Ringrazio per l’invito l’Associazione Nazionale Magistrati e sono lieta di partecipare a questa iniziativa davvero importante per tutti noi, che mi ha dato l’occasione di conoscere meglio la figura del magistrato FRANCESCO COCO e di riflettere sulle sue vicende umane e professionali.

Si è rafforzato così in me il convincimento che iniziative come questa ci consentono di onorare e custodire doverosamente la memoria per il sacrificio della vita di uomini dell’istituzione giudiziaria come lui, che hanno coraggiosamente testimoniato i valori civici della legalità e del senso del dovere per il bene di tutti.

Studiavo al liceo quando l’Italia si trovò a vivere quelli che sono passati alla storia come gli “anni di piombo”, una stagione che secondo gli storici ebbe inizio il 12 dicembre 1969 con lo scoppio di una bomba a Milano nella sede della Banca Nazionale dell’Agricoltura di Piazza Fontana, quando l’Italia si trovò a vivere un decennio di violenza terroristica, in cui gruppi eversivi di destra e sinistra misero in discussione e minacciarono con attentati, stragi ed uccisioni l’intera istituzione repubblicana e gli uomini che si ponevano a sua difesa, innalzando progressivamente sempre di più il livello dello scontro con lo Stato.

Le Brigate Rosse, un’organizzazione militante ed eversiva di estrema sinistra, nel 1974 rapirono a Genova il magistrato Mario Sossi, mentre nello stesso anno le sigle di estrema destra compirono le prime stragi come quelle del treno Italicus e di Piazza della Loggia a Brescia.

Negli anni seguenti l’evoluzione in quella che divenne la c.d. lotta armata vide fra le vittime nel 1976 anche due magistrati, FRANCESCO COCO a Genova per mano delle Brigate Rosse, Vittorio Occorsio a Roma assassinato da un militante di Ordine Nuovo.

Il culmine della c.d. strategia della tensione che l’Italia si trovò a vivere in quel tempo – che pure era positivamente caratterizzato da fermenti culturali, rivoluzioni del costume e conquiste dei diritti civili- sarà rappresentato dal sequestro e dall’uccisione di Aldo Moro nel 1978. Seguirà nel 1980 l’assassinio, sempre ad opera delle Brigate Rosse, in un agguato alla Sapienza di Vittorio Bachelet, allora Vicepresidente del Consiglio Superiore della Magistratura.

FRANCESCO COCO era nato in Sardegna a Terralba il 12 dicembre 1908. Nella sua carriera di magistrato aveva svolto le funzioni di giudice istruttore a Nuoro negli anni Trenta e successivamente di sostituto procuratore generale della Corte d’appello di Cagliari, occupandosi di molti casi di sequestro di persona e del fenomeno del banditismo.

In seguito divenne Procuratore della Repubblica di Genova, ed è opportuno in questa sede ricordare che ebbe modo di occuparsi delle indagini sull’omicidio del Procuratore di Palermo Pietro Scaglione, morto in un agguato mafioso nel maggio 1971, affidate al suo Ufficio dalla Cassazione

Venne infine nominato nelle ultime funzioni di Procuratore Generale della Corte d’appello di Genova.

Confesso che, per avvicinarmi meglio alla realtà personale e professionale di FRANCESCO COCO, mi sono rivolta ad un testimone diretto, un collega che aveva lavorato con lui e che partecipò con dolore alla tragedia della sua morte: a Luciano Di Noto, che anni fa avevo conosciuto quando anche lui svolgeva le funzioni di Procuratore Generale della Corte d’appello di Genova. Un collega del quale avevo apprezzato le non comuni doti umane e professionali. Desidero ringraziarlo pubblicamente per la disponibilità e perché ci ha consentito di conoscere più da vicino il suo caro Collega che aveva incontrato per la prima volta nel 1967 da Procuratore della Repubblica di Genova.

