Nota di commento alla sentenza n. 30/2022 della corte costituzionale

Sommario: 1. Premessa – 2. Il nuovo “volto” dei controlli ex art. 171-bis c.p.c.: l’obbligatorietà del decreto – 3. Segue: i problemi interpretativi irrisolti – 4. Il catalogo delle verifiche sulla «regolarità del contraddittorio» ex art. 171-bis c.p.c. – 5. Segue: le conseguenze del rilievo di uno o più vizi nel primo decreto ex art. 171-bis c.p.c. – 6. Le ulteriori verifiche ex art. 171-bis c.p.c.: le condizioni di procedibilità della domanda – 7. Segue: la verifica sulla sussistenza dei presupposti per procedere con il rito semplificato – 8. Segue: il rilievo dell’incompetenza – 9. Segue: il contenuto “eventuale” del decreto ex art. 171-bis c.p.c. 

1. Premessa

L’art. 1, comma 5, della legge n. 206 del 2021, nel demandare al Governo l’emanazione di uno o più decreti legislativi volti a modificare il codice di procedura civile in materia di processo di cognizione di primo grado davanti al tribunale in composizione monocratica, ha indicato, alla lettera a), i principi e criteri direttivi di carattere generale, ossia «assicurare la semplicità, la concentrazione e l’effettività della tutela e la ragionevole durata del processo».

Nelle successive lettere da b) ad i), dedicate alla fase introduttiva e di trattazione, sono stati, poi, enucleati dei criteri più puntuali volti a consentire il deposito delle memorie finalizzate alla definizione del thema decidendum e del thema probandum prima dell’udienza di trattazione e non già a valle di essa, come avveniva in precedenza.

Nella sostanza, dunque, la legge delega ha disegnato una nuova struttura della fase introduttiva e di trattazione del giudizio ordinario di cognizione di primo grado nella quale, anteriormente alla prima udienza, è prevista, tra atti introduttivi e successive memorie integrative, una integrale disclosure.

Nell’ambito di questa nuova struttura riveste un ruolo centrale l’art. 171-bis c.p.c., introdotto con il d.lgs. n. 149 del 2022 ed innovato con il d.lgs. n. 164 del 2024 (in vigore dal 26 novembre 2024)[1].

Secondo la formulazione originaria della norma, il giudice era tenuto, entro quindici giorni dalla scadenza del termine per la costituzione in causa della parte convenuta (id est, in un periodo ricompreso tra settanta e cinquantacinque giorni prima dell’udienza di trattazione), ad emanare il decreto di fissazione dell’udienza. In funzione dell’emissione di tale decreto il giudice doveva anzitutto effettuare una serie di verifiche preliminari sulla corretta instaurazione del contraddittorio e sulla sussistenza di alcuni vizi processuali. Se a fronte di tali controlli si rendeva necessario sanare uno dei vizi riscontrati ovvero ordinare il rinnovo della notifica della citazione nei confronti del convenuto non costituito o, ancora, integrare il contraddittorio nei confronti di soggetti non evocati in giudizio, il giudice, nello stesso decreto di fissazione dell’udienza, emanava i provvedimenti conseguenti, differendo, all’occorrenza, l’udienza di cui all’art. 183 c.p.c. Con il medesimo decreto il giudice doveva, altresì, indicare alle parti le altre questioni rilevate d’ufficio delle quali riteneva opportuna la trattazione, anche con riguardo alle condizioni di procedibilità della domanda e alla sussistenza dei presupposti per procedere con rito semplificato.

Nella versione riscritta dal D.lgs. n. 164 del 2024, invece, vi è una scissione tra l’accertamento della regolare instaurazione del contraddittorio (disciplinato dal secondo comma) e la sottoposizione alle parti delle questioni rilevabili d’ufficio di cui il giudice ritiene opportuna la trattazione, che presuppone che le verifiche preliminari siano state completate con esito positivo (terzo comma).

Inoltre, in caso di adozione di uno dei provvedimenti necessari per integrare il contraddittorio, occorre svolgere nuovamente le verifiche preliminari, almeno cinquantacinque prima del nuovo giorno di udienza fissata per la comparizione delle parti, al fine di verificare se le prescrizioni impartite siano state effettivamente adempiute.

Ancora, rispetto al testo originario è stata anticipata al momento delle verifiche preliminari la valutazione sulla competenza per materia, valore e territorio di cui all’art. 38 c.p.c., così come la valutazione sull’eventuale conversione del rito, con conseguente abrogazione dell’art. 183-bis c.p.c., che individuava nell’udienza di comparizione delle parti il momento per provvedervi.

Infine, nell’ultimo comma dell’art. 171-bis è stato precisato che i termini per il deposito delle memorie integrative previste dall’art. 171-ter c.p.c. iniziano a decorrere solo quando il giudice, all’esito di tutte le verifiche, emette il decreto con il quale conferma o differisce l’udienza indicata in citazione.

L’obiettivo del legislatore è, dunque, quello di arrivare alla prima udienza dopo che sono stati sanati gli eventuali vizi emersi nella fase introduttiva del processo e dopo che sia intervenuta la definizione del quod decidendum e del quod probandum. Si legge, infatti, nella Relazione illustrativa al d.lgs. n. 149 del 2022 che «in un sistema che aspira a realizzare il canone della concentrazione, e per il quale dunque, salvi i rari casi di chiamata del terzo da parte dell’attore, all’udienza la causa deve tendenzialmente sempre giungere con il perimetro del thema decidendum e del thema probandum già definito […], non era possibile immaginare che il giudice fosse chiamato a compiere tutte le verifiche preliminari di sua competenza all’udienza stessa».

Il concetto è stato ribadito nella Relazione illustrativa allo schema di decreto correttivo, in cui si sottolinea che la norma è stata «integralmente riscritta in maniera tale da evidenziare le scansioni dell’attività dell’istruttore in questo delicato snodo processuale, che ha la funzione – essenziale al fine di garantire la ragionevole durata e la concentrazione del processo – di far sì che la causa approdi alla prima udienza di comparizione delle parti solo quando è stata correttamente instradata ed è possibile dare corso con effettività agli incombenti di cui all’attuale articolo 183 (interrogatorio libero delle parti, tentativo di conciliazione, eventuale pronuncia di provvedimenti interinali, ammissione delle prove o immediato avvio della fase decisionale)».

Non può peraltro sottacersi, come ha rimarcato la Corte costituzionale nella sentenza n. 96/2024[2], che la «possibilità di evitare la regressione del giudizio, mediante i provvedimenti emessi e i rilievi effettuati nel decreto di fissazione dell’udienza, è … tendenziale e non già assoluta, poiché resta fermo che le attività sananti e l’indicazione delle questioni rilevabili d’ufficio, che l’art. 171-bis cod. proc. civ. affida al giudice in sede di verifiche preliminari, non trovano comunque in esse, sul piano logico e cronologico, un limite ultimo oltre il quale opera uno sbarramento, per consumazione del potere, alla eventuale successiva rilevazione di tali questioni; la quale comunque potrà ancora avvenire sino al momento previsto dalla legge per ciascuna di esse. Momento che, ad esempio, quanto al rilievo della mancata partecipazione di un litisconsorte necessario, può essere finanche quello della decisione (anche in sede di impugnazione) della causa, onde evitare una pronuncia inutiliter data che non potrebbe essere opposta alla parte pretermessa…».

Se è innegabile la correttezza di tali rilievi, resta fermo, ad ogni modo, che nella prospettiva della riforma il giudizio deve svolgersi sin da subito sotto il controllo del giudice, chiamato a “traghettare” le cause attraverso i vari adempimenti con ampia contezza sul relativo oggetto, al fine di assicurare che la definizione intervenga nel tempo più celere possibile.

2. Il nuovo “volto” dei controlli ex art. 171-bis c.p.c.: l’obbligatorietà del decreto

Il D.lgs. n. 164 del 2024 ha “riscritto” l’art. 171-bis c.p.c. con il dichiarato intento (esplicitato nella relazione illustrativa) di «dirimere perplessità ed eliminare alcuni inconvenienti verificatisi nella prassi giudiziaria».

Orbene, un primo problema interpretativo che si era posto all’indomani della riforma del 2022 aveva riguardato l’obbligatorietà o meno dell’emissione del decreto ex art. 171-bis nell’ambito del nuovo rito ordinario di cognizione.

La tesi negativa[3] faceva leva sul tenore letterale del comma 2 della disposizione, laddove stabiliva che, solo «se necessario», il giudice fissava la nuova udienza per la comparizione delle parti, e del comma 3, secondo cui era rispetto alla «data della prima udienza» che in ogni caso decorrevano «i termini indicati dall’articolo 171-ter».

