Le nullità nell’ambito del rapporto di lavoro e le nullità cd. di protezione appartengono a regimi distinti sia dal punto di vista della disciplina che dei meccanismi operativi ; laddove si è affermata l’estensione al rapporto di lavoro delle cd. nullità di protezione squisitamente civilistiche si sono generate divergenze giurisprudenziali, con riflessi anche sulla speciale disciplina dei licenziamenti e sui principi basilari del processo del lavoro; si avverte l’esigenza di una composizione del contrasto giurisprudenziale in atto e la necessità di un bilanciamento dei diversi interessi costituzionali sottostanti alle contrapposte posizioni giurisprudenziali.

  1. Le nullità tradizionali e la nullità cd. di protezione 

La giurisprudenza di legittimità si è espressa ripetutamente ( a partire da Cass. 28 agosto 2015, n. 17286, e poi con Cass. 24 marzo 2017, n. 7687, sent. 23 novembre 2021, n. 36353,  ord. n. 6765 del 07/03/2023  ) affermando l’esistenza  di una cd. nullità di protezione in ipotesi in cui , per i lavoratori colpiti da provvedimenti disciplinari espulsivi, è stata dichiarata l’illegittimità del licenziamento , per cause non rientranti nella rigorosa prospettazione di parte della controversia. Sono state, in tal modo , sanzionate con la nullità ( e declaratoria di illegittimità del licenziamento irrogato ) fattispecie in cui si è ravvisato in capo al lavoratore subordinato la lesione di interessi ritenuti meritevoli di una particolare protezione  in quanto relativi alla posizione di contraenti che si trovavano in una situazione di fisiologica debolezza rispetto alla controparte datoriale  e, dunque, in una posizione di asimmetria economica e contrattuale. In nome di tale interesse , poi, si è affermata la doverosità di un intervento d’ufficio del giudice del lavoro nella individuazione e rilevazione delle cause di illegittimità del licenziamento disciplinare – per lo più per nullità attinenti il procedimento disciplinare  da osservarsi – anche al di là delle originarie richieste della parte ricorrente . 

Apparentemente , si tratta del riflesso, nella disciplina lavoristica , di una patologia di più ampia portata, quello delle nullità cd. di protezione  riguardanti normalmente i contratti in generale e, soprattutto, la tutela dei consumatori ove lo strumento dell’annullabilità non è stato ritenuto più sufficiente per tutelare l’interesse del singolo.

Correlativamente , in queste ipotesi,  ed in via del tutto innovativa per quanto concerne il processo del lavoro, al giudice viene attribuito un potere di controllo sull’equilibrio del rapporto che va ben al di là delle tradizionali ipotesi individuate dal codice o dalle leggi speciali .

Da tale potere di controllo giudiziale discende , in dottrina, il proliferare di nuove figure di nullità, definite di volta in volta protettive, relative, speciali, in quanto caratterizzate da una disciplina giuridica in cui è possibile riscontrare profili, come la legittimazione riservata o ristretta ad agire, che rinviano all’annullabilità e profili, come la rilevabilità d’ufficio, che, invece, rinviano alla nullità classica.

L’art. 1421 c.c., nel codificare la norma generale sulla legittimazione assoluta ad agire in nullità, fa salve le eventuali diverse disposizioni di legge, così ammettendone di fatto la possibile deroga. In questo contesto sembrerebbero porsi le cd. nullità relative che possono essere rilevate non da chiunque vi abbia interesse ma da una ristretta categoria di soggetti protetti.

La nullità di protezione opera, quindi, in ogni caso nell’ambito dei contratti , come strumento correttivo di un assetto squilibrato, determinato, nel caso tipico del consumatore, dalla predisposizione unilaterale di clausole vessatorie, tali da pregiudicarne l’interesse.

Può azzardarsi, dunque, la considerazione secondo la quale queste nuove nullità risponderebbero ad opzioni di natura più squisitamente politica ed  osservarsi che esse  sono varie e multiformi e che costituiscono lo strumento attraverso il quale il legislatore persegue obiettivi di politica legislativa.

La loro ratio si rinverrebbe , secondo le prevalenti opinioni dottrinarie , nell’introduzione di un nuovo concetto di ordine pubblico e, quindi, di norma imperativa inderogabile; in altre parole , nell’esistenza di un ordine pubblico di protezione , connotato da norme che non tutelano un interesse generale della collettività ma che, al contrario, tutelano solo alcuni soggetti giuridici in quanto appartenenti a ceti o a gruppi sociali, caratterizzati da una situazione di particolare debolezza e vulnerabilità e che, conseguentemente, necessitano di una specifica protezione da parte del legislatore.

