A cura di Cristina Marzagalli

  1. Il 70° anniversario della Corte di Giustizia dell’Unione Europea

Quest’anno la Corte celebra il settantesimo anniversario della sua istituzione, avvenuta nel 1952 con il trattato istitutivo della Comunità europea del carbone e dell’acciaio (CECA). La Corte è la più antica istituzione dell’Unione europea, più precisamente l’istituzione giurisdizionale.

 Il primo presidente della Corte di Giustizia è stato un italiano, Massimo Pilotti.

Il 25 marzo 1957 i Trattati di Roma istitutivi della Comunità Economica europea (CEE) e la Comunità europea dell’energia atomica (EURATOM) crearono un nuovo organo giurisdizionale, unico per le tre comunità (CECA, CEE, EURATOM), la Corte di Giustizia delle Comunità europee.  Con l’entrata in vigore del Trattato di Lisbona, il 1° dicembre 2009, l’Unione europea si è dotata di personalità giuridica e ha rilevato le competenze precedentemente conferite alla Comunità europea. Il diritto comunitario è divenuto, quindi, il diritto dell’Unione e la Corte ha cambiato il nome in Corte di Giustizia dell’Unione europea .

La Corte di giustizia dell’Unione europea, la cui sede è fissata a Lussemburgo, comprende due organi giurisdizionali: la Corte di giustizia e il Tribunale (creato nel 1988).

Dalla sua fondazione, la Corte di giustizia dell’Unione europea ha il compito di assicurare “il rispetto del diritto nell’interpretazione e nell’applicazione” dei trattati.

Nell’ambito di tale compito la Corte di giustizia dell’Unione europea:

  • controlla la legittimità degli atti delle istituzioni dell’Unione europea,
  • vigila sull’osservanza da parte degli Stati membri degli obblighi derivanti dai trattati, e interpreta il diritto dell’Unione su domanda dei giudici nazionali.

Va sottolineata l’importanza delle sentenze rese dalla Corte in via pregiudiziale nel dialogo con i giudici nazionali, le quali hanno delineato la gran parte dei principi fondamentali del diritto dell’Unione e hanno portato alla codificazione, per via giurisprudenziale, di un ordinamento di rango costituzionale comune ai Paesi dell’Unione. Questa valenza propulsiva della giurisprudenza della Corte verso l’integrazione europea si rileva con chiarezza nel settore dei diritti fondamentali e, più di recente, nell’ambito del rispetto dello Stato di diritto da parte degli Stati membri.

Va dato atto, infine, della assoluta peculiarità della Corte di giustizia dell’Unione europea in quanto istituzione plurilingue. Il suo regime linguistico non conosce esempi analoghi in nessun altro organo giurisdizionale al mondo, poiché ciascuna delle lingue ufficiali dell’Unione europea può essere lingua processuale. La Corte è, in effetti, tenuta ad osservare un plurilinguismo integrale a motivo della necessità di comunicare con le parti nella lingua processuale e di garantire la diffusione della sua giurisprudenza in tutti gli Stati membri.

  1. Rassegna di giurisprudenza

Corte di Giustizia, 12 gennaio 2022, MIUR e Ufficio Scolastico Regionale per la Campania, sentenza nella causa C‑282/19 (diritto del lavoroSuccessione di contratti a tempo determinato nel settore pubblico- insegnanti di religione – clausola4 dell’accordo-quadro in materia di lavoro a tempo determinato)

Nel 2015 alcuni insegnanti di religione cattolica di scuole pubbliche italiane, assunti con reiterati contratti a termine di durata complessiva superiore a 36 mesi, hanno proposto un ricorso davanti al Tribunale di Napoli chiedendo la trasformazione dei loro contratti a tempo determinato in contratti a tempo indeterminato (“stabilizzazione”). Il Tribunale di Napoli ha posto una questione pregiudiziale relativa all’abuso dei contratti a termine nel settore pubblico, dando atto che la normativa italiana vieta la stabilizzazione dei rapporti di lavoro in tale settore; e ha sollevato il problema della eventuale discriminazione degli insegnanti di religione rispetto ad altre categorie di insegnanti pubblici, che avevano fruito dell’immissione in ruolo.