I suddetti indici normativi, unitamente alla considerazione che il termine di 15 giorni indicato dal comma 1 ha natura ordinatoria e che non è prevista alcuna nullità per la sua violazione, avevano infatti indotto alcuni interpreti a ritenere che, una volta decorso il termine suddetto, l’udienza indicata dall’attore in citazione dovesse intendersi implicitamente confermata e da essa decorressero i termini ex art. 171-ter c.p.c.

Corollario di questa impostazione era che le parti dovessero provvedere al deposito delle memorie di cui all’art. 171-ter c.p.c. anche in assenza del decreto (o a prescindere dalla sua emissione) e che, se il decreto non fosse stato adottato, il giudice avrebbe dovuto procedere alle verifiche preliminari alla prima udienza, adottando i provvedimenti più opportuni, ai sensi degli artt. 101, comma 2, primo periodo, e 175 c.p.c.

Viceversa, secondo la tesi affermativa[4], la necessità di «confermare» la data della prima udienza di comparizione emergente dal comma 3 dell’art. 171-bis c.p.c. implicava che il giudice fosse sempre tenuto ad emettere un decreto, eventualmente dando atto dell’esito positivo dei controlli preliminari e confermando la data della prima udienza.

Tale interpretazione appariva conforme anche alla ratio della disposizione, volta a perseguire l’obiettivo (contenuto nella legge delega) di «assicurare la semplicità, la concentrazione e l’effettività della tutela e la ragionevole durata del processo» (art. 1, comma 5, lett. a), l. n. 206/2021); come messo invero in evidenza nella Relazione illustrativa al d.lgs. 10 ottobre 2022 n. 149, in un procedimento che si vuole ispirato al canone di massima concentrazione, è opportuno evitare che, dopo aver previsto lo scambio delle memorie delle parti in via anticipata e senza un previo “contatto” con il giudice, si possa giungere alla prima udienza e dover ripartire daccapo (ad es. per la necessità di integrare il contraddittorio) con la necessità di depositare nuove memorie, integrative di quelle già depositate.

Secondo questa tesi, quindi, finché non era emesso il decreto, l’udienza indicata dall’attore in citazione non era “confermata” e non decorrevano per le parti i termini ex art. 171-ter c.p.c.

Inoltre, se non si riusciva a rispettare il termine di 15 giorni all’uopo previsto, nel decreto doveva essere differita la prima udienza, in modo tale da non comprimere i termini per il deposito delle memorie integrative.

In presenza del segnalato contrasto interpretativo ed essendo i termini da ultimo indicati previsti a pena di decadenza, era largamente diffusa tra i difensori la prassi di procedere, in assenza del decreto sulle verifiche preliminari, con la predisposizione e il deposito delle memorie integrative mantenendo come data di riferimento quella indicata dall’attore nell’atto introduttivo del giudizio.

Poteva anche accadere che una parte depositasse le memorie e l’altra no, confidando sulla necessità ai fini della decorrenza del relativo termine dell’emissione del decreto di cui all’art. 171-bis c.p.c.

Tale ipotesi aveva generato, a sua volta, risposte non univoche da parte della giurisprudenza. E così, ad es., in un precedente[5] in cui il decreto ex art. 171 bis c.p.c. (con cui era stata confermata l’udienza indicata in citazione) era stato depositato alcuni giorni dopo lo scadere del primo termine previsto dall’art. 171-ter c.p.c, e l’opposto aveva depositato le prime due memorie nel rispetto dei termini di legge, mentre nulla aveva depositato l’opponente (pur dopo la comunicazione del decreto), limitandosi a chiedere all’udienza ex art. 183 c.p.c. la rimessione in termini, l’istanza era stata rigettata sulla base di due argomentazioni: 1) l’art. 171-bis (nella sua formulazione originaria) non prevedeva lo slittamento dei termini a ritroso di cui all’art. 173-ter c.p.c. nell’eventualità di tardiva emissione del decreto e di conferma della già fissata data della prima udienza di cui all’art. 183 c.p.c.; 2) l’istanza di rimessione in termini eventualmente presentata dalla parte doveva essere proposta subito dopo la comunicazione del decreto ex art. 171-bis e prima dello scadere del termine per il deposito della seconda memoria integrativa, momento oltre il quale non avrebbe più potuto ravvisarsi una ipotetica non imputabilità della decadenza a fronte di dubbi interpretativi sulla portata delle nuove disposizioni processuali.

In un quadro così frastagliato, è stato allora provvidenziale l’intervento del decreto correttivo, in forza del quale l’art. 171-bis ora prevede, al primo comma, che, «Scaduto il termine di cui all’articolo 166, entro i successivi quindici giorni il giudice istruttore verifica d’ufficio la regolarità del contraddittorio» ed all’ultimo comma, secondo inciso, che «I termini di cui all’articolo 171-ter iniziano a decorrere quando è pronunciato il decreto previsto dal terzo comma e si computano rispetto all’udienza fissata nell’atto di citazione o a quella fissata dal giudice istruttore a norma del presente articolo».

I due commi, strettamente collegati, chiariscono difatti, per un verso, che l’emissione del decreto ex art. 171-bis è sempre necessaria e, per altro verso, che solo a seguito del deposito di tale decreto possono iniziare a decorrere i termini per le memorie integrative di cui all’art. 171-ter.

Tale soluzione normativa, oltre che assolutamente opportuna a fronte dei dubbi interpretativi posti dalla disciplina iniziale, si appalesa senz’altro più aderente all’obiettivo del legislatore, sotteso già al testo originario, di arrivare alla prima udienza dopo che sono stati sanati eventuali vizi emersi nella fase introduttiva del processo e dopo che sia intervenuta la definizione del perimetro del quod decidendum e del quod probandum.

3. Segue: i problemi interpretativi irrisolti

Se la nuova formulazione dell’art. 171-bis c.p.c. è effettivamente più chiara rispetto a quella originaria, non ha tuttavia risolto ogni problema interpretativo.

Si continua a discutere, infatti, in primo luogo, su come vadano computati i termini per il deposito delle memorie integrative in ipotesi di conferma dell’udienza indicata in citazione che sia differita d’ufficio alla “prima utile” ai sensi dell’art. 168 bis, comma 4, c.p.c. (che dispone che «se nel giorno fissato per la comparizione il giudice istruttore designato non tiene udienza, la comparizione delle parti è d’ufficio rimandata all’udienza immediatamente successiva tenuta dal giudice designato»).

Ora, è indubbio che la data dell’udienza di comparizione, dalla quale vanno computati i termini in questione, possa non essere quella originariamente indicata dall’attore.

Può invero accadere che, in sede di verifiche preliminari ex art. 171-bis c.p.c., il giudice debba fissare una nuova data a seguito della pronuncia di un provvedimento volto alla sanatoria di un vizio processuale, oppure che disponga comunque un differimento dell’udienza per motivi organizzativi: in questi casi, è pacifico che i termini per il deposito delle memorie integrative decorrano dalla nuova data.

Viceversa, nell’ipotesi di rinvio automatico dell’udienza previsto dall’art. 168-bis, comma 4, c.p.c., dovuto alla circostanza che il giudice designato non tiene udienza nel giorno fissato in citazione, è controverso se il dies a quo per il calcolo dei termini sia costituito dalla data indicata dall’attore, posto che tale data è di fatto differita.

La lettura più piana pare essere nel senso che si debba continuare a fare riferimento alla data dell’udienza fissata nell’atto introduttivo del giudizio, atteso che, da un lato, a mente dell’art. 171 bis, comma 5, c.p.c., «I termini di cui all’articolo 171-ter iniziano a decorrere quando è pronunciato il decreto previsto dal terzo comma e si computano rispetto all’udienza fissata nell’atto di citazione o a quella fissata dal giudice istruttore a norma del presente articolo» e che, dall’altro, secondo il costante orientamento della giurisprudenza di legittimità, il rinvio d’ufficio dell’udienza alla “prima utile” non determina la riapertura dei termini per la tempestiva costituzione in giudizio del convenuto[6].

Un ulteriore problema interpretativo concerne l’ipotesi in cui il giudice emetta il decreto oltre il termine stabilito e in particolare confermi l’udienza indicata in citazione senza lasciare alle parti un tempo sufficiente per il deposito della prima memoria integrativa.

Si potrebbe pensare che sia un problema più teorico che pratico, essendo ovvio che il giudice che adotta il provvedimento quando mancano meno di quaranta giorni all’udienza fissata in citazione rinvierà l’udienza per consentire l’esercizio delle facoltà di cui all’art. 173-ter. Si sono tuttavia riscontrati in concreto casi di decreti tardivi con conferma dell’udienza e compressione del diritto delle parti al deposito delle memorie integrative. L’unica soluzione in tale eventualità dovrebbe allora essere rappresentata dalla presentazione di tempestiva istanza di rimessione in termini (subito dopo la comunicazione del decreto ex art. 171-bis).

