SOMMARIO: 1. I poteri istruttori del consulente d’ufficio prima dell’intervento delle Sezioni Unite. – 2. Le altre ipotesi di nullità: l’onere di comunicare l’inizio delle operazioni peritali. – 3. Nullità relativa o assoluta? – 4. Il termine ultimo per formulare osservazioni critiche alla consulenza. – 5. Osservazioni conclusive.

1. I poteri istruttori del consulente d’ufficio prima dell’intervento delle Sezioni Unite.

Il più delicato quesito che si poneva in ambito giudiziario, quanto ai confini di operatività del c.t.u., era il seguente: se il perito sconfinava dai limiti intrinseci al mandato conferitogli, tali accertamenti erano nulli per violazione del principio del contraddittorio o avevano un valore probatorio, sia pure indiziario?

L’orientamento prevalente riteneva che il consulente d’ufficio potesse, ai sensi dell’art. 194, comma 1, c.p.c., assumere informazioni da terzi (si pensi a quelle attinte presso il medico di base del de cuius da un c.t.u. che sia stato incaricato di accertare la capacità d’intendere e di volere del deceduto all’epoca di redazione di un testamento olografo) e, pur in mancanza di espressa autorizzazione del giudice (contra Cass. civ., sez. lav., 26 ottobre 1995, n. 11133, secondo cui il c.t.u. non poteva assumere informazioni da terzi senza l’autorizzazione del giudice), procedere all’accertamento dei fatti accessori rientranti nell’ambito strettamente tecnico della consulenza e costituenti presupposti necessari per rispondere ai quesiti postigli (vale a dire, attingere aliunde notizie e dati non rilevabili dagli atti processuali), ma non avesse il potere di accertare i fatti posti a fondamento di domande ed eccezioni, il cui onere probatorio incombe sulle parti (Cass. nn. 15774/2018 e 2671/2020).

Se sconfinava dai limiti intrinseci al mandato conferitogli (si pensi all’acquisizione dei titoli di proprietà nel caso di un’azione di rivendica), tali accertamenti erano reputati nulli (per Cass. n. 15747/2018 trattavasi di nullità relativa) per violazione del principio del contraddittorio, e, pertanto, privi di qualsiasi valore probatorio, anche indiziario (Cass. civ., sez. III, 19 gennaio 2006, n. 1020; sui limiti per il c.t.u. di assumere informazioni presso terzi cfr. Cass. 10 agosto 2004, n. 15411, e Cass. 14 luglio 2004, n. 13015).

Il divieto per il c.t.u. di acquisire di sua iniziativa la prova dei fatti costitutivi delle domande e delle eccezioni proposte e di procurarsi documenti che favorissero tale prova veniva meno quando tale prova non potesse essere oggettivamente fornita dalle parti con i mezzi di prova tradizionali, postulando il ricorso a cognizioni tecnico-scientifiche (Cass. n. 31886/2019).

E’ noto in che termini di recente hanno fornito riposta al quesito le Sezioni Unite n. 3086 del 2022, per il cui commento si rinvia all’articolo pubblicato su questo stesso sito a firma di Dario Cavallari, “La ctu e il potere dispositivo delle parti: Cass., SU, n. 3086 del 1° febbraio 2022”.

1.1. Un’ulteriore domanda che ci si poneva era se il c.t.u. potesse acquisire documenti non ritualmente prodotti in giudizio nell’ipotesi in cui le parti avessero acconsentito al loro utilizzo.

Orbene, nel caso di fatti il cui accertamento richiede l’impiego di un sapere tecnico qualificato (consulenza cd. percipiente, in cui l’accertamento di determinate situazioni di fatto può effettuarsi solo con l’ausilio di speciali cognizioni o strumentazioni tecniche; si pensi agli accertamenti relativi alla paternità e alla maternità – Cass. n. 5491/2018 -), l’onere si riduce all’allegazione (cioè alla deduzione del fatto che la parte pone a fondamento del suo diritto), spettando, poi, al giudice decidere se ricorressero o meno le condizioni per ammettere la consulenza (Cass. civ., sez. III, 22 giugno 2005, n. 13401; Cass. civ. 2 marzo 2010, n. 4950; Cass. civ. 30 novembre 2005, n. 26083; Cass. civ., sez. un., 25 novembre 2008, n. 28056; conf. Cass. n. 3717/2019). Tuttavia, anche nell’ipotesi di consulenza percipiente, il perito non poteva avvalersi, per la formazione del suo parere, di documenti non prodotti dalle parti nei tempi e nei modi permessi dalla scansione processuale (Cass. n. 27776/2019).

