Sommario: 1. Il problema. – 2. La posizione espressa dalla giurisprudenza di legittimità. – 3. Alcune recenti decisioni di merito e la rimessione della questione alle Sezioni Unite. – 4. La pronuncia delle Sezioni Unite n. 33719/2022.

1. Il problema.

Come è noto, l’art. 38 del d. lgs. 1° settembre 1993, n. 385 (d’ora innanzi t.u.b.) contiene al primo comma la nozione di credito fondiario, definito come quello che “ha per oggetto la concessione, da parte di banche, di finanziamenti a medio e lungo termine garantiti da ipoteca di primo grado su immobili”. Si tratta di una fattispecie di ampia applicazione pratica, soprattutto tenendo conto che, a differenza di quanto accadeva nel vigore del r.d. n. 646/1905, si è orami riconosciuto che la fattispecie non richiede necessariamente un carattere ancillare del credito rispetto all’incremento del patrimonio immobiliare. Ne deriva che, attualmente, qualunque mutuo ipotecario di primo grado può essere qualificato come “fondiario”, anche quando ad esso non corrisponda un incremento di valore dell’immobile, ma la prestazione di garanzia reale avvenga nell’ambito di una più ampia operazione rivolta, ad esempio, a garantire finanziamenti all’impresa. Tanto assume rilevanza peculiare sia in caso di esecuzione forzata, alla luce della regola speciale che esenta il creditore dall’obbligo di preventiva notificazione del titolo (cfr. art. 41 comma 1, t.u.b.), sia nel caso di fallimento del debitore, attesi i benefici connessi alla esenzione da revocatoria di cui all’art. 39 comma 4 t.u.b., ed il c.d. privilegio processuale disposto dal già citato art. 41, al comma 2, che consente al creditore fondiario di proseguire o intraprendere l’espropriazione nonostante il fallimento del mutuatario.

Pur se quest’ultima affermazione meriterebbe certamente un maggior approfondimento (sul quale MONTANARI, La realizzazione dei crediti fondiari nel fallimento, in www.ilcaso.it, 2018) va ricordato in questa sede che il secondo comma del già citato art. 38 t.u.b. è divenuto negli ultimi anni un “protagonista” delle aule giudiziarie, nella parte in cui, a sua volta, rinvia per l’individuazione dei limiti entro i quali è consentito accordare la natura fondiaria del finanziamento ad una normazione regolamentare della Banca d’Italia. Si afferma infatti che “la Banca d’Italia, in conformità delle deliberazioni del CICR, determina l’ammontare massimo dei finanziamenti, individuandolo in rapporto al valore dei beni ipotecati o al costo delle opere da eseguire sugli stessi, nonché le ipotesi in cui la presenza di precedenti iscrizioni ipotecarie non impedisce la concessione dei finanziamenti”.

La delibera CICR di attuazione del 22 aprile 1995 ha, in attuazione di tale delega, fissato il limite di finanziabilità secondo la seguente duplice opzione: a) fino all’80% del valore dei beni ipotecati o del costo delle opere da eseguire sugli stessi; b) fino al 100% del valore, qualora vengano prestate garanzie integrative.

Ciò posto, va ribadito che la giurisprudenza ha da tempo accolto una nozione molto ampia di credito fondiario, affermando che si debba escludere che la natura fondiaria del credito sia subordinata all’esclusivo scopo acquisitivo di un immobile, assistito da garanzia ipotecaria necessariamente di primo grado. In particolare, già Cass. civ., sez. I, n. 04792/2012, ha ritenuto che il mutuo fondiario, disciplinato agli artt. 38 ss. del d.lgs. 1° settembre 1993, n.385, non è un mutuo di scopo, poiché di esso non è elemento essenziale la destinazione della somma mutuata a determinate finalità; non può, pertanto, essere negata tale qualificazione, sul rilievo della previsione contrattuale che nega la destinazione della somma mutuata all’acquisto, costruzione o ristrutturazione di immobili. Conclusione certamente raggiunta anche alla luce della pronuncia n. 175 del 22 giugno 2004 della Corte Cost. che, dichiarando inammissibile la questione di legittimità costituzionale avente ad oggetto gli artt. 38 t.u.b. e 67 l. fall. in relazione all’art. 3 Cost., aveva fondato il proprio ragionamento sul superamento della distinzione tra credito fondiario e credito edilizio, secondo una summa divisio già in precedenza negata anche dalla Banca d’Italia, con due comunicazioni del 1994, nelle quali si precisava che, essendo venuta meno la distinzione tra credito edilizio e credito fondiario, quest’ultimo può riassumere in sé finanziamenti di diversa natura senza che tale qualificazione importi la necessità di un vincolo di destinazione delle somme erogate, mancando nella norma di riferimento la previsione di uno specifico scopo.

