1. La scelta legislativa della composizione negoziata.

Con il Decreto Legge 24 agosto 2021, n. 118, recante misure urgenti in materia di crisi di impresa e di risanamento aziendale (c.d. decreto crisi d’impresa), convertito con modificazioni in L. 21 ottobre 2021, n. 147 ed in vigore per la parte che qui interessa dal 15 novembre 2021, è stata introdotta nell’ordinamento nazionale la procedura di composizione negoziata della crisi, nuovo istituto volontario – a cui si accede tramite una piattaforma telematica nazionale – che offre all’imprenditore, sia esso commerciale o agricolo ed indipendentemente dalle dimensioni della propria attività, l’affiancamento di un esperto terzo e indipendente per agevolare, in maniera riservata, le trattative con i creditori[1].

L’esigenza di dar vita all’istituto in commento è stata avvertita in una fase emergenziale in cui il legislatore nazionale era mosso da spinte contrapposte, quella di introdurre un efficace strumento di precoce ristrutturazione aziendale per imprese in condizioni di squilibrio patrimoniale o economico-finanziario ma ancora risanabili e quella di dilazionare l’entrata in vigore integrale del Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza (decreto legislativo 12 gennaio 2019, n. 14) come modificato con il c.d. primo correttivo (decreto legislativo 26 ottobre 2020, n. 147)[2].

Il Codice, destinato ad ulteriore revisione in vista della completa attuazione della Direttiva (UE) 2019/2013 del Parlamento Europeo e del Consiglio (nota come Direttiva Insolvency), aveva infatti individuato, per consentire l’emersione e la soluzione anticipata della crisi d’impresa, strumenti come l’allerta esterna e la composizione assistita della crisi affidata ad un collegio di tre esperti (l’OCRI) che, concepiti in un sistema economico non ancora sconvolto dalle conseguenze della crisi pandemica, sono apparsi nel mutato contesto troppo costosi e burocratizzati, oltre che veicolati in larga misura all’iniziativa esterna (organi di controllo societari e creditori pubblici qualificati) senza una reale garanzia di partecipazione attiva del debitore, come invece richiesto dalla disciplina unionale[3].

La composizione negoziata, avendo abbattuto i costi di accesso e gli snodi procedurali, disegnato con maggiore precisione il ruolo dell’esperto, quale facilitatore delle trattative tra l’impresa e i creditori[4] e non già mero controllore, nonché affidato l’accesso allo strumento in via esclusiva all’iniziativa volontaria del debitore, è apparsa maggiormente compatibile con le finalità della direttiva europea tanto che il secondo correttivo (decreto legislativo 17 giugno 2022, n. 83) ha scelto di innestare la disciplina del D.L. 118/2021 nel corpo del C.C.I.I., sostituendo integralmente il Titolo II originariamente rubricato “procedure di allerta e di composizione assistita della crisi” ed ora invece “composizione negoziata della crisi, piattaforma unica nazionale, concordato semplificato e segnalazioni per la anticipata emersione della crisi” .

L’istituto ha conservato tutte le caratteristiche già delineate dal decreto crisi di impresa, ovvero: a) la natura prettamente stragiudiziale, affidata alla conduzione di un professionista esperto, se del caso coadiuvato da suoi ausiliari, essendo l’intervento del giudice, come si dirà nel paragrafo successivo, limitato alla sola fase, peraltro eventuale, di accesso alle misure protettive e cautelari (art. 19 C.C.I.I.) e di rilascio di autorizzazioni per finanziamenti prededucibili o trasferimenti aziendali (art. 22 C.C.I.I.); b) l’iniziativa esclusiva affidata all’imprenditore (art. 12 co. 1 C.C.I.I.) sia pure temperata dagli obblighi di segnalazione interna – rivolti cioè esclusivamente all’imprenditore o all’organo amministrativo per le imprese in forma societaria – a cui sono tenuti gli organi di controllo e i creditori pubblici qualificati (artt. 25 octies e 25 novies C.C.I.I.); c) la natura non concorsuale del procedimento, in cui non è previsto né il necessario coinvolgimento di tutti i creditori né il rispetto di particolari regole di trattamento degli stessi ed il cui esito, sia esso positivo o negativo, è sottratto al controllo del giudice (art. 23 C.C.I.I.); d) l’assenza di ogni coinvolgimento del pubblico ministero pure nei casi di situazioni di insolvenza che interessino imprese sopra soglia, essendo escluso sia il potere di intervento nella procedura sia l’obbligo di segnalazione da parte dell’esperto, salvo i casi in cui sia stata investita l’autorità giudiziaria per la concessione di misure protettive e cautelari (art. 12 co. 3 C.C.I.I.). 

2. L’intervento del giudice – le misure protettive e cautelari

La composizione negoziata non è uno strumento di regolazione della crisi e dell’insolvenza, secondo la definizione data dall’art. 2 lett. m-bis C.C.I.I., in quanto si svolge in un contesto stragiudiziale, non scandito dalla disciplina del procedimento unitario di cui agli artt. 37 e ss. C.C.I.I. ed affidato in primis all’iniziativa e all’autoresponsabilità dell’imprenditore. Quest’ultimo, pur rimanendo pienamente al timone della propria azienda senza subire alcuna forma di spossessamento neppure attenuato, deve prestare ossequio a regole di buona fede nella gestione delle trattative, fornendo all’esperto, ai creditori e ad ogni altro soggetto interessato dal processo di risanamento informazioni chiare e complete sulla propria situazione finanziaria, economica e patrimoniale, e gestendo la propria attività in modo da non pregiudicare ingiustamente gli interessi dei creditori (art. 16 co. 4 C.C.I.I.).

