La disciplina del processo a cognizione piena di primo grado ha conosciuto nel corso del tempo diverse varianti: dal procedimento “formale” del 1865 e quello c.d. “sommario” del 1901 al codice del 1940, alla controriforma del 1950, alle novelle del 1973 e del 1990/1995 per passare alle modifiche di settore (ma non meno rilevanti) del 2005/2009, il tutto senza dimenticare la breve parentesi del rito societario di cui al d.lgs. n. 5/2003.

Oggi il legislatore ci riprova tramite la predisposizione di un nuovo rito civile di primo grado che si discosta nettamente da quello attualmente vigente.

La Riforma non tocca invece il processo di primo grado di cui agli artt. 414 ss. del codice di rito, che, in considerazione del suo ampio ambito di applicazione, non può più essere definito (esclusivamente) “del lavoro”.

Merita di essere precisato che il d.lgs. n. 149/2022 e ancor prima la l. delega n. 206/2021 si discostano, quanto al processo di primo grado, anche dalle proposte formulate dalla Commissione Luiso nel maggio del 2021.

Si pensi, solo per fare un esempio, al riparto di competenza tra giudici togati e giudici di pace: la Commissione Luiso aveva suggerito due interventi: uno immediato, volto ad elevare la competenza per valore del giudice di pace; uno affidato ad una norma di delega, volto a stabilire se alcune delle competenze per materia del pretore, trasferite in blocco al tribunale in occasione della riforma del 1998, potessero essere assegnate al giudice di pace ovvero tramutate in competenza per valore. Oggi, infatti, siamo in una situazione in virtù della quale una controversia per il pagamento di un canone di locazione di mille euro deve essere proposta al tribunale.

Lo schema di decreto legislativo aveva così proposto l’innalzamento a quindicimila euro per le cause relative a beni mobili, e fino a trentamila per le cause di risarcimento del danno prodotto dalla circolazione dei veicoli e natanti; questo aumento è stato giudicato eccessivo dalle Commissioni giustizia di Camera e Senato (che evidenti ragioni di tempo non hanno segnalato alcuna delle numerose incongruenze e criticità di cui è affetta la riforma), per cui l’aumento è stato ridimensionato a diecimila euro per le cause relative a beni mobili, e fino a venticinquemila per le cause di risarcimento del danno prodotto dalla circolazione dei veicoli e natanti.

Soprattutto, la Commissione Luiso aveva ritenuto inopportuna una modifica drastica dell’impianto del rito ordinario come risultante dalle riforme del 1990 e del 2005. Stando alla Relazione presentata al Ministro Cartabia il 24 maggio 2021 i ritardi del processo «dipendono essenzialmente dalle difficoltà organizzative e di gestione della macchina giudiziaria e, in specie, dalla sproporzione fra il volume del contenzioso e il numero dei magistrati»; quest’osservazione, unitamente a quella per cui le numerose modifiche normative che ha subito il processo di primo grado negli ultimi decenni non sono state in grado di incidere sull’effettiva riduzione del carico contenzioso avevano indotto la Commissione a ritenere inopportuno un ulteriore stravolgimento dell’attuale rito di cognizione ordinario, la cui vigente sistemazione «costituisce un adeguato punto di equilibrio fra il sistema delle preclusioni e il diritto di difesa», in quanto il sistema delle tre memorie successive alla prima udienza permette di adeguare l’architettura del processo alle cause più complesse, sia da un punto di vista oggettivo che soggettivo, nella consapevolezza che la durata dei processi non è da imputare alla fase di fissazione del thema decidendum, ma al c.d. collo di bottiglia rappresentato dalla fase decisoria.

Insomma, per la Commissione Luiso non vi era la necessità di un così deciso cambio di rotta. 

Le uniche modifiche proposte riguardavano:

a)- l’arretramento della barriera preclusiva relativa alle prove al momento della proposizione degli atti introduttivi;

b)-  l’attribuzione alla contumacia del valore di ficta confessio, implicando, per le cause aventi ad oggetto diritti disponibili, la non contestazione dei fatti posti a fondamento della domanda;

c)- la possibilità, invero già ricavabile dal sistema, per il giudice, il quale ritenga che la causa possa essere immediatamente decisa, anche su una questione pregiudiziale o preliminare, di rito o di merito, di avviare già dalla prima udienza il processo in decisione, senza concedere le memorie;

d)- di convertire il rito ordinario in semplificato di cognizione;

e)- di ridurre a due le memorie di cui all’attuale sesto comma dell’art. 183 c.p.c. e di prevederle come discrezionali.