La tutela di tali interessi , dunque, secondo la giurisprudenza di legittimità innanzi citata , comprende , nelle ipotesi esaminate dalle pronunce , anche quella dei lavoratori subordinati .

I risultati di tali statuizioni , tuttavia, nella pratica applicazione processuale, si prospettano quasi come rivoluzionari dei consolidati assetti del processo del lavoro .  

2) Il potere di rilevabilità di ufficio e il processo del lavoro ; le Sezioni Unite del 2014

Il meccanismo della nullità di protezione, invero,  innesca un contrasto tra  il potere di rilevabilità d’ufficio della violazione  e la tradizionale distribuzione  degli oneri processuali di parte e  con le preclusioni che ordinariamente scandiscono  il rito nel processo del lavoro .

In proposito l’interrogativo fondamentale da porsi – e che a parere della scrivente rimane tuttora  privo di una risposta certa –  è se la questione della rilevabilità d’ufficio – indagata diffusamente dalla dottrina civilistica con riferimento ai contratti diversi da quello di lavoro  – debba essere considerata nel giudizio del lavoro nella medesima accezione o se, in ossequio alla specialità del rito e della disciplina di volta in volta fissata per specifici rapporti di lavoro , il potere officioso del giudice vada inteso in un orizzonte più limitato rispetto a quello generale ,  tracciato dalle Sezioni Unite del 2014 (Cass. Sez. U, Sentenza n. 26242 del 12/12/2014) secondo cui:

“La “rilevazione” “ex officio” delle nullità negoziali (sotto qualsiasi profilo, anche diverso da quello allegato dalla parte, ed altresì per le ipotesi di nullità speciali o “di protezione”) è sempre obbligatoria, purché la pretesa azionata non venga rigettata in base ad una individuata “ragione più liquida”, e va intesa come indicazione alle parti di tale vizio; la loro “dichiarazione”, invece, ove sia mancata un’espressa domanda della parte pure all’esito della suddetta indicazione officiosa, costituisce statuizione facoltativa (salvo per le nullità speciali, che presuppongono una manifestazione di interesse della parte) del medesimo vizio, previo suo accertamento, nella motivazione e/o nel dispositivo della pronuncia, con efficacia, peraltro, di giudicato in assenza di sua impugnazione.”

In quel contesto, infatti,  la Corte rilevava come all’interesse del singolo contraente debole debba saldarsi quello generale «a che l’esercizio dell’autonomia privata sia corretto, ordinato e ragionevole», potendo tali interessi «addirittura coincidere con valori costituzionalmente rilevanti, quali il corretto funzionamento del mercato (art. 41 Cost.) e l’eguaglianza quantomeno formale tra contraenti forti e deboli (art. 3 Cost.), poiché lo squilibrio contrattuale tra le parti altera non soltanto i presupposti dell’autonomia negoziale ma anche le dinamiche concorrenziali tra imprese». Il ragionamento della Corte, muovendosi sul duplice piano della tutela sostanziale e di quella processuale, si assestava, poi, nel considerare come il giudice abbia d’ufficio il compito di rilevare la nullità, segnalandola alle parti e provocando su di essa il contraddittorio ( ex art. 101 c.p.c. ), salvo poi trarne le dovute conclusioni in punto alla declaratoria in ipotesi di “non opposizione” della parte debole.

Va ,altresì, considerato che , secondo la citata statuizione , la rilevabilità d’ufficio costituisce il carattere anche delle nullità speciali, incluse quelle denominate “di protezione virtuale” (in ciò differenziandosi dal precedente arresto n. 14828/2012, in cui, invece, si era escluso un siffatto rilievo per tali particolari forme di nullità). La Suprema Corte ha rafforzato il concetto  affermando che “Il potere del giudice di rilevarle tout court appare essenziale al perseguimento di interessi pur sempre generali sottesi alla tutela di una data classe di contraenti (consumatori, risparmiatori, investitori): interessi che possono addirittura coincidere con valori costituzionalmente rilevanti, – quali il corretto funzionamento del mercato, ex art. 41 Cost. e l’uguaglianza non solo formale tra contraenti in posizione asimmetrica – con l’unico limite di riservare il rilievo officioso delle nullità di protezione al solo interesse del contraente debole, ovvero del soggetto legittimato a proporre l’azione di nullità, in tal modo evitando che la controparte possa, se vi abbia interesse, sollecitare i poteri officiosi del giudice per un interesse suo proprio, destinato a rimanere fuori dall’orbita della tutela”.