Dopo l’avvio della procedura con la nomina dell’esperto l’interessato può dunque continuare a compiere atti di ordinaria e straordinaria amministrazione senza necessità di autorizzazione giudiziale, soddisfare crediti sorti anteriormente all’avvio del procedimento, costituire diritti di prelazione su base volontaria, godendo anche dell’esenzione da revocatoria quando tali negozi siano coerenti con l’andamento e lo stato delle trattative e con le prospettive di risanamento esistenti nel momento in cui sono posti in essere (art. 24 C.C.I.I.)[5].

Il legislatore ha però avvertito che la libera gestione del patrimonio, pur indirizzata dall’esperto in funzione del buon esito delle trattative e protetta con l’esenzione da revocatoria, non può essere da sola garanzia sufficiente di un proficuo processo di ristrutturazione ove la stessa non sia accompagnata dalla disponibilità di un ombrello protettivo volto a prevenire la condotta di creditori spinti da interessi particolari non coerenti con le finalità di risanamento aziendale, ma anzi finalizzate a conseguire posizioni di vantaggio competitivo in vista della possibile apertura di una procedura concorsuale (considerando 32 della Direttiva Insolvency).

Il contesto in cui vengono richieste, anticipato rispetto alla regolazione giudiziale della crisi e dell’insolvenza ed estraneo ai dettami della concorsualità, e le finalità che esse perseguono (garanzia della continuità aziendale e salvaguardia del buon esito delle trattative) danno ragione di alcune peculiari caratteristiche delle misure protettive e cautelari nella composizione negoziata. [6]

Esse si connotano:

– per essere fruibili in una fase anteriore all’apertura della procedura concorsuale e dunque in un momento in cui il debitore è nella piena e libera disponibilità del suo patrimonio;

– per non essere necessariamente strumentali all’apertura di una procedura concorsuale, bensì esclusivamente a favorire il buon esito di trattative fra privati, luogo privilegiato di confronto per il risanamento precoce dell’impresa, per cui esse non sono destinate a realizzare la massima soddisfazione dei creditori, bensì a porre i negoziati al riparo da iniziative opportunistiche o ostruzionistiche di questi ultimi, con il solo limite del “pregiudizio sproporzionato”;

– per essere potenzialmente selettive, ovvero destinate a limitare le iniziative di singoli creditori o categorie di essi (con espressa esclusione dei diritti di credito dei lavoratori);

– per essere destinate a salvaguardare non solo il patrimonio del debitore, ma più in generale il complesso dei beni produttivi organizzati dall’imprenditore, anche se di proprietà di terzi;

– per essere concesse su richiesta del debitore e non dei creditori o del pubblico ministero[7].

Proprio l’esigenza di un bilanciamento degli interessi coinvolti ha reso indispensabile l’intervento del giudice, attraverso la previsione di una fase giudiziale incidentale al percorso di composizione negoziale regolata dal procedimento di cui all’art. 19 C.C.I.I.

Al giudice è attribuita una innovativa funzione di garante del delicato equilibrio fra i contrapposti interessi delle parti, essendo allo stesso demandato di:

– tutelare i creditori e i terzi da potenziali abusi dello strumento protettivo e cautelare verificando, con l’ausilio dei professionisti coinvolti (l’esperto e l’ausiliario) l’effettiva esistenza delle condizioni per la loro concessione;

– stabilire la durata delle misure, in prima battuta compresa fra i trenta e i centoventi giorni, successivamente prorogabile, su istanza “delle parti”[8], fino a non oltre duecentoquaranta giorni[9];

–  revocare o abbreviare i termini delle misure su richiesta dello stesso imprenditore o dei creditori, quando sproporzionate rispetto al sacrificio che esse arrecano ai creditori o terzi, ovvero, su segnalazione dell’esperto, quando quest’ultimo abbia iscritto il proprio dissenso contro atti incoerenti con il buon esito delle trattative ovvero addirittura pregiudizievoli per gli interessi del ceto creditorio.

Due sono le categorie di misure invocabili dall’imprenditore che abbia avuto accesso alla composizione negoziata, le protettive e le cautelari.