2. La posizione espressa dalla giurisprudenza di legittimità.

Quanto al valore del citato limite di finanziabilità, nel corso degli ultimi anni si è assistito ad un peculiare interesse pratico, discutendosi delle conseguenze derivanti dal suo superamento, dando luogo ad un profondo dibattito ed un contrasto nella stessa giurisprudenza di merito e di legittimità.

Secondo un più antico e per lungo tempo consolidato orientamento, il superamento del limite di finanziabilità avrebbe al più potuto avere riflessi “interni” all’ordinamento bancario, senza alcun rilievo sulla validità ed efficacia dei singoli contratti di mutuo fondiario. In questo senso ancora Cass. civ., sez. VI, n. 22446/2015. In precedenza, anche Cass. civ., sez. I, n. 26672/2013, aveva avuto modo di rilevare che l’art. 38 del d.lgs. 1 settembre 1993, n. 385, è posto a tutela del sistema bancario nella parte in cui attribuisce alla Banca d’Italia il potere di determinare l’ammontare massimo dei finanziamenti, pertanto non rientra nell’ambito della previsione di cui all’art. 117 del t.u.b., il quale attribuisce invece all’istituto di vigilanza un potere “conformativo” o “tipizzatorio” del contenuto del contratto, prevedendo clausole-tipo da inserire nel regolamento negoziale a tutela del contraente debole; ne deriva che il superamento del limite di finanziabilità non cagiona alcuna nullità, neppure relativa, del contratto di mutuo fondiario. In motivazione, tale decisione osservava, altresì, che “non può non rilevarsi che il rispetto del limite del finanziamento non risulta essere una circostanza rilevabile dal contratto in quanto l’accertamento in proposito può avvenire solo tramite valutazioni estimatorie dell’immobile oggetto di finanziamento suscettibili di opinabilità e soggette a margini di incertezza valutativa e come tali non rilevabili dal testo del contratto; a tal proposito va osservato che la Banca d’Italia, nel determinare il limite di finanziamento, non ha prescritto che nel contratto venissero indicati degli elementi di riferimento quali il valore dell’immobile o il costo delle opere, il che fa ulteriormente escludere che la previsione della circolare del 1995 abbia introdotto una clausola determinativa del contenuto del contratto”.

In tempi più recenti, invece, si è ritenuto che la prescrizione del già citato art. 38 comma 2 t.u.b. non vada qualificata come una disposizione interna all’ordinamento bancario, operante nella sola relazione fra autorità di vigilanza e soggetti bancari vigilati, ma debba piuttosto ritenersi espressione di regole di condotta più generali, la cui violazione può determinare effetti diretti in capo ai singoli contraenti. Con l’ulteriore conseguenza che il limite di finanziabilità finisce per integrare un elemento costitutivo del contratto di mutuo fondiario il cui superamento determina la nullità di tale negozio (cfr. sul punto Cass. civ., sez. 1, n. 17352/2017; conformi anche Cass. civ. sez. 1, n. 11201/2018, Cass., civ. sez. 1, n. 22466/2018, Cass. civ. sez. 1, n. 29745/2018).

In modo dubitativo, invece, la più recente decisione resa da Cass. civ., sez. 3, n. 17439/2019, aveva affrontato il tema – sia pure in motivazione – nei termini di una possibile riqualificazione contrattuale, piuttosto che di vera e propria invalidità negoziale, con spunto, come si vedrà al par. successivo, raccolto da non poche decisioni di merito.

