La mediazione penale

di Gilda Zarrella, Giudice del Tribunale di Avellino

Sommario: 1. Il principio di complementarietà tra Giustizia riparativa e sistema penale. 2. La dimensione progettuale della risposta al reato. 3. La prospettiva del superamento di impostazioni “retribuzionistiche” della giustizia penale. 4. La condivisione di un linguaggio e di una cultura in materia di giustizia riparativa e di giustizia di comunità.5. Il procedimento penale minorile: artt.9, 27 e 28 D.P.R. 448/1988. 6. I percorsi riparativi. Il modello umanistico di mediazione penale. 7.La formazione alla mediazione. Le prospettive evolutive e le ricadute sul sistema penale.

§1. Il principio di complementarietà tra Giustizia riparativa e sistema penale.

La giustizia riparativa e la mediazione rappresentano sfide culturali, prima ancora che giuridiche, delle società moderne, dove globalizzazione e multiculturalismo, attenzione alle vittime, soprattutto se vulnerabili, ed esigenze di tutela dei diritti umani esigono nuovi modelli di gestione dei conflitti.

Definire cosa voglia dire mediare un conflitto legato ad un reato e in che misura giustizia riparativa e giustizia penale possano essere complementari rappresenta la vera sfida in cui sono chiamati a cimentarsi gli operatori del diritto. La Raccomandazione CM/REC (2018) invita gli Stati membri a promuovere lo sviluppo di approcci innovativi in materia, ricordando, implicitamente, che in base al proprio ordinamento giuridico, ogni Paese deve promuovere pratiche di giustizia riparativa coerenti con la propria cultura giuridica.

Senza snaturarla, verrebbe da aggiungere.

Se la mediazione reo-vittima era inizialmente il modello dominante, ci si è in seguito resi conto che essa era solo uno degli strumenti di gestione cooperativa del conflitto. Si è quindi cominciata a stagliarsi, progressivamente, l’idea di giustizia riparativa, paradigma entro il cui ambito si collocano vari strumenti e tecniche, diventato oggetto di riflessione a livello europeo, anche per rispondere alla crisi della giustizia penale tradizionale oltre che all’esigenza di implementazione delle forme di tutela delle vittime dei reati.

Il decreto legislativo n. 212/2015, fonte di riferimento che ha attuato nel nostro ordinamento la direttiva n. 29/2012 UE, oltre a legittimare e definire i percorsi riparativi, a sua volta istituisce norme minime in materia di diritti, assistenza e protezione delle vittime di reato.

Una parte della dottrina ha messo in luce come l’Italia abbia parzialmente attuato mediante il decreto legislativo 212/2015 la direttiva europea 29/2012. Infatti, recepire tale direttiva significava promuovere anche trasformazioni di ordine culturale e di sistema, cioè un intervento ad ampio spettro, oggi chiaramente istituzionalizzato dalla Riforma Cartabia (l.27 settembre 2021, n.134, “Delega al Governo per l’efficienza del processo penale nonché in materia di giustizia riparativa e disposizioni per la celere definizione dei procedimenti giudiziari”).

È interessante una dottrina inglese – comunicative theory of punishment – secondo la quale la pena “dovrebbe promuovere una forma di dialogo morale con l’autore di reato” con l’obiettivo di condurre il reo a prendere coscienza della dimensione morale della responsabilità che si realizza con il confronto “faccia a faccia” tra reo e vittima.

Già la direttiva europea n. 29/2012 (che all’art.1, lett.d) definisce Restorative Justice (RJ) “qualsiasi procedimento che permette alla vittima ed all’autore del reato di partecipare attivamente, se vi acconsentono liberamente, alla risoluzione delle questioni risultanti dal reato con l’aiuto di un terzo imparziale”) ha reso esplicita l’impellenza di un reale abbandono della visione reo-centrica del diritto processuale penale, per una nuova visione del processo dove vengano davvero bilanciati gli interessi dei diversi attori processuali: reo e vittima.