Non viene, poi, affrontato nel correttivo il tema dei decreti tempestivi in cui si sia (erroneamente) verificata l’assenza di questioni preliminari o l’ipotesi in cui tali questioni (si pensi, ad es., all’indicazione di un litisconsorte necessario pretermesso) emergano successivamente, con il deposito delle memorie integrative.

In proposito, le soluzioni possono essere due (da adottare anche congiuntamente), entrambe di tipo organizzativo.

La prima è rappresentata dall’inclusione delle verifiche ex art. 171-bis tra le attività da far svolgere ai funzionari dell’Ufficio per il processo, da formare preventivamente e specificamente a tal fine (anche tenuto conto dei tempi ristretti per provvedere all’emissione dei relativi decreti).

La seconda è offerta dalla già citata sentenza della Corte costituzionale n. 96 del 2024, depositata il 3 giugno 2024, che ha dichiarato non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 171-bis c.p.c., sollevata, (tra l’altro) in riferimento all’art. 24 Cost., dal Tribunale di Verona con ordinanza del 22 settembre 2023[7].

La Consulta, nella parte che qui interessa, ha adottato un’interpretazione costituzionalmente orientata dell’art. 171-bis, laddove stabilisce che il giudice (prima dell’udienza di comparizione ex art. 183 c.p.c. e delle memorie integrative ex art. 171-ter) operi le verifiche preliminari e adotti i provvedimenti conseguenti con decreto, ossia senza una previa interlocuzione con le parti, onde rendere la disposizione in linea con il principio del contraddittorio.

In specie, ad avviso dell’Alta Corte, assume rilievo, al fine di evitare una possibile compressione del diritto di difesa, anzitutto, il potere di direzione del processo sancito dall’art. 175 c.p.c. e dall’art. 127 c.p.c., norme che prevedono che il giudice – e in particolare il giudice istruttore – esercita tutti i poteri intesi al più sollecito e leale svolgimento del procedimento, fissando le udienze che ritiene utili a tal fine e anche determinando i punti sui quali esse devono svolgersi. Nella stessa direzione depone, inoltre, il disposto dell’art. 101, comma 2, c.p.c., secondo cui il giudice deve in ogni caso assicurare il rispetto del contraddittorio e, quando accerta che dalla sua violazione è derivata una lesione del diritto di difesa, adotta i provvedimenti opportuni (art. 101, comma 2, c.p.c.).

Ne discende che, per un verso, il giudice ha la possibilità di fissare, prima dell’emanazione del decreto previsto dall’art. 171-bis c.p.c. un’udienza ad hoc, nell’ambito di quelli che sono i propri generali poteri di organizzazione e direzione del processo e che, per altro verso, può accadere che, dopo la comunicazione del decreto (adottato, dunque, senza la previa instaurazione del contraddittorio), ciascuna parte solleciti il giudice affinché fissi apposita udienza e «determin[i] i punti sui quali essa deve svolgersi» (art. 127, comma 2, c.p.c.). E ciò allo scopo di vagliare anteriormente alla prima udienza di comparizione, nel contraddittorio delle parti, le ragioni che ad avviso della parte richiedente ostano all’adozione del provvedimento.

Avverte ad ogni modo la Corte che, «pur nel contesto di un’interpretazione adeguatrice della disposizione censurata, l’art. 175 cod. proc. civ. non può essere piegato fino a far ritenere un vero e proprio obbligo processuale del giudice, essendo il suo potere direttivo essenzialmente discrezionale. Non può escludersi che il giudice, seppur sollecitato a farlo, ritenga di non frapporre un’udienza anticipata nell’ordinario iter processuale al solo fine di realizzare il contraddittorio tra le parti su singole questioni di rito, decise con decreto in sede di verifica preliminare; udienza anticipata che comporterebbe, il più delle volte, il differimento o la fissazione di una nuova udienza di prima comparizione e trattazione. In tal caso – evenienza questa, di norma, residuale e verosimilmente eccezionale – la realizzazione del contraddittorio è inevitabilmente differita all’udienza di cui all’art. 183 cod. proc. civ. In quella sede il giudice, con ordinanza, potrà confermare, modificare o revocare il decreto emesso in precedenza, prendendo in esame le ragioni delle parti». Peraltro, «l’ordinanza adottata nell’udienza di prima comparizione non potrà comportare preclusioni o decadenze per la parte stessa ove questa … non abbia posto in essere quell’attività processuale prescritta con il decreto, confidando nella possibilità di prospettare le proprie ragioni al giudice in sede di anticipato contraddittorio tra le parti. Ciò perché il giudice deve assicurare (ex art. 101 cod. proc. civ.) una interlocuzione alla parte che la chiede e realizzare, pur se ormai solo all’udienza di comparizione, quel contraddittorio sollecitato anticipatamente e che prima non ha trovato risposta. Se il contradditorio, anche in presenza di un’istanza, è stato negato, la parte diligente, soprattutto quella attrice, non può rischiare di veder compromesso, con una decisione processuale di absolutio ad instantia o di estinzione del giudizio, il diritto a conseguire il bene della vita sotteso alla domanda giudiziale che costituisce lo scopo ultimo del processo (sentenza n. 77 del 2007), senza che sia tenuta, per evitare detto effetto, a conformarsi a un ordine giudiziale che ha, nell’immediatezza, rappresentato all’autorità giudiziaria di non condividere».

In sintesi, quindi, il sistema, per essere compatibile con il principio del contraddittorio, deve essere ricostruito nei seguenti termini: 1) il giudice, rilevata una questione preliminare, può, in virtù del suo potere di direzione del processo ex art. 175 c.p.c., fissare un’udienza ad hoc per sentire le parti e poi adottare il relativo provvedimento; 2) se ritiene che la questione sia liquida, il giudice può emettere subito il relativo decreto; 3) in quest’ultima ipotesi anche una sola delle parti può chiedere di essere ascoltata per indurre un ripensamento nel giudice; 4) il giudice non ha tuttavia l’obbligo di fissare l’udienza di “ripensamento”, per cui, ove non dovesse dare corso alla richiesta, il contraddittorio sarà svolto nelle successive memorie integrative e poi all’udienza di trattazione e non potranno essere adottati provvedimenti “sanzionatori” in caso di conferma della decisione, dopo l’esplicazione del dovuto contraddittorio, all’udienza di trattazione; 5) qualora, invece, la parte onerata dell’adempimento processuale prescritto nel decreto emesso ex art. 171-bis non abbia sollecitato il giudice a realizzare il contraddittorio prima dell’udienza di comparizione, rimarranno ferme, nel caso di conferma, con ordinanza, del decreto ex art. 171-bis, le ordinarie conseguenze della mancata ottemperanza all’onere processuale, fatti salvi i mezzi impugnatori previsti dall’ordinamento (reclamo o appello, secondo i casi).

Ebbene, sulla scorta di tale impianto, che può conservare spazio[8] anche sotto il vigore del decreto correttivo, è possibile ovviare al segnalato problema della regressione del processo a seguito dell’emersione di questioni preliminari nelle memorie integrative, mediante l’instaurazione del contraddittorio – all’occorrenza – anteriormente all’emissione del decreto (o successivamente, su istanza di parte), sia pure con il limite oggettivo rappresentato dalla non obbligatorietà di tale soluzione, che non si è tradotta in alcuna prescrizione normativa.

4. Il catalogo delle verifiche sulla «regolarità del contraddittorio» ex art. 171-bis c.p.c.

Come già detto, la nuova formulazione dell’art. 171-bis c.p.c. ha operato una scissione tra le attività da svolgere nel relativo decreto, nel senso di chiarire che il giudice è tenuto dapprima ad accertare la regolare instaurazione del contraddittorio (comma 2) e che, solo una volta che tale verifica è stata svolta con esito positivo, deve sottoporre alle parti le questioni rilevabili d’ufficio di cui ritiene opportuna la trattazione (comma 3).