Le misure protettive sono tipizzate dall’art. 18 C.C.I.I.[10] e comprendono: a) divieto per i creditori di iniziare o proseguire azioni esecutive e cautelari, ma con un’innovativa estensione dell’ombrello protettivo anche ai beni ed ai diritti con i quali è esercitata l’attività di impresa se appartenenti a terzi[11]; b) divieto per i creditori di acquisire diritti di prelazione (es. ipoteche giudiziali e legali), con esclusione di quelli concordati con l’imprenditore; c) limitazione delle facoltà di autotutela negoziale per i contraenti che abbiano in essere rapporti pendenti a fronte di inadempimenti anteriori dell’imprenditore, con conseguente divieto, per la durata delle misure, di rifiutare l’esecuzione delle prestazioni, di risolvere il contratto, di modificarlo o anticiparne la scadenza (inibitoria delle clausole ipso facto), purché il debitore esegua regolarmente le prestazioni successive all’apertura del procedimento[12]; d) il divieto di apertura della liquidazione giudiziale o di accertamento dello stato di insolvenza, salva la facoltà per i creditori, il pubblico ministero e gli organi di controllo di avviare e proseguire il procedimento unitario (anche formulando istanze cautelari ai sensi dell’art. 54 co. 1 C.C.I.I.)[13].

Sul piano applicativo le misure in questione hanno efficacia in via automatica già al momento della pubblicazione dell’istanza nel registro delle imprese da parte dell’imprenditore, ma perché tali effetti permangano occorre che sia altresì avviata, entro il giorno successivo, la procedura giudiziale di conferma e fissazione del termine di durata ai sensi dell’art. 19 C.C.I.I. (misure semiautomatiche).

La regola citata mi pare, diversamente da quanto da molti sostenuto sotto il vigore del D.L. 118/2021, debba valere oggi anche per l’inibitoria della sentenza di liquidazione giudiziale, atteso che il C.C.I.I. àncora l’effetto protettivo in questione alla durata delle misure protettive sancendone il venir meno con la revoca di queste ultime. Appare allora oggi più convincente la tesi secondo cui non è possibile per il debitore invocare la tutela inibitoria nel procedimento unitario avviato nei suoi confronti sulla scorta della sola pubblicazione dell’istanza del registro delle imprese, occorrendo invece anche l’avvio della procedura giudiziale di conferma, di guisa che è rimessa al giudice nominato ai sensi dell’art. 19 C.C.I.I. e non a quello del procedimento unitario ogni valutazione sulle eventuali istanze di revoca proposte dai creditori[14].

L’unica eccezione al necessario vaglio di conferma da parte del giudice, è rappresentata dall’esenzione temporanea “sino alla conclusione delle trattative”, per le società di capitali che intendano avvalersene, dagli obblighi di ricapitalizzazione per perdite superiori ad un terzo o al di sotto del limite legale e di scioglimento per riduzione o perdita del capitale sociale (art. 20 C.C.I.I.), essendo all’uopo sufficiente la pubblicazione di una dichiarazione successiva con la quale l’amministratore dichiari di volersene avvalere, benché anche in questo caso il Codice della Crisi abbia opportunamente precisato che la revoca di eventuali altre misure protettive richieste funge da causa di automatica cessazione degli effetti sospensivi sanciti dalla norma.

Il procedimento di conferma delle misure protettive consta dunque di due fasi, da attivare “quasi” contestualmente, quella amministrativa che richiede la pubblicazione dell’istanza di applicazione delle misure protettive[15] e quella giudiziale che impone, a pena di decadenza, l’iscrizione a ruolo, entro il giorno successivo[16], del procedimento per la conferma/modifica dinanzi al giudice territorialmente competente, ovvero individuato tenendo conto del centro principale di interessi dell’impresa, presuntivamente coincidente con la sede legale.

Il giudice, in composizione monocratica, verificata preliminarmente la propria competenza e la completezza documentale, appurato che non siano pendenti procedure per la regolazione della crisi ad iniziativa del debitore, ovvero che le stesse non siano state rinunciate da meno di quattro mesi (art. 25 quinquies C.C.I.I.), ed accertato il rispetto del termine perentorio per il deposito del ricorso[17], procede alla fissazione dell’udienza entro dieci giorni, pena l’inefficacia delle misure protettive[18], che restano in tal caso liberamente riproponibili.

L’udienza, che, pur in assenza di una rigida previsione in tal senso[19], dovrà ragionevolmente tenersi in un arco temporale compreso fra i quindici e i trenta giorni dal deposito del ricorso, si svolge in camera di consiglio nel rispetto delle disposizioni sul rito camerale uniforme[20], preferibilmente con modalità telematiche e nel rispetto delle sole formalità indispensabili al contraddittorio, sicché appare perlomeno necessario che ogni terzo potenzialmente destinatario delle misure richieste sia coinvolto sin da questa fase.

Il giudicante, sentite le parti e chiamato l’esperto “ad esprimere il proprio parere sulla funzionalità delle misure richieste ad assicurare il buon esito delle trattative”[21], può assumere informazioni dai creditori ed avvalersi di un proprio ausiliario per risolvere eventuali questioni che richiedano una competenza tecnica specifica, quindi provvede con ordinanza con cui conferma, modifica o revoca le misure già temporaneamente efficaci e ne stabilisce la durata.

L’ordinanza è pubblicata nel registro delle imprese su richiesta del cancelliere ed è reclamabile al Collegio ai sensi dell’art. 669 terdecies c.p.c.

Accanto alle misure protettive il legislatore ha voluto prevedere anche misure cautelari, la cui principale caratteristica, in assenza di altra specifica indicazione, pare essere proprio l’atipicità, dovendo esse intendersi comprensive, come si ricava dall’art. 2 lett. q) C.C.I.I., di ogni altro provvedimento che sia idoneo ad “assicurare provvisoriamente il buon esito delle trattative”.