Prima ancora, tuttavia, si deve ricordare che l’art. 1424 c.c. consente la c.d. conversione del contratto nullo, affermando che lo stesso può comunque produrre gli effetti di un contratto diverso, purché dello stesso contenga i requisiti di sostanza e di forma, se avuto riguardo allo scopo perseguito dalle parti si può ritenere che le stesse lo avrebbero comunque voluto se avessero conosciuto la nullità. Nella fattispecie qui esaminata, pertanto, si è affermata la possibile applicazione della disposizione, con conseguente sanatoria di un mutuo fondiario nullo, attraverso la sua conversione in un ordinario mutuo ipotecario, facendo così salva la caratteristica privilegiata speciale del credito ed in particolare il suo grado ipotecario, a fronte della inapplicabilità dei benefici specifici che connotano la “fondiarietà”, primo fra tutti quello del già citato art. 41 t.u.b. (in argomento, SANGIOVANNI, Superamento del limite di finanziabilità, nullità del mutuo fondiario e possibile conversione del contratto nullo, in Corr. Giuridico, 2020, 10, 1230).

La sanatoria per convalida è stata affermata, fra le altre, da Cass. civ., sez. 1, n. 22466/2018, cit., la quale ha precisato che il potere del giudice di rilevare d’ufficio la nullità contrattuale (appunto per superamento del limite di finanziabilità) non può invece estendersi alla sua sanatoria, alla luce del contrario disposto dell’art. 1424 c.c.; tuttavia si è ritenuta l’ammissibilità dell’istanza di conversione avanzata dalla parte mutuante nella prima difesa utile successiva al rilievo della nullità, risultando detta richiesta strettamente consequenziale all’esercizio del potere officioso del giudice. In particolare, la S.C. ha perciò ritenuto ammissibile l’istanza di conversione in mutuo ipotecario, proposta da una banca per la prima volta in seno all’opposizione allo stato passivo, dopo che la nullità era stata affermata d’ufficio dal g.d. nell’ambito della fase di verificazione dei crediti per la formazione dello stato passivo.

Peraltro, come già anticipato, accanto alla tesi iniziale della sostanziale irrilevanza negoziale del superamento dei limiti di finanziabilità, ed alla successiva tesi invalidante, salvo sanatoria su richiesta della parte interessata, si deve ricordare, in sintesi, l’esistenza di un ulteriore indirizzo intermedio secondo il quale il superamento del limite di finanziabilità (in concreto una erogazione superiore alla percentuale dell’80% del valore del bene che ne costituisce garanzia specifica in assenza di altre garanzie) non avrebbe effetti invalidanti, ma consentirebbe una riqualificazione in concreto dell’operazione di finanziamento nei termini di un ordinario mutuo ipotecario (in questo senso la già citata Cass. n. 17439/2019).

Pur se tale conclusione potrebbe in molti casi rivelarsi in concreto la medesima di quella predicata dal più recente e maggioritario indirizzo del S.C., non è tuttavia perfettamente coincidente nei suoi approdi teorici e nelle conclusioni giuridiche. Da un lato, infatti, la pronuncia di conversione non può essere disposta d’ufficio, ma consegue ad una domanda di parte che si ritiene debba essere proposta nella prima difesa utile al rilievo della nullità, mentre l’operazione di diretta riqualificazione del contratto da parte del giudice, in forza del principio per cui il nomen iuris utilizzato dalle parti non ha natura vincolante, può sempre essere condotta dall’organo giudicante, anche d’ufficio e senza particolari preclusioni se non quelle derivanti dal giudicato. Dall’altro, poi, è evidente che se la conclusione può in concreto essere la stessa (perdita dei benefici speciali previsti dal t.u.b. con conservazione del grado ipotecario del credito), diverso è il percorso argomentativo e pratico, passando in un caso attraverso una declaratoria di nullità che ben può avere riflessi ulteriori ed esterni (si pensi ad es. ai profili disciplinari collegati all’esercizio dell’attività notarile o, seppure all’interno di un più ampio quadro probatorio, ai possibili riflessi in ordine all’elemento soggettivo di eventuali illeciti civili o penali che siano tali da coinvolgere un imprenditore insolvente che sia successivamente dichiarato fallito o, come oggi prevede il nuovo Codice della crisi, posto in liquidazione giudiziale).

3. Alcune recenti decisioni di merito e la rimessione della questione alle Sezioni Unite.

La giurisprudenza di merito ha negli ultimi anni, in misura forse prevalente, almeno stando alle decisioni edite o rinvenibili sul punto, prestato adesione, all’orientamento più recente del S.C., fondato sugli effetti invalidanti che derivano dal superamento del limite di finanziabilità collegato alla fondiarietà del credito.