Il legislatore della Riforma, in netta contrapposizione con quanto proposto dalla Commissione, ha invece scelto di irrigidire le scansioni temporali del processo civile, optando per l’anticipazione di tutte le attività di replica e quelle di precisazione e modifica delle domande (oggi previsto nel sesto comma dell’art. 183 c.p.c.) in un momento anteriore alla prima udienza di comparizione, al dichiarato scopo di rendere la causa in astratto già definibile in prima udienza.

Le parti, infatti, si scambiano prima dell’udienza le memorie integrative dell’art. 171-ter, il quale altro non fa che reiterare la tripletta di memorie attualmente collocata nel comma 6 dell’art. 183 c.p.c., con termini computati a ritroso: quaranta giorni, venti e dieci rispetto alla data della prima udienza.

In essa, secondo le previsioni del riformatore, il giudice istruttore dovrà ammettere o rigettare i mezzi istruttori o, con ordinanza riservata, dare corso alla istruttoria entro 90 giorni o, se non vi sono prove orali, procedere direttamente alla fase decisoria.

I requisiti di forma contenuto dell’atto di citazione

Allo scopo di adeguare l’atto introduttivo alla nuova struttura del rito ordinario, il legislatore delegante all’art. 1, comma 5 ha dettagliato in modo preciso i requisiti di contenuto forma che dovrà presentare la domanda, stabilendo che nell’atto di citazione:

  • siano esposti in modo chiaro e specifico i fatti e gli elementi di diritto costituenti le ragioni della domanda (lett. b);
  • sia contenuta l’indicazione specifica dei mezzi di prova dei quali l’attore intende valersi e dei documenti che offre in comunicazione (lett. c);
  • in aggiunta ai requisiti di cui all’articolo 163, comma 3, n. 7), c.p.c. sia previsto l’ulteriore avvertimento che la difesa tecnica mediante avvocato è obbligatoria ai sensi degli artt. 82 ss. c.p.c. in tutti i giudizi davanti al tribunale, fatta eccezione per i casi di cui all’art. 86 del medesimo codice, e che la parte, sussistendone i presupposti di legge, può presentare istanza per l’ammissione al patrocinio a spese dello Stato.

In attuazione di siffatti principi viene pertanto modificato l’art. 163 c.p.c.; il delegato, oltre alle modifiche espressamente indicate dalla legge delega, introduce nel corpo dell’articolo anche il comma 3-bis, volto ad imporre all’attore l’onere di indicare, nei casi in cui la domanda è soggetta a condizione di procedibilità, l’avvenuto assolvimento degli oneri previsti per il suo superamento. Tale ultima indicazione, invero, si impone come necessaria in forza del comma 22, lett. a) dell’articolo unico della legge delega che impone al legislatore delegato di «curare il coordinamento con le disposizioni vigenti, anche modificando la formulazione e la collocazione delle norme del codice di procedura civile, del codice civile e delle norme contenute in leggi speciali non direttamente investite dai princìpi e criteri direttivi di delega».

Nessun riferimento viene invece compiuto all’onere di indicare a pena di decadenza i mezzi di prova nell’atto di citazione, né dell’avvertimento al convenuto che la contumacia equivalga a non contestazione dei fatti affermati dall’attore a fondamento della domanda.

La costituzione del convenuto e i termini minimi a comparire

Al medesimo scopo di coordinamento sistematico si giustifica anche la novella dell’art. 166 c.p.c., il quale fissa in almeno settanta giorni prima dell’udienza di comparizione il termine di costituzione del convenuto. L’aumento del termine si giustifica per permettere lo scambio delle «memorie integrative» prima dell’udienza; per la medesima finalità è stata poi eliminata la possibilità di abbreviare i termini per tale costituzione, non risultando tale istituto compatibile con la tempistica, per vero piuttosto serrata, degli adempimenti previsti per il nuovo rito ordinario da espletarsi prima dell’udienza di cui all’art. 183. Simmetricamente e per la stessa ragione, è stata eliminata anche la possibilità di abbreviare i termini per la costituzione dell’attore.

Viene poi modificato il comma 1 dell’art. 163-bis c.p.c. estendendosi il termine a comparire a centoventi giorni prima dell’udienza di trattazione, allo scopo di assicurare tempi congrui per l’elaborazione delle nuove «memorie integrative» e così garantire la piena fissazione del thema decidendum e probandum prima dell’udienza di trattazione.

Le verifiche preliminari e il nuovo art. 171-bis c.p.c. 