Le verifiche preliminari espressamente previste dall’art. 171-bis (nuovo testo)sono le seguenti:

1) la verifica d’ufficio della «regolarità del contraddittorio» (comma 2), che comprende:

a) il controllo sull’integrità del contraddittorio in ipotesi di litisconsorzio necessario (art. 102 c.p.c.);

b) il controllo sull’opportunità che il processo si svolga in confronto di un terzo cui la causa è comune, e di cui va ordinato l’intervento (art. 107 c.p.c.);

c) il controllo sulle nullità della citazione (art. 164 c.p.c.);

d) il controllo sulle nullità della comparsa di risposta sotto il profilo della identificabilità della domanda riconvenzionale (art. 167 c.p.c.);

e) il controllo relativo alla costituzione delle parti ed alla dichiarazione di contumacia[9];

f) il controllo sul difetto di rappresentanza e autorizzazione e sulla nullità o mancanza della procura al difensore (in correlazione con l’art. 182 c.p.c. post riforma Cartabia, secondo cui «Quando rileva la mancanza della procura al difensore oppure un difetto di rappresentanza, di assistenza o di autorizzazione che ne determina la nullità, il giudice assegna alle parti un termine perentorio per la costituzione della persona alla quale spetta la rappresentanza o l’assistenza, per il rilascio delle necessarie autorizzazioni, ovvero per il rilascio della procura alle liti o per la rinnovazione della stessa»);

g) il controllo conseguente all’istanza di chiamata in causa di un terzo da parte del convenuto ai fini della fissazione di una nuova udienza (art. 269 c.p.c.);

h) il controllo inerente alla validità della notificazione della citazione originaria (art. 291 c.p.c.);

i) il controllo relativo alla necessità di notificare alla parte contumace gli atti previsti dalla legge (art. 292 c.p.c.);

j) il controllo di cui all’art. 271 c.p.c., non rientrante nel “catalogo” originario ed inserito dal decreto correttivo allo scopo, esplicitato nella relazione accompagnatoria, «di chiarire che anche la chiamata del terzo ad opera del terzo chiamato deve essere autorizzata dal giudice con le medesime modalità, anziché alla successiva udienza di prima comparizione, in modo da prevenire inutili dilazioni e regressioni del processo».

Occorre, altresì, considerare che a seguito del D.lgs. n. 164 del 2024 il legislatore ha anticipato al momento delle verifiche preliminari la valutazione sulla competenza per materia, valore e territorio di cui all’art. 38 c.p.c., nonché la valutazione sull’eventuale conversione del rito da ordinario in semplificato (v. infra).

5. Segue: le conseguenze del rilievo di uno o più vizi nel primo decreto ex art. 171-bis c.p.c.

Uno dei principali problemi interpretativi posti dal testo originario dell’art. 171-bis c.p.c. atteneva alle conseguenze del rilievo della non regolarità del contraddittorio nel relativo decreto.

Le strade a disposizione sembravano principalmente due: o ritenere che le verifiche preliminari dovessero essere rinnovate nella prima udienza (da differire nel decreto in modo tale da consentire il rispetto dei termini ex art. 163-bis c.p.c., nonché dei termini previsti dall’art. 171-ter c.p.c. per il deposito delle memorie integrative), oppure concludere per la necessità di un nuovo provvedimento ex art. 171-bis.

Il legislatore, nel decreto correttivo, ha optato per la seconda via, stabilendo che «Almeno cinquantacinque giorni prima della nuova udienza di comparizione delle parti, il giudice procede nuovamente alle verifiche preliminari». Si legge al riguardo nella Relazione illustrativa che, “Per maggiore chiarezza della norma rispetto alla sua stesura iniziale, viene specificato che a seguito dell’adozione di tali provvedimenti il giudice dovrà, in sostanza, tornare allo “step” precedente e quindi procedere di nuovo alle verifiche preliminari, al fine di controllare se gli adempimenti sono stati eseguiti e quindi, in particolare, se la notifica dell’atto di citazione è stata rinnovata e il convenuto si è questa volta costituito, se vi sono ulteriori istanze di chiamata del terzo, e così via”.

Tale soluzione, per quanto coerente con l’architettura della fase preliminare del rito ordinario di cognizione, desta tuttavia perplessità.

In particolare, se l’ordine dato nel primo decreto viene rispettato, l’emissione del secondo provvedimento è sostanzialmente superflua.

Viceversa, in difetto della prova dell’adempimento dell’ordine (si pensi all’eventualità di notifiche all’estero, per le quali non di rado sono lunghi i tempi per verificare il buon esito del procedimento notificatorio), le verifiche preliminari sono destinate a “slittare” e non sarebbe utile l’emissione del secondo decreto nel termine previsto.

Inoltre, se l’esito delle verifiche preliminari è negativo, non sembra possibile trarne le conseguenze in rito (ad es. in termini di estinzione del processo) in un decreto[10], dovendosi necessariamente instaurare il contraddittorio tra le parti (cfr. art. 307 c.p.c.)[11].

Del resto, si discute pur sempre di un provvedimento provvisorio, per cui è da escludere che si possa addivenire con esso alla chiusura in rito del processo qualora l’interessato non rispetti l’ordine contenuto nel primo decreto.

Ed allora, in questo quadro, non appalesandosi l’adozione del secondo decreto ex art. 171- bis di significativa utilità, sarebbe stata più funzionale la previsione di una sorta di udienza-filtro, da fissare necessariamente nell’eventualità in cui nel (primo) decreto le verifiche preliminari non avessero avuto esito positivo.

Ed infatti, ritardare l’interlocuzione con le parti su profili preliminari ed affidarsi all’adozione del secondo decreto può comportare in concreto che una circostanza ostativa (ad es. la mancanza di un litisconsorte necessario) emerga in una fase avanzata del processo, dopo il deposito delle memorie ex art. 171-ter c.p.c. o anche successivamente.

Se si fosse, invece, espressamente introdotta, nel caso di adozione di uno dei provvedimenti di cui al comma 2 dell’art. 171-bis c.p.c., un’udienza interlocutoria, allo scopo di verificare, nel contraddittorio delle parti, l’esito dei controlli preliminari, si sarebbe recuperato “a valle” l’assenza di contraddittorio “a monte”, evitando oltretutto il deposito di memorie istruttorie premature e meritevoli di successiva integrazione.

In specie, se è vero che così si sarebbe inserita una scansione processuale ulteriore, tuttavia ciò non si sarebbe tradotto in un inutile allungamento dei tempi processuali, dal momento che, da un lato, sarebbero stati scongiurati, come già detto, slittamenti successivi e che, dall’altro, sarebbe stato garantito lo svolgimento di una udienza ex art. 183 effettiva, così conciliando i principi del giusto processo e della ragionevole durata.

A ciò deve aggiungersi che il nuovo art. 171-bis, disponendo per l’appunto che «Almeno cinquantacinque giorni prima della nuova udienza di comparizione delle parti, il giudice procede nuovamente alle verifiche preliminari», lascia fermo il problema del mancato rispetto del termine stabilito per l’emissione del decreto (che è un termine ordinatorio) e della conferma (in ipotesi) di un’udienza che comprima i tempi per il deposito delle memorie integrative delle parti, problema a fronte del quale l’unico rimedio, quantomeno nel caso in cui i giorni residui siano in concreto inferiori a quelli di cui all’art. 171-ter, è rappresentato dalla rimessione in termini.

Non può, in ultimo, sottacersi che da un punto di vista pratico il sistema introdotto dal decreto correttivo è fonte di ulteriori complicazioni, sia perché richiede che il fascicolo venga messo in evidenza nell’apposita cartella della Consolle del magistrato [“Introdotti con citazione (Verifiche preliminari)”] prima della scadenza dell’ulteriore termine per le nuove verifiche preliminari, il che amplifica i persistenti problemi dovuti al non corretto “popolamento” di tale cartella, sia perché è ancora più farraginoso di quello originario, che nel corso del tempo ha fatto emergere più criticità che benefici sotto il profilo dell’auspicato raggiungimento degli obiettivi prefissati di semplificazione, speditezza e razionalizzazione del rito.

Ed invero, la velocizzazione dei tempi processuali sottesa alla prevista disclosure, anteriormente all’udienza di comparizione, del thema decidendum e dei mezzi di prova non deve fare i conti soltanto con gli “intoppi” che possono connotare la fase introduttiva (ad es. vizi di notifica, necessità di integrare il contraddittorio che può emergere anche in un secondo tempo, etc.), ma anche con la presa d’atto che la gestione delle nuove cause avviene in contemporanea con la trattazione e decisione delle cause soggette al “vecchio” rito, che sono oltretutto prioritarie in ragione dei noti obiettivi del PNRR, il che non può non condizionare l’astratta maggiore speditezza del nuovo rito.

6. Le ulteriori verifiche ex art. 171-bis c.p.c.: le condizioni di procedibilità della domanda

Secondo la nuova formulazione dell’art. 171-bis c.p.c., quando non occorre pronunciare i provvedimenti previsti dal secondo comma, il giudice (oltre a confermare o differire, fino a un massimo di quarantacinque giorni, la data dell’udienza di comparizione delle parti) indica le questioni rilevabili d’ufficio di cui ritiene opportuna la trattazione nelle memorie integrative di cui all’art. 171 ter c.p.c., anche con riguardo alle condizioni di procedibilità della domanda.