Ed allora ecco profilarsi nel sistema ordinamentale la concreta prospettiva di “modelli che si intersecano”, in cui ciascun paradigma trova nell’altro il proprio completamento. La RJ offre al diritto penale una nuova modalità di gestione dei conflitti, dando importanza non solo al ruolo del reo ma altresì a quello della vittima, il diritto penale invece offre alla RJ una definizione dei conflitti cristallizzata nei precetti, allontanandosi da proposte meramente sanzionatorie (cfr. G. Mannozzi, Giustizia riparativa, in Enciclopedia del diritto, 2017, 483; D. Pulitanò, Sul libro dell’incontro fra vittime e responsabili della lotta armata, in Riv. dir. pen. cont. 2016, 13). 

Al centro della giustizia riparativa c’è il dialogo, tanto che si parla anche di giustizia dialogica”. Il processo penale non è in effetti strutturato per dare risposte dialogiche, è un momento di verifica in cui le parti possono parlare solo se interrogate e, se l’imputato ha la facoltà di non rispondere, la vittima viene invece sentita come testimone; pertanto, ha l’obbligo di dire la verità, è sottoposta a controesame, con possibili effetti di vittimizzazione secondaria. “Le vittime hanno invece bisogno di fare quelle domande che nel processo non riescono a trovare (perché è successo, perché a me, ecc); devono inoltre essere aiutate a superare la solitudine, la vergogna, il timore di ritorsioni e, spesso, anche l’esposizione mediatica. Sono, questi, tutti danni al “sistema invisibile dei sentimenti” che non vengono riparati nel processo. Occorre uno spazio protetto di ascolto: e qui entrano in gioco la giustizia riparativa e, in particolare, la mediazione” (cfr. G. A. Lodigiani, Alla scoperta della Giustizia riparativa. Un’indagine multidisciplinare, in G. Mannozzi, G. Lodigiani, Giustizia riparativa. Ricostruire legami, ricostruire persone).

L’attenzione alla persona, alla sua dimensione emozionale presuppone, però, competenze specifiche e interdisciplinari – non solo giuridiche in senso tecnico ma che riguardano anche l’esatta comprensione delle dinamiche relazionali e sociali – da parte di chi si occupa di gestione dei conflitti.  Anche le figure dell’avvocato e del giudice sono chiamate a mutare prospettiva rispetto al passato. Occorre una formazione alla giustizia che faccia sì che avvocati e giuristi abbiano un approccio attento nei confronti dei disagi delle vittime, al fine di ridurre, prima di tutto, la vittimizzazione secondaria, acquisendo o migliorando le competenze dialogiche e relazionali.

§2. La dimensione progettuale della risposta al reato.

Risulta ad oggi indispensabile una regolamentazione normativa delle intersezioni tra percorso riparativo ed iter giudiziario, con precisa demarcazione delle strade attraverso le quali, nel corso di un procedimento penale si può accedere ad un programma di RJ, del suo possibile impatto sullo svolgimento e sulla definizione del processo.

Dopo la mancata attuazione della legge delega contenuta nella “Riforma Orlando” (l.23 giugno 2017 n.103 “Modifiche al codice penale, al codice di procedura penale ed all’ordinamento penitenziario” molte sono le attese correlate all’attuazione della legge delega 27 settembre 2021, n.134 che all’art.1 comma 18 prende esplicitamente in considerazione le opportunità offerte dalla giustizia riparativa.

L’assenza, ad oggi, di una compiuta regolamentazione non ha impedito numerosi esperimenti – alcuni divenuti oggi stabili servizi locali di mediazione penale e di giustizia riparativa – condotti cercando spazi di attuazione tra le norme processuali vigenti.

Non sfugge ai più che la pena, nel momento della condanna, non è pensata come un percorso che debba essere compiuto (inerente al rapporto dell’agente di reato con l’ordinamento giuridico, con la società e con le parti offese), rimanendo per l’appunto ispirata al criterio statico del corrispettivo, entro la cornice di quel “tener conto” di cui all’art. 133 c.p.

Nel sistema punitivo odierno, l’instaurarsi di un dialogo tra ordinamento giuridico e destinatario della condanna risulta posticipato, per quanto concerne la pena detentiva, alla fase dell’esecuzione in carcere, secondo ciò che prevede l’art. 13, terzo comma, ord. penit., o, comunque, alla fase del rapporto con il servizio sociale, nel caso in cui sia applicata una misura alternativa senza ingresso in carcere.