Allo scopo di «permettere la celere trattazione del processo garantendo in ogni caso il principio del contradditorio e il più ampio esercizio del diritto di difesa» (art. 1, comma 5, lett. g, l. n. 206/2021), il legislatore ha poi previsto l’intervento del giudice già prima dello scambio delle c.d. memorie integrative previste dal nuovo art. 171-ter c.p.c. affinché costui possa provvedere sulla regolarità formale della costituzione e/o sul rispetto del contraddittorio o possa definire il processo in base a questioni pregiudiziali di rito o questioni preliminari di merito avente carattere impediente. Tale intervento, però, a differenza di quanto accade attualmente, non avviene in udienza, ma al di fuori e prima della stessa.

Stabilisce il neointrodotto art. 171-bis c.p.c. che, scaduto il termine di cui all’art. 166 per la costituzione del convenuto, il giudice istruttore deve entro i successivi quindici giorni effettuare tutte le verifiche d’ufficio che, nel loro insieme, sono funzionali ad assicurare la regolarità del contraddittorio. Il primo comma della norma pertanto richiama le c.d. verifiche assolutamente preliminari di cui al comma 1 dell’attuale art. 183 (ordine di integrazione del contraddittorio nel caso di litisconsorte necessario pretermesso ex art. 102, chiamata del terzo per ordine del giudice ex art. 107, sanatoria della nullità dell’atto di citazione ai sensi dell’art. 164 e della domanda riconvenzionale di cui all’art. 167, commi 2 e 3, rilievo e sanatoria del difetto di rappresentanza, assistenza, autorizzazione ex art. 182, chiamata in causa del terzo ex art. 269 e declaratoria di contumacia del convenuto ex artt. 171, 291 e 292); inoltre, in questa sede il giudice è tenuto ad indicare alle parti le questioni rilevabili d’ufficio di cui ritiene opportuna la trattazione (come oggi fa in udienza ai sensi dell’attuale art. 183, comma 4). Assoluta novità rispetto al passato è l’attribuzione al giudice anche del compito di indicare alle parti l’avvenuto rispetto o meno delle condizioni di procedibilità della domanda (e in specie dell’esperimento del tentativo obbligatorio di mediazione) e della sussistenza dei presupposti per procedere con rito semplificato.

«Quando pronuncia i provvedimenti di cui al primo comma, il giudice, se necessario, fissa la nuova udienza per la comparizione delle parti, rispetto alla quale decorrono i termini indicati all’articolo 171-ter» (art. 171-bis, comma 2). Ciò significa che, una volta rinviata la causa alla nuova udienza per permettere gli adempimenti appena ricordati, scatterà in capo alle parti l’onere di depositare le c.d. memorie integrative, le quali costituiranno anche lo strumento per prendere posizione in ordine alle questioni rilevate dal giudice con il provvedimento di cui al comma 1 dell’art. 171-bis c.p.c.

Descritto brevemente il meccanismo delineato dal legislatore, siano consentiti alcuni rilievi. Un giudice civile ha di norma sul ruolo ottocento/mille fascicoli: pare assai improbabile che per ognuno di essi sia in grado di effettuare quel primo (ma approfondito) screening che gli impone il legislatore. Si pensi alle cause litisconsortili: è assai difficile che il giudice possa avvedersi agevolmente della necessità di disporre l’integrazione del contraddittorio se non grazie al colloquio con le parti in causa.

Tale riflessione ne suscita un’altra: se l’esperienza pratica ha dimostrato che è la trattazione ad avere un ruolo integrativo rispetto alla scrittura e non viceversa, è del pari indiscutibile che la consacrazione del principio di oralità (tuttora affermato nell’art. 180 del codice) da sempre permette il costruttivo dialogo fra l’organo giudicante e le parti ed in tal modo l’effettiva attuazione dei principi del giusto processo, che invece oggi un processo (quasi totalmente) cartolare come quello costruito dalla Riforma rischia di compromettere.

È stato poi osservato (Capponi, Note sulla fase introduttiva del nuovo rito di ordinaria cognizione, in www.giustiziacivile.com, n. 10/2022) che «se il giudice “buca” il termine dei quindici giorni e inizia, col deposito della prima memoria (almeno quaranta giorni prima dell’udienza di trattazione, ma le parti potrebbero esser più tempestive), la successione della triplice, non gli rimarrà che attendere l’udienza dell’art. 183 per svolgere tutti i suoi controlli preliminari».

Ben potrebbe poi il giudice omettere scientemente di pronunciare il decreto di cui all’art. 171-bis, comma 1, preferendo attendere che le parti precisino le rispettive posizioni nelle memorie integrative. Anzi, per taluni (Capponi, op. ult. cit.), potrebbe anche verificarsi l’eventualità che il giudice consideri l’adempimento del tutto opzionale, ben sapendo che gli stessi controlli e verifiche del comma 1 cit. potranno essere effettuati – «con migliore cognizione della causa, e nel contraddittorio delle parti – nella prima udienza di trattazione. Conseguenze negative non sono prospettabili né per il giudice né per le parti; ma, certo, l’astratta modellistica dell’attuale legislatore ne riceverà uno sfregio. La prassi ci dirà se il nostro rilievo si rivelerà giusto o sbagliato».

