre 1999, n. 479 (con la quale, per un verso, sono stati ampliati i poteri istruttori demandati al giudice dell’udienza preliminare ai sensi dell’art. 421-bis c.p.p. e  art. 422 c.p.p., comma 1 e, per altro verso, si è previsto che il giudice pronunci sentenza di non luogo a procedere “anche quando gli elementi acquisiti risultano insufficienti, contraddittori o comunque non idonei a sostenere l’accusa in giudizio”)  aveva già suscitato non poche riflessioni essenzialmente incentrate su quali fossero i poteri spettanti al g.u.p. e, conseguentemente, sulla natura da riconoscere alla sentenza ex art. 425 c.p.p..

Significativi sul punto sono i principi affermati dalla giurisprudenza di legittimità, pronunciatasi nel solco del prevalente orientamento secondo cui “il Giudice dell’udienza preliminare nel pronunciare sentenza di non luogo a procedere, ex art. 425, comma 3, c.p.p. deve valutare, sotto il profilo processuale, se gli elementi acquisiti risultino insufficienti, contraddittori o comunque non idonei a sostenere l’accusa in giudizio, non potendo procedere a valutazioni di merito del materiale probatorio ed esprimere, quindi, un giudizio di colpevolezza dell’imputato ed essendogli inibito il proscioglimento in tutti i casi in cui le fonti di prova si prestino a soluzioni alternative e aperte o, comunque, ad essere diversamente rivalutate” (così, Cass. pen. , sez. IV , n. 851 del 23/11/2017).

Ciò importa che ove in seno all’udienza preliminare emergano prove che, in dibattimento, potrebbero ragionevolmente condurre all’assoluzione dell’imputato, il proscioglimento deve essere pronunziato solo se ed in quanto questa situazione di innocenza sia ritenuta non superabile in dibattimento dall’acquisizione di nuove prove o da una diversa e possibile rivalutazione degli elementi di prova già acquisiti (Cass. pen., sez. 4, n. 43483 del 06/10/2009, Pontessilli).

Nello stesso senso la più recente giurisprudenza di legittimità, Cass., pen., sez. V, n. 22806 del 2 marzo 2021, secondo cui: “il Giudice dell’udienza preliminare deve, dunque, esprimere un giudizio prognostico circa l’inutilità del dibattimento, senza poter formulare un giudizio sulla colpevolezza o meno dell’imputato;……. il proscioglimento deve essere escluso in tutti i casi in cui gli elementi acquisiti a carico si prestino a letture alternative o aperte, o comunque ad essere diversamente valutati in dibattimento, anche alla luce delle future acquisizioni probatorie”. Il g.u.p. deve, quindi, emettere sentenza di non luogo a procedere solo in presenza di un quadro probatorio “non suscettibile di implementazione dibattimentale attraverso l’acquisizione di nuovi elementi probatori o una possibile diversa valutazione del materiale probatorio già acquisito” (così, da ultimo, Cass., pen., sez. V, n. 22806 del 2 marzo 2021).

La Corte cost. nelle sentenze n. 82/1993; n. 71/1996; n. 51/1997 ; ord. n. 185/2001, ha essenzialmente espresso gli analoghi principi secondo i quali, attesa la funzione di “filtro” svolta dall’udienza preliminare, il giudice, nel pronunciare sentenza di non luogo a procedere, non può procedere a valutazioni di merito del materiale probatorio (“…l’apprezzamento del giudice non si sviluppa.., secondo un canone, sia pur prognostico, di colpevolezza o innocenza, ma si incentra sulla ben diversa prospettiva di delibare… se risulti o meno necessario dare ingresso alla successiva fase del dibattimento”).

Non sono mancate, tuttavia, pronunce di una parte minoritaria della giurisprudenza di legittimità che in qualche modo evocano un apprezzamento del merito da parte del g.u.p. ritenendo che lo stesso sia chiamato ad una valutazione di “effettiva consistenza del materiale probatorio posto a fondamento dell’accusa” (Cass. pen., sez. 6, n. 33763 del 30/04/2015, P.M. in proc. Quintavalle; conf. Cass. pen., sez. 6, n. 3726 del 29/09/2015 dep. il 2016, P.M. in Proc. Di Gaetano), laddove il richiedere al g.u.p. di valutare “la effettiva consistenza del materiale probatorio posto a fondamento dell’accusa e la sua capacità di tenuta in dibattimento, essendo tale condizione necessaria a giustificare la sottoposizione al processo” (Cass. pen., sez. 6, n. 17951 del 13/10/2015 dep. il 2016, P.M., P.C. in proc. Barone e altri; conf. Cass. pen., sez. 6, n. 7748 del 11/11/2015 dep. il 2016, Pg in proc. D’Angelo) pare sottendere un’attività valutativa della prova che va oltre il ruolo di udienza filtro proprio dell’udienza preliminare.

