L’Associazione nazionale magistrati, in collaborazione con il Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria e la Corte di Cassazione, a trentuno anni dalle stragi di Capaci e via D’Amelio, con la manifestazione “testimoni Capaci” ha voluto di ricordare le numerose “vite spezzate” in nome della legalità, organizzando una staffetta di eventi che ha coinvolto, insieme a magistrati e ad esponenti della società civile, le scuole di tutto il territorio nazionale.

Tra le “rose spezzate” ricordate nella mattinata del 25 maggio, vi sono stati i magistrati Rocco Chinnici e Francesco Coco. Il primo, ucciso a Palermo il 29 luglio 1983, quando era a capo dell’ufficio istruzione di Palermo, per mano della mafia. Il secondo, procuratore generale di Genova, ucciso il giorno 8 luglio 1976, per mano delle “brigate rosse”.

Il filo rosso che lega le vicende di questi due magistrati, uccisi in contesti geografici e criminali così diversi e lontani, è rappresentato certamente dall’alto senso del dovere e dello Stato, ma anche dal coraggio e determinazione nell’esercizio della giurisdizione, distante da ogni forma di condizionamento.

Francesco Coco che si era occupato del sequestro del sostituto procuratore Mario Sossi non era sceso a compromessi con i rapitori e, con coraggio e determinazione, aveva firmato il provvedimento che negava esecutorietà all’ordinanza di scarcerazione di alcuni terroristi in cambio della liberazione del magistrato confermato, poi, dalla Suprema Corte di Cassazione. Coco era consapevole delle gravi conseguenze che la fermezza dimostrata avrebbe comportato.

Rocco Chinnici che stava concludendo le indagini riguardanti i mandanti e gli esecutori dei delitti di Piersanti Mattarella, Pio La Torre e Carlo Alberto Dalla Chiesa, per i quali pensava ci fosse un’unica regia, era stato minacciato reiteratamente, sue le parole: “in questa città non si può vivere.”

Lo scopo della manifestazione era di avvicinare i giovani alla legalità. Obbiettivo sicuramente raggiunto vista l’attenzione e l’interesse che ho potuto notare nell’aula magna della scuola di polizia penitenziaria quella mattina e manifestata anche attraverso le domande rivolte ai relatori, dirette, senza filtri, come solo i giovani sanno porre.  Una in particolare, mi ha colpita. La domanda rivolta da una giovane studentessa a Caterina Chinnici: “Com’è stato poi, continuare a vivere senza un padre?”

L’altro risvolto delle vicende e costituito dall’aspetto umano, il prezzo pagato che ha coinvolto inevitabilmente non solo i diretti interessati come ricordato anche per Francesco Coco, il cui figlio Massimo era appena adolescente quando è mancato il padre.

Le testimonianze che ci hanno fornito le storie di Francesco Coco e di  Rocco Chinnici e delle numerose ”rose spezzate” nel corso di questa importante manifestazione è la difesa salda da qualsiasi condizionamento e pressioni esterne e la riflessione sul tema dell’indipendenza del magistrato nelle sue varie declinazioni.

L’ indipendenza come principio tutelato dalla nostra costituzione ma anche come dovere del magistrato e come sistema valoriale da seguire a garanzia del corretto ed imparziale esercizio della giurisdizione.

Questa bellissima e importante manifestazione ci ha dato l’occasione di riflettere insieme a giovani che non hanno vissuto quel periodo e di coltivare la memoria che deve essere sempre mantenuta viva.

                                                                                                                       Silvia Fonte-Basso

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