Segue. La pianificazione dell’udienza

L’aver lasciato all’attore il monopolio circa l’individuazione del momento in cui svolgere la prima udienza priva allora il giudice del potere di programmare il contenzioso a lui affidato, con il rischio che nella prima udienza di comparizione venga portato un numero non gestibile di controversie. A tal riguardo il legislatore delegato invero ha tentato di ovviare al problema affidando al giudice il potere di rinviare l’udienza (art. 171-bis, comma 3). Più precisamente, stabilisce la norma che il giudice «se non provvede ai sensi del secondo comma, conferma o differisce, fino ad un massimo di quarantacinque giorni, la data della prima udienza rispetto alla quale decorrono i termini indicati all’articolo 171-ter».

È chiaro che la norma così congegnata appare insufficiente: da sempre si afferma che se le risorse economiche sono inadeguate alla gestione del ruolo, la trattazione contestuale di tutte le controversie si manifesta di difficile attuazione; al riguardo, probabilmente, un ruolo determinante potrà essere svolto dal neonato ufficio del processo, ma ovviamente per poter esprimere un giudizio sulla questione occorrerà attendere parecchi anni.

Insomma, il sovraccarico dei ruoli dei singoli giudici rende assai difficile arrivare alla prima udienza con le idee chiare; è allora «prevedibile che la nevralgica prima udienza si concluderà nella maggior parte dei casi con una riserva sulla decisione delle varie questioni, un po’ come oggi avviene all’udienza fissata per l’ammissione dei mezzi di prova dopo l’appendice scritta delle memorie di cui all’art. 183, sesto comma, c.p.c.» (Giordano, Più ombre che luci nel nuovo processo civile di primo grado, in www.giustiziacivile.com, n. 10/2022).

Merita poi di essere segnalato un altro profilo problematico. La Riforma modifica anche l’art. 171 c.p.c., relativo alla ritardata costituzione delle parti; nel secondo comma si è infatti eliminato l’inciso che consente, nel caso in cui una parte si sia costituita nei termini per essa stabiliti dalla legge, alla controparte di costituirsi regolarmente anche dopo la scadenza dei termini previsti per la sua costituzione e fino alla prima udienza, giacché per consentire le verifiche preliminari del giudice anteriormente all’udienza e alla fissazione dei termini per le memorie di cui all’art. 171-ter, il termine per la costituzione del convenuto deve essere necessariamente fissato in quello tempestivo di cui all’art. 166 c.p.c. Astrattamente, nulla vieta al convenuto di costituirsi anche successivamente, ma nella consapevolezza di dover accettare il processo in statu et terminis, ferme restando le decadenza ormai maturate (salva naturalmente la possibilità di essere rimesso in termini). Coerentemente con tale modifica è stato soppresso nel terzo comma dell’art. 171 l’inciso “neppure entro tale termine” e sostituito con l’inciso “entro il termine di cui all’art. 166”, a precisare che dopo tale termine la parte è dichiarata contumace con ordinanza del giudice istruttore (la verifica è tra quelle preliminari di cui all’art. 171-bis c.p.c.). In tal modo, però si impone alle parti di dire tutto e subito nei primi atti introduttivi, con un irrigidimento delle reciproche posizioni di gran lunga più evidente di quanto attualmente accade nel processo del lavoro, nel quale l’applicazione del principio di eventualità viene temperato dalla costante partecipazione del giudice a tutte le attività processuali successive alla fase introduttiva.

L’udienza di prima comparizione e trattazione della causa

Se non vi sono intoppi, dopo 120 giorni (sic!) dalla notificazione dell’atto di citazione si arriva alla prima udienza, a cui le parti devono comparire personalmente, pena l’applicazione dell’art. 116, comma 2 c.p.c.

La novità (che tale invero non è, considerato che essa costituisce la riedizione dell’art. 183 c.p.c. come regolato dalla riforma del 1990) astrattamente si giustifica allo scopo di favorire la conciliazione tra le parti; sennonché, l’onere di comparizione personale ai fini della conciliazione rischia di tradursi in un fallimento, come comprova l’esperienza maturata durante i primi anni di applicazione della riforma del 1990 e il passo indietro operato dal legislatore del 2005, nonché la circostanza che nel nuovo rito le parti hanno già avuto modo di precisare le loro rispettive posizioni negli atti introduttivi e nelle memorie integrative, per cui sorge legittimamente il dubbio che, dopo aver depositato ben quattro atti difensivi, esse potrebbero non essere tanto disposte a conciliare la lite.