Si aggiunge che, diversamente dalle protettive, quelle cautelari sono misure concesse dal giudice, ovvero non soggette ad alcuna efficacia automatica neppure provvisoria, salva la possibilità di ottenerne l’adozione inaudita altera parte, con posticipata instaurazione del contraddittorio con i creditori interessati.

Resta da chiedersi, vista la suesposta identica finalità di misure protettive e cautelari e la comune iniziativa riservata all’imprenditore, la ragione della distinzione normativa fra i due strumenti non solo sul piano terminologico ma anche procedurale.

L’intervento giudiziale preventivo richiesto per i provvedimenti cautelari si giustifica a ben vedere per almeno due ragioni: la prima è che mentre le misure protettive sono tipiche e rappresentano un numerus clausus, sicché la discrezionalità dell’imprenditore nella fase di loro prima applicazione è ridotta sostanzialmente all’individuazione selettiva dei diritti/beni o dei creditori/categorie di essi su cui sono destinate ad operare, le misure cautelari sono invece atipiche ed innominate, e ciò impone una verifica rafforzata sull’effettiva loro strumentalità e direi opportunità rispetto agli scopi della procedura (buon esito delle trattative); la seconda è che mentre le misure protettive operano tendenzialmente nei confronti dell’universalità dei creditori, analogamente alle consimili previste nelle procedure concorsuali, o di una fetta più o meno ampia di essi che ne siano “interessati”, le misure cautelari richiedono necessariamente nell’oggetto della domanda giudiziale l’individuazione del destinatario sui cui diritti o facoltà andrà ad “incidere”.

Tale ultima distinzione si riverbera anche sull’estensione dei poteri del giudice che, nel caso delle misure cautelari si limita alla concessione del provvedimento, mentre nel caso delle misure protettive, attraverso la “modifica”, modella il sistema di protezione alle concrete esigenze della composizione negoziata in corso a seguito dell’audizione delle parti e dell’esperto.

Essendo i provvedimenti cautelari per definizione atipici, appare del tutto superfluo, almeno in questa prima fase applicativa, tentare di fornirne un elenco anche solo esemplificativo, essendo peraltro assai verosimile che essi saranno particolarmente utilizzati per ottenere la sospensione (non già lo scioglimento, stante la loro natura appunto cautelare e provvisoria) di contratti pendenti non utili alla prosecuzione dell’impresa o addirittura dannosi, analogamente a quanto previsto dall’art. 97 C.C.I.I., trattandosi in tal caso di una cautela non rientrante nel perimetro delle misure protettive, le quali, come appena visto, attendono all’opposta finalità della conservazione dei contratti essenziali[22].

Più utile appare dunque l’individuazione dei limiti estrinseci delle misure cautelari, onde poter selezionare in termini più generali le tutele incompatibili con le caratteristiche e/o la funzione che ad esse riconosce la legge.

E dunque può ben considerarsi che i provvedimenti cautelari: a) sono provvedimenti provvisori perché strumentali al buon esito di trattative e per questo motivo soggetti ad un termine di durata, sicché è da escludere che possano comportare un definitivo mutamento di una situazione giuridica in essere, come ad esempio lo scioglimento di un contratto o la rinuncia ad un credito; b) sono strumentali al solo svolgimento delle trattative e al loro buon esito, non già, o comunque non necessariamente, all’apertura di una procedura concorsuale, sicché è da escludere che essi consentano la produzione anticipata di effetti che trovano ragione nella tutela della par condicio creditorum (es. inefficacia delle ipoteche iscritte nei novanta giorni anteriori o restituzione di pagamenti ricevuti nel periodo sospetto); c) sono provvedimenti idonei ad incidere in termini inibitori su diritti di creditori e terzi onde preservare il patrimonio del debitore e i rapporti negoziali funzionali all’esercizio dell’impresa, ma non ad ottenere coattivamente l’esecuzione di nuove prestazioni, il conseguimento di utilità altrimenti non dovute o l’instaurazione di nuovi rapporti giuridici, ragion per cui è da escludere la concessione di nuovi affidamenti bancari, l’erogazione di nuove prestazioni, la reviviscenza di contratti già risolti, ovvero anche il rilascio del DURC in assenza delle condizioni legittimanti.[23]

Il rito per la concessione delle misure cautelari non si discosta da quello delle misure protettive, ma è evidente che in questo caso non operano i termini di decadenza per l’iscrizione a ruolo e la fissazione dell’udienza, atteso che in ogni caso gli effetti protettivi possono prodursi solo con il provvedimento del giudice e non in via anticipata.  Se poi vi sia stata concessione inaudita altera parte di misure cautelari l’udienza va senz’altro fissata nei quindici giorni successivi, in applicazione del disposto dell’art. 660 sexies c.p.c..

3. I presupposti per la concessione delle tutele protettive nella composizione negoziata

Si è già accennato delle verifiche che il giudice è chiamato a svolgere al momento della fissazione dell’udienza, sostanzialmente limitate alla propria competenza, all’assenza di condizioni processuali impeditive e alla completezza documentale.