Sotto tale profilo, si discute sulla possibilità di rimettere le parti in mediazione o in negoziazione assistita già in sede di verifiche preliminari.

Secondo una prima opzione interpretativa[12], va attribuito rilievo al dato letterale della disposizione, anche tenuto conto che il decreto ex art. 171-bis viene emesso in assenza di contraddittorio e che l’art. 1, comma 1, della l. 206/2021 coniuga espressamente gli obiettivi di semplificazione, speditezza e razionalizzazione del processo civile con il principio del “rispetto della garanzia del contraddittorio”. A ciò si aggiunge che l’attivazione del procedimento di mediazione/negoziazione assistita all’esito della cristallizzazione del thema decidendum e del thema probandum potrebbe favorire la definizione stragiudiziale della controversia.

Di conseguenza, secondo questa impostazione, qualora si ravvisi l’assenza della necessaria condizione di procedibilità, nel decreto la questione va semplicemente indicata alle parti, che la tratteranno nelle memorie integrative.

Secondo una diversa tesi[13], va invece privilegiata un’interpretazione costituzionalmente orientata ex artt. 24 e 111 Cost. dell’art. 171-bis, pure avuto riguardo ai poteri direttivi del giudice intesi “al più sollecito e leale svolgimento del procedimento” (art. 175 c.p.c.), di talché, una volta riscontrata l’assenza della condizione di procedibilità della domanda, il giudice può nel decreto ex art. 171 bis c.p.c. rimettere le parti in mediazione o in negoziazione assistita. Nella stessa direzione depone la constatazione che il rilievo d’ufficio della mancanza della condizione di procedibilità è consentito “non oltre la prima udienza” (e perciò, implicitamente, anche ante udienza: v. ad es. art. 5, comma 2, d.lgs. n. 28/2010), nonché la considerazione secondo cui le questioni riguardanti l’ammissibilità e la procedibilità della domanda, in quanto aventi rilievo meramente processuale, non richiedono l’instaurazione del previo contraddittorio delle parti[14].

Vi è poi una terza linea interpretativa[15], secondo cui si può conciliare il dato letterale dell’art. 171-bis valorizzato dalla prima impostazione con le esigenze sottese alla seconda opzione, invitando nel decreto le parti non solo a prendere posizione nelle memorie ex art. 171-ter c.p.c. in merito alla questione inerente all’assenza della condizione di procedibilità della domanda, ma anche a valutare l’opportunità di dare subito corso alla mediazione o alla negoziazione assistita.

7. Segue: la verifica sulla sussistenza dei presupposti per procedere con il rito semplificato

Non pone più problemi la verifica sulla sussistenza dei presupposti per procedere con il rito semplificato, che è ormai incontroverso che vada fatta in sede di decreto ex art. 171-bis.

Ed invero, la disposizione novellata prevede, al comma 4, che, «Se ritiene che in relazione a tutte le domande proposte ricorrono i presupposti di cui al primo comma dell’articolo 281-decies, il giudice dispone la prosecuzione del processo nelle forme del rito semplificato di cognizione e fissa l’udienza di cui all’articolo 281-duodecies nonché il termine perentorio entro il quale le parti possono integrare gli atti introduttivi mediante deposito di memorie e documenti»[16].

Il legislatore ha anticipato, dunque, il mutamento del rito alla fase delle verifiche preliminari, in modo da far sì che, quando la causa appaia di pronta soluzione, il giudice possa senz’altro disporre il passaggio al rito semplificato, senza dover attendere il deposito delle memorie di cui all’art. 171-ter, così consentendo una sensibile accelerazione dei tempi di definizione della causa stessa. Al fine di salvaguardare il diritto di difesa delle parti e il contraddittorio si è, comunque, stabilito – analogamente a quanto avviene nel passaggio dal rito ordinario al rito del lavoro ai sensi dell’art. 426 c.p.c. – che nel disporre il mutamento del rito il giudice debba prevedere dei termini per consentire alle parti il deposito di memorie e documenti, dal momento che il contenuto degli atti introduttivi varia a seconda che il processo si svolga nelle forme del rito ordinario o di quello semplificato. Al contempo, non si stabilisce più, rispetto alla formulazione dell’art. 183-bis, che il provvedimento assuma la forma dell’ordinanza «non impugnabile», proprio allo scopo di consentire che all’udienza il giudice, nel contraddittorio delle parti e re melius perpensa, possa rivedere la propria decisione e “riportare il processo nei binari del rito ordinario” (v. Relazione illustrativa al correttivo).

È stata così risolta sul piano normativo la questione concernente la possibilità di disporre nel decreto ex art. 171-bis ilmutamento del rito, da ordinario a semplificato di cognizione, questione che era sorta sotto il vigore del testo originario[17].

Da più parti era stato difatti segnalato come fosse distonico con gli obiettivi della legge delega, nonché con lo scopo di “favorire il passaggio dal rito ordinario a quello semplificato” menzionato nella Relazione illustrativa al d.lgs. 10 ottobre 2022 n. 149, provvedere al mutamento del rito in una controversia priva di complessità dopo che i difensori delle parti avevano depositato ben tre memorie integrative ciascuno e dopo che le parti erano comparse personalmente in udienza per sottoporsi ad interrogatorio libero e tentativo di conciliazione[18]. A ciò si aggiungeva che disporre il passaggio dal rito ordinario a quello semplificato all’udienza ex art. 183 c.p.c. poteva essere del tutto superfluo (in specie in ipotesi di cause documentali), anche tenuto conto che la modalità tipica di definizione del procedimento semplificato (ossia la decisione ex art. 281 sexies c.p.c.) può essere adottata pure in esito al procedimento ordinario[19].

Ebbene, con il decreto correttivo il legislatore ha recepito tali rilievi ed ha anticipato per l’appunto il momento in cui il giudice può convertire il rito, consentendogli anche di fissare un termine perentorio perché le parti possano integrare gli atti introduttivi.

Resta peraltro il problema di chiarire il rapporto tra tali memorie integrative e le facoltà previste dall’art. 281-decies c.p.c.

Sotto tale profilo, in un precedente di merito[20], in cui all’esito delle verifiche preliminari di cui all’art. 171-bis c.p.c., sono stati ritenuti sussistenti i presupposti per la conversione del rito ordinario in rito semplificato, si è precisato: a) che le memorie integrative possono contenere per l’attore la formulazione di difese riconvenzionali conseguenti a quelle del convenuto e per entrambe le parti la precisazione del thema decidendum, la formulazione di nuove istanze istruttorie e l’allegazione di nuovi documenti (secondo la lettura comunemente accolta per l’analoga formulazione dell’art. 426 c.p.c.); b) che è preferibile, allo scopo fra l’altro di assicurare l’ordinato svolgersi del procedimento (ed anche in tal caso conformemente alla prassi applicativa già diffusa in applicazione dell’art. 426 c.p.c.), assegnare due termini distinti e riservare il secondo termine alle repliche nei confronti delle difese compiute dalle parti entro la scadenza del primo; c) che, mentre in caso di procedimento semplificato introdotto ab origine nelle forme dell’art. 281-undecies c.p.c. deve ritenersi ammessa alla prima udienza anche la facoltà di precisazione del thema decidemdum e di formulazione di nuove istanze istruttorie (attività consentite anche dopo l’udienza qualora vengano concessi i termini di cui all’art. 281-duodecies, comma 4), in ipotesi di procedimento semplificato derivante dalla conversione del rito ordinario di cognizione le memorie integrative di cui all’art. 171-bis, comma 4, costituiscono il momento ultimo per lo svolgimento di attività difensiva, e ciò sia alla luce del tenore letterale del comma suddetto, sia perché l’attribuzione alle parti della facoltà di compiere ulteriori attività integrative dopo il termine concesso nel provvedimento di conversione finirebbe per pregiudicare quell’esigenza di speditezza (ed in specie, di maggior speditezza rispetto al rito ordinario) che caratterizza il procedimento semplificato.

In sintesi, in questa prospettiva, in caso di procedimento semplificato derivante dalla conversione del rito ordinario deve ritenersi preclusa alle parti la possibilità di difese integrative dopo la scadenza dei termini di cui all’art. 171-bis, comma 4, c.p,c., e a maggior ragione deve ritenersi preclusa l’assegnazione dei termini previsti dall’art. 281-duodecies c.p.c.

La soluzione, alla luce del dato normativo, non appare del tutto condivisibile.