Ancora. In tale prima udienza, il giudice può autorizzare la richiesta dell’attore (formulata nella prima delle tre memorie integrative) di chiamare in causa un terzo; in tal modo, il terzo verrà chiamato in un processo che si svolge già da molti mesi costringendo le parti a dover ricalibrare integralmente le loro difese: sembra pertanto evidente il rischio di una perdita considerevole di tempo per le parti e per il sistema giustizia. Di ciò sembra esserne consapevole anche il legislatore che nella Relazione illustrativa sminuisce il problema facendo leva sul fatto che l’ipotesi di chiamata in causa del terzo ad opera dell’attore nella prassi è «statisticamente assai rara».

Invero, il legislatore sembra anche trascurare – forse per lo stesso motivo – il caso dell’intervento volontario di terzi: l’art. 268, come modificato dalla Riforma, prevede che «l’intervento può aver luogo sino al momento in cui il giudice fissa l’udienza di rimessione della causa in decisione», lasciando tuttavia inalterato il comma 2, a mente del quale «il terzo non può compiere atti che al momento dell’intervento non sono più consentiti ad alcuna altra parte, salvo che comparisca volontariamente per l’integrazione necessaria del contraddittorio». In sostanza, il legislatore sposta in avanti il termine per l’intervento volontario (a causa dell’eliminazione dell’udienza di precisazione delle conclusioni – v. infra), ma lascia inalterato il meccanismo già vigente, senza preoccuparsi di risolvere tutti i problemi che la norma ha in passato creato, forse nell’intima consapevolezza che il futuro meccanismo di barriere preclusive previsto dagli artt. 171-bis e ter è destinato a sancire la tacita abrogazione dell’art. 268 c.p.c.: diverrà assai difficile trovare un terzo diverso dall’intervento adesivo dipendente disposto a partecipare ad un processo da altri iniziato.

Il passaggio al rito semplificato di cognizione

All’udienza di trattazione il giudice, «valutata la complessità della lite e dell’istruzione probatoria» e sentite le parti, potrebbe disporre con ordinanza non impugnabile la prosecuzione del processo nelle forme del rito semplificato. Ciò è quanto prevede il nuovo art. 183-bis il quale ricalca, quanto ai presupposti per il passaggio al rito semplificato, gli stessi presupposti già previsti dalla versione attualmente vigente dell’articolo per la conversione nel rito sommario di cognizione.

Novità rispetto al passato è la possibilità di procedere al passaggio dal rito ordinario a quello semplificato anche nei casi in cui il tribunale decide in composizione collegiale, i quali peraltro risultano ulteriormente ridotti rispetto al passato, mediante l’abrogazione dei nn. 5 e 6 dell’art. 50-bis e l’attribuzione al tribunale in composizione monocratica (in luogo del collegio) della competenza sulla querela di falso.

Sembra perciò che il legislatore tenti di favorire l’adozione del rito semplificato, prevedendo la possibilità della conversione in ogni tipologia di procedimento di competenza del tribunale, ma è lecito al riguardo avanzare un dubbio: una controversia iniziata con il rito ordinario cosa mai avrà di semplificato dopo che le parti si sono già scambiate ben quattro atti difensivi?

Segue. Il nuovo rito semplificato di cognizione

Come accennato, è possibile accedere al rito semplificato per scelta iniziale dell’attore solo limitatamente alle cause in cui il tribunale giudica in composizione monocratica a causa dell’espressa dizione dell’art. 281-decies, comma 2, c.p.c.,

Peraltro, come nell’attuale rito sommario di cognizione, l’attore non ha il monopolio nell’uso di siffatto rito alternativo, giacché il nuovo comma 1 dell’art. 281-duodecies (al pari di quanto stabilisce l’art. 702-ter, comma 3) riserva al giudice il potere di disporre il mutamento del rito a seguito dell’instaurazione del contraddittorio e delle difese del resistente.

L’unico soggetto a cui viene di fatto rimessa la valutazione se la causa si possa svolgere nella forma semplificata del rito ordinario, pertanto, è il giudice all’esito della costituzione delle parti e delle deduzioni svolte nel corso della prima udienza. Ciò in considerazione del fatto che spetta al giudice valutare se ritenere non necessaria, in relazione a quel determinato giudizio, una fase di trattazione e di istruzione con l’ampiezza prevista per il rito ordinario.

Ampio plauso merita la scelta legislativa di ridenominare il procedimento sommario di cognizione in rito semplificato; come è noto, la dottrina da tempo mette in guardia gli interpreti e gli operatori pratici dai rischi connessi alla difficoltà di distinguere tra cognizione piena e cognizione sommaria.

