La rivista “Diritto, Giustizia e Costituzione” compie un anno.

A tutta la Redazione, ai componenti del Comitato Scientifico, del Centro Studi “Nino Abbate”, di “Assemblea per il Futuro” e del gruppo Unicost che hanno voluto questa rivista nel solco della tradizione della storica “Giustizia e Costituzione”, fondata da Adolfo Beria di Argentine, i più sentiti ringraziamenti per il tempo e le energie impiegati per la rivista e nella collaborazione editoriale, e gli Auguri più sinceri di buon lavoro!

E in regalo due brevi brani tratti da due scritti risalenti nel tempo. Il primo è uno stralcio della presentazione del documento di base del I Convegno Emilio Alessandrini, organizzato dalla rivista “Giustizia e Costituzione”, di Raffaele Bertoni, condirettore della rivista; il secondo è la trascrizione di parte di alcuni capitoli del libro “Ma cos’è questa giustizia?” di Mario Garavelli, componente del comitato di direzione della rivista.

« Se … dovessimo interpretare alla lettera il compito che ci è stato affidato di introdurre il dibattito, dovremmo limitarci a riassumere il documento di base; ma così inteso il nostro compito sarebbe evidentemente superfluo, perché il documento tutti possono leggerlo … D’altra parte, anche se è dovuta al lavoro collettivo di un gruppo di magistrati appartenenti tutti alla stessa area culturale, la relazione introduttiva non si può dire certo che esprima convincimenti appiattiti e opinioni unilaterali … Non ci interessano le certezze, non ci muovono pregiudiziali ideologiche o politiche. Quello che conta per noi è discutere; non conta avere ragione o, peggio, imporre le nostre ragioni. Come giudici, ci anima soltanto la fede nella giustizia, la volontà di contribuire a dare al Paese una giustizia democratica ed efficiente che consolidi le istituzioni e che dia ai cittadini certezza di tutela dei loro diritti e delle loro aspettative. … Negli ultimi anni, d’altra parte, si è notevolmente logorata, per ragioni che è difficile indagare, la capacità della legge di esprimersi in un comando generale idoneo a risolvere in termini generali i conflitti di interessi sottostanti. Ne è derivata la tendenza di utilizzare il momento giudiziario per la soluzione di conflitti e tensioni. … In passato, una magistratura organizzata burocraticamente e in qualche misura collegata al potere politico esercitava funzioni limitate, a cui necessariamente finiva col dare contenuti omogenei agli interessi del blocco di potere dominante.  Attualmente invece giudici e magistrati del pubblico ministero esercitano poteri molto più estesi che nel passato e le loro iniziative hanno spesso un’incidenza decisiva sui rapporti sociali, e più in generale sugli stessi grandi problemi che il Paese ha di fronte. È stato dal momento in cui questo fenomeno ha cominciato a manifestarsi che ha preso il via un vero e proprio processo alla giustizia e ai giudici, un processo che ha al suo centro l’accusa che la magistratura sarebbe politicizzata e ai fini politici sarebbe spesso orientata la sua azione. Questa accusa ha raggiunto negli ultimi anni allarmanti proporzioni e una violenza inusitata. Non c’è in pratica nessun processo di qualche rilievo che non scateni una campagna denigratoria contro i giudici che se ne occupano. Gli esempi di questa pratica non si contano più. Basta che si proceda in una direzione sgradita … perché i giudici vengano accusati di strumentalizzare i processi per fini politici. … Queste accuse, che spesso si traducono in vere e proprie calunnie contro determinati magistrati e specie contro i colleghi impegnati nei processi più gravi e più difficili, potrebbero anche non avere importanza, se ad esse non si accompagnassero e facessero da sfondo velate allusioni o espliciti riferimenti all’opportunità di rettificare in qualche punto almeno la posizione che la magistratura ha attualmente nell’ordinamento costituzionale. È da qualche tempo ad esempio che si sente parlare con sempre maggiore frequenza della necessità di un controllo di tipo politico sulla gestione degli uffici giudiziari, e comincia a riprendere corpo anche nelle parole di uomini di governo l’ipotesi di mettere il pubblico ministero alle dipendenze dell’esecutivo o del parlamento (che poi sarebbe la stessa cosa) …» (R.Bertoni, Atti del I Convegno Emilio Alessandrini, Senigallia 9-10-11 novembre 1979, “Giudici separati? Magistratura, società e istituzioni negli anni ‘80” in “Giustizia e Costituzione” 1980 nn.3-4 dicembre 1980)

