di Paolo Scognamiglio, Giudice del lavoro del Tribunale Napoli

L’art.1, comma 11, legge 26 novembre 2021, n. 206, recante «Delega al Governo per l’efficienza del processo civile e per la revisione della disciplina degli strumenti di risoluzione alternativa delle controversie», all’art. 7, dispone che «1. Nell’esercizio della delega di cui all’articolo 1, il decreto legislativo o i decreti legislativi recanti modifiche al codice di procedura civile in materia di controversie di lavoro e previdenza sono adottati nel rispetto del seguente principio e criterio direttivo: unificare e coordinare la disciplina dei procedimenti di impugnazione dei licenziamenti, anche quando devono essere risolte questioni relative alla qualificazione del rapporto di lavoro, adottando le opportune norme transitorie, prevedendo che: a) la trattazione delle cause di licenziamento in cui sia proposta domanda di reintegrazione del lavoratore nel posto di lavoro abbia carattere prioritario; […]».

Sembra evidente la volontà legislativa di accantonare definitivamente il rito specifico accelerato per l’impugnativa dei licenziamenti individuali cd. Rito Fornero e non possono esservi dubbi sull’interpretazione della norma anche in presenza di qualche imperfezione di carattere tecnico (si fa riferimento a modifiche al codice di procedura civile nonostante la disciplina del rito Fornero non abbia modificato direttamente le norme del codice di rito).

La legge delega recepisce numerose sollecitazioni che erano pervenute dal mondo della magistratura, da quello accademico e riproduce le conclusioni che erano state formulate dalla «Commissione per l’elaborazione di proposte di interventi in materia di processo civile e di strumenti alternativi» istituita presso il Ministero della Giustizia con D.M.12-3-2021 e presieduta dal prof. Luiso.

Del resto già il decreto legislativo 23/2015 aveva sottratto al cd. Rito Fornero le impugnative dei licenziamenti dei lavoratori assoggettati al cd. Regime delle tutele crescenti e la legge delega completa questo processo, prevedendo l’unificazione della disciplina dei procedimenti di impugnazione dei licenziamenti.

Ora è indubbio che il cd. Rito Fornero abbia suscitato numerose incertezze applicative, si pensi al rapporto tra la fase sommaria e quella di opposizione, alla questione delle domande proponibili con il rito, all’azionabilità dello stesso da parte del datore di lavoro.

Deve però osservarsi che tali incertezze si erano andate negli ultimi anni dipanando a seguito di numerosi interventi della Suprema Corte di Cassazione che aveva chiarito, in ordine ai rapporti tra le due fasi, che nel rito cd. Fornero il giudizio di primo grado è unico a composizione bifasica, con una prima fase ad istruttoria sommaria, diretta ad assicurare una più rapida tutela al lavoratore ed una seconda fase, a cognizione piena, che della precedente costituisce una prosecuzione (Cass. n. 9458 del 2019; Cass. n. 27655 del 2017).

In ordine poi alle questioni relative alle domande proponibili con il rito Fornero si era ammessa la possibilità di chiedere anche in sede di ricorso sommario il trattamento di fine rapporto e l’indennità di mancato preavviso (Cass. n. 7091 del 2016) e soprattutto la possibilità di chiedere in via subordinata la tutela obbligatoria di cui alla legge 604/66, laddove all’esito del giudizio fossero ritenuti insussistenti i requisiti dimensionali per l’applicazione delle tutele di cui all’art. 18 St.Lav (Cass. n.12094 del 2016; in senso contrario inizialmente Cass. n. 16662 del 2015).

Si era anche chiarito come il cd. rito Fornero poteva essere attivato anche dal datore di lavoro che intendesse ottenere in via giudiziale il riconoscimento della legittimità del licenziamento dal momento che, essendo il rito in questione funzionale alla certezza, in tempi ragionevolmente brevi, dei rapporti giuridici di lavoro, va riconosciuta la medesima tutela giurisdizionale ad entrambe le parti del rapporto sostanziale, in base al principio costituzionale di equivalenza nell’attribuzione dei mezzi processuali esperibili; né può ammettersi, in relazione al medesimo licenziamento, la possibilità di due giudizi, l’uno, intrapreso dalla parte datoriale, con rito ordinario di lavoro e l’altro, dal lavoratore, con il rito speciale, poiché una tale soluzione sarebbe contraria ai principi di unitarietà della giurisdizione e di economia delle risorse giudiziarie ( Cass. n. 30433 del 2018).