Assume rilievo, cioè, in un momento decisamente lontano rispetto alla commissione del reato.

Va altresì considerato che la pena viene inflitta — pur a mente del disposto dell’art. 133, secondo comma, c.p.— senza alcuna cognizione approfondita circa la personalità e le condizioni psicologiche o di vita del condannato, stante la preclusione di perizie in materia ai sensi dell’art. 220, secondo comma, c.p.p., salvo il solo caso dell’incidenza di fattori patologici.

La prospettiva sollecitata dalle nuove possibilità applicative di Restorative Justice mira a superare il modello della risposta al reato concepita — attraverso la condanna — in termini di corrispettività retributiva per accedere, piuttosto, a una dimensione progettuale di tale risposta di modo che quest’ultima possa essere concepita ab initio — sia nella fase della comminazione, sia nella fase dell’inflizione — non già come un danno il quale corrisponda al disvalore ravvisato nel fatto colpevolmente prodotto, bensì come un programma d’intervento in merito alla frattura prodotta da quel medesimo fatto, secondo le finalità politico-criminali desumibili dalla Costituzione (in particolare, dall’art. 27, terzo comma).

La RJ, considerata come percorso di giustizia complementare rispetto al diritto penale per risolvere conflitti, individua il focus della sua ricerca proprio nella ricostruzione delle relazioni tra autore e vittima di reato. Ecco dunque spiegata l’esigenza dei percorsi riparativi di enfatizzare, nelle dinamiche criminali, la dimensione umana anche di chi commette un reato.

§ 3. La prospettiva del superamento di impostazioni “retribuzionistiche” della giustizia penale.

Gli istituti introdotti negli ultimi anni nel procedimento ordinario, riconducibili alla nozione di giustizia ripartiva, appaiono per lo più ispirati dalla più pratica ed ineludibile finalità di tipo deflattivo, determinata dalla congestione del giudizio penale e dalla volontà di introdurre nuove forme di definizione dei procedimenti penali relativi a fattispecie di minor disvalore penale ovvero a situazioni incidenti su beni e interessi di natura prevalentemente privata: l’istituto della sospensione del processo con messa alla prova (artt. 168 bis ss. e artt. 464 bis ss. c.p.p.) che ha previsto, per i casi disciplinati dall’art.168 bis del codice penale “condotte volte a promuovere, ove possibile, la mediazione con la persona offesa” all’interno del programma di trattamento; l’istituto della non punibilità per particolare tenuità del fatto (art. 131 bis) introdotto con D.Lgs. 16.3.2015, n. 28; la nuova causa di estinzione del reato conseguente alla riparazione o al risarcimento del danno (art. 162 ter), introdotta con L. 23.6.2017, n. 103.

La spinta ad un superamento concreto di impostazioni retribuzionistiche della giustizia penale appare chiaramente sottesa alla delega, molto ampia, prevista dalla legge n. 134/2021 a introdurre «una disciplina organica della giustizia riparativa». Tanto più in quanto si prevede « la possibilità di accesso ai programmi di giustizia riparativa in ogni stato e grado del procedimento penale e durante l’esecuzione della pena, su iniziativa dell’autorità giudiziaria competente, senza preclusioni in relazione alla fattispecie di reato o alla sua gravità, sulla base del consenso libero e informato della vittima del reato e dell’autore del reato e della positiva valutazione da parte dell’autorità giudiziaria dell’utilità del programma » (art. 1, comma 18, lett. c): così che « l’esito favorevole dei programmi di giustizia riparativa possa essere valutato nel procedimento penale e in fase di esecuzione della pena », e fermo il disposto che « l’impossibilità di attuare un programma di giustizia riparativa o il suo fallimento non producano effetti negativi a carico della vittima del reato o dell’autore del reato nel procedimento penale o in sede esecutiva » (lett. e).

Gli osservatori più attenti hanno evidenziato che nella legge delega richiamata ci si riferisce alla giustizia riparativa identificandola, spesso, anche in rapporto alla direttiva 2012/29/UE, con le procedure di mediazione penale.