Al di fuori di questa ipotesi, il mezzo in esame era legittimamente negato dal giudice qualora la parte tendeva con esso a supplire alla deficienza delle proprie allegazioni od offerte di prova, ovvero a compiere un’indagine esplorativa alla ricerca di elementi, fatti o circostanze non provati. La c.t.u., quindi, non poteva essere utilizzata al fine di esonerare la parte dal fornire la prova di quanto assunto (Cass. n. 30218/2018).

Il c.t.u. poteva utilizzare documenti che non fossero ritualmente prodotti in causa solo se le parti lo avessero consentito (Cass. 14.8.1999, n. 8659); ai sensi dell’art. 198 c.p.c., peraltro, tale consenso poteva essere espresso solo con riferimento all’esame di documenti accessori, cioè utili a consentire una risposta più esauriente e approfondita al quesito posto dal giudice; Cass. 27.10.2016, n. 21760). Se ne teneva conto in mancanza di consenso, la consulenza era nulla, con possibilità di sanatoria per effetto della mancata deduzione nella prima istanza o difesa successiva al deposito (Cass. civ., sez. III, 22 giugno 2005, n. 13401). Più drastica era stata Cass. n. 31886/2019, secondo cui l’acquisizione, da parte del c.t.u., di documenti in violazione del principio dispositivo cagionava la nullità assoluta della consulenza, rilevabile d’ufficio e non sanabile per acquiescenza delle parti, in quanto le norme che stabiliscono preclusioni (assertive ed istruttorie) nel processo civile sono preordinate alla tutela di interessi generali.

Le attività del c.t.u. meramente acquisitive di elementi (documenti o certificazioni) emergenti da pubblici registri accessibili a chiunque potevano, invece, essere svolte senza obbligo di dare avviso alle parti e persino dopo la chiusura delle operazioni stesse (Cass. civ., sez. II, 11 dicembre 1992, n. 13109).

Anche in ordine a tale quesito le Sezioni Unite n. 3086/2022 hanno cercato di dare una risposta, più o meno appagante, in ordine alla quale si rinvia sempre all’articolo a firma di Dario Cavallari in precedenza menzionato.

2.Le altre ipotesi di nullità: l’onere di comunicare l’inizio delle operazioni peritali.

Tuttavia, le (ulteriori) ipotesi di nullità di una consulenza tecnica d’ufficio sono numerose e variegate ed individuarne il regime giuridico non è sempre facile.

A titolo meramente esemplificativo, mentre il c.t.u. deve (a pena di nullità della consulenza tecnica e della sentenza che sulla stessa si fondi) dare comunicazione (di regola, con dichiarazione inserita nel verbale di udienza o, in difetto, a mezzo di lettera raccomandata con avviso di ricevimento) alle parti (recte, ai procuratori costituiti) del giorno, ora e luogo di inizio delle operazioni peritali (artt. 194, co. 2, c.p.c. e 90, co. 1, disp. att. c.p.c.), incombe sulle parti l’onere di informarsi sul prosieguo di queste al fine di parteciparvi (fermo restando che la nullità resterebbe sanata qualora i difensori delle parti, avendone aliunde avuto conoscenza, avessero comunque effettivamente presenziato a tali operazioni).

Tuttavia, qualora il consulente di ufficio rinvii le operazioni ad una data determinata, provvedendo a darne comunicazione alle parti, e successivamente proceda ad un’ulteriore operazione peritale in data anticipata rispetto a quella fissata (alla stessa stregua del caso in cui anticipi la data di inizio delle operazioni) e ometta di darne avviso alle parti, l’inosservanza di tale obbligo può dar luogo a nullità della consulenza, sempre che abbia comportato, in relazione alle circostanze del caso concreto, un pregiudizio al diritto di difesa (Cass. civ., sez. I, 7 luglio 2008, n. 18598; Cass. civ., sez. III, 27 aprile 2010, n. 10054; ugualmente, per Cass. civ., sez. II, 21 maggio 1997, n. 4511, nel caso di inosservanza da parte del consulente tecnico d’ufficio, quando riprende le operazioni peritali interrotte – ovvero quando rinvii le stesse a data da destinarsi e successivamente le riprenda -, del dovere di avvertire i contendenti).