Ogni altra indagine sulle sussistenza delle condizioni soggettive ed oggettive che consentono all’imprenditore l’accoglimento delle istanze cautelari e protettive proposte deve essere compiuta in udienza sentite le parti ed acquisito il parere dell’esperto l’esperto.

La comune finalità della tutela cautelare e protettiva, così come il rinvio del legislatore alla disciplina del rito cautelare uniforme, suggerisce di ritenere in linea generale che in entrambi i casi il sindacato del giudice si estenda al fumus boni iuris e al periculum in mora, declinati in funzione delle peculiari finalità del procedimento in esame[24].

Partendo dal fumus boni iuris, esso impone l’accertamento dell’esistenza di uno stato di crisi o di insolvenza, sia essa prospettica o già concretizzatasi, ma sempre reversibile, ovvero tale da rendere tuttora perseguibile secondo un criterio di ragionevolezza (ovvero di concreta probabilità) il risanamento.

Si ritiene di condividere al riguardo la tesi di quanti ritengono compatibile con la procedura di composizione negoziata una situazione di insolvenza già in atto, tradottasi cioè in inadempimenti o altri indici che manifestino l’incapacità di regolare adempimento delle obbligazioni, purché tale condizione, alla stregua del piano e del percorso di ristrutturazione intrapreso, appaia ragionevolmente reversibile. Non troverebbero viceversa spiegazione le disposizioni che consentono di sospendere non solo le procedure esecutive future ma anche quelle già in atto e di disinnescare le clausole ipso facto di contratti già parzialmente inadempiuti[25].

La verifica delle richiamate condizioni legittimanti, da compiersi in via sommaria tenuto conto delle caratteristiche dell’accertamento cautelare, non può evidentemente basarsi sulla sola autodichiarazione del ricorrente, sia pure motivata sulla scorta di criteri di ragionevolezza e proporzionalità (art. 19 co. 2 lett. e) C.C.I.I.), ma richiede l’esame di precisi riscontri intrinseci ed estrinseci.

Il giudice è chiamato infatti, anzitutto, ad acquisire un preciso e dettagliato parere dell’esperto che, sebbene ex lege limitato alla funzionalità delle misure richieste al buon esito delle trattative, deve necessariamente estendersi, quale mezzo istruttorio privilegiato, ai seguenti ulteriori aspetti: I) gli esiti del test pratico finalizzato ad individuare la complessità del risanamento, nonché a stabilire, conseguentemente, la tipologia degli interventi da compiere per raggiungere nuovamente l’equilibrio finanziario, economico e patrimoniale; II) la veridicità e credibilità dei dati contabili forniti dall’imprenditore, anche quale elemento di riscontro della corretta valutazione delle difficoltà del risanamento aziendale; III) l’analisi di coerenza fra gli esiti del test ed il piano, la cui produzione in giudizio, sia pure sotto forma di mero progetto, è oggi opportunamente prevista dall’art. 19 co. 2 lett. d) C.C.I.I. sin dall’avvio della procedura; IV) la valutazione di fattibilità del piano consistente nella vaglio critico delle premesse e degli obiettivi del progetto, attraverso adeguati riscontri ed eventuali proposte di modifica.

Si avverte dunque che è di particolare pregnanza in questa fase processuale l’accertamento degli esiti del test pratico regolato dalla Sezione I del Decreto Direttoriale del 28/09/2021, atteso che esso restituisce il grado di difficoltà della ristrutturazione sulla base di indici oggettivi, ovvero come frazione matematica fra l’entità del debito che deve essere ristrutturato (A) ed i flussi annui che la gestione dell’impresa è mediamente in grado di generare a regime (B), individuando precisamente le voci da collocare al numeratore e al denominatore.

Al risultato generato dal rapporto in questione corrisponde, secondo il citato decreto, un diverso percorso di ristrutturazione al quale deve conformarsi il piano predisposto dall’imprenditore, sicché: se fino ad un risultato compreso fra 1 e 2 appare sufficiente l’analisi di fattibilità del solo piano finanziario potendo l’andamento corrente assicurare da solo il risanamento; a partire da un risultato che si avvicina a 3 l’analisi va estesa alla credibilità del piano industriale ed alla sua capacità di generare flussi aggiuntivi in una prospettiva di continuità diretta; in presenza di un risultato prossimo a 5/6 deve invece presumersi, fino a prova contraria, l’incapacità dell’impresa di generare margini operativi sufficienti al risanamento del debito e dunque può rendersi necessario che il piano preveda la cessione dell’azienda.

Alle suddette ipotesi, riferite ad aziende capaci di assicurare comunque un margine operativo attraverso i flussi di continuità, si aggiunge quella di aziende in condizioni di squilibrio economico a regime e dunque incapaci di generare utilità anche in via prospettica, per le quali assume decisiva rilevanza l’analisi di un  piano economico nel quale siano riportati gli effetti di scelte strategiche di discontinuità che possano favorire un aumento dei ricavi e una contrazione dei costi (attraverso interventi su processi produttivi o nuovi modelli di business, giungendo fino alla cessione o cessazione di rami d’azienda o all’aggregazione con altre imprese).