Eppure, non può limitarsi l’incidenza penalistica della giustizia riparativa a possibili effetti di mitigazione delle condanne penali, o anche di rinuncia alle medesime, in forza di un accadimento — la mediazione — esterno al diritto penale (che si realizza necessariamente, cioè, al di fuori dell’iter processuale penale). Risulta pertanto fondamentale riconoscere l’attinenza al concetto di restorative justice già di un orientamento progettuale, piuttosto che retributivo, delle sanzioni penali: sia per quanto concerne le condotte di carattere risarcitorio, restitutorio o ripristinatorio; sia per quanto attiene ai percorsi sanzionatori, che assumano carattere programmatico, con il concreto coinvolgimento dell’autore del reato.

In altri termini la mediazione penale deve contribuire, entro il quadro di una visione estesa della giustizia riparativa, al delinearsi di un sistema delle sanzioni penali aventi pur sempre natura progettuale, presupponenti un’interlocuzione con il loro destinatario (cfr.Luciano Eusebi, La pena tra necessità di strategie preventive e nuovi modelli di risposta al reato, in Riv. It. Dir. e Proc. Pen., fasc.3, 1° settembre 2021).

§ 4. La condivisione di un linguaggio e di una cultura in materia di giustizia riparativa e di giustizia di comunità.

Le multiformi possibilità applicative dei percorsi di RJ passano necessariamente attraverso la presa di coscienza della necessità di definire ambiti concettuali chiari entro cui assegnare spazio all’applicazione degli istituti normativi vigenti.

Un quadro ben definito dei principi della Giustizia Riparativa deriva dalle Linee di indirizzo del Dipartimento per la Giustizia minorile di comunità in materia di Giustizia riparativa e tutela delle vittime di reato (2019) che, pur non avendo la pretesa di operare una sistemazione organica circa la materia della riparazione, recano l’indiscusso pregio di aver aggiornato ed integrato le migliori esperienze maturate in questo settore sia in ambito adulto che minorile.

Tra gli strumenti di giustizia riparativa prevalentemente in uso, possono individuarsi i seguenti programmi:

-mediazione autore- vittima (victim offender mediation): si intende ogni “procedimento che permette alla vittima e al reo di partecipare attivamente, se vi consentono liberamente, alla soluzione delle difficoltà derivanti dalla commissione del reato, con l’aiuto di un terzo indipendente (mediatore). Qualora non sia possibile un incontro diretto fra le parti, la mediazione può avvenire anche per il tramite del mediatore (indiretta). Si parla di mediazione reo-vittima “aspecifica” quando l’autore del reato incontra la vittima di un altro reato lesivo del medesimo bene giuridico;

– scuse formali (apologies/making amends): dichiarazioni rivolte alla vittima da parte dell’autore del reato, spesso contenute in uno scritto;

– incontri tra vittime e autori di reati analoghi a quello subito (Victim/Community Impact Pane/Gruppi riparativi per autori di reato): forum, guidati da un facilitatore, all’interno dei quali un gruppo ristretto di vittime aspecifiche (4 o 5 al massimo) rappresenta ad un  piccolo gruppo di autori di reati (dello stesso tipo) – diversi da coloro che hanno commesso i reati nei loro confronti-gli effetti dannosi ed i riflessi sulla loro esistenza e su quella dei familiari o anche nella comunità di appartenenza derivanti dalla commissione del reato. Le vittime possono così esprimere le sensazioni, le difficoltà, il disagio derivanti dall’esperienza di vittimizzazione e gli autori di reato possono prendere coscienza delle effettive conseguenze delle azioni delittuose commesse;

– incontri di mediazione allargata/gruppi di discussione (Community/Familiy Group Conferencing (Groups Conferencing) tendono a realizzare un dialogo, guidato da un facilitatore/mediatore penale, esteso ai gruppi parentali e/o del territorio ovvero a tutti i soggetti coinvolti dalla commissione di un reato finalizzato a decidere collettivamente le modalità di gestire il conflitto nascente dal reato.

§ 5. Le procedure di mediazione nel diritto processuale italiano. Il procedimento penale minorile: artt.9, 27 e 28 D.P.R. 448/1988.