Egli ricorda che Francesco Coco “Alla Procura di Genova oltre a svolgere una intensa attività produttiva, non mancava, forte anche dell’esperienza acquisita in cassazione, di profondere a noi sostituti insegnamenti e consigli sia coltivando la nostra preparazione tecnica con l’aggiornamento continuo e l’approfondimento degli istituti, sia valorizzando in ciascuno di noi le specifiche qualità e inclinazioni. Sollecitava l’osservazione, la meditazione e lo spirito critico tenendo comunque come punto fermo il rispetto della legge nella sostanza e nella forma. Professava sapientemente, come del resto immancabilmente praticava, un grande equilibrio tra previsione del diritto e giustizia del caso concreto, tra fermezza ed umanità, trattando con un impegno esclusivo tutto quello di cui si stava occupando a costo di sacrificare impegni ed esigenze personali. Tutto ciò comportava per noi sostituti attente ed appassionate discussioni attorno la sua scrivania dove il passare delle ore veniva confortato da qualche tazza di caffè in un clima laborioso ed intenso ma anche cordiale.”

“Ed è anche il ricordo del capo dell’ufficio che quando le circostanze lo richiedevano non esitava ad assumersi in prima persona ogni onere, ogni responsabilità”.

Fu in seguito da Procuratore generale, nelle tragiche circostanze di cui parliamo, che non mancò di affrontare in prima persona la terribile realtà assumendo su di sé ogni responsabilità.

Ripercorriamo brevemente questi avvenimenti.

Il 18 aprile 1974 le Brigate Rosse sequestrarono a Genova il sostituto procuratore Mario Sossi, che aveva chiesto l’ergastolo per gli assassini, rei confessi, della banda del XXII ottobre.

Il 18 maggio 1974 le Brigate Rosse comunicarono il loro ultimatum: per salvare la vita del magistrato chiedevano la liberazione di alcuni componenti la banda XXII ottobre, responsabile, tra l’altro, dell’omicidio di Alessandro Floris, un fattorino portavalori ucciso nel corso di una delle rapine con cui le BR si autofinanziavano.

Il successivo 20 maggio la Corte di Assise di Appello di Genova emise un’ordinanza che, su contrario parere del Procuratore Generale, concedeva la libertà provvisoria ed il nulla osta all’espatrio ad otto appartenenti alla banda XXII ottobre che si trovavano ristretti in carcere in attesa del giudizio di cassazione, subordinatamente alla condizione che fosse assicurata la incolumità personale e la liberazione di Mario Sossi.

Il 22 maggio il Procuratore Generale Coco presentò ricorso per cassazione contro quell’ordinanza rifiutando di darvi esecuzione, sul rilievo del mancato verificarsi delle condizioni apposte, non ritenendo sufficiente il messaggio autografo di Sossi, fatto pervenire dalle Brigate Rosse, con il quale egli, da prigioniero, si dichiarava incolume ed in buona salute.

Il 23 maggio avvenne a Milano la liberazione di Sossi.

Per il Procuratore generale si sarebbe trattato ormai di dare esecuzione al provvedimento della Corte e di ordinare la scarcerazione dei detenuti.

Usando ancora le parole di Luciano Di Noto: “Possiamo immaginare come nella mente dell’alto magistrato possa in quei giorni essere passata tutta la sua esperienza acquisita in materia di sequestri quando era pubblico ministero in Sardegna, le sue battaglie giudiziarie sul fronte del banditismo sardo, la consapevolezza della alterata libertà di pensiero e di volontà del sequestrato, la sua fragilità psicologica, la sua incolumità promessa e non riscontrata. Ed ora si sovrapponeva, disvelandosi in tutta la sua insidiosa pericolosità, in un contesto simile e profondamente diverso, il fenomeno dell’eversione politica. Lui che non era mai stato propenso a trattare con i sequestratori meno che mai poteva adattarsi a trattare con chi portava l’attacco alle istituzioni democratiche per disgregarne principi e strutture”.

L’ostaggio Sossi poteva ormai dirsi salvo, adesso l’ostaggio era diventato lui: Francesco Coco! Il suo rigore, la sua coscienza, la sua dirittura morale, il profondo e radicato senso dello Stato e delle sue istituzioni, il suo assoluto rispetto per la giustizia, il suo ruolo, la sua funzione, così come egli l’intendeva e la professava non potevano rendergli possibile che una sola soluzione. Dirà qualche giorno più tardi intervistato da un giornalista ”Ho il dovere di andare avanti. Non è in gioco la mia posizione personale. I miei obblighi non sono disponibili per me privato cittadino. lo debbo agire in conformità della legge. La legge è fatta per tutelare tutti i cittadini. lo non posso disporre per l’uno o per l’altro; non a mio vantaggio o per mio timore personale. La mia persona non c’entra nulla. E’ il mio ufficio che conta! “.