Anche la giurisprudenza comunitaria si è , poi, univocamente orientata nel senso della necessità della rilevazione di ufficio della nullità di una clausola abusiva. In proposito , il richiamo è alle decisioni della Corte di Giustizia in tema di rilievo officioso nelle ipotesi delle clausole abusive nei contratti business-to-consumer o B2C; sono cioè i contratti caratterizzati dallo scambio commerciale di prodotti o servizi diretta al consumatore ,in cui secondo gli artt. 33 e 34 del Codice del consumo ( D.lgs. 206/2005 )  le clausole vessatorie sono sanzionate con la nullità , rilevabile dal giudice  d’ufficio , e il contratto rimane valido per il resto (art. 36) . Anche a livello comunitario, dunque, con la sentenza Pannon della Quarta Sezione della Corte di Giustizia , N. 62008CJ0243 del 4 giugno 2009,  si desume un chiaro rafforzamento del potere-dovere del giudice di rilevare d’ufficio la nullità della clausola considerata abusiva .

3) Le nullità nel rapporto di lavoro

Fissati dalle Sezioni Unite del 2014 i principi in materia di nullità cd. di protezione occorre comprendere se e come trasporre il potere officioso di rilevazione delle nullità di protezione  nel processo del lavoro .

Partendo , cioè, dal parallelismo tra diritto dei contratti e diritto del lavoro, come può orientarsi l’interprete dinanzi a nullità da intendersi nel solo interesse del lavoratore? E come deve atteggiarsi il contegno processuale del giudice nell’intreccio tra legittimazione ad agire e rilevabilità d’ufficio?

L’interrogativo, come anticipato , è destinato a rimanere privo di una risposta sicura in quanto , come ben noto ai giuslavoristi, nella maggior parte dei casi , la patologia di un rapporto di lavoro è specificamente prevista e disciplinata , per lo più da disposizioni di legge ad hoc.

E così a fronte della ipotesi , più generale ed ampia  possibile, di invalidità del contratto di lavoro rinveniamo la disciplina dell’art. 2126 c.c., ove si dispone che «la nullità o l’annullamento del contratto di lavoro non produce effetto per il periodo in cui il rapporto ha avuto esecuzione, salvo che la nullità derivi dall’illiceità dell’oggetto o  della causa».

Si è osservato che ,strutturalmente, la disposizione non si pone in chiave dinamica, cioè come destinata a proteggere la continuità del rapporto di lavoro ma si limita, invece, a regolare, in funzione retrospettiva, una situazione già trascorsa. L’art. 2126 c.c. infatti non comporta l’inefficacia a seguito della nullità ma ,  replicando  il modello originario e risalente della nullità, fa si che nullum producit effectum con la sola eccezione della prestazione già svolta che , non potendo essere restituita, deve essere retribuita.

L’art. 2126 c.c. è , nella sua unicità , una disposizione che ha carattere eccezionale; ad essa si sono poi succedute tutte le disposizioni di legge che hanno disciplinato , con modalità e previsioni distinte, la  stipulazione di contratti di lavoro subordinato diversi da quello a tempo indeterminato . In tutte quelle norme successive, la sanzione della nullità è stata individuata nell’utilizzo scorretto del modello negoziale rispetto alla fattispecie tipica dell’art. 2094 c.c.

E in tutti i casi collegabili a violazioni della disciplina del contratto a termine e poi in tutte le ulteriori e successive tipologie di contratti di lavoro flessibili (somministrazione, co.co.co.,  contratti a progetto ecc. ) abbiamo assistito ad una tipizzazione specifica sia delle regole vigenti che delle sanzioni previste in caso di contratto illegittimo  .

E , pur nelle diverse previsioni che si sono succedute , dalla  legge n. 230  del 1962 in poi e fino al D.lgs. n. 81/2015, in cui sono stati reiterati solo parzialmente gli schemi tracciati dal d.lgs. n. 368/2001 e dal d.lgs. n. 276/2003,  il meccanismo sanzionatorio , espressamente previsto dalla legge , sostanzialmente, è sempre stato quello della trasformazione o della conversione del contratto temporaneo in un contratto a tempo indeterminato o comunque nell’applicazione , a fronte di una specifica violazione , di una sanzione tipizzata .

In termini di inquadramento, la trasformazione del contratto a tempo determinato in contratto a tempo indeterminato , è stata qualificata come nullità parziale ex art. 1419, co. 2 c.c. dalla prevalente dottrina , con la sostituzione di diritto della clausola contrattuale nulla, ma sempre  subordinata alla richiesta del lavoratore di costituzione di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato.