L’ordinanza ammissiva della c.t.u. non deve essere notificata alla parte rimasta contumace, non ampliando l’oggetto del giudizio e non essendo inclusa nell’elenco tassativo di cui all’art. 292 c.p.c. degli atti per i quali tale notificazione è espressamente prevista, sussistendo esclusivamente l’obbligo per l’ausiliare di dare comunicazione anche alla parte non costituita dell’inizio delle operazioni peritali, ai sensi degli artt. 260 c.p.c. e 90 disp. att. c.p.c. (Cass. 9.11.2021, n. 32647).

3.Nullità relativa o assoluta?

Nei casi da ultimo analizzati, comunque, si tratta di nullità relativa, con la conseguenza che deve essere eccepita, a pena di decadenza, nella prima udienza (ivi compresa quella di mero rinvio), istanza o difesa successiva al deposito della relazione, del quale, ai sensi del comma 2 dell’art. 157 c.p.c., sia data comunicazione nelle forme di legge al difensore della parte interessata (Cass. civ., sez. lav., 8 aprile 2010, n. 8347; Cass. 25 ottobre 2006, n. 22843; Cass. 29 marzo 2006, n. 7243).

In quest’ottica, non si condivide la pur autorevole (peraltro isolata e risalente) presa di posizione di Cass. civ., sez. un., 11 novembre 1991, n. 12008, a tenore della quale la sanatoria della nullità della consulenza, in relazione al comportamento della parte interessata che ometta di opporla alla prima udienza successiva alla data del deposito dell’elaborato peritale, postulerebbe la possibilità, in detta udienza, di avere adeguata cognizione dell’elaborato stesso (con la conseguenza che l’eccezione potrebbe essere tempestivamente sollevata anche alla successiva udienza, qualora la relazione fosse depositata contestualmente alla prima udienza).

Per Cass. 15.2.2021, n. 3855, invece, la nullità della c.t.u. derivante dalla mancata comunicazione alle parti della data di inizio delle operazioni peritali (o attinente alla loro partecipazione alla prosecuzione delle operazioni stesse), avendo carattere relativo, resta sanata se non eccepita nella prima istanza o difesa successiva al deposito, per tale intendendosi anche l’udienza di mero rinvio della causa disposto dal giudice per consentire ai difensori l’esame della relazione, poiché la denuncia di detto inadempimento formale non richiede la conoscenza del contenuto dell’elaborato del consulente.

Tutte le altre irritualità nell’espletamento della consulenza (si pensi alla partecipazione ad un sopralluogo, senza autorizzazione giudiziale, in luogo del c.t.u., di un suo collaboratore o di un c.t.p. diverso da quello ritualmente nominato) ne determinano una nullità solo nel caso in cui procurino in concreto (e, quindi, sulla base di specifiche doglianze) una lesione del diritto di difesa.

Nell’ipotesi in cui il c.t.u. abbia attinto elementi di giudizio anche dalle cognizioni e dalle percezioni di un proprio collaboratore, la consulenza non è nulla se ciò è avvenuto nel rispetto del principio del contraddittorio (Cass. n. 4257/2018).

Per Cass. n. 5491/2018, l’eccezione di nullità deve essere chiara ed esplicita.

Per Cass. n. 25022/19 la violazione dell’obbligo di bene e fedelmente adempiere le funzioni affidategli comporterebbe, invece, in modo più rigoroso la nullità della perizia, rilevabile d’ufficio.

4. Il termine ultimo per formulare osservazioni critiche alla consulenza.

Un ulteriore versante sul quale le Sezioni Unite sono state chiamate a risolvere un contrasto insorto in seno alla Corte di Cassazione è quello del dies ad quem oltre il quale non è più possibile sollevare rilievi, osservazioni e/o censure all’elaborato peritale.