Accanto agli istituti della remissione di querela e della sospensione condizionale della pena subordinata all’eliminazione delle conseguenze dannose o pericolose del reato o al risarcimento del danno, già originariamente previsti nel codice penale e latamente riconducibili alla giustizia riparativa, nuove e più specifiche forme di Restorative Justice, quale paradigma integrativo rispetto a quello punitivo, sono state introdotte dapprima nel procedimento minorile, più di recente, nel procedimento avanti al Giudice di pace, oltre ad essere contemplate nella fase esecutiva del procedimento penale.

In ambito minorile la RJ assume un’indubbia valenza sociale e pedagogica in grado di aprire, all’interno del procedimento penale, un dialogo con i minori autori di reato utilizzando una prospettiva relazionale, fondata sul confronto/dialogo tra autore di reato e vittima. La commissione di un reato viene intesa non tanto, o non solo, come violazione di un precetto, in una prospettiva statica, quanto piuttosto come rottura di un equilibrio sociale tra individui e tra individuo e comunità, generando un’opportunità di crescita, attraverso l’incontro con la sofferenza della vittima, nella prospettiva di una effettiva presa di coscienza da parte del minore delle conseguenze del reato ed in vista di un effettivo reinserimento nel tessuto sociale, in linea con lo spirito costituzionale del sistema sanzionatorio penale.

Tale impostazione ha, di recente ricevuto un significativo avallo sul piano normativo con l’entrata in vigore del D.lgs. 2.10.2018, n.112 (Disciplina dell’esecuzione delle pene nei confronti dei condannati minorenni) che, nella parte dedicata alla enunciazione dei principi generali, stabilisce che: “l’esecuzione della pena detentiva e delle misure penali di comunità deve favorire percorsi di giustizia riparativa e di mediazione con le vittime di reato (art.1 comma 2), assegnando a tale strumento una importanza non secondaria nell’ambito del processo rieducativo. La tutela delle vittime di reato all’interno del sistema della giustizia minorile trova una sua parziale regolamentazione, nel segmento relativo ai minori/vittime di violenza sessuale, nella previsione di cui all’art.609 decies comma 4 c.p. (introdotto dall’art.11 L.15 febbraio 1996 n.66) a tenore del quale “in ogni caso al minorenne è assicurata l’assistenza dei servizi minorili dell’Amministrazione della giustizia e dei servizi istituiti dagli enti locali”; tale disposizione ha favorito attività di raccordo e coordinamento tra magistratura, servizi minorili e istituzioni territoriali per una presa in carico integrata della persona di minore età vittima e della sua famiglia.

La mediazione in materia di processo minorile mira a salvaguardare la personalità del minore, ancora in via di formazione, attraverso la predisposizione di istituti – quali la sospensione del processo con la messa alla prova, la non punibilità per irrilevanza del fatto, il perdono giudiziale – che consentono di ridurre al minimo l’impatto afflittivo del procedimento penale sull’imputato-minorenne.

Certo è che il codice del processo penale minorile – il d.P.R. n. 448/1988 – favorisce “una fuoriuscita del minore autore di reato dal circuito penale, con il precipuo obiettivo di limitare le conseguenze pregiudizievoli che l’esperienza processuale può determinare sul percorso evolutivo e di crescita.

Al riguardo l’articolo 9 del d.P.R. 448/1988 prevede che quando venga valutata la personalità del minore affidato ai servizi sociali, si possa considerare il percorso di RJ e mediazione come elemento per la valutazione della sua personalità. Tale metodo di valutazione della personalità si è diffuso in molti distretti di Corte d’Appello, e rappresenta oggi la via più usata.

L’art. 27D.P.R. 22.9.1988, n. 448 consente la pronuncia di una sentenza di non luogo a procedere per irrilevanza del fatto in caso di limitatezza del danno e di un esiguo grado di colpevolezza del minore; l’istituto prevede che vengano sentiti il minore, i genitori e la vittima ed è valutata positivamente per la diminuzione del disvalore penale del fatto l’eventuale intervenuta mediazione tra reo e offeso. L’art. 28D.P.R. 22.9.1988, n. 448 regola l’istituto della sospensione del processo e messa alla prova, in cui è prevista la sospensione del processo, l’affidamento del minore ai servizi sociali per il reinserimento sociale e per la «conciliazione del minorenne con la persona offesa».