Nel diverso caso delle invalidità dei rapporti di lavoro autonomo coordinato il meccanismo di conversione è stato invece quello dell’art. 1424 c.c.Qui,  infatti, con il d.lgs. n. 276/2003, i vizi del contratto a progetto sono sempre sanzionati con la conversione in un rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato ma l’inquadramento delle ipotesi sanzionatorie nell’alveo della nullità parziale era ostacolato dalla natura non subordinata del contratto originario e dall’assenza di una regolamentazione alternativa con cui sostituirlo.

In questi casi, dunque, si è fatto riferimento  al meccanismo di conversione del contratto nullo exart. 1424 c.c. secondo cui Il contratto nullo può produrre gli effetti di un contratto diverso, del quale contenga i requisiti di sostanza e di forma, qualora, avuto riguardo allo scopo perseguito dalle parti, debba ritenersi che esse lo avrebbero voluto se avessero conosciuto la nullità.

Infine, con la riforma del Jobs Act, che ha abrogato la normativa sul lavoro a progetto, (art. 52, d.lgs. n. 81/2015) , ha ricondotto le collaborazioni alla disciplina del lavoro subordinato (art. 2, d.lgs. n. 81/2015), e ha inserito nell’art. 409, n. 3 c.p.c. un’ulteriore ipotesi di collaborazione coordinata, il meccanismo sanzionatorio si è spostato dalla previsione tipizzata del vizio alla sussistenza o insussistenza di indici fattuali di etero-organizzazione della prestazione di lavoro.

In ogni caso,  sembrerebbe che il parallelismo tra nullità di protezione e invalidità dei contratti di lavoro rimanga limitato al solo piano descrittivo perché esso mal si adatta , sula piano operativo, alla peculiarità del processo del lavoro e alla specifica disciplina del rapporto di lavoro .

E anche nei casi in cui la giurisprudenza ha introdotto interpretazioni fortemente innovative – come nel caso dell’estensione del regime indennitario alla somministrazione irregolare , allargando le maglie dell’art. 32, comma 5, legge n. 183/2010 testualmente destinato alla sola contrattazione a termine  – lo ha fatto escludendo l’estensione delle logiche proprie delle nullità di protezione e concentrandosi sul concetto di conversione, largamente utilizzato nei casi di abuso della clausola temporale , per includervi non solo provvedimenti di natura dichiarativa ma anche di natura costitutiva.

Si è trattato, comunque, di tutta una casistica –del lavoro flessibile e della tutela in caso di abuso -dettagliatamente disciplinata dal legislatore e ampiamente indagata dalla giurisprudenza sia interna che comunitaria. In tali coordinate si è mossa l’azione del giudice in caso di abuso,  attingendo  nel suo intervento ,comunque , al principio dispositivo e alle richieste di parte  .

Ugualmente , nelle ipotesi di licenziamento – dove l’intervento della cd. Legge Fornero ha articolato e tipizzato le diverse fattispecie di vizio del licenziamento,  individuandone le rispettive tutele – gli ambiti in cui l’interprete si è mosso sono sempre stati delineati da un lato dalla disciplina legale e dall’altra dalle richieste di parte , nel rigido rispetto del principio di rispondenza tra chiesto e pronunciato. 

4)I contrasti giurisprudenziali nelle ipotesi di licenziamento disciplinare degli autoferrotranvieri

Allorquando,  invece ,  si è affermata l’esistenza di una generale nullità di protezione a favore del lavoratore sanzionato ,  per effetto della quale il giudice è tenuto ad esercitare un potere di indagine e di controllo ex officio , sono sorti problemi di carattere interpretativo di non poco momento.

Deve ,infatti , darsi atto dell’esistenza di un vivace dibattito giurisprudenziale, contrassegnato da interventi della giurisprudenza di legittimità in chiave correttiva rispetto a quella di merito, riguardo agli effetti e alle modalità operative delle nullità cd. di protezione nel paradigma giuslavoristico .

Ci si riferisce , essenzialmente , alle controversie legate all’esercizio del potere disciplinare del datore di lavoro ed in particolare – sono i casi più numerosi – al rapporto di lavoro degli autoferrontranvieri , nell’ambito del quale persiste uno storico nucleo regolamentare , costituito dal Regio Decreto n. 148/1931 , che si interseca con la successiva e generale disciplina giuslavoristica dello Statuto del lavoratore , L. n. 300/1970 così come modificata, quanto all’art. 18 , dalla legge n. 92/2012 e successive .

Sono ipotesi problematiche, legate alla sovrapposizione di sistemi regolamentari speciali , rispetto alle quali anche le pronunce di legittimità susseguitesi nel tempo risultano  in contrasto tra loro. 

Al riguardo , ci si chiede se si tratti di un’ effettiva applicazione, nell’ambito del diritto e del processo del lavoro , dello schema della nullità ,propriamente civilistica , di protezione o se invece ricorra una convergenza solo apparente tra i due sistemi.