Secondo Trib. Bologna, 2 agosto 2021, in Riv. esec. forzata, 2022, deve ritenersi nullo il contratto di mutuo fondiario in cui sia stato superato il limite di finanziabilità previsto in base all’art. 38 comma 2 t.u.b. (ai fini della prova è stato dato rilievo alla perizia di parte prodotta dal debitore opponente relativa al valore dei cespiti ipotecati al momento della conclusione del contratto non accompagnata da una specifica contestazione dell’istituto di credito esecutante).

Nello stesso senso anche Trib. Busto Arsizio, 29 gennaio 2021, in www.iusexplorer, secondo cui la nullità è denunciabile dalla parte ed è altresì rilevabile d’ufficio dal giudice.

In precedenza, cfr. Tribunale Monza, 26 luglio 2019, in Riv. esec. forzata, 2020, secondo cui nell’accertamento in ordine al superamento del limite di finanziabilità dell’80% previsto per i mutui fondiari – in virtù del combinato disposto dell’art. 38 T.U.B. e della Delibera CICR del 22 aprile 1995 – si deve avere riguardo non al valore commerciale del bene immobile destinato a fungere da garanzia, bensì al suo valore cauzionale (c.d. mortgage lending value). Il superamento di tale limite di finanziabilità determinerebbe perciò la nullità del mutuo fondiario, suscettibile di conversione in un ordinario mutuo ipotecario. Peraltro, per potere procedere all’effettiva conversione di un fondiario nullo in un mutuo valido, occorrerebbe riguardare all’intento pratico oggettivo, tratto cioè dal puntuale esame del contesto delle circostanze proposte dal caso concreto, che viene a contraddistinguere l’operazione che è stata posta in essere (nella specie: l’assenza di perizia allegata al contratto di mutuo, l’assenza di riferimenti ai vantaggi propri della “fondiarietà” nel corso delle trattative, la qualità di soggetto non fallibile della mutuataria; non sarebbe invece di ostacolo il fatto che la banca si sia avvalsa della facoltà di notificare direttamente il precetto non preceduto dalla notifica del titolo).

Il tema può porsi frequentemente anche in sede di formazione dello stato passivo fallimentare. In tale ambito va ricordato Trib. Reggio Emilia, 22 luglio 2020, in www.ilcaso.it, il quale nell’accogliere la tesi prevalente della nullità derivata (salvo conversione) del mutuo fondiario erogato per un importo superiore al limite di finanziabilità, ha soggiunto che il relativo onere della prova spetta al creditore che avanzi la richiesta di partecipazione al concorso. Sul tema anche la recente decisione di Trib. Livorno, 16 dicembre 2021, in www.ilfallimentarista.it, secondo la quale la richiesta di conversione di un contratto di mutuo fondiario affetto da nullità in un valido mutuo ipotecario ordinario può essere svolta per la prima volta dalla banca anche con l’atto introduttivo dell’opposizione allo stato passivo.

Per l’adesione alla tesi della possibilità di giungere ad una riqualificazione del rapporto, piuttosto che ad una pronuncia incentrata sulla patologia negoziale, vds. invece Trib. S. Maria Capua a Vetere, 24 gennaio 2020, in Riv. esec. forzata, 2020, alla cui stregua si è sostenuto che la questione della violazione dell’art. 38 t.u.b. deve essere risolta sul piano della qualificazione giuridica del contratto, ritenendo che, al di là del nomen iuris utilizzato dalle parti, il mutuo – pur qualificato come fondiario – se non in regola con le disposizioni dell’art. 38 t.u.b. per intervenuto superamento del limite di finanziabilità, debba essere qualificato come mutuo ipotecario ordinario.

In questo senso anche la più recente decisione di Trib. Torino, 16 dicembre 2020, in www.giustiziacivile.com (con nota di METAFORA, Mutuo fondiario e superamento del limite di finanziabilità: conferma dalla giurisprudenza di merito alla tesi della riqualificazione del mutuo come ordinario, in www.giustiziacivile.com, 2021), il quale pur partendo dalla premessa che il limite di finanziabilità previsto dal secondo comma dell’art. 38 t.u.b. non esaurisce i suoi effetti sul piano della condotta dell’istituto di credito mutuante, ma è elemento essenziale per la valida qualificazione del contratto di mutuo come fondiario e, quindi, per l’applicabilità della relativa disciplina di privilegio, sostanziale e processuale, in favore del creditore, giunge a ritenere che il superamento di tale limite comporta la sua riqualificazione quale mutuo ordinario con disapplicazione della disciplina speciale di privilegio connessa al carattere fondiario del mutuo.