«I martiri

Prima di affrontare l’argomento di questo paragrafo denso di emozioni bisogna rinfrescare la memoria ai tanti distratti e specialmente ai tanti detrattori dei magistrati, i quali ne vedono le molte manchevolezze (n.d.r. che non si ignorano, e tantomeno ignora l’Autore del libro nella sua lucida analisi da pag.39 in poi), ma scordano o fingono di non sapere quanto è avvenuto nelle tre emergenze nazionali più gravi degli ultimi anni. In modo un po’ rozzo si può dire che queste crisi hanno segnato ciascuna un decennio del secolo appena trascorso: negli anni ’70 il terrorismo, negli anni ’80 la mafia, negli anni ’90 la corruzione. … Ebbene, in ciascuno di questi momenti drammatici la magistratura ha risposto con decisione, senso del dovere ed efficacia, contribuendo in modo rilevante a bloccare i processi degenerativi che stavano portando il paese verso derive pericolose. E allora onestà vuole che, quando si critica questa istituzione (come anche noi ci accingiamo a fare) non si dimentichino i suoi eroi o, se la parola sembra troppo forte, i suoi caduti o feriti sul campo proprio in queste azioni a difesa dello Stato. I nomi che tornano alla mente (senza pretesa di completezza) sono quelli di uomini eccellenti per intelligenza, preparazione, onestà, coraggio, senso del dovere: Galli, Alessandrini, Tartaglione, Coco (e n.d.r: Amato, Calvosa, Daga, Giacumbi, Minervini, Occorsio, Palma) per il terrorismo, Terranova, Chinnici, Caccia, Livatino, Saetta, Scopelliti, Falcone, Borsellino (e n.d.r: Ciaccio Montalto, Costa, Ferlaino, Giacomelli, Morvillo, Scaglione, Pianta) per la mafia. La quantità dei morti e di quelli che furono oggetto di progetti di uccisione o di attentati dimostra come le forze eversive e criminali avessero ben capito che erano i magistrati i loro più acerrimi nemici. Anche questo è un dato che dovrebbe far riflettere chi si adopera a indebolire un organismo che si è dimostrato indispensabile negli anni bui, quando altri corpi, specie quelli politici, sembravano disorientati. … la giustizia italiana marcia a due velocità: efficiente e rispondente alle attese quando si profila una situazione di straordinaria emergenza, inceppata e insoddisfacente nell’affrontare l’ordinaria amministrazione, la routine quotidiana delle mille cause civili e penali. Questa anomalia dà anche ragione dello strano destino che colpisce la magistratura quando si misura con la pubblica opinione. Già è patologico questo continuo essere sotto i riflettori … Le valutazioni, poi, sono quanto di più ondivago si possa immaginare: dal pendolo alto dell’epoca del terrorismo al pozzo in cui la precipitò il referendum sulla responsabilità civile … La risalita con Tangentopoli e con le folle entusiaste davanti al Tribunale di Milano; e ora gli insulti …

I parsimoniosi (vulgo lavativi)

La maggior parte dei magistrati lavora molto. Che poi tutto questo lavoro sia sempre altamente produttivo è da dimostrare, visto lo stato disastroso, quasi sempre carente della giustizia. … Detto questo sull’operosità media, lodevole anche se non molto efficace, della magistratura italiana, non si può tacere di coloro … che non studia(no) i fascicoli, non ascolta(no) le parti … non si tratta di sciocchi o di incapaci e spesso neppure di disoccupati cronici: quanti libri di diritto, o docenze universitarie, o candidature politiche, o conferenze … sono dovute a queste blande fatiche giudiziarie … il metro per misurare i magistrati non è stato ancora inventato… L’esperienza insegna che sovente il magistrato poco impegnato non ha nulla della colomba ma ha solo la furbizia del serpente, per cui gli è possibile far risultare a suo favore accettabili statistiche imbottite di provvedimenti di nessun valore reale, o di ammazzare di pesantezza incarichi banali. …