E con fermezza ed estremo coraggio firmò il provvedimento che negava esecutorietà all’ordinanza di scarcerazione. L’avvenuto rilascio dell’ostaggio Sossi non spostò il rigore giuridico della sua impostazione, considerato anche che Sossi, una volta liberato, presentava la frattura di una costola e segni di pregresse percosse. Egli rimase fermo nel rifiuto di dare esecuzione al provvedimento della Corte e nel rifiuto quindi di scarcerare i detenuti richiesti in scambio.

La Cassazione gli diede ragione, prima sospendendo e poi annullando senza rinvio l’ordinanza della Corte genovese.

Ma Francesco Coco era ben consapevole che prima o poi avrebbe pagato questa vittoria della legalità a caro prezzo.

Naturalmente continuò nella sua coerente dedizione all’ ufficio fino a due anni dopo, a quel tragico 8 giugno 1976 quando venne barbaramente ucciso con una raffica di mitra sulla Salita S. Brigida di Genova, dopo aver trascorso una mattinata di intenso lavoro e si trovava a pochi passi da casa.

Con lui furono assassinati gli uomini della scorta il Brig. P.S. Giovanni Saponara e l’App. CC. Antioco Deiana.

La puntuale rivendicazione delle Brigate Rosse, di quello che rappresentò per loro il primo omicidio di un magistrato, venne letta due ore dopo a Torino da uno degli imputati nel corso di un processo in Corte d’Assise che si stava celebrando a carico del c.d. “nucleo storico” dell’organizzazione. (tra cui Curcio, Franceschini, Ferrari).

Francesco Coco fu assassinato a pochi passi da casa dove l’attendevano la moglie ed i giovani figli.

Alla vedova fu in seguito consegnata una medaglia d’oro al valor civile la cui motivazione recita:
“Esercitava con profondo impegno, alta coscienza morale ed appassionata dedizione, la sua missione di Magistrato, distinguendosi per la particolare fermezza con cui, in occasione di gravi minacce ed intimidazioni rivoltegli, aveva difeso le istituzioni e la legalità, dimostrando eccezionale rigore morale e assoluta fedeltà al giuramento prestato indossando la toga. Cadeva vittima di un criminoso attentato con il quale, nell’Uomo, si sono voluti colpire i più alti valori della democrazia”.
Il figlio Massimo che all’epoca non aveva ancora compito 16 anni è intervenuto talvolta nel dibattito pubblico per parlare orgogliosamente di suo padre e ricordare che non ha ottenuto giustizia perché nessuno è stato condannato per la sua uccisione.

Massimo Coco, a gennaio di quest’anno,si è incontrato con gli studenti del liceo scientifico Pacinotti di Cagliari. Mi ha colpito del suo racconto – come si legge dalle cronache giornalistiche – che a 14 anni gli era stata assegnata una scorta personale che lo accompagnava ovunque. Che quando le Brigate Rosse condannarono a morte suo padre, sulla base di un dossier redatto attribuendosi il ruolo di un pseudo tribunale, fecero trovare la “sentenza”, durante la ricreazione, sul banco della sorella.

Massimo Coco dice ancora oggi di aver imparato a convivere con un dolore insuperabile, ammette il perdono degli assassini del padre ma solo come rinuncia alla vendetta, non come rinuncia al rancore che resta immutato, anche dopo tanti anni. Ha scritto un libro intitolato “Ricordare stanca” in cui pone provocatoriamente la domanda “ma voi la rabbia dove l’avete messa?”.

Non è trascorso un giorno ha detto in cui non abbia rivisto suo padre e gli uomini della scorta trucidati a terra; come aveva fatto -aggiungo io- con quegli occhi di ragazzo rimasto improvvisamente ed ingiustamente orfano.

Il tempo che mi è stato concesso è ormai trascorso e mi auguro di averlo rispettato.

A voi giovani cui la vita sorride, che avete la responsabilità del futuro del nostro Paese, auguro di non perdere l’entusiasmo e le speranze di oggi, di realizzare tutti i vostri progetti, ma anche di non dimenticare mai l’importanza per ogni cittadino dell’esercizio della memoria.

Luisa Napolitano
Sostituto Procura Generale presso la Corte d’Appello di Roma

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