Passando all’esame dell’ulteriore presupposto, ovvero il periculum in mora, esso consiste nell’accertare il rischio che la mancata concessione delle misure possa pregiudicare l’andamento e il buon esito delle trattative.

L’indagine richiesta, anch’essa basata preliminarmente sul vaglio del parere dell’esperto, si estende almeno a tre distinti profili: a) anzitutto l’esistenza di concrete trattative in fase di avvio o già in corso e la conduzione delle stesse con correttezza e buona fede in modo da garantire ai creditori interessati una completa informazione; b) in secondo luogo la strumentalità delle misure protettive attivate dall’imprenditore rispetto al buon esito delle trattative; c) in terzo luogo il contemperamento dei contrapposti interessi in modo che le misure non risultino sproporzionate rispetto al pregiudizio in concreto arrecato ai creditori.

Sotto il primo profilo è indispensabile che sia anzitutto verificata la collaborazione prestata dall’imprenditore, il quale “ha il dovere di rappresentare la propria situazione all’esperto, ai creditori e agli altri soggetti interessati in modo completo e trasparente e di gestire il patrimonio e l’impresa senza pregiudicare ingiustamente gli interessi dei creditori” (art.16 co. 4 C.C.I.).

Sebbene, infatti non si faccia menzione alcuna degli atti in frode quale ragione ostativa alla concessione delle misure, non pare che possa escludersi un sindacato sulle condotte decettive dell’imprenditore che abbia tenuto nascosto ai creditori un qualche fatto essenziale alla conclusione degli accordi o abbia omesso di fornire all’esperto documentazione necessaria a ricostruire la sua situazione economica e patrimoniale, tanto più che la completa rappresentazione delle condizioni patrimoniali, economiche e finanziarie è imposta dall’articolato corredo documentale che deve accompagnare l’istanza giudiziale.

Il secondo ed il terzo profilo impongono infine un attento bilanciamento fra la misura proposta e l’interesse contrapposto del creditore interessato, atteso che il legislatore intende prevenire ingiustificati pregiudizi da quest’ultimo subiti, quali, a titolo meramente esemplificativo, l’estensione della misura a beni o attività posti a garanzia del credito che siano estranei al processo di risanamento e alle esigenze di continuità aziendale, ovvero il venir meno di importanti flussi finanziari quando si esponga in tal modo l’avente diritto a crisi di liquidità gravi o alla perdita della continuità aziendale, fino all’apertura di una procedura di insolvenza a suo carico, senza alcun vantaggio compensativo.

Vi è da chiedersi peraltro se l’accertamento dell’esistenza di un’opposizione da parte di una fetta consistente dei creditori possa di per sé escludere l’opportunità delle misure, sul presupposto che essa precluderebbe uno dei possibili esiti della procedura di composizione negoziata, vale a dire l’approdo ad uno strumento di regolazione che preveda il consenso una maggioranza qualificata (accordo di ristrutturazione, concordato preventivo).

L’ipotesi descritta è disciplinata dall’art. 6 co. 9 lett. a) della Direttiva Insolvency che appunto prevede la possibilità di revoca delle misure protettive “se risulta evidente che una parte dei creditori che ai sensi del diritto nazionale può impedire l’adozione del piano di ristrutturazione non appoggia la continuazione delle trattative”.

E tuttavia in assenza di analoga espressa previsione, come invece accade per esempio nella disciplina delle misure prodromiche alla presentazione di un accordo di ristrutturazione (54 co. 3 C.C.I.I.), appare difficile che in un simile scenario il giudice formuli una prognosi di esito negativo delle trattative e respinga la domanda di concessione delle misure nella composizione negoziata, tanto più che fra i possibili sbocchi della procedura de qua ve ne sono alcuni che prescindono da ogni regola maggioritaria (es. il contratto di composizione negoziata della crisi, l’accordo che produce gli effetti del piano di risanamento attestato o, in caso di esito negativo delle trattative, il concordato semplificato)[26].


[1] La disciplina della composizione negoziata si completa con il Decreto Direttoriale 28/09/2021 attualmente in vigore, documento suddiviso in cinque sezioni che concernono il Test pratico sulla ragionevole perseguibilità del risanamento (sezione I), la Check List per la redazione del piano (Sezione II), il Protocollo di conduzione della composizione negoziata (Sezione III), la formazione degli esperti (Sezione IV) e la Piattaforma (Sezione V).

[2] Si soffermano sull’analisi del contesto socio economico in cui ha lavorato la Commissione istituita presso il Ministero della Giustizia con d.m. 22/04/2021, I. Pagni e M. Fabiani, in La transizione dal codice della crisi alla composizione negoziata e viceversa, in Diritto della Crisi, Numero speciale Nov. 2021, p. 7 e ss.

[3] Si rimanda per un’analisi approfondita dei profili di incompatibilità fra lo strumento della composizione assistita e la Direttiva Insolvency al contributo di P. Vella, Le finalità della composizione negoziata e la struttura del percorso. Confronto con il CCII, in Il Fallimento, 2021, p. 1489 e ss.

[4] Si rimanda all’attenta analisi del ruolo dell’esperto svolta da F. Michelotti, La gestione dell’impresa e il ruolo dell’esperto, in Il Fall., 2021, p. 1561 e ss.