La giurisprudenza della sezione lavoro della Cassazione, infatti, discostandosi da un proprio precedente del 2015 ( Sez. L, Sentenza n. 17286 del 28/08/2015) che aveva statuito che La nullità di una sanzione disciplinare per violazione del procedimento finalizzato alla sua irrogazione – sia quello generale di cui all’art. 7 st.lav., sia quello specifico previsto per gli autoferrotranvieri dall’art. 53 del r.d. n. 148 del 1931, all. A (nella specie, l’omessa pronuncia da parte del Consiglio di disciplina) – rientra tra quelle cd. di protezione poiché ha natura inderogabile ed è posta a tutela del contraente più debole del rapporto, vale a dire il lavoratore, sicché è rilevabile d’ufficio con una successiva pronuncia del 2017  (Cass. Sez. L.  24 marzo 2017, n. 7687) ha ritenuto estranee alla logica delle nullità di protezione quelle disposte, ad esempio, dall’art. 7 St. lav., riconducendole così ad un ambito di specialità suo proprio, incompatibile con le nullità consumeristiche . In quel caso era stata eccepita la nullità del procedimento disciplinare e della sanzione espulsiva, derivata dalla mancata individuazione dell’ufficio competente prevista dall’art. 55 del d.lgs. n. 165 del 2001; il giudice di appello aveva escluso la tardività della eccezione, ritenuta invece dal Tribunale, evidenziando che la nullità è rilevabile d’ufficio ed è quindi estranea all’ambito delle decadenze allegatorie e probatorie di cui agli artt. 414 e 416 cod. proc. civ. La Suprema Corte si è quindi espressa, nel marzo del 2017, affermando che la rilevabilità d’ufficio della nullità non può incidere sulle preclusioni e decadenze di cui agli artt. 414 e 416 cod. proc. civ. .

In particolare, ha affermato che la causa petendi dell’azione proposta dal lavoratore , per contestare la validità e l’efficacia del licenziamento,  va individuata nello specifico motivo di illegittimità dell’atto dedotto nel ricorso introduttivo, in quanto ciascuno dei molteplici vizi dai quali può derivare la illegittimità del recesso discende da circostanze di fatto che è onere del ricorrente dedurre e allegare. Muovendo da detto presupposto ha, quindi ritenuto che, pur a fronte del medesimo petitum, escluse le ipotesi nelle quali la modifica resta limitata alla sola qualificazione giuridica, costituisce inammissibile domanda nuova la prospettazione, nel corso del giudizio di primo grado e, a maggior ragione, in sede di impugnazione, di un profilo di illegittimità del licenziamento non tempestivamente dedotto.

Il principio, già affermato da pronunce risalenti nel tempo ( cfr. fra le tante Cass. 12.2.1982 n. 886; Cass. 12.8.1987 n. 6899; Cass. 26.3.1990 n. 2418; Cass. 16.4.1999 n. 3810), è stato ribadito da successive decisioni, che hanno qualificato nuove le domande volte, per esempio,  a : far valere l’assenza di giusta causa o giustificato motivo a fronte di un’azione con la quale originariamente era stato prospettato solo il motivo ritorsivo o discriminatorio ( Cass. 22.6.2016 n. 12898); ottenere la dichiarazione di nullità del licenziamento discriminatorio, sia pure sulla base di circostanze emergenti dagli atti, in fattispecie nella quale era stata dedotta solo la mancanza di giusta causa (Cass. 3.7.2015 n. 13673 e con riferimento al motivo ritorsivo Cass. 28.9.2015 n. 19142); prospettare vizi formali del procedimento disciplinare diversi da quelli denunciati nell’atto introduttivo (Cass. 16.1.2015 n. 655; Cass. 25.5.2012 n. 8293; Cass. 9.3.2011 n. 5555; Cass. 12.6.2008 n. 15795).

In tutte le pronunce richiamate si è fatto leva sulle regole del rito, che impongono la tempestiva deduzione delle circostanze di fatto poste a fondamento dell’azione, e, nelle ipotesi in cui il vizio tardivamente denunciato avrebbe potuto condurre a una dichiarazione di nullità dell’atto di recesso, si è anche evidenziato che « la rilevabilità d’ufficio della nullità non può incidere sulle preclusioni e decadenze di cui agli artt. 414 e 416 cod. proc. civ. ove, attraverso l’exceptio nullitatis, si introducano tardivamente in giudizio questioni di fatto ed accertamenti nuovi e diversi, ponendosi, una diversa soluzione, in contrasto con il principio della ragionevole durata del processo di cui all’art. 111 Cost.» ( Cass. 17.5.2012 n. 7751).

