1. Il multilinguismo alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea.

L’accesso alla giustizia e alla giurisprudenza nella propria lingua determina la possibilità per ogni cittadino di partecipare alla società fondata sullo Stato di diritto e di godere di pari opportunità. Se alle origini della Corte di Giustizia erano utilizzate solo 4 lingue, oggi sono 24 le lingue ufficiali che coesistono all’interno dell’Istituzione. I procedimenti possono essere introdotti in una qualunque di queste lingue, ma  la Corte ha bisogno di una lingua “franca” per deliberare, che per tradizione è il francese. La Direzione generale del Multilinguismo è il più grande servizio dell’istituzione, che assicura la traduzione degli atti processuali, delle sentenze oltrechè l’interpretariato nel corso delle udienze secondo 552 combinazioni possibili. Oltre all’attività giudiziaria, la Corte riceve richieste di ogni tipo provenienti dalla società civile, alle quali deve poter rispondere in qualsiasi lingua ufficiale dell’Unione. La Corte comunica anche con il pubblico e con  la stampa, motivo per il quale il suo sito web è multilingue, le visite sono organizzate nelle lingue dei partecipanti e i comunicati stampa sono tradotti nelle lingue ufficiali richieste dall’interesse della causa. I servizi linguistici di interpretazione e traduzione impegnano 990 dipendenti, pari al 43,6 % del personale dell’istituzione. Essi si avvalgono di innovativi sistemi di traduzione neurale, i quali richiedono però la costante supervisione del professionista  (giurista linguista).  Insomma, il multilinguismo costa, tanto che è in corso un dibattito a livello europeo sull’opportunità di mantenere nel tempo detti costi in rapporto a tutte le lingue per garantire pari dignità linguistica o se invece privilegiare solo una o alcune lingue rispetto ad altre. La Corte di giustizia ha appena inaugurato un giardino dedicato al multilinguismo all’interno dei propri spazi, aperto alla cittadinanza, quale omaggio al principio della parità linguistica.

  1. Rassegna di giurisprudenza  

Corte di Giustizia, Grande sezione, 21 dicembre 2023, sentenza nella causa C-261/22, GN (Motivo di rifiuto fondato sull’interesse superiore del minore), (Cooperazione giudiziaria in materia penale – mandato d’arresto europeo – Procedure di consegna tra Stati membri – Motivi di non esecuzione )

Il Tribunale di Anversa ha emesso un MAE nei confronti di una donna condannata alla pena di cinque anni di reclusione. La donna è stata arrestata a Bologna (Italia). Al momento del suo arresto, era incinta ed in compagnia di suo figlio di quasi tre anni con lei convivente. Il giudice italiano incaricato dell’esecuzione del MAE non ha ottenuto, da parte del giudice belga, informazioni relative alle modalità di esecuzione in Belgio di una pena a carico di madri conviventi con figli minorenni, ed ha pertanto rifiutato la consegna.

Investita della causa, la Corte di cassazione italiana ha chiesto alla Corte di giustizia se, ed eventualmente a quali condizioni, il giudice italiano possa rifiutare l’esecuzione del MAE in un’ipotesi di questo tipo, che non è menzionata nella decisione quadro sul MAE fra i motivi di non esecuzione di un MAE [1].

Secondo la Corte di Giustizia, un giudice non può rifiutarsi di dare esecuzione ad un «MAE» per il solo motivo che la persona ricercata è la madre di minori in tenera età con lei conviventi. Nondimeno, detto giudice può rifiutare la consegna di tale persona, in via eccezionale, qualora siano soddisfatte due condizioni: 1) se esiste il rischio concreto di violazione del diritto fondamentale della madre al rispetto della sua vita privata e familiare e dell’interesse superiore dei suoi figli minori, a causa di carenze sistemiche o generalizzate delle condizioni di detenzione delle madri e di cura dei minori nello Stato membro emittente del MAE; 2) se sussistono motivi seri e comprovati di ritenere che, tenuto conto della loro situazione personale, gli interessati corrano detto rischio a causa di tali condizioni.