Del pari, un giudizio sicuramente positivo deve darsi con riguardo alla scelta del legislatore di fornire una nozione di «semplicità della controversia» più circostanziata rispetto al passato; l’attuale art. 702-ter, con il riferirsi alla generica ed ambigua nozione di «istruzione (non) sommaria», ha, come si ricorderà, suscitato ampio dibattito in dottrina e in giurisprudenza, essendosi posto il dubbio circa il significato che gli va attribuito. Oggi il nuovo art. 281-decies chiarisce che il ricorso a tale rito alternativo è possibile sia «quando i fatti di causa non sono controversi», sia quando «quando la domanda è fondata su prova documentale o è di pronta soluzione o richiede un’istruzione non complessa», così mostrando di sposare una nozione di istruzione più ristretta, riferita solo alle regole di ammissione e di acquisizione al giudizio dei mezzi di prova (sul punto sia consentito rinviare per più ampie riflessioni a Metafora, Riforma processo civile: il procedimento «semplificato» di cognizione, in www.ilprocessocivile.it., 12 gennaio 2022).

Aggiunge la Riforma che il ricorso al rito semplificato è escluso anche in caso di connessione tra una causa sottoposta al rito semplificato di cognizione e causa sottoposta a rito ordinario; in tal caso, ai sensi dell’art. 281-duodecies, comma 1, il giudice disporrà dispone con ordinanza non impugnabile la prosecuzione del processo nelle forme del rito ordinario fissando l’udienza di cui all’articolo 183, rispetto alla quale decorrono i termini previsti dall’articolo 171-ter. Si tratta all’evidenza del recepimento dell’importante decisione della Corte costituzionale 26 novembre 2020, n. 253, la quale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 702-ter, comma 2, ultimo periodo, c.p.c., nella parte in cui non prevede che, qualora con la domanda riconvenzionale sia proposta una causa pregiudiziale a quella oggetto del ricorso principale e la stessa rientri tra quelle in cui il tribunale giudica in composizione collegiale, il giudice adito possa disporre il mutamento del rito fissando l’udienza di cui all’art. 183 c.p.c.

Al riguardo, merita poi di essere ricordato che il legislatore delegato ha introdotto un secondo periodo nel comma 3 dell’art. 40 stabilendo che in caso di connessione tra la causa sottoposta al rito semplificato di cognizione e la causa sottoposta a rito speciale diverso da quello ordinario o da quello laburistico, le cause debbono essere trattate e decise con il rito semplificato di cognizione».

Rispetto alla forma della domanda e alla costituzione delle parti l’art. 281-undecies non introduce particolari novità. Si conferma, in particolare, che le parti non hanno l’onere di formulare le richieste istruttorie nei loro primi atti.

Discorso analogo può ripetersi per quanto riguarda il procedimento che ricalca nelle sue linee essenziali quanto già stabilito dall’art. 702-ter, con alcune importanti precisazioni. L’art. 281-duodecies, infatti, scandisce attentamente gli snodi essenziali del procedimento, predeterminando forme e termini delle attività difensive delle parti. In particolare stabilisce che:

  • alla prima udienza l’attore può chiedere di essere autorizzato a chiamare in causa un terzo, se l’esigenza è sorta dalle difese del convenuto. In tal caso il giudice, se lo autorizza, fissa la data della nuova udienza assegnando un termine perentorio per la citazione del terzo;
  • «alla stessa udienza, a pena di decadenza, le parti possono proporre le eccezioni che sono conseguenza della domanda riconvenzionale e delle eccezioni proposte dalle altre parti»;
  • su istanza di parte e previa la verifica della sussistenza di giustificati motivi, il giudice può concedere alle parti un termine perentorio non superiore a venti giorni per precisare e modificare le domande, le eccezioni e le conclusioni, per indicare i mezzi di prova e produrre documenti, e un ulteriore termine non superiore a dieci giorni per replicare e dedurre prova contraria (e c’è da immaginare che questa facoltà diventerà una regola, con l’assegnazione del doppio termine previa istanza di parte).

Si chiarisce dunque il regime preclusivo che si applica al nuovo procedimento; sennonché, in tal modo, viene meno la tipica elasticità che connota il rito sommario di cognizione, il quale, non a caso, affida al giudice di procedere «omessa ogni formalità non essenziale al contraddittorio, … nel modo che ritiene più opportuno agli atti di istruzione rilevanti in relazione all’oggetto del provvedimento richiesto».

Tale impressione riceve una conferma dal nuovo art. 281-terdecies che, nel rinviare agli artt. 281- sexies (o, nelle cause in cui il tribunale giudica in composizione collegiale, all’art. 275-bis) sceglie di adottare la forma della sentenza per il provvedimento conclusivo del giudizio. 