In particolare, posto che l’art. 171-bis stabilisce che in sede di conversione del rito va assegnato alle parti un termine perentorio entro il quale integrare gli atti introduttivi mediante deposito di memorie e documenti, può escludersi soltanto la facoltà delle parti medesime di svolgere alla prima udienza attività di precisazione del thema decidendum e di formulazione di nuove istanze istruttorie. Possono, viceversa, trovare ancora spazio le difese che una parte ponga in essere come conseguenza dell’attività processuale della controparte. Ad es., alla prima udienza l’attore può continuare a chiedere di essere autorizzato a chiamare in causa un terzo ove le difese del convenuto ne abbiano fatto sorgere l’esigenza (art. 281-duodecies, comma 2), così come alla prima udienza entrambe le parti possono proporre le domande e le eccezioni che siano conseguenza della domanda riconvenzionale e delle eccezioni proposte dalle altre parti (art. 281-doudecies, comma 3). Al contempo, è ipotizzabile la concessione all’udienza dei termini di cui all’art. 281-doudecies, comma 4, allorché una delle parti ne faccia istanza evidenziando come le difese della controparte ne abbiano fatto sorgere l’esigenza.

Non può, inoltre, sottacersi che il legislatore prevede l’assegnazione alle parti non di due termini ma di un unico termine per integrare gli atti introduttivi, il che ulteriormente conferma che “eventuali attività di delimitazione del thema decidendum e probandum che si rendessero necessarie in considerazione del contenuto delle memorie avversarie, potranno trovare spazio nella appendice scritta di cui all’art. 281- duodecies, 4° comma, c.p.c.[21].

Resta, in ogni caso, ferma la perplessità dovuta all’adozione del provvedimento di conversione del rito in assenza del previo contraddittorio delle parti (salvo che il giudice decida di fissare un’udienza ad hoc), perplessità solo in parte “compensata” dall’osservazione che all’udienza successiva al decreto il giudice, sentite le parti, potrebbe decidere di tornare al rito ordinario. Non si comprende bene, invero, a cosa servirebbe cambiare nuovamente il rito una volta che le parti hanno integrato gli atti introduttivi nel termine appositamente loro assegnato, posto che è proprio la fase introduttiva a segnare la maggiore differenza tra i due procedimenti.

8. Segue: il rilievo dell’incompetenza

Mentre l’art. 38 c.p.c., nella formulazione previgente, fissava nella prima udienza il momento entro il quale poteva essere rilevata l’incompetenza per materia, per valore e per territorio nei casi previsti dall’articolo 28 c.p.c., il D.lgs. n. 164 del 2024 ha anticipato tale momento all’atto dell’emissione del decreto ai sensi dell’art. 171-bis c.p.c.[22].

Si legge nelle Relazione illustrativa che in questo modo si garantisce maggiore celerità nella definizione delle cause proposte al giudice incompetente: «il rilievo in udienza avviene più di quattro mesi dopo l’introduzione della causa, e nella maggior parte dei casi rende necessario concedere alle parti un ulteriore termine per poter prendere posizione sul punto, con ulteriore dilazione del processo; il rilievo in sede di verifiche preliminari avviene invece circa due mesi dopo l’introduzione della causa e fa sì che le parti possano prendere posizione sul punto già con le memorie integrative di cui all’articolo 171-ter, in modo che già alla prima udienza il giudice è posto in condizione di adottare il provvedimento e, se del caso, dichiarare la propria incompetenza. Il deposito delle memorie integrative, nelle quali le parti dovranno comunque svolgere per intero le proprie difese su tutto l’oggetto del procedimento, non è comunque superfluo, dal momento che ai sensi dell’articolo 50 in caso di tempestiva riassunzione la causa «prosegue» davanti al giudice competente, il quale quindi potrà immediatamente disporre la celebrazione della prima udienza sulla base delle allegazioni e delle deduzioni istruttorie svolte dalle parti nella fase svoltasi davanti al primo giudice».

Questa soluzione, peraltro, non è esente da critiche, soprattutto nella parte in cui impone un dispendio di attività processuale che appare inutile e che si potrebbe evitare fissando una udienza ad hoc anteriormente alla prima udienza per discutere della questione di competenza[23], e ciò anche tenuto conto che le questioni relative alla competenza vanno decise allo stato degli atti ex art. 38, comma 4, c.p.c., che la riassunzione dinanzi al giudice competente ha carattere meramente eventuale e che anche davanti al nuovo giudice resterebbe ferma la necessità di effettuare le verifiche preliminari, non potendo l’attività svolta dinanzi al primo giudice verosimilmente precludere quella del giudice competente successivamente adito[24].

Al di fuori della delibazione sulla competenza, invece, è da ritenere che nel sistema delineato dal combinato disposto degli artt. 171-bis e 171-ter c.p.c. la decisione su questioni preliminari o pregiudiziali (si pensi alla tempestività o meno dell’opposizione a decreto ingiuntivo) debba essere di regola preceduta dal deposito delle memorie integrative.

Adottare una diversa soluzione significa, in concreto, sottrarre alle parti la possibilità di articolare meglio le loro difese sul piano assertivo e probatorio attraverso le tre memorie indicate dal legislatore e sul deposito delle quali le stesse possono (o meglio, dovrebbero) fare legittimo affidamento e che non possono essere, sic et simpliciter, sostituite dal deposito di note scritte, rimesse oltretutto alla scelta del giudice.

Peraltro, dato che le memorie ex art. 171-ter c.p.c. “coprono” un arco temporale limitato, nell’analisi costi/benefici il modesto allungamento dei tempi del processo che ne deriva appare de jure condito ampiamente compensato dall’esigenza di assicurare il principio del giusto processo (art. 111 Cost.).

9. Segue: il contenuto “eventuale” del decreto ex art. 171-bis c.p.c.

È controverso se il decreto ex art. 171 bis possa avere un contenuto più ampio di quello legislativamente previsto[25].

Si possono profilare al riguardo tre interpretazioni.

Secondo una prima impostazione, la lettura costituzionalmente orientata dell’art. 171-bis c.p.c. (artt. 24 e 111 Cost.) suggerisce di considerare non tassativo l’elenco delle verifiche (preliminari) demandate al giudice, giacché una diversa interpretazione complicherebbe la trattazione della causa, inciderebbe negativamente sul celere svolgimento del processo e colliderebbe con i poteri direttivi del giudice intesi «al più sollecito e leale svolgimento del procedimento» di cui all’art. 175 c.p.c. Secondo tale tesi, quindi, il giudice non è vincolato ad effettuare unicamente i riscontri codificati nel primo comma dell’art. 171-bis c.p.c., poiché l’elencazione ivi contenuta non può ritenersi vincolante o esaustiva, né può risolversi in una limitazione dei poteri e controlli che il giudice è autorizzato e tenuto a compiere nell’ambito della direzione del processo[26].

Secondo una diversa interpretazione, dato il sacrificio del principio del contraddittorio che l’art. 171-bis implica ed avuto riguardo alla finalità della disposizione, volta (secondo la Relazione illustrativa al D.lgs. n. 149/2022) a «perseguire una maggiore concentrazione e pervenire alla prima udienza con la già avvenuta completa definizione del thema decidendum e del thema probandum, consentendo al giudice, attraverso le necessarie verifiche preliminari anticipate, un più esteso case management», non è possibile adottare nel decreto provvedimenti ulterioririspetto a quelli che ne costituiscono il contenuto tipico[27], salvo che venga fissata una udienza apposita[28].

Secondo una opzione interpretativa intermedia, si possono conciliare le esigenze sottese alle due tesi precedenti nel senso che nel decreto di cui all’art. 171-bis c.p.c. possono essere adottati provvedimenti ulteriori rispetto a quelli espressamente previsti, purché riguardino profili di carattere meramente processuale e non implichino alcuna violazione del diritto di difesa (fatta salva la possibilità di fissare un’udienza anticipata, ad es. ai sensi dell’art. 648, comma 3, c.p.c. o agli effetti di cui all’art. 38 c.p.c.). E così, in un’ottica di economia del giudizio, non può ritenersi preclusa la trasmissione del fascicolo al Presidente del Tribunale per l’assegnazione della causa in conformità ai criteri tabellari di riparto delle materie all’interno dell’ufficio, né l’adozione dei provvedimenti ex art. 273 e 274 c.p.c., a fortiori tenuto conto che il Presidente del Tribunale deve provvedere «sentite le parti».

Tale ultima impostazione appare preferibile anche considerando che, come messo in evidenza dalla Consulta nella sentenza n. 96/2024, nell’ottica della riforma, l’udienza di trattazione assurge comunque «a momento centrale del processo di primo grado nel quale il giudice, con ampia contezza sull’oggetto della controversia, ha la possibilità … di gestire in maniera efficace la controversia … sino alla pronuncia della sentenza, affinché questa intervenga nel tempo più celere possibile».