Conclusioni dell’Avvocato generale del 26 ottobre 2023 nella causa C-670/22, Staatsanwaltschaft Berlin  (EncroChat) (Cooperazione giudiziaria in materia penale – Direttiva 2014/41/UE – Ordine europeo di indagine – Condizioni per l’emissione di un ordine europeo di indagine – Trasferimento di prove già in possesso di un altro Stato membro )

Il rinvio pregiudiziale in esame consente alla Corte di interpretare, per la prima volta, la direttiva sull’Ordine Europeo di Indagine in una situazione in cui è stato emesso un OEI diretto al trasferimento di prove già in possesso di un altro Stato. Più precisamente, in un’indagine penale in Germania, la Procura di Francoforte sul Meno ha emesso diversi OEI, chiedendo il trasferimento di prove raccolte nel corso di una diversa indagine penale congiunta condotta in Francia e nei Paesi Bassi su utenti di EncroChat, una rete di telecomunicazioni criptata che offre ai suoi utenti un anonimato quasi totale. Nel corso dell’indagine congiunta Francia-Paesi Bassi è stato utilizzato un software Trojan, installato sulle apparecchiature terminali mediante un aggiornamento simulato, che ha consentito intercettazioni nei confronti di numerosissimi utenti di EncroChat in 122 paesi, tra i quali circa 4 600 utenti in Germania. Un tribunale penale francese ha autorizzato gli OEI e ha trasmesso alla procura tedesca le intercettazioni in suo possesso. Quest’ultima le ha utilizzate in seno a indagini nei confronti di singoli utenti di Encrochat  per diversi casi di traffico e detenzione illeciti di sostanze stupefacenti in grandi quantità in Germania.  Il giudice del rinvio dubita che gli OEI siano stati emessi in conformità alla direttiva OEI, in particolare poiché  sono stati emessi da un pubblico ministero, e non da un giudice.

Nelle sue conclusioni, l’avvocato generale Tamara Ćapeta ricorda che un OEI può essere emesso soltanto se l’atto investigativo in esso richiesto avrebbe potuto essere emesso alle stesse condizioni in un caso interno analogo. Per caso analogo si intende un caso in cui le prove sono trasferite da un procedimento penale a un altro in Germania. Poiché la direttiva OEI permette al pubblico ministero competente di emettere un OEI, e poiché non risulta che il diritto tedesco richieda che un giudice autorizzi un trasferimento di prove analogo a livello interno, l’avvocato generale ritiene che il pubblico ministero tedesco fosse legittimato a emettere gli OEI in questione. In altri termini, il diritto dell’Unione non richiede che siffatti OEI siano emessi da un giudice.  L’avvocato generale osserva altresì che l’ammissibilità delle prove ricevute non è disciplinata dal diritto dall’Unione, bensì dal diritto nazionale.

Corte di Giustizia, 7 settembre 2023, sentenza nella causa C-162/22, Lietuvos Respublikos generalinė prokuratūra (Trattamemto di dati personali nel settore delle telecomunicazioni – Dati conservati dai fornitori di servizi e messi a disposizione nei procedimenti penali – Uso successivo dei dati in una procedura disciplinare)

 Un procuratore di una procura lituana è stato rimosso dalle sue funzioni in via disciplinare per aver illegittimamente fornito informazioni a un indagato e al suo avvocato. La condotta illecita è stata accertata sulla base di dati conservati dai fornitori di servizi di comunicazione elettronica, che erano stati messi a disposizione dell’autorità giudiziaria a fini di lotta alla criminalità grave (direttiva «relativa alla vita privata e alle comunicazioni elettroniche»[2]). Il giudice amministrativo supremo della Lituania chiede alla Corte se i dati personali relativi a comunicazioni elettroniche, acquisiti in un’indagine su condotte illecite di natura corruttiva, possano essere utilizzati in altri procedimenti, in particolare in un procedimento disciplinare. Secondo la Corte,  detta direttiva osta a che dati personali relativi a comunicazioni elettroniche che sono stati messi a disposizione delle autorità competenti a fini di lotta alla criminalità grave possano essere utilizzati nell’ambito di indagini per condotte illecite di natura corruttiva nel servizio pubblico. Conformemente al principio di proporzionalità, solo la lotta alle forme gravi di criminalità e la prevenzione di minacce gravi alla sicurezza pubblica sono idonee a giustificare ingerenze nei diritti fondamentali, come quelle che comporta la conservazione dei dati relativi al traffico e dei dati relativi all’ubicazione. Dati personali relativi al traffico e all’ubicazione conservati da fornitori e messi a disposizione ai fini della lotta alla criminalità grave non possono essere successivamente trasmessi ad altre autorità e utilizzati ai fini della lotta contro condotte illecite di natura corruttiva, che sono di importanza minore rispetto all’obiettivo della lotta alla criminalità grave.