Nella sua sentenza, la Corte ha escluso ogni forma di discriminazione: 1) quella fondata sulla religione, in quanto la mancata immissione in ruolo dei ricorrenti non discende dalla loro religione ma dalla durata dei loro incarichi; 2) quella per violazione del divieto di differenza di trattamento tra i lavoratori a tempo determinato e quelli a tempo indeterminato –sancita all’art 4 dell’accordo-quadro in materia di lavoro a tempo determinato-, perché  i docenti di altre materie, che hanno fruito della stabilizzazione, sono a loro volta lavoratori a tempo determinato, e non è prevista discriminazione tra due categorie di lavoratori a tempo determinato.

La Corte ha poi rimesso al giudice nazionale di verificare che il rinnovo dei contratti a termine degli insegnanti di religione miri effettivamente a soddisfare esigenze provvisorie di costante adeguamento tra il numero di lavoratori impiegati e il numero di potenziali utenti e che tale possibilità non sia utilizzata, di fatto, per soddisfare esigenze permanenti del datore di lavoro in materia di personale.  La Corte ha ricordato che, sebbene la clausola 4 dell’accordo-quadro sia priva di effetto diretto sicché il giudice nazionale non è tenuto a disapplicare una disposizione nazionale ad essa contraria, tuttavia il giudice del rinvio deve verificare se sia possibile un’interpretazione delle disposizioni nazionali  conforme all’accordo quadro, prendendo in considerazione il diritto interno nella sua interezza.

Corte di Giustizia, adunanza plenaria, 16 febbraio 2022, sentenza nelle cause riunite C‑156/21 Ungheria/Parlamento e Consiglio e C‑157/21 Polonia/Parlamento e Consiglio (Misure di protezione del bilancio dell’Unione  – violazione dei principi dello Stato di diritto)

Il 16 dicembre 2020, il Parlamento e il Consiglio hanno adottato il regolamento UE\Euratom 2020/2092, che istituisce un regime generale di condizionalità per la protezione del bilancio dell’Unione in caso di violazioni dei principi dello Stato di diritto negli Stati membri. Per realizzare tale obiettivo, il regolamento consente al Consiglio, su proposta della Commissione, di adottare misure di protezione quali la sospensione dei pagamenti a carico del bilancio dell’Unione o la sospensione dell’approvazione di uno o più programmi a carico di tale bilancio.

L’Ungheria e la Polonia hanno proposto ciascuna un ricorso dinanzi alla Corte di giustizia chiedendo l’annullamento di tale regolamento. La Corte di giustizia, riunita in seduta plenaria, ha respinto i ricorsi proposti dall’Ungheria e dalla Polonia contro il meccanismo di condizionalità, che subordina il beneficio di finanziamenti provenienti dal bilancio dell’Unione al rispetto da parte degli Stati membri dei principi dello Stato di diritto.

Secondo la Corte, il rispetto da parte degli Stati membri dei valori comuni sui quali l’Unione si fonda e che definiscono l’identità stessa dell’Unione quale ordinamento giuridico comune, tra i quali lo Stato di diritto e la solidarietà, costituisce una condizione per il godimento di tutti i diritti derivanti dall’applicazione dei Trattati a uno Stato membro. La sana gestione finanziaria del bilancio dell’Unione e i suoi interessi finanziari possono essere gravemente compromessi da violazioni dei principi dello Stato di diritto commesse in uno Stato membro; l’Unione deve pertanto essere in grado di difendere tali valori, verificando che le condizioni di finanziamento previste dal diritto dell’Unione rispondano agli obiettivi perseguiti dall’Unione.