[1] Sullo schema di decreto correttivo v., tra gli altri, Salvaneschi, Luci e ombre dello schema di decreto legislativo correttivo e integrativo delle disposizioni processuali introdotte con la riforma Cartabia, in www.judicium.it; Bove, La trattazione nel processo ordinario di cognizione di primo grado tra riforma Cartabia, intervento della Corte costituzionale e annunciato “correttivo”, in www.judicium.it.

[2] La sentenza della Corte costituzionale è stata annotata da Scarselli, La procedura civile del nostro tempo (nota a Corte Cost. 3 giugno 2024 n. 96 sull’art. 171- bis c.p.c.), in www.giustiziainsieme.it.; Romano, L’interpretazione adeguatrice dell’art. 171- bis c.p.c. secondo la Corte costituzionale, in Giur. it. 2024, 2092 ss.; De Cristofaro, La Consulta ed il 171-bis c.p.c.: il contraddittorio “è” solo se è preventivo, ivi 2024, 2097 ss.; Consolo, Postilla (in vista del correttivo), ivi 2024, 2101 ss.; Dalfino, Le verifiche preliminari e l’udienza “filtro”: garanzia del contraddittorio sulle questioni “liquide” e poteri di direzione del processo, in Foro it. 2024, 1639 ss.; Carmellino, La lettura costituzionale dell’art. 171- bis c.p.c., ivi 1645 ss.; Briguglio, Il nuovo art. 171- bis c.p.c., la Corte costituzionale ed il «primo grado Cartabia» fra l’essere quest’ultimo solo inutile e l’essere dannoso, nonché fra le nostre discrete angosce e il vivido desiderio di integrale abrogazione. Con una Postilla sul «Correttivo», in Rivista di Diritto Processuale 2024, 1309 ss.

[3] Su tale tesi v. Capponi, Note sulla fase introduttiva del nuovo rito di ordinaria cognizione, in www.giustiziacivile.com 2022, 5; Luiso, Il nuovo processo civile, Commentario breve agli articoli riformati del codice di procedura civile, Milano 2023, 70; Carratta, Le riforme del processo civile, Torino 2023, 42-43; Izzo, Il giudizio a cognizione piena innanzi al tribunale, in Quest. giust. 2023, 58; Luongo, Note sulla decorrenza dei termini ex art. 171- ter c.p.c., in www.judicium.it.

Per la giurisprudenza v. il protocollo di intesa tra il Tribunale di Palermo e l’Ordine degli Avvocati di Palermo del 1° marzo 2023, reperibile sul sito internet del Tribunale di Palermo.

[4]Nel senso della necessità della pronuncia del decreto ex art. 171- bis c.p.c. si erano espressi Menchini– Merlin, Le nuove norme sul processo ordinario di primo grado davanti al tribunale, in Rivista di Diritto Processuale, 2023, 586; Consolo, Spiegazioni di diritto processuale civile, II, Torino 2023, 229; Trisorio Liuzzi, La fase introduttiva del giudizio civile, in Giusto proc. civ. 2023, 41; De Cristofaro, L’avvocato e il giudice civile alla vigilia della riforma del processo, in Rivista di Diritto Processuale 2023, 201; Iannicelli, Angelone, La fase introduttiva e di trattazione nella cognizione di rito ordinario in primo grado dinanzi al tribunale, in Il processo civile dopo la riforma Cartabia, a cura di Didone e De Santis, Padova 2023, 151 ss.; Nascosi, Tutta un’altra storia. Note sulla nuova fase di trattazione del processo civile, in www.judicium.it, 161; Delle Donne, La fase introduttiva e la trattazione, nel processo di primo grado a rito ordinario davanti al tribunale, nella Riforma Cartabia (l. n. 206/2021 – d.lgs. 149/2022) (Parte Prima), in Il processo 2023, 104; Cossignani, Riforma Cartabia. Le modifiche al primo grado del processo di cognizione ordinario, in www.giustiziainsieme.it.

Per la giurisprudenza cfr. le linee guida del Tribunale di Verona, del Tribunale di Reggio Calabria e del Tribunale di Cuneo (citate da Luongo, Note sulla decorrenza dei termini ex art. 171-ter c.p.c., in www.judicium.it); v., altresì, Trib. Treviso, 25 gennaio 2024, ord., in One Legale.

[5] Trib. Bologna, 20 marzo 2024, in One Legale.

[6] Cfr. Cass., 6 marzo 2018, n. 5179, in Foro it. Rep., 2018, voce Procedimento civile, n. 241; Cass., 30 gennaio 2017, n. 2299, in Foro it. Rep., 2017, voce Appello civile, n. 96.

[7] L’ordinanza è pubblicata in Giur. It., 2024, 1080 ss., con nota di Volpino.

[8]Così Nascosi, Qualche appunto sulla nuova fase preparatoria del processo dopo il «correttivo» alla riforma Cartabia, in Rivista di Diritto Processuale, n. 1, 1° gennaio 2025, 271. Perplessità sul coordinamento tra la decisione della Consulta e il nuovo art. 171-bis c.p.c. sono state invece espresse da Carratta, Del correttivo della riforma del processo civile e di alcune sue discutibili scelte, in www.dirittoegiustizia.it.

[9] Con il D.lgs. n. 164/2024, peraltro, è stato superato il difetto di coordinamento che era stato segnalato tra l’art. 171, comma 3, c.p.c. e l’art. 171-bis in merito alla declaratoria di contumacia:  l’art. 171, comma 3, prevedeva, difatti, che la parte che non si costituiva entro il termine di cui all’art. 166 c.p.c. venisse dichiarata contumace del giudice istruttore «con ordinanza», ossia dopo l’instaurazione del contradditorio e, dunque, alla prima udienza, mentre nel testo riscritto la disposizione stabilisce che «La parte che non si costituisce entro il termine di cui all’articolo 166 è dichiarata contumace dal giudice istruttore con il decreto di cui all’articolo 171-bis, salva la disposizione dell’art. 291».

[10] V., tuttavia, Salvaneschi, Luci e ombre nello Schema di decreto legislativo correttivo e integrativo delle disposizioni processuali introdotte con la riforma Cartabia, cit., § 3, secondo cui, con le seconde verifiche preliminari, il giudice dovrebbe trarre le conseguenze dell’ordine processuale rimasto inadempiuto.

[11] Così Menchini, Merlin, Le nuove norme sul processo ordinario di primo grado davanti al tribunale, cit., 591, in cui si legge che «Sia la dichiarazione di estinzione del processo che di inammissibilità di una singola domanda sono provvedimenti decisori che non possono certo essere emessi con decreto fuori udienza». V. altresì Bove, La trattazione nel processo ordinario di primo grado tra riforma Cartabia, intervento della Corte costituzionale e annunciato “correttivo”, cit., §3, e Gradi, Nodi irrisolti e problemi contingenti del processo di cognizione, in Riv. Dir. Proc., 2025, 1, 102 ss., §9.

[12] Nel senso che per la concessione del termine per esperire la mediazione obbligatoria deve necessariamente attendersi la prima udienza cfr., ex multis, Cuomo Ulloa, in Manuale breve della riforma Cartabia, Padova, 2023, 261 e segg. È critico, invece, Lai, Le nuove regole per l’introduzione della causa nel rito ordinario di cognizione, in www.judicium.it.

[13] V. Trib. Modena, 9 maggio 2023.

[14] Cfr. Cass. 20 marzo 2017, n. 7053, in Guida dir. 2017, 19, 71.

[15] Cfr. linee guida del Tribunale di Reggio Calabria.

[16] Sul mutamento del rito da ordinario a semplificato dopo lo schema del decreto correttivo v. Masoni, Correttivo riforma processo civile: prime considerazioni sulla conversione del rito ordinario in semplificato, in www.iusprocessocivile.it; Tiscini, Le novità del decreto correttivo alla riforma Cartabia sul procedimento semplificato di cognizione, in www.judicium.it.

[17] Secondo una prima tesi (v. linee guida del Tribunale di Reggio Calabria e linee guida del Tribunale di Cuneo), dal combinato disposto degli artt. 171-bis e 183-bis c.p.c. si desumeva che il mutamento del rito, da ordinario a semplificato di cognizione, dovesse passare attraverso il vaglio dell’udienza di prima comparizione delle parti. L’art. 171-bis stabiliva, infatti, che in sede di verifiche preliminari il giudice dovesse semplicemente indicare alle parti la “sussistenza dei presupposti per procedere con rito semplificato” e l’art. 183-bis collocava la conversione del rito nell’ambito dell’udienza di trattazione, in esito alla valutazione della “complessità della lite e dell’istruzione probatoria e sentite le parti”. Accanto al dato letterale si sottolineava che la valutazione in merito alla sussistenza o meno dei presupposti del procedimento semplificato di cognizione presupponeva l’intervenuta cristallizzazione del thema decidendum e del thema probandum.