In tal modo, da rito flessibile il rito semplificato assume la foggia del rito ordinario attualmente vigente, essendo rigidamente predeterminato nelle forme e nei termini. Tale fenomeno, invero, non è nuovo: il pensiero corre all’alternativa tra rito formale e rito sommario prevista dal codice di rito del 1865 e alla trasformazione del rito sommario in rito a cognizione piena operata dalla riforma Mortara del 1901.

Vi è allora da domandarsi se a fronte della complessità del rito ordinario come concepito dalla Riforma si assisterà ad un maggiore utilizzo del rito semplificato come iniziale alternativa al rito ordinario; il nuovo rito ordinario immaginato dal legislatore, prevedendo l’irrigidimento delle preclusioni attraverso la modifica del contenuto dell’atto di citazione e della comparsa di risposta e la valorizzazione delle fasi anteriori alla prima udienza al fine di definire il quadro delle rispettive pretese e dei mezzi di prova richiesti, difficilmente sarà in grado di imprimere una maggiore velocità ai giudizi civili, ma, anzi, rischierà di comprimere eccessivamente il diritto di agire e difendersi in giudizio a tutela dei propri diritti. Se ciò è vero, allora, probabilmente gli avvocati preferiranno intraprendere la strada più incerta del procedimento semplificato, al solo scopo di evitare di sottostare alla tagliola delle preclusioni delineata dalla Riforma per il rito ordinario.

Le modifiche al procedimento davanti al giudice di pace

La l. n. 206/2021 contiene una duplice delega relativa al giudice di pace che riguarda sia la rideterminazione della competenza sia il processo di cognizione di primo grado.

Quanto al primo aspetto, l’art. 1, comma 7, lett. b), della legge delega prevede una “rideterminazione della competenza del giudice di pace in materia civile, anche modificando le previsioni di cui all’art. 27 del d.lg. 116/2017”.

A tale “rideterminazione” il legislatore delegato poteva pervenire “anche modificando l’art. 27 d.lgs. 116/2017”; come è noto, tale decreto ha previsto il considerevole ampliamento della competenza per materia e per valore del giudice di pace.

Il decreto delegato ha dato attuazione alla l. 57/2016, che aveva previsto di “ampliare la competenza per materia e valore” del magistrato onorario.

Un significativo nucleo di competenze attribuite per materia riguarda talune cause in tema di diritti reali e proprietà.

In particolare, quelle in materia di “apposizione di termini” (art. 7, comma 2, n. c.p.c.), “distanze nelle costruzioni, nelle piantagioni e scavi, e dei muri, fossi e siepi interposti tra i fondi” (libro III, titolo, capo VI), in materia di luci e vedute (sezioni VII) (n. 3 quater), stillicidio e di acque (n. 3 quinquies), in materia di occupazione, ed invenzione (n. 3 sexies), come pure quelle in materia di specificazione, unione e commistione (n. 3 septies), in materia di enfiteusi (n. 3 octies), di servitù prediali (n. 3 novies), come pure quelle in materia di regolamento e delle deliberazioni delle comunione (n. 3 decies), per le cause in materia di diritti ed obblighi del possessore nelle restituzione della cosa (n. 3 undecies).

Sempre in materia di diritti reali, il d.l. del 2017 ha attribuito pure al gdp la competenza in tema di usucapione di immobili e diritti reali immobiliari e di riordinamento della proprietà rurale, come pure per le cause in materia di accessione e superficie. Queste ultime controversie sono state attribuite nei limiti del valore, sempre che la controversia non esuberi € 30.000.

Il comma 2, n. 2, dell’art. 7 c.p.c., novellato, aveva poi attribuito al gdp ulteriori funzioni, tra cui quelle particolarmente significative concernenti le controversie condominiali (“le cause in materia di condominio degli edifici, come definite ai sensi dell’art. 71-bis att. c.c.”). 

La riforma del 2017 aveva attribuito anche talune competenze in materia di espropriazione di cose mobili (art. 15 bis c.p.c., novellato).

L’art. 27 d.lgs. cit. ha pure previsto di attribuire al giudice onorario competenza in materia di rilascio di autorizzazioni, per la fissazione dei termini e concessioni di proroghe, per la nomina e revoca dei curatori o amministratori in materia successoria, etc.

Per effetto della legge c.d. milleproroghe del 2019 l’originario termine di entrata in vigore delle novità introdotte dal d.lgs. n. 117/2017 è stata prorogata al 31 ottobre 2025.