In questi anni quindi la giurisprudenza era riuscita in una faticosa opera ermeneutica che aveva risolto le principali questioni interpretative posta dal rito di cui alla legge 92 del 2012 e quindi, dinanzi ad un quadro  giurisprudenziale che si era stabilizzato, pur consapevoli di esprimere  una posizione minoritaria all’interno della stessa magistratura, non è forse il caso di chiedersi se sia opportuno tale intervento o se l’abrogazione del rito non comporterà inevitabilmente anche l’allungamento dei tempi processuali.

Sul punto la legge delega sembra lasciare un certo spazio di discrezionalità al legislatore tanto che viene indicato come criterio direttivo semplicemente quello di unificare e coordinare la disciplina dei procedimenti di impugnazione dei licenziamenti, anche quando devono essere risolte questioni relative alla qualificazione del rapporto di lavoro.

Ora a meno di pensare che si voglia ricondurre tutto al cd. Rito Fornero, sembra evidente che il legislatore delegato dovrà prevedere un unico rito per le cause relative all’impugnazione dei licenziamenti, anche laddove devono essere risolte questioni relative alla qualificazione del rapporto di lavoro.

A questo punto è presumibile che si ritornerà al regime previgente con ricorsi introdotti ai sensi dell’art. 409 c.p.c. nel quale potranno confluire diverse domande, ma si dovranno prevedere strumenti affinchè la trattazione delle cause di licenziamento in cui sia proposta domanda di reintegrazione del lavoratore nel posto di lavoro abbia carattere prioritario, come recita la lettera a) del comma 11.

In alternativa sembrerebbe che il legislatore delegato possa delineare un nuovo rito per l’impugnazione dei licenziamenti, che unifichi gli attuali diversi procedimenti, comprensivo quindi sia dei lavoratori assoggettati al regime delle tutele crescenti, che quelli esclusi, ma, stante le problematiche, emerse con il rito Fornero, relative al cumulo delle domande da parte dello stesso lavoratore, sembra presumibile che si ritorni sic et simpliciter al vecchio regime.

In attesa di verificare quelle che saranno le scelte effettive del legislatore delegato, non sembra inopportuno una breve analisi dell’efficienza del rito Fornero, da intendersi quale verifica del contributo del rito Fornero alla riduzione dei tempi processuali delle controversie in materia di impugnative.

Ebbene numerose critiche si sono accentrate sullo sdoppiamento del primo grado di giudizio in due fasi, fase sommaria e fase di opposizione che avrebbe comportato, in ipotesi, addirittura l’allungamento dei tempi processuali.

In realtà, è verosimile che tra gli scopi della legge 92 del 2012 vi fosse quello di ottenere che una significativa parte delle impugnative di licenziamento si arrestasse alla fase sommaria senza che vi fosse opposizione alla pronuncia del giudice, tanto che nel dossier del servizio studi dell’atto Senato 3249, da cui trae origine, poi la legge 92 del 2012, la fase di opposizione viene definita eventuale.

In tale prospettiva è evidente che se un consistente numero di processi si arresta alla fase sommaria senza pervenire alla fase di opposizione, tanto più con una fase sommaria dai tempi ristretti, se non ristrettissimi, si consegue una riduzione notevole dei tempi processuali.

A questo punto si vuole osservare come l’esperienza sul campo del rito Fornero abbia dimostrato che lo stesso ha ridotto i tempi processuali e che solo una parte dei procedimenti introdotti con il ricorso legge 92 del 2012 giunge alla fase di opposizione.