Sul punto Sez. U, Sentenza n. 5624 del 21/02/2022, allargando anche il raggio d’azione del loro intervento ad altri profili correlati, hanno statuito che:

1) le contestazioni e i rilievi critici delle parti alla consulenza tecnica d’ufficio, ove non integrino eccezioni di nullità relative al suo procedimento, come tali disciplinate dagli artt. 156 e 157 c.p.c., costituiscono argomentazioni difensive, sebbene di carattere non tecnico-giuridico, che possono essere formulate per la prima volta nella comparsa conclusionale e anche in appello, purché non introducano nuovi fatti costitutivi, modificativi o estintivi, nuove domande o eccezioni o nuove prove, ma si riferiscano all’attendibilità e alla valutazione delle risultanze della c.t.u. e siano volte a sollecitare il potere valutativo del giudice in relazione a tale mezzo istruttorio;

2) il secondo termine previsto dall’ultimo comma dell’art. 195, c.p.c., così come modificato dalla l. n. 69 del 2009, ovvero l’analogo termine che, nei procedimenti cui non si applica, ratione temporis, il novellato art. 195 c.p.c., il giudice, sulla base dei suoi generali poteri di organizzazione e direzione del processo ex art. 175 c.p.c., abbia concesso alle parti, ha natura ordinatoria e funzione acceleratoria e svolge ed esaurisce la sua funzione nel subprocedimento che si conclude con il deposito della relazione da parte dell’ausiliare; pertanto, la mancata prospettazione al consulente tecnico di osservazioni e rilievi critici non preclude alla parte di sollevare tali osservazioni e rilievi, ove non integrino eccezioni di nullità relative al suo procedimento, come tali disciplinate dagli artt. 156 e 157 c.p.c., nel successivo corso del giudizio e, quindi, anche in comparsa conclusionale o in appello;

3) qualora le contestazioni e i rilievi critici delle parti alla consulenza tecnica d’ufficio, non integranti eccezioni di nullità relative al suo procedimento, come tali disciplinate dagli artt. 156 e 157 c.p.c., siano stati proposti oltre i termini concessi all’uopo alle parti e, quindi, anche per la prima volta in comparsa conclusionale o in appello, il giudice può valutare, alla luce delle specifiche circostanze del caso, se tale comportamento sia stato o meno contrario al dovere di comportarsi in giudizio con lealtà e probità di cui all’art. 88 c.p.c. e, in caso di esito positivo di tale valutazione, trattandosi di un comportamento processuale idoneo a pregiudicare il diritto fondamentale della parte ad una ragionevole durata del processo ai sensi dell’art. 111 Cost. e, in applicazione dell’art. 92, comma 1, ultima parte c.p.c., può tenerne conto nella regolamentazione delle spese di lite.

Già in precedenza Cass., Sez. 3, Sentenza n. 20829 del 21/08/2018 aveva affermato che i rilievi delle parti alla consulenza tecnica di ufficio, ove non integrino eccezioni di nullità relative al suo procedimento, come tali disciplinate dagli artt. 156 e 157 c.p.c., costituiscono argomentazioni difensive, sebbene non di carattere tecnico giuridico, che possono essere svolte nella comparsa conclusionale, sempre che non introducano in giudizio nuovi fatti costitutivi, modificativi od estintivi, nuove domande o eccezioni o nuove prove, e purché il breve termine a disposizione per la memoria di replica, comparato con il tema delle osservazioni, non si traduca, con valutazione da effettuarsi caso per caso, in un’effettiva lesione del contraddittorio e del diritto di difesa, spettando al giudice sindacare la lealtà e correttezza di una siffatta condotta della parte alla stregua della serietà dei motivi che l’abbiano determinata. In applicazione di tale principio, la S.C. aveva ritenuto esente da critiche la sentenza impugnata che aveva considerato le doglianze mosse alla CTU, per la prima volta in sede di comparsa conclusionale, “altre e diverse” da quelle già costituenti oggetto di giudizio, e pertanto nuove, con conseguente decadenza della parte dalla facoltà di prospettarle.