§ 6. I percorsi riparativi. Il modello umanistico di mediazione penale.

Esistono diversi modelli e diverse tecniche di mediazione che, a seconda del contesto in cui sono applicate- familiare, sociale, penale, scolastico, ecc.- possono alternativamente mettere in risalto l’aspetto negoziale o quello del riconoscimento e dell’incontro tra le persone coinvolte nel conflitto.

Si passa così da forme di risoluzione del conflitto da parte di un terzo che applica determinate “regole” che dovrebbero condurre ad un compromesso- il cd. problem solving, incentrato sulla soddisfazione materiale degli interessi delle parti- alla mediazione quale procedimento che può portare alla reale trasformazione del conflitto attraverso l’incontro con l’altro, tenendo conto delle dimensioni e delle potenzialità relazionali, emotive ed umane.

I percorsi riparativi mirano a riparare il danno che il reo ha arrecato alla vittima, attraverso un incontro guidato da mediatori e facilitatori, potendo partecipare, qualora lo volessero, anche alcuni esponenti della comunità sociale di appartenenza di reo e vittima.

La cd. mediazione umanistica rappresenta oggi il modello più praticato sul territorio nazionale nell’ambito della mediazione reo/vittima (si consiglia sul punto, la lettura del testo di J. Morineau, “Lo spirito della mediazione”, Franco Angeli, Milano, 2003 ed anche “Il mediatore dell’anima. La battaglia di una vita per trovare la pace interiore”, Milano, Servitium, 2010).

Il mediatore è, anzitutto, facilitatore di un percorso comunicativo spesso difficile e faticoso, catalizzatore di emozioni, attore di comportamenti direttivi o semplice osservatore, flessibile di fronte a quella molteplicità di situazioni che il conflitto pone (cfr. R. BISI, L’importanza dello studio delle emozioni nel dibattito criminologico, in S. RESNIK, Spazio mentale. Sette lezioni alla Sorbona, Torino, 2003, p.104).

Howard Zehr, uno dei massimi studiosi dei molteplici profili involgenti la RJ ha contribuito a fornire una definizione di Giustizia Riparativa come un paradigma che: “coinvolge la vittima, il reo e la comunità nella ricerca di una soluzione che promuova la riparazione, la riconciliazione e il senso di sicurezza collettivo”. Dunque emerge il rapporto tra la riparazione e la sicurezza collettiva, che spiega come attraverso la riconciliazione si possano analizzare nel dettaglio i motivi che si celano dietro l’azione criminale, avvicinando, attraverso il dialogo e gli strumenti riparativi, la vittima con il reo, anche mediante il coinvolgimento della comunità che riveste un ruolo attivo nei procedimenti riparativi. E difatti durante i percorsi riparativi è ammessa la possibilità che si creino conferencing groups, o family groups nei quali possono partecipare, oltre che il reo e la vittima, anche persone a loro vicine, come familiari ed amici, ma anche esponenti di enti o associazioni.

Rileva, dunque, come uno degli elementi più innovativi della riparazione sia certamente legato ad una nuova visione della vittima, che assume un ruolo centrale.

La riparazione, in altri termini, muove imprescindibilmente dall’incontro, tra autore e vittima di reato.

Testimonianza autentica di un percorso riparativo è stata raccontata nel “Libro dell’incontroVittime e responsabili della lotta armata degli anni ‘70” (Guido Bertagna, Adolfo Ceretti, Claudia Mazzucato, Il Saggiatore, Milano, 2015) che, come spiegano i suoi autori, è andato ben oltre l’incontro. Ogni persona che vi ha partecipato, dagli autori di reato, alle vittime, ai mediatori, ha messo al centro di ogni riflessione la Persona. Che non coincide con il suo reato. Un gruppo nato per la spinta volontaria a cercare un luogo dove fosse possibile essere ascoltati. Nessun avvocato a interrogare e nessun giudice chiamato a pronunciare sentenze (già peraltro emesse, visto che gli “ex” che hanno preso parte al lavoro avevano già scontato le loro pene o lo stavano facendo).

Così, se la giustizia penale è il regno «della fissità; il carcere è la negazione – la materiale privazione – della libertà di movimento», la giustizia riparativa è invece caratterizzata da un dialogo che induce al movimento, «dall’andare, e andare in-contro».