Gli ottimati e l’onesta medietà dei più

Se guardiamo ora al grosso dell’esercito togato depurato delle categorie finora sommariamente descritte, vediamo punte avanzate e ordinate falangi di militi operosi … un corpo scelto nel gran mare della burocrazia italiana, tanto che alla resa dei conti, dopo averne detto tutto il male possibile, i patrii legislatori, quando si trovano tra le mani un problema  che non sanno risolvere, non trovano di meglio che affibbiarlo ai magistrati: si è parlato molto delle molteplici “supplenze” che hanno scaricato su di loro il terrorismo, e la mafia, la droga e l’ecologia, il controllo del territorio e quello degli appalti pubblici, i conflitti di lavoro e gli scandali bancari, tutte cose nelle quali controlli preventivi e bonifiche sociali, in breve delle sagge politiche, avrebbero ridotto al minimo l’intervento giurisdizionale. … Il resto dello spazio è occupato dai magistrati che chiamerei medi, ai quali vorrei onorarmi di appartenere. Nessuna connotazione, quindi, di mediocrità, ma anzi riconoscimento del possesso di quella virtù che, notoriamente, “stat in medio”. … Trattandosi di individui che operano nel segno della normalità è difficile indicarne tratti particolarmente distintivi. Certo è che ogni giorno non festivo costoro giudicano in migliaia di processi, scrivono (anche in giorni festivi) una miriade di provvedimenti, studiano un’infinità di carte, visitano decine di carceri, ascoltano eserciti di testimoni … seguono l’alluvionale susseguirsi di nuove leggi e un’ancora più diluviante quantità di nuove sentenze della Corte Costituzionale, della Cassazione, delle Corti d’Appello (n.d.r. nonché della Corte europea dei diritti dell’uomo). Sono insomma, senza mancare di rispetto ad alcuno, le operose formiche in una macchina caotica … diventano facilmente i bersagli delle critiche se accade loro di non soddisfare le pretese della società o semplicemente di sbagliare, come sbagliano tutti, finendo impietosamente alla berlina di qualunque gazzettiere. ….

I garantisti

…Cominciando dal nome, esso è stato scelto con l’astuzia tipica del pubblicitario: le garanzie, cioè ogni genere di tutela che la legge e la civiltà odierna fornisce non solo agli inquisiti ma ad ogni cittadino che abbia a che fare con l’autorità, per proteggerlo dagli eventuali abusi di questa, sono beni così importanti che nessuno le può mettere in discussione, così come tutti vogliono la protezione della salute, la sicurezza dal bisogno, il rispetto dell’ambiente e così via. Cosa può significare un marchio così vago e generico applicato alla giustizia, che per definizione è il luogo delle garanzie? … Tutti gli addetti ai lavori sanno che non vi è nulla di più diversificato delle opinioni dei magistrati, che tra loro sussistono, come in ogni corpo sociale, simpatie politiche differenziate; che per antico costume la politica “politicienne” è avulsa dalle aule di giustizia, e che le differenti decisioni, anche nella stessa causa, stanno a testimoniare …il culto delle garanzie …dimostrato (anche) dall’infinità di assoluzioni, dalle scarcerazioni fin troppo facili (ricordate la diatriba con la polizia che arresta mentre il magistrato libera?), dalla mitezza delle pene, dalla stessa lunghezza dei processi nella misura in cui questa attesta lo scrupolo nell’esame dei fatti.  ….»  (M.Garavelli, Ma cos’è questa giustizia?, Roma, Editori Riuniti, 2003, p. 35-48, 107-108)

Oggi come ieri?

Qualche breve riflessione a margine.

Le considerazioni e le opinioni dei testi citati sono così attuali, che – se non avessi indicato gli Autori, e le date delle pubblicazioni – nessuno, credo, avrebbe messo in dubbio la loro contemporaneità! Eppure la presentazione del documento di base da parte di Raffaele Bertoni, storico e appassionato magistrato del gruppo di Unità per la Costituzione, al I Convegno Emilio Alessandrini, risale a quarantaquattro anni fa, quando i più giovani colleghi alle prime valutazioni di professionalità non erano ancora nati. E anche il libro di Mario Garavelli, magistrato piemontese, che nella sua lunga carriera ha svolto le sue funzioni in vari uffici di merito (è stato presidente del Tribunale di Torino e della Corte d’Appello di Genova), e in Corte di Cassazione, è stato pubblicato ben venti anni fa.