Si richiama, ancora, Cass. pen., sez. VI, n.17385 del 24/02/2016, secondo cui “la sentenza di non luogo a procedere è una sentenza di merito su di un aspetto processuale, in cui il giudice dell’udienza preliminare è chiamato a valutare non la fondatezza dell’accusa, bensì la capacità degli elementi posti a sostegno della richiesta di cui all’art. 416 cod. proc. pen., eventualmente integrati ai sensi degli artt. 421 bis e 422 cod. proc. pen., di dimostrare la sussistenza di una “minima probabilità” che, all’esito del dibattimento, possa essere affermata la colpevolezza dell’imputato (In motivazione la Corte ha chiarito che la valutazione del giudice dei dati probatori è finalizzata a verificare l’esistenza di un livello “serio” di fondatezza delle accuse, ma restano escluse da tale sindacato quelle letture degli atti di indagine o delle prove connotate da un significato “aperto” o “alternativo”, suscettibile, dunque, di diversa interpretazione da parte del giudice del dibattimento)”.

La stessa Corte Cost. nella sentenza n. 224 del 2001 (in tema di incompatibilità del giudice), ha evidenziato, inoltre, che “a seguito delle importanti innovazioni introdotte, in particolare, dalla  L. 16 dicembre 1999, n. 479, l’udienza preliminare ha subito una profonda trasformazione sul piano sia della quantità e qualità di elementi valutativi che vi possono trovare ingresso, sia dei poteri correlativamente attribuiti al giudice, e, infine, per ciò che attiene alla più estesa gamma delle decisioni che lo stesso giudice è chiamato ad adottare” ed ha rimarcato come, nell’udienza preliminare – come regolata dall’attuale disciplina -, da un lato, si realizza un contraddittorio più esteso rispetto al passato e, dall’altro, vi è “un incremento degli elementi valutativi, cui necessariamente corrisponde – quanto alla determinazione conclusiva – un apprezzamento del  merito ormai privo di quei caratteri di “sommarietà” che prima della riforma erano tipici di una delibazione tendenzialmente circoscritta allo stato degli atti”.

Con la successiva sentenza n. 335 del 2002 (sempre in tema di incompatibilità del giudice), infine, i Giudici della Consulta hanno ribadito che “il nuovo art. 425 c.p.p., in questo modo, chiama il giudice a una valutazione di merito sulla consistenza dell’accusa, consistente in una prognosi sulla sua possibilità di successo nella fase dibattimentale”.

Se questo appena descritto è, in sintesi, il diritto vivente formatosi sula regola di giudizio di cui all’art. 425 c.p.p., con la recentissima legge delega viene confermata, da un lato, la regola della prognosi che continua a connotare la funzione tipica di filtro dell’udienza preliminare finalizzata, cioè, alla decisione di rinviare a giudizio o di emettere sentenza di non luogo a procedere, dall’altro lato, viene introdotto quel canone (pur sempre prognostico) di colpevolezza o innocenza al quale faceva riferimento la Corte Costituzionale con la sent. n. 71/1996 sopra richiamata al fine di escludere che il decreto che dispone il giudizio potesse ritenersi assorbente rispetto alla valutazione dei gravi indizi di colpevolezza presupposto previsto, invece, dall’ art. 273 c.p.p.. nonché nel senso di ritenere che la sentenza di cui all’art. 425 c.p.p. fosse solo una sentenza processuale (“…ove la prova risulti insufficiente o contraddittoria, l’adozione della sentenza di non luogo a procedere potrà dirsi imposta soltanto nei casi in cui si appalesi la superfluità del giudizio, vale a dire nelle sole ipotesi in cui è fondato prevedere che l’eventuale istruzione dibattimentale non possa fornire utili apporti per superare il quadro di insufficienza o contraddittorietà probatoria. Ove ciò non accada, quindi, risulterà scontato il provvedimento di rinvio a giudizio che, in una simile eventualità, lungi dal rinvenire il proprio fondamento in una previsione di probabile condanna, si radicherà null’altro che sulla ritenuta necessità di consentire nella dialettica del dibattimento lo sviluppo di elementi ancora non chiariti..”).