Nel medesimo solco si era inserita Cass., Sez. L, Ordinanza n. 18657 del 08/09/2020, a mente della quale, in tema di consulenza tecnica di ufficio, il secondo termine previsto dall’art. 195 c.p.c., comma 3, così come modificato dalla l. n. 69 del 2009, svolge, ed esaurisce, la sua funzione nel sub-procedimento che si conclude con il deposito della relazione dell’ausiliare, sicché, in difetto di esplicita previsione in tal senso, la mancata prospettazione al consulente tecnico di ufficio di rilievi critici non preclude alla parte di arricchire e meglio specificare le relative contestazioni difensive nel successivo corso del giudizio e, quindi, anche in sede di gravame, laddove tale accertamento sia stato posto a base della decisione di primo grado.

Di segno contrario era, invece, stata Cass., Sez. 1, Ordinanza n. 19427 del 03/08/2017, a tenore della quale le contestazioni ad una relazione di consulenza tecnica d’ufficio costituivano eccezioni rispetto al suo contenuto, sicché erano soggette al termine di preclusione di cui al comma 2 dell’art. 157 c.p.c., dovendo, pertanto, dedursi – a pena di decadenza – nella prima istanza o difesa successiva al suo deposito.

A ben vedere, aveva seguito la stessa impostazione Cass., Sez. 6 – 1, Ordinanza n. 22316 del 15/10/2020, per la quale le osservazioni critiche alla consulenza tecnica d’ufficio non potevano essere formulate per la prima volta in comparsa conclusionale – e, pertanto, se ivi contenute, non erano esaminabili dal giudice – perché in tal modo esse sarebbero rimaste sottratte al contraddittorio tra le parti.

Traendo spunto dalla menzionata pronuncia a Sezioni Unite, Cass., Sez. 3, Ordinanza n. 25823 del 01/09/2022 ha precisato (sia pure con riferimento alla versione precedente dell’art. 345 c.p.c., ratione temporis applicabile) che le contestazioni ed i rilievi critici delle parti alla consulenza tecnica d’ufficio che si riferiscano all’attendibilità e alla valutazione delle risultanze della predetta consulenza non possono essere formulate per la prima volta nella memoria di replica nell’ambito del giudizio di primo grado, con la conseguenza che, se vi vengano introdotte, il giudice le può ignorare senza che la sentenza sia ingiusta, ferma la possibilità per la parte di ribadire – ovvero riproporre con una consulenza tecnica di parte – le contestazioni in questione in grado di appello, senza incorrere nelle preclusioni di cui all’art. 345 c.p.c..

5.Osservazioni conclusive.

Occorre domandarsi se e in che termini l’estensione del termine entro il quale è possibile formulare rilievi alla consulenza entri in collisione con i principi di economia processuale e di ragionevole durata del processo sanciti dall’art. 111 Cost.

La formulazione attuale dell’art. 195 c.p.c. è stata introdotta nel 2009 con l’evidente obiettivo di anticipare il contraddittorio. L’obiettivo è stato realizzato attraverso la concessione di tre termini successivi: il primo per l’inoltro alle parti di una bozza provvisoria della relazione peritale; il secondo per consentire alle parti, se del caso per il tramite dei loro periti, di formulare osservazioni e/o rilievi critici all’elaborato; l’ultimo per permettere al consulente di prendere posizione sulle critiche mossegli e per integrare e/o correggere eventualmente la relazione. Rispettando la tempistica normativamente prevista, le parti sarebbero dovute arrivare dinanzi al giudice, all’udienza in precedenza all’uopo fissata, avendo già operato la discovery  delle loro rispettive antitetiche posizioni ed il giudice avrebbe, a tutto concedere, chiedere al c.t.u. ulteriori chiarimenti, eventualmente convocandolo di persona a presenziare. Superato anche questo scoglio (o step, che dir si voglia), le questioni di carattere tecnico demandate al consulente si sarebbero dovute considerare cristallizzate ed il giudice avrebbe potuto invitare le parti a precisare le conclusioni, onde fornire le proprie risposte alle questioni di natura giuridica.

Riaprire i margini per le censure, estendendoli almeno fino alla comparsa conclusionale, equivale ad adottare una linea che si pone in contrasto con quella che sembrava la ratio legis.