Se prendiamo i dati della sezione Lavoro del Tribunale di Napoli, si evince che dal 28 luglio 2014 (da quando cioè è stato attribuito uno specifico codice al ricorso sommario Fornero- cod. 210015- ed alla fase di opposizione- cod. 210016) al 31 dicembre 2021,  oltre un terzo dei procedimenti  nella fase sommaria viene definito in via alternativa, quasi sempre con conciliazione (ai quali vanno aggiunti i procedimenti estinti o dichiarati improcedibili, pronunce che, come noto, celano spesso una conciliazione avvenuta al di fuori delle aule dei Tribunali) e che la fase di opposizione riguarda circa il 40% dei procedimenti conclusisi con ordinanza di rigetto o di accoglimento.

Il tutto è mostrato chiaramente dalla seguente tabella:

AnnoProcedimenti IscrittiConciliazioniRiunioniImprocedibilità, estinzioniPercentuale definizioni alternative al netto delle riunioni
2014 (dal 28 luglio)22164141638,64
2015574189424844,54
2016470112532833,57
2017385102183035,96
2018363110103442,42
2019265664829,43
20202266432137,61
20211141587 

FASE OPPOSIZIONE

AnnoIscrizioniConciliazioni, estinzioni etcRapporto Opposizioni/ fase sommaria
2014852138,46
20151813131,53
20161833338,93
20171843053,81
20181722347,25
2019991237,35
20201181352,21
20219213 

E dati non dissimili sembrano registrarsi in altri Tribunali italiani, tanto che nei Tribunali delle grandi città italiane (Milano, Firenze, Roma), seppur con qualche minima differenza, i tempi della doppia fase processuale (sommaria ed ordinaria) riescono ad essere limitati nell’anno dal deposito del ricorso (così F. Rotondi, Licenziamento e abrogazione del rito Fornero: cosa cambierà con la riforma del processo civile, in www.ipsoa.it/documents/lavoro-e-previdenza/amministrazione-del personale/quotidiano/2021/05/14/licenziamento-abrogazione-rito-fornero-cambiera-riforma-processo-civile).

E’ evidente quindi che se la maggior parte dei procedimenti introdotti con il rito Fornero si è arrestata alla fase sommaria, che per sua natura ha tempi ristretti, con istruttoria limitata, lo scopo del legislatore di ridurre i tempi processuali per le impugnative di licenziamento è stato raggiunto e forse l’abbandono del rito rischia di comportare un nuovo allungamento dei tempi processuali, magari per la semplice circostanza che vengono introdotte ulteriori domande accanto all’impugnativa di licenziamento.

Si pensi, laddove venisse scelta la strada di consentire di proporre anche nelle cause di licenziamento qualsivoglia domanda connessa al rapporto di lavoro, l’inevitabile complessità di una istruttoria per differenze retributive, spettanze di vario genere che inevitabilmente ritarderà la definizione del giudizio avente ad oggetto anche la richiesta di declaratoria di illegittimità del licenziamento.

Forse proprio per evitare queste conseguenze non è mancato chi ha proposto, per rispettare l’esigenza di garantire ai lavoratori ed alle imprese una corsia preferenziale giudiziaria in caso di impugnativa di licenziamento, di non creare un nuovo rito, ma di applicare le norme processuali già in vigore, come ad esempio l’art. 700 c.p.c. e il procedimento già regolamentato dagli artt. 669 bis e ss. c.p.c. in materia di procedura d’urgenza estendendola a tutte le ipotesi di licenziamento, con esonero dal provare il requisito del cd. “periculum in mora”  (F. Rotondi, op.cit,), soluzione che si scontra però con la circostanza che l’ordinanza cautelare è comunque reclamabile dinanzi al Collegio e potrebbe poi essere seguita da un giudizio di merito, con inevitabile allungamento dei tempi processuali.

Poche parole merita poi la questione relativa alla sorte delle controversie iniziate con il rito Fornero prima dell’entrata in vigore della delega di attuazione, le quali verosimilmente continueranno ad essere assoggettate al predetto rito (anche nella fase di opposizione e nei gradi successivi) e del resto lo stesso art. 1, comma 11,  legge 206 del 2021 onera il legislatore delegato ad adottare le opportune norme transitorie.

E’ evidente quindi che con il rito Fornero dovremo fare i conti   ancora per un po’ e non resta che sperare in una soluzione equilibrata da parte del legislatore delegato che riesca a preservare quella celerità dei procedimenti in materia di licenziamenti, cui il rito Fornero ha contribuito non poco.

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