Anche Trib. Larino, 12 maggio 2020, inedita, ha seguito la tesi della riqualificazione contrattuale, rilevando che se pure è vero che il limite di finanziabilità presidia interessi di ordine generale e che lo stesso non esaurisce i propri compiti nella individuazione di semplici doveri comportamentali relativi al soggetto finanziante, ridondando piuttosto sull’oggetto contrattuale, è pur vero che non appare possibile ricorrere al rimedio invalidante caducatorio quante volte l’applicazione di tale conseguenza produrrebbe gli stessi effetti lesivi degli interessi presidiati, apparendo perciò più corretto ritenere che tale limite operi quale elemento sulla cui scorta procedere – o meno – alla riqualificazione del contratto quale ordinario mutuo ipotecario.

Sui rapporti fra fallimento ed esecuzione forzata intrapresa sulla scorta di un credito fondiario, cfr. sempre il Trib. Larino, 22 giugno 2021, in Riv. esec. forzata, 2021, secondo cui ai sensi del secondo comma del richiamato art. 41 t.u.b. l’esecuzione per credito fondiario, in deroga all’art. 51 l.fall., prosegue anche in caso di fallimento del debitore, salva la possibilità di intervento del curatore. La somma ricavata dall’esecuzione, eccedente la quota che in sede di riparto risulta spettare alla banca, viene attribuita al fallimento. Quindi, in presenza di un credito fondiario, la procedura esecutiva non solo prosegue, ma il credito della banca viene comunque soddisfatto, assegnandosi alla curatela solo la somma che sopravanza all’assegnazione (la prosecuzione della procedura, è stato precisato, avviene a meno che in sede fallimentare sia già stata ordinata la vendita prima che questa sia stata disposta dal Giudice dell’esecuzione, secondo un principio di prevenzione). L’ammissione al passivo è requisito per ottenere, già in seno all’esecuzione individuale, l’assegnazione provvisoria del ricavato dalla vendita, nel senso che il creditore fondiario perde il privilegio processuale quante volte non abbia depositato la domanda di insinuazione al passivo nel termine di cui all’art 101 l.fall. (oppure quando la domanda di ammissione, pur formulata, sia stata rigettata dal giudice delegato), a meno che non dimostri di non avervi provveduto per causa a lui non imputabile, a norma dell’ultimo comma del citato art. 101 l. fall. Di contro, egli avrà diritto all’assegnazione provvisoria quando il relativo termine non sia decorso, sebbene non si sia ancora formalmente insinuato al passivo.

Ma vds. anche Trib. Roma, 31 agosto 2020, ivi, secondo cui l’art. 41, comma 2 t.u.b., che prevede un’eccezione al divieto posto dall’art. 51 l.fall., in quanto accorda al creditore fondiario la facoltà di esercitare l’azione esecutiva individuale sui beni ipotecati anche in costanza di fallimento del debitore esecutato, è disposizione di stretta interpretazione che non può essere estesa analogicamente alla diversa ipotesi di sottoposizione del debitore esecutato alla liquidazione coatta amministrativa. Il giudice dell’esecuzione capitolino ha pertanto respinto l’opposizione agli atti esecutivi proposta dal creditore fondiario nei confronti del provvedimento che, in tale circostanza, abbia dichiarato l’improcedibilità dell’esecuzione forzata individuale.

Sembra invece ormai assodato l’orientamento che riconosce una nozione lata, molto ampia, all’operazione di mutuo fondiario, non necessariamente collegata come tale ad operazioni di carattere edilizio. Oltre alle decisioni del S.C. già citate, costituisce espressione di tale indirizzo Trib. Teramo, 24 maggio 2021, in www.iusexplorer.it, secondo cui il mutuo fondiario non costituisce un mutuo di scopo: il mutuo fondiario, infatti, rappresenta una forma speciale di mutuo ipotecario, che si caratterizza per i seguenti requisiti: durata a medio o lungo termine; garanzia data da ipoteca di primo grado su immobili; ammontare non superiore ad una certa percentuale del valore dell’immobile ipotecato. Nel mutuo di scopo, invece, il mutuatario si obbliga a realizzare l’attività programmata nel contratto e tale obbligazione integra la struttura del negozio, sia in relazione al profilo strutturale, perché il mutuatario non si obbliga solo a restituire la somma mutuata e a corrispondere gli interessi, ma anche a realizzare lo scopo concordato, sia in relazione al profilo funzionale, perché nel sinallagma assume rilievo essenziale proprio l’impegno del mutuatario a realizzare la prestazione attuativa.