Superato “il criterio dell’astratta utilità dell’accertamento dibattimentale” e legittimata “l’instaurazione del processo nei soli casi in cui gli elementi raccolti nel corso delle indagini preliminari consentono una ragionevole previsione di condanna” (si riporta letteralmente il commento della Commissione Lattanzi contenuto nel dossier secondo cui “…..a seguito di indagini che –in linea con quanto richiesto dalla Corte costituzionale–devono risultare tendenzialmente complete (e possono avere una durata significativa), il pubblico ministero sarà chiamato a esercitare l’azione penale solo quando gli elementi raccolti risultino – sulla base di una sorta di “diagnosi prognostica” – tali da poter condurre alla condanna dell’imputato secondo la regola dell’oltre ogni ragionevole dubbio, tanto in un eventuale giudizio abbreviato, quanto nel dibattimento”) non vi è dubbio che con la riforma si sia voluto introdurre una diversa e più approfondita valutazione degli atti del procedimento e, quindi, un sindacato ben più pregnante per il g.u.p. che è quello di utilizzare un criterio di valutazione pur sempre diagnostico nel senso anzidetto di “filtro”, di tenuta del sistema, in modo da evitare dibattimenti inutili intesi però non più soltanto come dibattimenti in cui non possa essere garantito il confronto dialettico tra accusa e difesa ma come quelli in cui non si possa pervenire ad una sentenza di condanna essendo chiamato il giudice (e prima ancora il P.M. nel richiedere l’archiviazione) a valutare se il materiale raccolto giustifichi (o meno) la previsione della futura emissione di una sentenza di condanna sulla base di un accertamento prognostico di responsabilità oltre ogni ragionevole dubbio.

Ciò posto, appare evidente che l’introduzione della nuova regola di giudizio non può non determinare effetti rilevanti sulla struttura del processo penale e ciò sia con riferimento al prevedibile superamento del vigente e prevalente orientamento della Suprema Corte che perviene di regola all’annullamento delle decisioni del g.u.p. di non luogo a procedere assunte sulla base della formulazione di un giudizio sulla colpevolezza o meno dell’imputato (cfr., ex pluribus, Cass. pen., sez. 5, n. 26756 del 26/02/2016, come già evidenziato dalla Commissione di diritto e procedura penale dell’Associazione nazionale magistrati nel parere sulla delega al Governo per l’efficienza del sistema penale dello scorso 6 ottobre, pubblicato sul sito web dell’associazione), sia con riferimento alla sempre maggiore somiglianza della valutazione di probabilità della condanna richiesta ex art. 425 c.p.p. a quella della gravità indiziaria ai fini cautelari ex art. 273 c.p.p. essendo evidente come “qualunque situazione di incertezza, sia pure emergente allo stato degli atti, non dovrebbe più giustificare il transito al dibattimento, a prescindere dalla possibilità di superarla grazie alla facoltà di avvalersi delle superiori risorse cognitive assicurate da quest’ultimo” (Marcello Daniele, La riforma della giustizia penale e il modello perduto, in corso di pubblicazione su Cass. Pen., 2020, n. 10, e su discrimen.it, pag. 3, richiamato da Enrico Marzaduri, La riforma Cartabia e la ricerca di efficaci filtri predibattimentali: effetti deflattivi e riflessi sugli equilibri complessivi del processo penale, Testo della relazione svolta al Convegno annuale dell’Associazione tra gli Studiosi del Processo Penale “G.D. Pisapia”, “Alla ricerca di un processo penale efficiente”, Pisa 20-21 gennaio 2022, inwww.studiosiprocessopenale.it , pag. 31 nota 87).