Ma tant’è. La Cassazione sembra, a dire il vero, discostarsi negli ultimi tempi da quelli che venivano considerati come dei capisaldi (per quanto non fossero dei dogmi intangibili) in ambito processuale.

Basti pensare alla sentenza, sempre a Sezioni Unite, n. 36596 del 25/11/2021, con la quale si è stabilito che la parte che proponga l’impugnazione della sentenza d’appello, deducendo la nullità della medesima per non aver avuto la possibilità di esporre le proprie difese conclusive ovvero di replicare alla comparsa conclusionale avversaria, non ha alcun onere di indicare in concreto quali argomentazioni sarebbe stato necessario addurre in prospettiva di una diversa soluzione del merito della controversia; invero, la violazione determinata dall’avere il giudice deciso la controversia senza assegnare alle parti i termini per il deposito delle comparse conclusionali e delle memorie di replica, ovvero senza attendere la loro scadenza, comporta di per sé la nullità della sentenza per impedimento frapposto alla possibilità per i difensori delle parti di svolgere con completezza il diritto di difesa, in quanto la violazione del principio del contraddittorio, al quale il diritto di difesa si associa, non è riferibile solo all’atto introduttivo del giudizio, ma implica che il contraddittorio e la difesa si realizzino in piena effettività durante tutto lo svolgimento del processo.

Tutto condivisibile, se non fosse che sembrava ormai acquisito il principio secondo cui la denuncia di vizi fondati sulla pretesa violazione di norme processuali non tutela l’interesse all’astratta regolarità dell’attività giudiziaria, ma garantisce solo l’eliminazione del pregiudizio concretamente subito dal diritto di difesa della parte in conseguenza della denunciata violazione; ne consegue che è inammissibile l’impugnazione con la quale si lamenti un mero vizio del processo, senza prospettare anche le ragioni per le quali l’erronea applicazione della regola processuale abbia comportato, per la parte, una lesione del diritto di difesa o altro pregiudizio per la decisione di merito (Cass., Sez. L, Sentenza n. 6330 del 19/03/2014; Cass., Sez. 5, Sentenza n. 26831 del 18/12/2014; Cass., Sez. 3, Ordinanza n. 26419 del 20/11/2020).

Parimenti, la parte che propone ricorso per cassazione deducendo la nullità della sentenza per un vizio dell’attività del giudice lesivo del proprio diritto di difesa, ha l’onere di indicare il concreto pregiudizio derivato, atteso che, nel rispetto dei principi di economia processuale, di ragionevole durata del processo e di interesse ad agire, l’impugnazione non tutela l’astratta regolarità dell’attività giudiziaria ma mira ad eliminare il concreto pregiudizio subito dalla parte, sicché l’annullamento della sentenza impugnata è necessario solo se nel successivo giudizio di rinvio il ricorrente possa ottenere una pronuncia diversa e più favorevole a quella cassata (Cass., Sez. 3, Sentenza n. 26157 del 12/12/2014. Cfr. altresì Cass., Sez. 1, Sentenza n. 19759 del 09/08/2017; conf. Cass., Sez. 3, Sentenza n. 27419 del 08/10/2021).

Dello stesso avviso è Cass., Sez. 3, Sentenza n. 4340 del 23/02/2010, la quale, sempre in materia di impugnazioni civili, ha sostenuto che in siffatte evenienze l’annullamento della sentenza impugnata si rende necessario solo allorché nel successivo giudizio di rinvio il ricorrente possa ottenere una pronuncia diversa e più favorevole rispetto a quella cassata. Ne deriva che, ove la parte proponga ricorso per cassazione deducendo la nullità della sentenza impugnata per non aver avuto la possibilità di replicare, con apposita memoria, alla comparsa conclusionale dell’avversario, a causa della morte del proprio procuratore, essa ha l’onere di indicare in concreto quali argomentazioni sarebbe stato necessario addurre per contrastare quelle della controparte ovvero le istanze, le modifiche o le deduzioni che si sarebbero volute presentare, nonché il pregiudizio derivato da siffatta carenza di attività processuale.

A volte si ha la sensazione che si perda come punto di riferimento quella che dovrebbe essere la Stella Cometa in caso di res dubia: l’esigenza di assicurare i principi di economia processuale e di ragionevole durata del processo.

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