Tale situazione di ampio dibattito, se non di aperto contrasto, che si innesta anche su una difforme ricostruzione del fenomeno contenuta in Cass. n. 17439/2019, ha portato all’adozione dell’ordinanza interlocutoria n. 4117, del 9 febbraio 2022, con la quale la sezione prima civile, ha rimesso gli atti al Primo Presidente, per l’eventuale assegnazione alle Sezioni Unite, della questione ritenuta di massima di particolare importanza se, “in tema di credito fondiario, in caso di superamento del limite di finanziabilità ex art. 38, comma 2, del d.lgs. n. 385 del 1993, il contratto debba considerarsi nullo, con possibilità, tuttavia, di conversione in ordinario finanziamento ipotecario ove ne sussistano i relativi presupposti, oppure se tale conseguenza non sia configurabile in assenza del carattere imperativo della norma violata”. Con l’ordinanza in parola, nella quale perspicuamente si rileva come l’accoglimento della tesi della nullità conduca, in effetti, al risultato, ritenuto forse paradossale, di pregiudicare ancor più quel valore della stabilità patrimoniale della banca che la norma intendeva proteggere, si sollecita il massimo organo di nomofilachia ad intervenire su un problema di interesse peculiare non solo dal punto di vista teorico (l’inserzione o meno di prescrizioni comportamentali nella struttura genetica dell’atto negoziale), ma anche per le sue importanti ricadute pratiche, sui settori delle esecuzioni forzate e delle procedure concorsuali.

4. La pronuncia delle Sezioni Unite n. 33719/2022.

La rimessione alle Sezioni Unite aveva fatto pensare ad un possibile ripensamento dell’indirizzo in quel momento maggioritario, da cui si faceva derivare la nullità – salvo tempestiva istanza di conversione – del mutuo fondiario non linea con le prescrizioni circa il limite di finanziabilità del citato art. 38 t.u.b. Tale previsione sembrava, anzi, rafforzata dall’adozione di una interessante ordinanza interlocutoria, resa da Cass. civ., Sez. 3, n. 7509/2022, non massimata, che nel rinviare a nuova udienza la decisione di un ricorso, in attesa della pronuncia delle Sez. Un., aveva dettato importanti spunti sul tema, riprendendo i contenuti relativi alla tutela non invalidante già presenti nella più volte citata Cass. n. 17439/2019.

In qualche modo forse inattesa, invece, è alfine pervenuta la parola delle Sezioni Unite n. 33719/2022, le quali hanno sì rilevato che il superamento del limite di finanziabilità non può avere effetti invalidanti sul singolo contratto di mutuo fondiario, ma fondando tale conclusione non tanto sul ragionamento, come anticipato, della possibile riqualificazione del negozio quale ordinario mutuo ipotecario, quanto più radicalmente riaffermando la validità del più antico orientamento del S.C., in ordine alla irrilevanza di tale superamento sul piano degli effetti patologici del singolo contratto.

Secondo Cass. civ., S.U., 16 novembre 2022, n. 33719, infatti, il limite di finanziabilità ex art. 38, comma 2, del d.lgs. n. 385 del 1993, non costituisce un elemento essenziale del contenuto del contratto, non essendo la predetta norma determinativa del contenuto medesimo, né posta a presidio della validità del negozio, bensì un elemento meramente specificativo o integrativo dell’oggetto contrattuale, fissato dall’Autorità di vigilanza sul sistema bancario nell’ambito della c.d. “vigilanza prudenziale”, in forza di una norma di natura non imperativa, la cui violazione è, dunque, insuscettibile di determinare la nullità del contratto (nella specie, del mutuo ormai erogato cui dovrebbe conseguire anche il venir meno della connessa garanzia ipotecaria), il che potrebbe condurre al pregiudizio proprio di quell’interesse alla stabilità patrimoniale della banca e al contenimento dei rischi nella concessione del credito che la disposizione mira a proteggere.