Ed invero, mentre nel sistema vigente il g.u.p. può disporre il rinvio a giudizio anche in presenza di “soluzioni aperte” che necessitano della verifica dibattimentale -“in sostanza, per rinviare a giudizio l’imputato , il giudice  deve prefigurarsi che le fonti di prova raccolte dal pubblico ministero siano suscettibili di assurgere a prove di responsabilità nella fase dibattimentale” (Ercole Aprile e Maurizio Saso, in op. cit., pagg. 16 e 140; cfr. anche Cass. pen., sez. 6, n. 17659 del 01/04/2015 – dep. 27/04/2015, P.G. in proc. Bellissimo e altro, secondo cui in base al principio generale desumibile dal sistema, deve difatti procedersi al dibattimento solo se dallo svolgimento della relativa istruttoria la prospettiva accusatoria può trovare ragionevole sostegno per fugare la situazione di dubbio, ma non anche in caso di astratta possibilità di una decisione diversa a parità di quadro probatorio nonché Cass. pen., sez. 6, n. 6765 del 24/01/2014, Pmt in proc. Luchi e altri secondo cui in presenza di fonti di prova che si prestino ad una molteplicità ed alternatività di soluzioni valutative, il giudice deve verificare se tale situazione possa essere superata attraverso le verifiche e gli approfondimenti propri della fase del dibattimento, ma non può operare valutazioni di tipo sostanziale che spettano, nella predetta fase, al giudice naturale)– in quanto ogni dubbio, anche se incide sull’acquisibilità della prova, deve essere affrontato e risolto dal giudice del dibattimento, con la modifica normativa sembra che il giudice negli stessi casi dovrà pronunciare sentenza di non luogo a procedere perché “gli elementi acquisiti non consentono una ragionevole previsione di condanna”.

Quanto all’incidenza della modifica normativa sulla questione della rilevanza del decreto che dispone il giudizio rispetto alla possibilità (o meno) di valutare la sussistenza dei presupposti per l’applicazione (o il mantenimento) delle misure cautelari (questione che la Cass. e, prima ancora, la Corte cost. avevano risolto nel senso di ritenere che “anche dopo le modificazioni alla disciplina dell’udienza preliminare introdotte dalla l. 16 dicembre 1999 n. 479, “non è preclusa al giudice investito della richiesta di riesame di una misura cautelare personale la valutazione dei gravi indizi di colpevolezza, quando sia stato disposto il rinvio a giudizio dell’imputato per il reato in ordine al quale è stata applicata la misura cautelare personale”, non risultando superata la portata della dichiarazione di incostituzionalità dell’art. 309 c.p.p. intervenuta con la sentenza costituzionale n. 71 del 1996”, così, Cass. pen., sez. un., n.39915 del 30/10/2002,), non vi è dubbio che l’espressa introduzione di un canone sia pure prognostico di colpevolezza o innocenza, la cui mancata previsione de iure condito era stata in passato richiamata dalla Corte cost. stessa proprio per escludere la sussistenza di un apprezzamento nel merito da parte del g.u.p., imporrà nuove riflessioni essendo evidentemente sempre più difficile sostenere ormai che non venga più in considerazione un apprezzamento di merito prognostico di responsabilità dell’imputato, assimilabile e sovrapponibile a quello di qualificata probabilità di colpevolezza richiesto dall’art. 273 c.p.p. cheva individuata “in quegli elementi a carico, di natura logica o rappresentativa, sia diretti che indiretti, i quali – resistendo a interpretazioni alternative e contenendo in nuce tutti o soltanto alcuni degli elementi strutturali della corrispondente prova- non valgono di per sé a dimostrare oltre ogni dubbio l’attribuibilità del reato all’indagato con la certezza propria del giudizio di cognizione, e tuttavia, quantitativamente e qualitativamente apprezzati nella loro consistenza e nella loro coordinazione logica, consentono di prevedere che, attraverso la futura acquisizione di ulteriori elementi, saranno idonei a dimostrare tale responsabilità, fondando nel frattempo una qualificata probabilità di colpevolezza”(cfr. Cass. sez. un. cit.).

Considerato che, secondo le dichiarate intenzioni del legislatore della riforma, è ormai superata la valutazione del quadro probatorio “non nell’ottica del risultato dell’azione, ma in quella della superfluità o meno dell’accertamento giudiziale”, in funzione cioè non della condanna, ma della sostenibilità dell’accusa nel dibattimento (valutazione, questa, richiamata, invece, dalla Corte cost. nella sent. n. 88/91) deve ritenersi, ad avviso di chi scrive, che i principi espressi dalle sez. un. potranno ancora rimanere fermi solo valorizzando l’asimmetria delle garanzie contenutistiche e procedurali del decreto che dispone il giudizio, con il suo ruolo di snodo processuale, e dell’ordinanza di applicazione delle misure cautelari indicate dalla Suprema Corte, garanzie ulteriori e diverse da quella sopra evidenziata della nuova regola di giudizio.