È vero che il tempo corre velocemente, ma è anche vero che il susseguirsi di leggi e riforme varie negli ultimi quarant’anni non hanno dato i frutti sperati in tema di abbreviazione dei tempi della giustizia, sicchè ciclicamente si torna a discutere (e a proporre) soluzioni “più radicali” quali, tra l’altro, la separazione delle carriere. Nulla da aggiungere, quindi, ai “frammenti” di testo sopra trascritti; ogni parola in più sarebbe inutile e sovrabbondante.

Qualche parola, invece, del perché sono stati scelti questi testi.

Come sappiamo la rivista è nata, per volontà dell’assemblea del gruppo, per diventare un luogo di incontro e di confronto, e riprendere la tradizione interrotta da anni della rivista “Giustizia e Costituzione”.  Al traguardo del primo anno, mi è sembrato quindi quasi un dovere rendere omaggio alla rivista sul cui solco ci siamo, molto più modestamente, incamminati, e al suo Comitato di direzione.

Una pagina di Storia: uno “strano” Convegno

Alla ricerca di qualche vecchio numero, mi è capitato di trovare e leggere il quaderno con i nn.3-4 luglio del 1980, quello con gli atti del I Convegno “Emilio Alessandrini”. La lettura è stata non solo interessante, per la varietà e profondità degli interventi di avvocati, magistrati, politici, giornalisti, giuristi e sociologi, ma anche emozionante. La chiarezza e la pacatezza dei vari interventi, a leggerli oggi, danno il senso più profondo della storia della magistratura, mai forse sufficientemente approfondita sotto questo aspetto.

Nell’appendice stampa e istituzioni a cura di Bruno Meneghello, intitolata “L’eco del convegno”, sono riportati alcuni articoli dei quotidiani, tra i quali vale la pena citare quello che mi ha più colpito: «Strano il convegno. Apparentemente il solito rito: i saluti, le relazioni, gli interventi, le conclusioni. Ma nella sala del palazzo comunale faceva troppo caldo perché gli areatori erano stati chiusi per evitare che servissero da scivolo a una bomba; auto con finti borghesi a bordo seguivano silenziosamente i congressisti di passaggio per le strade. Il convegno era dedicato a un magistrato ucciso dai terroristi, Emilio Alessandrini …; durante i lavori è arrivata la notizia di altri quattro assassinii; una delle repliche finali è stata pronunciata da Carlo Alfredo Moro, fratello di un’altra vittima più nota, Aldo Moro. Ma strano anche il soggetto del convegno, e cioè il magistrato degli anni Ottanta così come l’hanno disegnato gli intervenuti. È separato? Certo che lo è, per legge, dal potere politico. Ma al tempo stesso deve essere “inserito” nella società … È conservatore di una Costituzione, ma anche “innovatore” perché la stessa Costituzione gli prescrive di rimuovere gli ostacoli che ancora si frappongono all’uguaglianza sostanziale dei cittadini. Ha poteri molto ampi … ma non sempre può disporre di un cancelliere, di un poliziotto specializzato, d’un magnetofono.»  (P.L.Gandini, in “La Repubblica”, 13 novembre 1979).

Strano convegno, invero. Mentre fuori infuriava la “guerra”, dentro il palazzo comunale i magistrati discutevano con avvocati, politici, giuristi, sociologi e giornalisti sull’ordinamento giudiziario, e sul ruolo del giudice nella società; rappresentavano, in estrema sintesi, la volontà di contribuire a dare al Paese una giustizia democratica ed efficiente che potesse consolidare le istituzioni e dare ai cittadini certezza di tutela dei loro diritti e delle loro aspettative. Questa forse è la migliore immagine di una magistratura impegnata serenamente e coralmente ad affermare (seppure con diverse voci e variegate opinioni) quei principi costituzionali di autonomia e indipendenza dei giudici, che non sono privilegi, ma elementi indispensabili per il legislatore costituente per rendere alla giustizia il servizio più proficuo possibile.