Si è aggiunto che la eventuale nullità del licenziamento, per contrasto con norme imperative di legge, non può essere rilevata dal giudice, giacché « il principio di cui all’art. 1421 cod. civ., che va comunque coordinato con il principio della domanda, con quello della corrispondenza tra chiesto e pronunciato e con quello della disponibilità delle prove, di cui all’art. 115 cod. proc. civ., non può trovare applicazione quando la parte chieda la declaratoria di invalidità di un atto a sé pregiudizievole, dovendo la pronuncia del giudice rimanere circoscritta, in tale caso, alle ragioni di illegittimità ritualmente dedotte dalla parte stessa»( Cass. 7.1.2003 n. 9167 e negli stessi termini Cass. 21.12.2004 n. 23683, richiamata in motivazione da Cass. n. 13673/2015 cit.).

La non rilevabilità di ufficio di un motivo di nullità non tempestivamente dedotto è stata, quindi, giustificata anche facendo leva sull’orientamento, all’epoca maggioritario, che in relazione alle patologie contrattuali riteneva che la regola enunciata dall’art. 1421 cod. civ.( secondo cui , salvo diverse disposizioni di legge , la nullità può essere fatta valere da chiunque vi ha interesse e può essere rilevata d’ufficio dal giudice )  dovesse essere coordinata con il principio dispositivo. Conseguentemente, si riteneva che essa dovesse operare solo nelle controversie promosse per far valere diritti presupponenti la validità del contratto ma non nella diversa ipotesi in cui la domanda fosse diretta a fare dichiarare l’invalidità del contratto o a farne pronunciare la risoluzione per inadempimento.

Con la sentenza n. 7687/2017,  la  Corte di Cassazione  ha espressamente individuato il contrasto di orientamenti ed ha infatti premesso di non ignorare che a diverse conclusioni era pervenuta Cass. 28.8.2015 n.17286,  che ha ritenuto legittimamente esercitato il potere di rilevazione officiosa delle nullità verificatesi nel procedimento disciplinare, evidenziando che l’invalidità della sanzione derivata dalla « violazione dell’iter legislativo previsto per la sua irrogazione rientra nella categoria delle nullità di protezione, atteso che la procedura garantistica prevista in materia disciplinare (dall’art. 7 Stat. in linea generale e, nello specifico dei rapporti di lavoro autoferrotranviario, dall’art. 53 r.d. n. 148/31) è inderogabile ed è fondata su un evidente scopo di tutela del contraente debole del rapporto (vale a dire del lavoratore dipendente).

Il Collegio della sentenza del 24 marzo 2017, n. 7687 ( Pres. Macioce e Est. Di Paolantonio )ha, tuttavia , ritenuto di  non potere condividere l’automatica estensione alla materia che ci occupa dei principi affermati dalle Sezioni Unite, posto che la applicabilità agli atti unilaterali della normativa che regola la materia contrattuale in tanto è possibile ex art. 1324 cod. civ. in quanto la disciplina, che a tal fine non può essere disgiunta dalla sua interpretazione, sia compatibile con la natura dell’atto che viene in rilievo e non sia derogata da diverse disposizioni di legge.

Ha rilevato , quindi, la presenza di una normativa speciale che, a partire dalla legge n. 604 del 1966 sino al d.lgs 4.3.2015 n. 23, pur utilizzando le categorie civilistiche della inefficacia, nullità e annullabilità, si discosta, quanto al regime giuridico, dalla disciplina generale, tanto da prevedere anche per il licenziamento nullo che lo stesso debba essere impugnato nel termine di decadenza previsto dall’art. 6 della richiamata legge n. 604 del 1966 ( la cui applicazione è stata estesa dall’art. 32 della legge 4.11.2010 n. 183 a tutte le ipotesi di «invalidità» del recesso e, quindi, anche a nullità diverse da quelle previste dall’art. 4 della legge n. 604/1966) e la successiva azione debba essere promossa entro termini perentori particolarmente contenuti.