Ma per muoversi c’è bisogno di spazio, di un luogo in cui i momenti di riflessione hanno possibilità di effettiva esplicazione. Dietro alle azioni più terribili, dopo pentimento, attività trattamentali, percorsi riparativi si può ricostruire la persona.

In questa prospettiva, la giustizia riparativa, come pratica che ricostruisce la verità attraverso l’incontro mediato di vittime e responsabili, può produrre un “senso di giustizia” maggiore di quello offerto dalla giustizia penale, così offrendo risposte nuove al problema della criminalità, conseguendo risultati non raggiungibili attraverso la giustizia punitiva.

§ 7. La formazione alla mediazione. Le prospettive evolutive e le ricadute sul sistema penale.

La Restorative Justice necessita di essere non più soltanto sperimentata, ma messa finalmente a sistema.

Bisogna tuttavia rifuggire dalla visione efficientistica della giustizia veloce e semplificata: è stato acutamente osservato che la giustizia riparativa è un affare faticoso, costoso e per nulla rapido; non deflaziona in modo sensibile i carichi giudiziari (o almeno, non lo fa se non in una prospettiva a lungo termine, in chiave di riduzione dei tassi di recidiva) e nondimeno non c’è dubbio che, affiancata alla “giustizia con la spada”, questa giustizia relazionale e dialogica assicuri un miglioramento netto delle attività di contrasto della devianza penale.

Essenziale è creare i servizi sul territorio e formare gli operatori, curare gli aspetti organizzativi anche negli uffici giudiziari, armonizzare i tempi rispetto a quelli della giustizia ordinaria.

Il tema della formazione alla mediazione è stato oggetto, in questi ultimi anni, di un acceso dibattito mirante a definire quale debba essere la concreta preparazione del mediatore. Fino ad oggi sono pochi i Paesi in Europa che hanno stilato un codice deontologico del mediatore. Lo statuto di tale figura professionale rimane dunque ancora poco definito, anche se la Raccomandazione del Consiglio d’Europa n.R(99)19, relativa alla qualificazione della figura del mediatore in ambito penale offre importanti indicatori di riferimento.

Secondo tali indicazioni, infatti:

  • i mediatori dovrebbero essere reperiti in tutte le aree sociali e dovrebbero possedere generalmente una buona conoscenza delle culture locali e comunitarie (art.22);
  • i mediatori dovrebbero ricevere una formazione iniziale di base ed effettuare un training nel servizio prima di intraprendere l’attività di mediazione (art.24);
  • i mediatori devono acquisire, attraverso la formazione, “un alto livello di competenza che tenga presenti le capacità di risoluzione del conflitto, i requisiti specifici per lavorare con le vittime e gli autori di reato nonché una conoscenza base del sistema penale (art.24).

Venendo al sistema delineato dalla Riforma Cartabia, preme evidenziare che la legge 134/2021 valorizza la figura del mediatore, da intendere quale esperto in programmi di giustizia riparativa, la cui formazione è essenziale e va disciplinata “tenendo conto delle esigenze delle vit­time del reato e degli autori del reato e delle capacità di gestione degli effetti del conflitto e del reato nonché del possesso di cono­scenze basilari sul sistema penale”; trattasi dunque di soggetti chiamati ad offrire, stante l’importanza dell’incarico rivestito, competenza e professionalità, tanto che i decreti delegati sono tenuti a “prevedere i requisiti e i criteri per l’esercizio dell’atti­vità professionale di mediatore esperto in programmi di giustizia riparativa e le moda­lità di accreditamento presso il Ministero della giustizia, garantendo le ca­ratteristiche di imparzialità, indipendenza ed equiprossimità del ruolo” (art. 1 co. 18 lett. f).

“L’alto livello di competenza” è condizione per la credibilità e l’efficacia della mediazione penale e per una duratura presenza della giustizia riparativa nel sistema penale.

Al fine di assicurare la reale possibilità di favorire la complementarietà tra RJ e sistema penale vanno pur tuttavia salvaguardati taluni specifici profili.