Un’altra interpretazione ricollegava, invece, l’anticipazione del mutamento del rito al momento dell’emissione del decreto ex art. 171-bis ad una lettura sistematica e costituzionalmente orientata della norma atta a coniugare gli obiettivi di semplificazione e speditezza enucleati nella legge delega con il principio di buono ed ordinato governo del processo sancito dall’art. 175 c.p.c. (v. Trib. Piacenza, 1° maggio 2023, in IUS Processo Civile 16 maggio 2023).

Infine, secondo una ulteriore impostazione, il giudice poteva fissare con il decreto ex art. 171-bis c.p.c. un’udienza-filtro nella quale valutare l’eventuale conversione del rito in favore di quello semplificato (Trib. Bologna, 23 giugno 2023, in Giur. It., 2023, 10, 2105, con nota di Romano).

[18] V. Menchini, Merlin, op. cit., 606; Motto, Prime osservazioni sul procedimento semplificato, in www.judicium.it; Trisorio Liuzzi, op. cit., 48; Nascosi, op. cit., 175; Izzo, op. cit., 59; Merone, Il nuovo procedimento semplificato e la disciplina del mutamento di rito. Tanto rumore per nulla?, in Il processo 2023, 703-704; Stella, I nuovi riti di cognizione e il ruolo dell’avvocato, in particolare nel rito semplificato, in Dir. proc. civ. it. e comp. In giurisprudenza v. Trib. Piacenza 1° maggio 2023, in www.judicium.it, con nota di Limongi, Conversione del rito (da ordinario a semplificato) per chiamata in causa del terzo. Prime applicazioni del novellato art. 183 -bis c.p.c.

[19] Critico era, invece, Carratta, op. cit., 700, secondo cui la valutazione dei presupposti per la conversione del rito doveva avvenire soltanto dopo lo scambio delle memorie integrative, una volta definito il thema decidendum ed il thema probandum.

[20] Il riferimento è a Trib. Verona, 3 dicembre 2024, in Giur. It., 2025, 3, 568.

[21] Così Widman, nota a Trib. Verona, 3 dicembre 2024, in Giur. It., 2025, 3, 568 ss.

[22] Ciò vuol dire che l’incompetenza va rilevata nel decreto ex art. 171-bis, ma non anche che si possa decidere già in sede di verifiche preliminari sulla questione di competenza, dovendo la declaratoria di incompetenza essere pronunziata con «ordinanza» (art. 44 c.p.c.), nel contraddittorio delle parti (v. però, in senso contrario, Trib. Trento 3 maggio 2024, in dejure.it, in cui il giudice, a fronte dell’eccezione di incompetenza per valore, ha deciso la causa con decreto, revocando il decreto ingiuntivo opposto e liquidando le spese processuali).

[23] Si pensi, ad es., all’adesione all’eccezione di incompetenza territoriale, al di fuori dei casi previsti dall’art. 28 c.p.c. (cfr. Cass., ord. 5 giugno 2024, n. 15699, in Giustizia Civile Massimario 2024; Cass., ord. 8 giugno 2016, n. 11764, in Giustizia Civile Massimario 2016,anche in tema di spese processuali), che comporta, ai sensi dell’art. 38 c.p.c., l’esclusione di ogni potere del giudice adito di decidere sulla competenza e conseguentemente di pronunciare sulle spese processuali relative alla fase svoltasi davanti a lui, dovendo provvedervi il giudice al quale è rimessa la causa (cfr., fra le altre, Cass., ord. 11 maggio 2022, n. 15017, in Giustizia Civile Massimario 2022).

[24] Cfr. Trib. Vercelli, decr. 14 giugno 2024, in One Legale, in cui, proprio prendendo le mosse dalla sentenza n. 96 del 2024 della Corte costituzionale, è stata fissata apposita udienza per la discussione sull’eccezione preliminare relativa all’incompetenza del giudice adito, pur trattandosi di questione che, nel sistema all’epoca vigente, era collocata nell’udienza ex art. 183 c.p.c. Cfr. altresì, Trib. Bologna, 27 luglio 2024, in Dir. & Giust. 2024, 15 ottobre, secondo cui «può ritenersi opportuno fissare, anche con lo stesso decreto ex art. 171-bis c.p.c., un’udienza ad hoc anteriore a quella regolata dall’art. 183 c.p.c., per sentire le parti o comunque i loro difensori e adottare i provvedimenti adeguati in relazione al caso concreto (fattispecie relativa ad una controversia in merito alla somministrazione di energia elettrica, in cui l’attore aveva sollevato eccezione di incompetenza territoriale, cui aveva aderito anche il convenuto)».

[25] V., nel senso che il catalogo dei controlli previsti dall’art. 171-bis c.p.c. sia tassativo, Rota, La fase introduttiva e di trattazione pre-udienza, in Manuale breve della riforma Cartabia, a cura di Passanante, Milano, 2024, 79 e segg., 91. Affermano, invece, che sia possibile adottare nel decreto anche altre misure ordinatorie: Dalmotto, Lezioni sul nuovo processo civile, a cura di Dalmotto, Bologna, 2023, 68; Russo, in Il processo civile riformato, diretto da Ronco, Bologna, 2023, 81 e segg.

[26] Cfr. Trib. Roma, 22 giugno 2023, in www.lanuovaproceduracivile.it, che ha ammesso già in sede di verifiche preliminari il mutamento del rito ordinario in locatizio (sul punto v. la nota adesiva di Pezzella, L’importanza dei poteri direttivi del giudice nella fase delle verifiche preliminari, in IUS Processo Civile, 25 settembre 2023).

[27] V. linee guida del Tribunale di Reggio Calabria e linee guida del Tribunale di Cuneo.

[28]Cfr. Trib. Bologna, 21 settembre 2023, in Dir. & Giust. 2023, 2 novembre, in cui, in un giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo soggetto alla nuova disciplina, in cui l’opposta aveva chiesto la concessione della provvisoria esecuzione «in pendenza della prima udienza di comparizione», è stata fissata un’apposita udienza volta all’esame e alla decisione sull’istanza ex art. 648 c.p.c., osservando che: «l’art. 648 c.p.c. non è stato modificato dalla riforma del 2022 ed il riferimento alla “prima udienza” – introdotto con la novella del 2013 proprio a confermare la possibilità, e di regola la doverosità, dell’adozione di un provvedimento sull’istanza di concessione della provvisoria esecuzione sin dal primo contatto tra parti e giudice ed anche anteriormente al formarsi delle barriere preclusive di merito e istruttorie (in tale senso, peraltro, era orientata la prevalente giurisprudenza successiva all’entrata in vigore della c.d. miniriforma del 1990 introdotta con la L. n. 535 del 1990) – non impone oggi un esclusivo richiamo all’udienza ex art. 183 c.p.c. così come disciplinata dalla riforma Cartabia; – la nuova disciplina processuale, in assenza di contrarie indicazioni, non è di ostacolo ad una decisione sull’istanza ex art. 648 c.p.c. resa all’esito di una udienza anteriore a quella regolata dal novellato art. 183 c.p.c. (alla quale si riferiscono, tra gli altri, gli artt. 171-bis e 172-bis c.p.c.): dunque, è tuttora possibile, così come lo era nei procedimenti instaurati prima del 1 marzo 2023, assumere allo stato degli atti, ossia quando non sono ancora compiutamente maturate le preclusioni assertive e istruttorie, una decisione che conceda o neghi la provvisoria esecuzione del decreto opposto; – peraltro, ove l’opponente chieda la sospensione ex art. 649 c.p.c. non si è mai dubitato della possibilità di fissare una apposita udienza anteriore a quella di prima comparizione e trattazione». Cfr. anche Trib. Bologna, decr. 10 maggio 2024 e decr. 3 giugno 2024, entrambi in dejure.it. Diversamente, Trib. Reggio Calabria, decr. 12 giugno 2024, in dejure.it, secondo cui, a seguito dell’entrata in vigore della riforma Cartabia «la decisione sull’istanza di concessione della provvisoria esecuzione va adottata di regola all’udienza ex art. 183 c.p.c., potendosi ammettere la calendarizzazione di un’udienza anteriore solo in presenza di specifiche e comprovate ragioni di urgenza, a fronte delle quali non si riveli sufficiente l’anticipazione della prima udienza». Il decreto correttivo, peraltro, ha previsto espressamente, nel nuovo comma 3 dell’art. 648 c.p.c., una decisione anticipata sulla provvisoria esecuzione su istanza della parte interessata che rappresenti le ragioni di urgenza.

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