Il massimo organo di nomofilachia ha quindi escluso, in primis, la possibilità di configurare una ipotesi di nullità testuale del contratto per superamento del limite massimo di finanziabilità, in mancanza di una espressa previsione normativa in tal senso, non riscontrabile nell’art. 117, comma 8, t.u.b. Ma la S.C. ha altresì escluso che detto superamento possa determinare una nullità virtuale del singolo negozio di mutuo assistito da garanzia fondiaria,  posto che detta prescrizione – riguardando, in prima battuta, il rapporto dell’organismo di vigilanza con le banche vigilate, tenute a conformarvisi nel rapporto a valle con i terzi clienti mutuatari – non consente automaticamente di trasferire sul piano del rapporto negoziale con questi ultimi (e del relativo sinallagma contrattuale) le conseguenze delle condotte difformi delle banche. Ed allora, l’art. 38 t.u.b. citato (in uno con la delibera attuativa del 1995) non ha natura imperativa, non delinea un requisito per il quale (il valore dell’immobile) sussista un onere di indicazione nel singolo contratto assistito dalla forma scritta ad substantiam, potendo rilevarsi da documenti estrinseci e preparatori. Secondo le S.U., quindi, la nullità potrebbe essere predicabile per violazione di norme di fattispecie o di struttura negoziale solo se immediatamente percepibili dal testo contrattuale, senza laboriose indagini rimesse a valutazioni tecniche opinabili compiute ex post da esperti del settore, come sono invece quelle compiute dai periti cui sia demandato il compito di stimare il bene, ai fini del giudizio sul rispetto del limite di finanziabilità. Il rischio, osservano i giudici di legittimità, è di minare la sicurezza dei traffici e di esporre il contratto in corso a intollerabili incertezze derivanti da eventi successivi alla sua conclusione. Secondo la Corte, anche ove all’artt. 38, comma 2 t.u.b. volesse attribuirsi il rango di norma imperativa (pure escluso in motivazione), “non ogni violazione di norma imperativa può dare luogo ad una nullità contrattuale, ma solo quella che pone il contratto in contrasto con lo specifico interesse che la norma imperativa intende tutelare”. E lo scopo perseguito dalla disposizione, quello della stabilità patrimoniale delle banche erogatrici mutui assistiti da ipoteca fondiaria, ossia un interesse distinto da quello perseguito in occasione del singolo affare dagli specifici contraenti, sarebbe paradossalmente messo in discussione proprio dalle conseguenze derivanti dall’invalidazione del singolo contratto. Infatti, “la comminatoria della nullità del contratto di mutuo (oltre che dell’accessoria garanzia ipotecaria) retrocederebbe la pretesa della banca mutuante a mera pretesa chirografaria fondata sulla generica ripetizione dell’indebito oggettivo ai sensi dell’art. 2033 c.c.: così vanificandosi l’obiettivo di una sana e prudente gestione volta a prevenire il rischio di sovraesposizione della banca, articolato sull’esigenza di assicurare alla banca il recupero dell’importo finanziato in sede di esecuzione forzata”. Pertanto, in definitiva, la violazione del limite di finanziabilità non si traduce in un impatto sulla struttura o l’oggetto del contratto che possa produrre conseguenze di carattere (virtualmente) invalidanti, ma attiene al diverso rapporto – anche disciplinare e sanzionatorio – fra autorità di vigilanza e singoli istituti di credito, senza che, giova aggiungere, vi sia neppure spazio per una riqualificazione del negozio in difformità da quanto le parti hanno effettivamente voluto.

Si tratta di conclusioni di rilievo, che hanno già prodotto un primo e vivace dibattito dottrinale, in grado, forse, di condurre ad un ripensamento delle categorie contrattuali e dei profili relativi alle c.d. nullità protettive, qualora i principi che ne sono alla base fossero ribaditi in altri settori (si pensi a quello dell’intermediazione finanziaria o dell’erogazione di servizi in mercati vigilati, come quelli dell’energia). (Per ulteriori spunti di approfondimento, vds. BENCINI, Le SS.UU. escludono la nullità e la riqualificazione del mutuo fondiario concesso oltre il limite di finanziabilità, in Diritto giust., 2022; FIORUCCI, Credito fondiario: il superamento del limite di finanziabilità non determina la nullità del contratto, in il Societario, 2022; MORLINI, Le sezioni unite risolvono il contrasto giurisprudenziale, in inExecutivis, 2022; PEZZELLA, Nota a Cass. sez. un., 16/11/2022, n. 33719, in Giustiziacivile.com, 2023).

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