Si richiama, sul punto, il chiaro percorso motivazionale utilizzato dai Giudici delle leggi nella pronuncia n. 71 del 1996 richiamata dalla Cass. sopra riportata:”Mentre, infatti, nel quadro di una valutazione comparata degli artt. 425 e 530 cod. proc. pen. possono ritenersi fra loro assimilabili le ipotesi di prova positiva dell’innocenza e quella speculare di totale assenza di prova della colpevolezza, di talché la medesima situazione di fatto è idonea a determinare, su di un piano di sostanziale simmetria, la sentenza di assoluzione in dibattimento e quella di non luogo a procedere nell’udienza preliminare, non altrettanto è a dirsi in tutte le ipotesi in cui la prova risulti invece insufficiente o contraddittoria. In tal caso, infatti, alla sentenza di assoluzione imposta dall’art. 530, comma 2, cod. proc. pen., non corrisponde un omologo per la sentenza di non luogo a procedere, ma una più articolata regola di giudizio che deve necessariamente tener conto della diversa natura e funzione che quella pronuncia è destinata a svolgere nel sistema. L’apprezzamento del merito che il giudice è chiamato a compiere all’esito della udienza preliminare non si sviluppa, infatti, secondo un canone, sia pur prognostico, di colpevolezza o di innocenza, ma si incentra sulla ben diversa prospettiva di delibare se, nel caso di specie, risulti o meno necessario dare ingresso alla successiva fase del dibattimento: la sentenza di non luogo a procedere, dunque, era e resta, anche dopo le modifiche subite dall’art. 425 cod. proc. pen., una sentenza di tipo “processuale”, destinata null’altro che a paralizzare la domanda di giudizio formulata dal pubblico ministero. Da ciò consegue che, ove la prova risulti insufficiente o contraddittoria, l’adozione della sentenza di non luogo a procedere potrà dirsi imposta soltanto nei casi in cui si appalesi la superfluità del giudizio, vale a dire nelle sole ipotesi in cui è fondato prevedere che l’eventuale istruzione dibattimentale non possa fornire utili apporti per superare il quadro di insufficienza o contraddittorietà probatoria. Ove ciò non accada, quindi, risulterà scontato il provvedimento di rinvio a giudizio che, in una simile eventualità, lungi dal rinvenire il proprio fondamento in una previsione di probabile condanna, si radicherà null’altro che sulla ritenuta necessità di consentire nella dialettica del dibattimento lo sviluppo di elementi ancora non chiariti”.

4.Conclusioni

La sfida che dovrà affrontare il legislatore delegato prima ed il g.u.p. dopo, in sede di prima applicazione della norma per consentire il mantenimento della funzione di filtro tipica dell’udienza preliminare, che certamente non è quella di acquisire o formare la prova, sarà quella di interpretare la “ragionevolezza” della previsione di condanna in modo da evitare la celebrazione di dibattimenti inutili nei casi in cui è evidente la prova della non colpevolezza dell’imputato o manchi la prova della colpevolezza e, nello stesso tempo, di consentire lo sviluppo nella fase dibattimentale di quei procedimenti che da un lato non presentino lacune con soluzioni alternative e aperte tali da poter subire il rischio di concludersi con una sentenza assolutoria in quanto inidonee ad un adeguato sviluppo probatorio ma che, nello stesso tempo, non forniscano necessariamente già “prova” dei fatti nel significato tipico che deve essere attribuito a questo termine, quale risultato del confronto dialettico tra le parti maturato in dibattimento.

Solo in questo modo, a parere di chi scrive, si eviterebbe il rischio per il g.u.p. di dedicarsi ad una attività istruttoria infinita finalizzata ad accertare fonti di prova che debbano essere già sufficienti per pronunciare una condanna in dibattimento nonché quello di introdurre in una fase preliminare, caratterizzata dall’acquisizione di fonti di prova al di fuori del rito accusatorio dibattimentale, una regola di giudizio “di merito” che, sia pure con una diagnosi prognostica, accertando al di là di ogni ragionevole dubbio la sussistenza dei presupposti per una pronuncia di condanna, anticipi di fatto quella del giudizio di responsabilità penale in quanto “fondata sugli stessi parametri delibativi alla stregua dei quali il giudice del dibattimento é chiamato a decidere se pronunciare sentenza di proscioglimento o di condanna” (così, Corte cost. sent. n. 82/1993).

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