La specialità della disciplina in tema di licenziamento è stata poi ampiamente illustrata dalla Corte,   sia con riferimento all’art. 18 della legge n. 300 del 1970, nel testo precedente la riforma della L. 92/2012 , in cui la disciplina della invalidità in senso lato del licenziamento era diversificata non solo in ragione della natura del vizio accertato ma anche in relazione alla sfera soggettiva, nella quale il recesso veniva a essere collocato,  che in relazione ai successivi interventi normativi che hanno attribuito rilievo alla natura del vizio e alle cause di nullità del recesso, ma sempre differenziando la disciplina rispetto all’azione generale di nullità. E secondo la Corte , proprio in relazione al tema della applicabilità dell’art. 1421 c.c. , gli  ultimi interventi legislativi del 2012 hanno fornito un riscontro alla tesi della non rilevabilità d’ufficio di profili di nullità del licenziamento non dedotti dalla parte. Tanto perché , in un sistema processuale fondato sul principio della domanda e sul conseguente divieto di ultrapetizione, non si giustificherebbe diversamente la previsione dell’art. 18, comma 7, della legge n. 300 del 1970, come modificato dalla legge n. 92 del 2012, e dell’art. 4 del d.lgs n. 23 del 2015, nella parte in cui fa riferimento all’applicazione delle tutele previste per il licenziamento discriminatorio (quindi affetto da nullità) «sulla base della domanda formulata dal lavoratore».

La pronuncia più volte richiamata si è ,pertanto, discostata dai principi affermati dalle Sezioni Unite della Corte ,ritenendo che le ragioni a base della rilevabilità officiosa non si prestano ad essere estese alla impugnativa del licenziamento, che resta circoscritta all’atto e non al rapporto . Non può dunque equipararsi l’impugnativa del licenziamento all’azione con la quale si fanno valere diritti autodeterminati, attesa la molteplicità dei profili di nullità, annullabilità e inefficacia che possono incidere sulla validità in senso lato del recesso e che implicano la deduzione e la allegazione di circostanze di fatto che, per le peculiarità proprie del rito, devono entrare a far parte del thema decidendum e del thema probandum sin dal primo atto introduttivo.

Per queste considerazioni , pertanto, il Collegio ha ribadito  l’orientamento in  forza del quale non è consentita al ricorrente la tardiva deduzione di un vizio del procedimento disciplinare non dedotto nell’atto introduttivo né può il giudice rilevare d’ufficio una ragione di nullità del licenziamento diversa da quella eccepita dalla parte.

Sul solco dei due contrapposti orientamenti giurisprudenziali si sono alternate le successive pronunce giurisprudenziali che , di volta in volta ,  hanno ribadito i principi dell’uno o dell’altro.

Da un lato si è ritenuto , dunque, che in materia di procedimento disciplinare a carico degli autoferrotranvieri, l’art. 53 dell’allegato A al r.d. n. 148 del 1931 prevede una procedura articolata in più fasi, inderogabile e volta alla tutela del lavoratore dipendente, quale contraente debole; l’omissione di una delle suddette fasi determina la nullità della sanzione disciplinare che, in relazione al tipo di violazione, rientra nella categoria delle nullità di protezione” (Sez. L Sentenza n. 13804 del 31/05/2017 Pres.Bronzini  Est. Cinque ) .

Dall’altro si sono registrate pronunce di senso opposto ,nel senso dell’esclusione della rilevabilità d’ufficio di cause di nullità del licenziamento (cfr., tra le altre, Cass. n. 28796/2017; n. 9675/1019; n. 18705/2019; n. 20397/2021; n. 36353/2021), secondo le quali la disciplina della invalidità del licenziamento è caratterizzata da specialità  rispetto a quella generale della invalidità negoziale e si è affermato che il giudice non può rilevare di ufficio una ragione di nullità del licenziamento diversa da quella eccepita dalla parte ( cfr. da ultimo Cass. n. 35231/2022 ) .

La giurisprudenza più recente  ( Cass. n. 36353 del 23 novembre 2021 )  ha sentito la necessità di definire il perimetro entro cui la rilevazione d’ufficio è consentita. La Suprema Corte , nel 2021, infatti, è stata chiamata a pronunciarsi in tema di licenziamento disciplinare , nell’ambito del quale si era posta  la questione della rilevabilità d’ufficio della competenza dell’organo che aveva irrogato la sanzione , eccezione non introdotta originariamente con l’impugnativa giudiziale del licenziamento, in connessione con l’art. 55-bis d. lgs. 165/2001 ; ebbene in quell’occasione la Suprema Corte  ha affermato che : il rilievo d’ufficio delle eccezioni in senso lato non è subordinato alla specifica e tempestiva allegazione della parte ed è ammissibile anche in appello,  dovendosi ritenere sufficiente che i fatti risultino documentati “ex actis”, in quanto il regime delle eccezioni si pone in funzione del valore primario del processo, costituito dalla giustizia della decisione, che resterebbe svisato ove anche le questioni rilevabili d’ufficio fossero subordinate ai limiti preclusivi di allegazione e prova previsti per le eccezioni in senso stretto (Cass., S.U., 7 maggio 2013, n. 10531 e, poi, Cass. 31 ottobre 2018, n. 27998).