[5] La libera gestione del patrimonio resta soggetta al controllo esterno dell’esperto, destinatario di informazioni preventive sugli atti di straordinaria amministrazione e sull’esecuzione di pagamenti non coerenti con le trattative o le prospettive di risanamento e munito di un potere di “segnalazione” del proprio dissenso al fine di evitare che il debitore dia seguito all’atto comunicato, ma senza possibilità di inibirlo in senso assoluto. Qualora poi l’atto segnalato sia cionondimeno posto in essere, l’esperto ha la facoltà, ovvero, quando pregiudizievole per gli interessi dei creditori, l’obbligo di iscrivere il dissenso nel registro delle imprese, privando in tal modo l’atto dello scudo protettivo da successive azioni revocatorie, e quindi di comunicare la circostanza al giudice che abbia concesso le misure protettive e cautelari per l’apertura del procedimento di revoca delle stesse o abbreviazione della loro durata. Sul tema cfr. F. Michelotti, op. cit., 1568.

[6] La definizione unitaria di misure protettive e cautelari fornita dall’art. 2 lett. p) e q) C.C.I.I. va dunque adattata al contesto in cui le stesse vengono richieste e concesse, non essendo identici i parametri di valutazione a cui il giudice adito deve far riferimento nella composizione negoziata (art. 19 C.C.I.I.) e nel procedimento unitario per la regolazione della crisi e dell’insolvenza (art. 54 C.C.I.I.).

[7] Cfr. A. Tedoldi, Le misure protettive (e cautelari) nella composizione negoziata della crisi, in La crisi d’impresa e le nuove misure di risanamento, a cura di M. Irrera e S. A. Cerrato, 2022, p. 360 e ss.

[8] Il riferimento alle parti e non solo al debitore rende evidente che l’interesse alla conservazione della tutela protettiva in una fase più avanzata delle trattative diviene più generale e coinvolge decisamente tutti i soggetti interessati nel processo di risanamento. Il procedimento di proroga per la sua evidente urgenza è deformalizzato e non richiede neppure la preventiva fissazione dell’udienza, ma solo l’acquisizione del parere dell’esperto. Parlano di valore partecipativo e solidarietà dei vantaggi compensativi I. Pagni e M. Fabiani, op. cit., p. 14.

[9] Va ricordato che, quando la composizione negoziata diviene il mezzo per traghettare l’impresa verso gli strumenti di regolazione della crisi, il tempo di durata delle misure già goduto nella fase delle trattative con i creditori va scomputato da quello di durata massima delle stesse stabilito dall’art. 8 C.C.I.I. in dodici mesi, il che impone un impiego proficuo dei tavoli di trattativa al fine di arrivare al procedimento unitario con una proposta e un piano già pressoché completi.

[10] Si deve osservare che nel set di tutele possibili il decreto sulla composizione negoziata ha escluso quello consistente nella neutralizzazione degli effetti delle ipoteche giudiziali iscritte nei novanta giorni anteriori all’apertura del procedimento, scelta verosimilmente giustificata (analogamente a quanto accade negli accordi di ristrutturazione) dalla natura negoziale e privatistica della procedura, che, come detto, non consente anticipazione di effetti tipicamente concorsuali.

[11] E’ indispensabile un vincolo di funzionalità fra il bene ed il diritto protetto ed il complesso aziendale di cui è parte, sicché non può estendersi la tutela in oggetto al patrimonio dei garanti. Lo Stato italiano non si è infatti avvalso della facoltà, pur prevista dal considerando 32 della Direttiva Insolvency, di estendere il beneficio della sospensione delle azioni esecutive e cautelari a terzi garanti, fideiussori o prestatori di garanzie reali.

[12] Rafforzando la tutela dei contraenti il secondo correttivo al Codice della Crisi ha peraltro previsto che, fermo il divieto di modifica e risoluzione del contratto, è loro consentito avvalersi in via provvisoria dell’eccezione di inadempimento fino al momento della conferma della misura protettiva da parte del giudice.

[13] La norma citata ha così definitivamente confermato la bontà dell’orientamento che affermava la piena compatibilità fra la tutela cautelare concessa ai creditori nell’ambito dalla procedura per la dichiarazione di fallimento (art. 15 l.f.) e le misure protettive richieste dall’imprenditore per la protezione del patrimonio, non rientrando le prime, in considerazione dell’interesse generale a cui mirano, fra quelle inibite dal divieto di azioni esecutive e cautelari (cfr. Trib. Catania, 28/02/2019 in www.unijuris.it).

[14] E’ del resto assai poco probabile che la richiesta di inibitoria della sentenza di liquidazione giudiziale non si accompagni ad un’istanza per la sospensione dell’avvio o prosecuzione delle azioni esecutive individuali. Appare allora distonico e foriero di dubbi interpretativi il riferimento ancora presente nell’art. 19 co. 4 C.C.I.I. al protrarsi del divieto in questione per l’intera durata delle trattative indipendentemente dall’efficacia delle altre misure protettive. Sul punto v. F. Lamanna, Composizione negoziata e nuove misure per la crisi d’impresa, 2021, p. 83.