Conclusioni dell’avvocato generale Athanasios Rantos* nelle cause riunite C-14/21 e C-15/21, Sea Watch, 22 febbraio 2022 (navi private che svolgono un’attività di ricerca e salvataggio in mare – controllo di conformità alle norme internazionali  assicurato dallo Stato di approdo)

La Sea Watch è un’organizzazione umanitaria senza scopo di lucro con sede a Berlino (Germania). Essa ha per oggetto, segnatamente, l’attività di ricerca e salvataggio in mare, che esercita nelle acque internazionali del Mar Mediterraneo per mezzo di navi di cui essa è al contempo proprietaria e gestrice. Fra tali imbarcazioni figurano la Sea Watch 3 e la Sea Watch 4, che battono bandiera tedesca e sono state certificate quali «navi da carico generale – polivalenti». Durante l’estate del 2020, dopo aver effettuato alcune operazioni di salvataggio e aver sbarcato le persone salvate in mare nei porti di Palermo e di Porto Empedocle, le navi sono state oggetto di ispezioni dettagliate a bordo da parte delle capitanerie di porto di queste due città, per il fatto che dette navi erano impiegate nell’attività di ricerca e salvataggio in mare, pur non essendo certificate per tale servizio, e avevano raccolto a bordo un numero di persone ampiamente superiore a quello certificato. Le ispezioni hanno rivelato una serie di carenze tecniche e operative, alcune delle quali sono state considerate causa di un rischio manifesto per la sicurezza, la salute o l’ambiente, per cui le due capitanerie hanno disposto il fermo delle navi di cui trattasi.

A seguito del fermo delle navi, la Sea Watch ha proposto, dinanzi al Tribunale amministrativo regionale per la Sicilia, due ricorsi volti all’annullamento dei provvedimenti di fermo di dette navi e dei rapporti ispettivi che avevano preceduto tali provvedimenti. A sostegno dei suoi ricorsi, la Sea Watch ha affermato, in sostanza, che le capitanerie da cui provengono tali misure avrebbero violato i poteri attribuiti allo Stato di approdo, quali risultano dalla direttiva 2009/16,  interpretata alla luce del diritto internazionale consuetudinario e convenzionale applicabile.

Nelle sue conclusioni, l’avvocato generale Athanasios Rantos ritiene che la direttiva 2009/16 si applichi a navi del tipo di quelle in questione che, pur essendo state registrate come «navi da carico polivalenti», esercitano l’attività di ricerca e salvataggio in mare. Infatti, la direttiva 2009/16si applica a tutte le navi e relativi equipaggi che fanno scalo o ancoraggio nel porto di uno Stato membro per effettuare un’attività di interfaccia nave/porto, considerate le sue finalità consistenti nel contribuire a ridurre drasticamente il trasporto marittimo effettuato mediante navi non in regola con le norme. L’avvocato generale conclude nel senso che lo Stato di approdo può assicurare il rispetto delle convenzioni internazionali e della normativa dell’Unione applicabili in materia di sicurezza marittima, protezione dell’ambiente marino e condizioni di vita e di lavoro a bordo, tenendo conto delle attività effettivamente esercitate dalla nave, purché un simile controllo non pregiudichi le competenze dello Stato di bandiera per quanto riguarda la classificazione della nave, né l’adempimento dell’obbligo di salvataggio in mare. Il semplice fatto che una nave eserciti l’attività di ricerca e salvataggio in mare in modo sistematico non esonera tale nave dal rispetto delle prescrizioni ad essa applicabili in forza del diritto internazionale o del diritto dell’Unione, e non impedisce che detta nave sia oggetto di provvedimenti di fermo in forza dell’articolo 19 di detta direttiva qualora violi tali norme.

*Le conclusioni dell’avvocato generale non vincolano la Corte di giustizia. Il compito dell’avvocato generale consiste nel proporre alla Corte, in piena indipendenza, una soluzione giuridica nella causa per la quale è stato designato. La sentenza sarà pronunciata in una data successiva, che non è stata ancora calendarizzata.

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