Durante un procedimento di mediazione è fondamentale instaurare un dialogo costruttivo che possa consentire agli attori di confrontarsi e di esprimere i propri sentimenti, le proprie esigenze in uno spazio sicuro, armonizzato dalle parole. Così i soggetti che vogliono partecipare ad un procedimento di mediazione possono ripercorrere quanto hanno vissuto in passato, in chiave di ricostruzione e riparazione, in uno spazio di ascolto protetto e guidato dai mediatori. La narrazione dei fatti in mediazione è differente rispetto a quella di un classico procedimento penale. Nei procedimenti di mediazione il reo e la vittima possono raccontare in piena libertà i fatti del passato, senza essere obbligati a narrare i fatti in un particolare ordine logico, utile ai fini processuali per accertare la fondatezza di un’imputazione. I procedimenti di mediazione sono consensuali, pertanto non sorge nessun obbligo in capo a vittima e reo di iniziare un percorso in tal senso. Durante un procedimento di mediazione, pertanto, si instaura un rapporto di confidenza, di fiducia tra le parti e i mediatori coinvolti, con l’obiettivo di far raggiungere una soluzione condivisa dai partecipanti.

La differenza del racconto dei fatti tra l’ambito processuale e l’ambito di mediazione attiene evidentemente a due diverse modalità di risoluzione dei conflitti, e pertanto è fisiologico che si utilizzino due linguaggi differenti E. RESTA, Il linguaggio del mediatore e il linguaggio del giudice, in Mediares, 2003, n. 1, pp. 97-107; F. BRUNELLI, La parola in mediazione, cit., 2003, p. 65.

Al contempo risulta fondamentale prestare la massima attenzione ad un duplice piano: evitare che i percorsi riparativi possano, da un lato, comportare perdite di garanzie processuali per l’imputato o, dall’altro lato, esporre le vittime al rischio di una reiterazione o addirittura un approfondimento del trauma provocato dal reato. Quanto all’imputato, bisogna salvaguardare l’effettiva volontarietà, e minimizzare il rischio di strumentalizzazione della RJ, restando fermo il principio per cui gli esiti di questi percorsi non dovrebbero mai incidere in maniera automatica sulle sorti del processo o sull’esecuzione penale.

E’ del resto la stessa logica della Restorative Justice a richiedere che l’incontro riparativo possa svolgersi nella massima libertà, e ciò esige che lo stesso sia zona franca rispetto al processo penale.

Occorre altresì tutelare le garanzie difensive dell’imputato nel processo, il diritto al silenzio in primis, prevedendo anzitutto la non utilizzabilità probatoria delle dichiarazioni rese nel corso di un programma di giustizia riparativa nel procedimento penale e nell’esecuzione penale. Va infatti scongiurato il rischio che le informazioni raccolte nella stanza di mediazione – luogo di dialogo protetto – possano nuocere all’imputato ove il processo penale abbia poi un suo corso autonomo. Ed invero l’avvio dei percorsi riparativi richiede (non certo una “confessione”, ma) un atteggiamento di non negazione dei fatti fondamentali, cosicchè il rischio di “edere contra se” è in qualche modo reale, e potrebbe disincentivare l’accesso al percorso riparativo.

Strettamente correlato a tale profilo è il principio di stretta confidenzialità di ciò che accade nella stanza di mediazione, rispetto alla possibilità di una divulgazione giudiziaria o di una divulgazione tout court; ne consegue che, al di là delle previsioni di inutilizzabilità probatoria ai fini della decisione penale, vanno sempre lasciati fuori dagli incartamenti processuali eventuali documentazioni relative al percorso “ristorativo”.

In definitiva, se è vero che la Giustizia Riparativa rammenta al diritto penale quanto importante sia, dopo la commissione di un reato, riannodare i fili della dignità negata, della memoria svilita, della verità offesa e dell’umanità ferita (“In qualsiasi cosa c’è una crepa. Ed è da lì che la luce entra. Leonard Cohen, Anthem”); è altrettanto innegabile che tale opera sia da compiersi pur sempre nell’alveo dei principi sottesi all’impianto complessivo delle norme costituzionali ed in piena armonia con il nostro sistema giuridico, come del resto da tempo auspicato dal legislatore sovranazionale.

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