Corte di giustizia, Grande sezione, 5 giugno 2023, sentenza nella causa C-204/21, Commissione / Polonia (Indipendenza e vita privata dei giudici) (Stato di diritto – indipendenza dei giudici – primato del diritto dell’Unione – sezione disciplinare – sezione di controllo straordinario e delle questioni pubbliche della Corte Suprema) 

Il 20 dicembre 2019 la Polonia ha adottato una legge che ha modificato le norme nazionali relative all’organizzazione degli organi giurisdizionali ordinari, amministrativi e della Corte suprema. Tale legge attribuisce alla sezione disciplinare e alla sezione di controllo straordinario della Corte Suprema la competenza a decidere controversie penali e disciplinari aventi incidenza diretta sullo status e sull’esercizio delle funzioni di un magistrato (autorizzazione all’arresto, procedimenti disciplinari, previdenza sociale ecc.). La legge ha inoltre introdotto l’obbligo per i giudici di dichiarare la propria appartenenza ad associazioni, fondazioni senza scopo di lucro e partiti politici, anche in relazione a periodi precedenti all’assunzione delle loro funzioni, e ne prevede la pubblicazione on-line. La mancanza di terzietà in capo alla sezione disciplinare[3] è già stata accertata dalla Corte di Giustizia. La Commissione europea ha pertanto proposto un ricorso per inadempimento, chiedendo alla Corte di giustizia di dichiarare che il regime istituito dalla legge viola diverse disposizioni del diritto dell’Unione. Con la sentenza in esame, la Corte accoglie il ricorso della Commissione.

In primo luogo, la Corte ribadisce che la Sezione disciplinare della Corte suprema non soddisfa il necessario requisito di indipendenza e di imparzialità; la semplice prospettiva, per i giudici chiamati ad applicare il diritto dell’Unione, di correre il rischio che la Corte Suprema possa decidere in merito a questioni relative al loro status e all’esercizio delle loro funzioni è idonea a pregiudicare la loro indipendenza nel decidere. In secondo luogo, il regime disciplinare applicabile ai giudici potrebbe essere utilizzato a fini di controllo politico delle decisioni giudiziarie in ragione dell’ampiezza e vaghezza degli illeciti, nonché delle fattispecie punite in via disciplinare. E’ infatti vietato a tutti gli organi giurisdizionali nazionali di verificare il rispetto dei requisiti dell’Unione relativi a un giudice indipendente e imparziale, precostituito per legge, tanto che i giudici nazionali possono venire sanzionati in via disciplinare per aver effettuato rinvii pregiudiziali alla Corte su questioni relative all’indipendenza della magistratura. Siffatta verifica è infatti riservata alla Corte Suprema. Infine, secondo la Corte di Giustizia, le disposizioni nazionali che impongono ai giudici di presentare una dichiarazione scritta indicante la loro eventuale appartenenza a un’associazione, a una fondazione senza scopo di lucro o a un partito politico e che prevedono la pubblicazione on-line di tali informazioni violano i diritti fondamentali di tali giudici alla tutela dei dati personali e al rispetto della vita privata.


[1] Decisione quadro 2002/584/GAI del Consiglio, del 13 giugno 2002, relativa al mandato d’arresto europeo e alle procedure di consegna tra Stati membri, come modificata dalla decisione quadro 2009/299/GAI del Consiglio, del 26 febbraio 2009.

[2]  Direttiva 2002/58/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 12 luglio 2002, relativa al trattamento dei dati personali e alla tutela della vita privata nel settore delle comunicazioni elettroniche 

[3] La mancanza di indipendenza e di imparzialità della sezione disciplinare della Corte Suprema sono state accertate dalla Corte di Giustizia con sentenza del 15 luglio 2021, Commissione/Polonia (Regime disciplinare dei giudici), C-791/19 (v. anche il comunicato stampa n. 130/21).

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