Ha , dunque,  precisato che il potere-dovere di rilevazione officiosa di un’eccezione in senso lato deve avvenire su fatti legalmente acquisiti al processo per cui il giudice ( o anche la parte sollecitandone i poteri   ) può attribuire significatività giuridica ad una circostanza che, pur acquisita al processo – attraverso affermazioni pregresse di parte, produzioni o qualunque incombente istruttorio legalmente svolto-  non sia stata giuridicamente valorizzata dalle parti,  entro i termini preclusivi che caratterizzano le attività destinate a individuare i fatti costitutivi o le eccezioni rispetto all’oggetto del contendere.

Il potere-dovere officioso di rilevare il significato giuridico di un certo fatto pur se non valorizzato dalle parti, non va invece spinto fino all’introduzione nel processo di una circostanza che già non gli appartenesse, né con la proposizione di ipotesi o di percorsi di indagine finalizzati all’acquisizione al dibattito di un altro fatto, costitutivo o tale da integrare eccezione, ancora ad esso estraneo.

Secondo la Suprema Corte “La rilevazione d’ufficio di una nullità sostanziale può avere corso esclusivamente se basata su fatti ritualmente introdotti o comunque acquisiti in causa, secondo le regole che disciplinano, anche dal punto di vista temporale, il loro ingresso nel processo, non potendosi essa fondare su fatti di cui il giudice (o la parte, tardivamente rispetto ai propri oneri) soltanto astrattamente possa ipotizzare la verificazione e che per essere introdotti presuppongano l’esercizio di un potere di allegazione ormai precluso in rito.”

La Corte, dunque, ha ribadito che il giudice, ed in particolare quello del lavoro, ha il potere dovere di dare corso alle piste probatorie finalizzate a verificare se siano dimostrabili certi fatti decisivi ma si deve pur sempre trattare di fatti già acquisiti al processo (Cass. 15 maggio 2018, n. 11845; Cass. 13 febbraio 2006, n. 3047) e non di fatti di cui il giudice (o la parte, tardivamente rispetto ai propri oneri) soltanto ipotizzi la verificazione e ne esplori l’esistenza o i connotati.

Nel quadro dei due distinti orientamenti sono intervenute pronunce di legittimità di senso opposto.

Così, nell’ambito dell’orientamento che annovera l’invalidità del licenziamento alle nullità di protezione , con Sez. L- Ordinanza n.6555/2023 del 6.3.2023 Pres.Doronzo Est.Caso si è riaffermato che :

In tema di sanzioni disciplinari, la violazione del procedimento di cui all’art. 53 del r.d. n. 148 del 1931, all. A, comporta la nullità del provvedimento disciplinare e, in particolare, un’invalidità c.d. “di protezione”, in ragione dell’inderogabilità della citata disposizione e della sua funzione di tutela del lavoratore, al quale spetta la tutela reale e risarcitoria prevista dall’art. 18, commi 1 e 2, della l. n. 300 del 1970 ha cassato con rinvio la sent. n. 2173/2020 con

Ribadisce, invece, l’opposto  orientamento e , dunque, la specialità della disciplina del licenziamento rispetto alle invalidità negoziali Sez.L Cass. Ordinanza n. 35231/2022del 30.11.2022  Pres. Raimondi che , nel cassare una pronuncia della Corte di Appello di Napoli aderente al primo orientamento  , ha ripetuto che il principio fondamentale in materia rimane quello secondo cui il giudice deve attenersi alla “domanda formulata dal lavoratore”.

5) Conclusioni

Il contrasto tra le tesi contrapposte  è destinato a generare ancora ricadute non da poco nella realtà lavorativa delle aziende, soprattutto perché destinate a ripercuotersi su di un contenzioso problematico , nascente  dall’irrogazione di licenziamenti per motivi disciplinari, in un settore , quello del trasporto pubblico , in cui andrebbero considerati e bilanciati i contrapposti interessi in gioco , aventi tutti rango costituzionale.

Ad avviso della scrivente, emerge cioè la necessità di un bilanciamento tra gli interessi tutelati dagli artt. 97 e 98 della Cost. di efficienza, imparzialità e buon andamento della pubblica amministrazione  , nel cui alveo potrebbe ben ricondursi l’esigenza , avvertita dalle aziende di pubblico trasporto , di assicurare l’importanza sostanziale del rispetto di norme primarie di comportamento e quello ,contrapposto, di tutela del singolo lavoratore ( artt. 4 e 36 Cost. ) quale contraente debole del rapporto. 

Si auspica , quindi, che nel futuro tale divergenza di opinioni possa essere ricomposta nel più ampio  rispetto delle garanzie costituzionali dettando fornendo così agli operatori del diritto un appiglio sicuro nella soluzione di delicate controversie lavorative.

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