Nelle more, il Governo, con atteggiamento prudente, ha preferito intervenire solo sull’art. 7 c.p.c., relativo alla competenza per valore del gdp, la quale in un primo tempo era stata elevata a quindicimila euro per le cause relative a beni mobili, e fino a trentamila per le cause di risarcimento del danno prodotto dalla circolazione dei veicoli e natanti. L’aumento, tuttavia, è stato giudicato eccessivo dalle Commissioni Giustizia di Camera e Senato, per cui a partire dal 1° luglio 2023 la competenza sarà fissata in diecimila euro per le cause relative a beni mobili, e fino a venticinquemila per le cause di risarcimento del danno prodotto dalla circolazione dei veicoli e natanti.

Relativamente ai profili procedimentali, la Riforma segna invece un poderoso cambio di rotta, prevedendo che davanti al giudice di pace il giudizio segua le regole del rito semplificato di cognizione, in quanto compatibili e non derogate da specifiche disposizioni; inoltre, adatta il procedimento davanti al giudice onorario alle esigenze del processo telematico.

In particolare, stabilisce che:

— la domanda davanti al giudice di pace si propone non più con atto di citazione, ma con ricorso che deve contenere, oltre all’indicazione del giudice e delle parti, l’esposizione dei fatti e l’indicazione del suo oggetto, ferma restando la possibilità di proporre la domanda anche verbalmente;

— il giudice, entro 5 giorni dalla designazione, fissa con decreto l’udienza di comparizione delle parti (art. 318);

— l’attore si costituisce depositando il ricorso notificato o il processo verbale di cui all’art. 316 unitamente al decreto di cui all’art. 318 e con la relazione della notificazione e, quando occorre, la procura. Il convenuto si costituisce mediante deposito della comparsa di risposta e, quando occorre, la procura (art. 319);

— la prima udienza, fermo restando l’obbligo di procedere al tentativo di conciliazione, si svolge nelle forme previste dal rito semplificato di cui all’art. 281-duodecies, con applicazione dei commi che prevedono che si proceda all’istruttoria necessaria o si mandi la causa in decisione;

— al pari di quanto previsto per il procedimento semplificato laddove trattato e deciso dal giudice monocratico di tribunale, davanti al giudice di pace il modello processuale per la fase decisoria è identico a quello previsto per la decisione a seguito di discussione orale davanti al tribunale in composizione monocratica di cui all’art. 281-sexies.

La scelta legislativa ci appare condivisibile.

In primo luogo, in tal modo vengono ridotti i riti attualmente esistenti.

Secondariamente, il rito semplificato, per come concepito dal legislatore della riforma, ben si attaglia alle cause semplici, quali sono quelle di competenza del gdp per antonomasia.

Anzi, potremmo aggiungere che esso appare adatto a funzionare anche quando in futuro vi sarà l’estensione della competenza del gdp alle cause condominiali e a quelle appena citate, in quanto come si è detto, il nuovo rito semplificato costituisce una versione un po’ più snella dell’attuale rito ordinario.

Più problematico appare la digitalizzazione dell’ufficio del gdp.

La riforma ha previsto l’abbandono del modello di trattazione totalmente cartaceo attualmente vigente. Come è noto, nei procedimenti innanzi al Giudice di pace non è consentito il deposito degli atti in via telematica, né a mezzo pec, non essendo ancora intervenuta apposita normativa ministeriale (come dispone l’art. 16, 6 comma, d.l. 179/2012) disciplinante tali profili. Pertanto il deposito può avvenire esclusivamente in formato cartaceo (Cass. 20 settembre 2020, n. 20575).

La novella sul processo civile ha previsto che il processo civile telematico faccia il suo esordio avanti al Giudice di pace a far data dal 30 giugno 2023 (art. 35, comma 3, decreto attuativo, che richiama le disposizioni contenute nel capo I, titolo V ter, att. c.p.c., come novellate; artt. 196-quater e segg. att. c.p.c.). In particolare, si prevede che (de futuro), nei procedimenti avanti al gdp, il “deposito di atti processuali e documenti da parte dei difensori ha luogo esclusivamente con modalità telematiche”, come pure il “deposito dei provvedimenti del giudice” (art. 196-quater att. c.p.c., novellato).

Oltre questa dead line temporale, la giustizia digitale dovrebbe entrare in funzione ed applicarsi avanti al magistrato onorario anche per i “procedimenti pendenti a tale data”. E’ pure prevista la possibilità che la data del 30 giugno 2023venga anticipata a seguito di decreto ministeriale regolamentare che accerti la “funzionalità dei servizi di comunicazione”.

Come si vede, il legislatore delegato ha anticipato l’entrata in vigore del processo civile telematico, che l’art. 32, comma 5, del d.lg. 117/2017 aveva posticipato al 31 ottobre 2025.

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