[15] Non è dato comprendere se l’imprenditore debba nel dettaglio indicare nell’istanza pubblicata di quali misure protettive intende avvalersi, mentre è specificato che eventuali limitazioni della loro portata (con esclusione di singoli creditori o di singole iniziative da essi promosse) debbano essere espressamente menzionate. E tuttavia, almeno per i contratti pendenti dei quali si intendano neutralizzare le clausole ipso facto, appare indispensabile una menzione specifica dei rapporti e dei creditori interessati, onde consentire l’esatta individuazione dei contraddittori nella fase giudiziale.

[16] L’art. 7 D.L. 118/2021 prevedeva invece che il ricorso dovesse essere iscritto addirittura lo stesso giorno della pubblicazione dell’istanza.

[17] In tutti i casi indicati, per evidenti ragioni di economia processuale, il procedimento è destinato ad arrestarsi in via anticipata con decreto motivato reclamabile al Collegio. Tale modulo procedimentale alternativo alla fissazione dell’udienza è del resto regolato espressamente per il caso di tardivo deposito del ricorso dall’art. 19 co. 3 C.C.I.I.

[18] Sulle conseguenze della mancata fissazione tempestiva dell’udienza e l’opportunità che il tribunale adotti in ogni caso un provvedimento di diniego onde consentire alla Camera di Commercio la cancellazione dell’iscrizione dell’istanza di misure protettive, v. F. De Santis, Le misure protettive e cautelari nella soluzione negoziata della crisi d’impresa, in Il Fall., 2021, 1544.

[19] Diversamente da quanto accade ad esempio per la procedura di concessione delle misure protettive nell’ambito degli strumenti di regolazione della crisi, per il qual caso è stabilito dall’art. 55 co. 3 C.C.I.I. che il provvedimento di conferma o revoca debba essere adottato entro trenta giorni dall’iscrizione dell’istanza nel registro delle imprese. Sulla tempistica indicata nel testo, compresa fra il termine di quindici giorni stabilito dall’art. 669 sexies c.p.c. per la conferma di cautele adottate inaudita altera parte e quello di trenta corrispondente alla durata minima delle misure provvisoriamente efficaci, v. A. Tedoldi, op. cit., p. 373.

[20] Fatta eccezione per gli artt. 669-octies, primo, secondo e terzo comma, e 669-novies c.p.c., atteso che le misure protettive della composizione negoziata non sono strumentali all’instaurazione di un giudizio di merito.

[21] E’ buona prassi richiedere già con il decreto di fissazione udienza che l’esperto depositi una relazione sull’esito del test pratico, sula completezza ed attendibilità della documentazione contabile dell’imprenditore, sulla coerenza del progetto di piano di risanamento con i risultati e del test pratico, sulle concrete prospettive di risanamento aziendale, sullo stato delle trattative e l’opportunità di confermare le misure richieste ai fini dello svolgimento e del buon esito delle stesse.

[22] Va peraltro considerato che la previsione di un indennizzo, indicata come contropartita della sospensione dall’art. 97 C.C.I.I. risulta pienamente compatibile con la facoltà riconosciuta al giudice dall’art. 669 undecies c.p.c. di imporre al ricorrente una cauzione a copertura del danno arrecato alla controparte. Altro ambito di applicazione delle misure cautelari potrebbe essere l’inibitoria di attività negoziali volte alla realizzazione delle garanzie del credito (escussione di pegni o di garanzie a prima richiesta), posto che la tutela protettiva tipica opera invece solo riguardo alle iniziative di tipo giudiziale (azioni esecutive e cautelari).

[23] E’ noto che la regolarità contributiva deve ritenersi sussistente anche in caso di sospensioni nei versamenti a seguito di disposizioni legislative e che la giurisprudenza ha individuato, fra queste, l’ipotesi di apertura di una procedura concordataria (anche in bianco), che impedisce il pagamento dei debiti anteriormente scaduti; e tuttavia è agevole considerare che nel caso di accesso alla composizione negoziata della crisi l’imprenditore resta al contrario libero di eseguire i pagamenti.

[24] Sul tema cfr. il contributo di A. Rossi, Il presupposto oggettivo, tra crisi dell’imprenditore e risanamento dell’impresa in Il Fall., 2021, 1501 e ss. e di M. Ciabattoni, Decreto legge 24 agosto 2021, n. 118, le condizioni di accesso alla composizione negoziata della crisi e il ruolo dell’organo di controllo, su Crisi d’impresa e insolvenza, Ilcaso.it, 5/2021.

[25] In questi termini anche A. Rossi, op. cit., p. 1504; contra F. Lamanna, op. cit., p. 31; propende per la tesi secondo cui l’accesso alla procedura è limitato ad imprese che non versino ancora in stato di insolvenza Trib, Siracusa 14/09/2022, su www. dirittodellacrisi.it, alla cui ampia motivazione si rimanda.

[26] Sul tema ed in conformità con le conclusioni del testov.si M.Montanari, Il procedimento relativo alle misure protettive e cautelari nel sistema della composizione negoziata della crisi d’impresa: brevi notazioni, in Ilcaso.it Ristrutturazioni aziendali, 24 dicembre 2021.

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