Strano convegno. Perché, nel tempo tra l’evento e la pubblicazione degli atti nel mese di ottobre dell’anno successivo, altri magistrati vennero uccisi. Dagli atti però la paura non emerge, né vengono avanzate richieste di norme emergenziali; appare solo un ampio e sereno confronto sulla crisi della giustizia. Un notevole sforzo culturale, ricco di nuovi contenuti e di implicazioni diverse e insospettate.

I tragici avvenimenti del 1980

Il Convegno si tenne nel novembre 1979, qualche mese dopo l’uccisione del giudice Cesare Terranova a Palermo il 25 settembre del 1979; gli atti sono stati pubblicati alla fine del 1980, anno di stragi e di ulteriori uccisioni di appartenenti alle forze dell’ordine e di magistrati come simbolo delle istituzioni. Il 1980 è infatti l’anno dell’uccisione di Nicola Giacumbi a Salerno (16 marzo 1980), di Girolamo Minervini a Roma (18 marzo 1980), di Guido Galli a Milano (19 marzo 1980), di Mario Amato a Roma (23 giugno 1980), di Gaetano Costa a Palermo (6 agosto 1980). Il 12 febbraio 1980, al termine di una lezione, sul mezzanino delle scale tra le facoltà di Giurisprudenza e di Scienze Politiche dell’Università La Sapienza di Roma, venne ucciso anche Vittorio Bachelet, vicepresidente del Consiglio Superiore della Magistratura, che di quel convegno aveva chiuso i lavori.

A febbraio del 1980, in quel giorno 12, mi trovavo all’Università La Sapienza, all’Istituto di Diritto penale della Facoltà di Giurisprudenza; erano da poco passate le 11 e 30 di una splendida giornata di sole, quando Vittorio Bachelet cadde sotto numerosi colpi di arma da fuoco sparati dai terroristi a distanza ravvicinata. La confusione e lo sgomento successivi sono facilmente intuibili.

Qualche mese dopo, e poco più di un mese prima che la notizia dell’uccisione di Mario Amato sconvolgesse gli uffici giudiziari romani, iniziai il tirocinio da uditore giudiziario al Tribunale di Roma. La mattina del 23 giugno 1980, con altri tirocinanti, ero alla Procura della Repubblica, nell’ufficio del magistrato affidatario Luigi Ciampoli, all’epoca sostituto procuratore, per assistere all’esame di alcuni testi, il primo dei quali convocato in prima mattinata. L’ora non la ricordo, ma ricordo bene il momento in cui si spalancò la porta e irruppe nella stanza Giorgio Santacroce, anche lui all’epoca sostituto procuratore, e – trafelato e quasi incredulo – disse: “Luigi, hanno ucciso uno di noi! L’ha sentito mia moglie ora alla radio”. Quella fu la prima notizia arrivata in Procura nella mattina del 23 giugno 1980.  «Nel 1990 sarà Valerio Fioravanti, al microfono di Sergio Zavoli nel programma “La notte della Repubblica”, a raccontare il delitto Amato: “Non fu un’azione particolarmente difficile. Avevamo preso le nostre misure perché lui di solito andava in ufficio in automobile, quel giorno andò addirittura alla fermata dell’autobus, per cui fu più semplice di quello che s’immaginasse”. A 24 ore dall’assassinio giunge la telefonata di rivendicazione: “Siamo i NAR, abbiamo ucciso noi il giudice Amato. Troverete un volantino nella cabina telefonica di via Carlo Felice”. Si tratta del celebre documento “Chiarimenti”, summa dello spontaneismo armato nero. Recita: “Abbiamo eseguito la sentenza di morte emanata contro il sostituto procuratore dottor Amato, per la cui mano passavano tutti i processi a carico dei camerati. Oggi egli ha chiuso la sua squallida esistenza imbottito di piombo. Altri la pagheranno”. Qualche settimana dopo un altro evento sconvolgerà l’Italia, è il 2 agosto 1980, scenario del dramma la stazione ferroviaria di Bologna» (v. CSM, “Nel loro segno”, p.48).

Chiedo scusa del ricordo personale, ma quei giorni e quelli a seguire sono rimasti profondamente impressi nella memoria.

Eccetto Giovanni Falcone, non ho conosciuto di persona alcuno dei colleghi martiri, ma non posso far a meno di commuovermi ogni volta che leggo i loro nomi. E così è stato quando ho letto i nomi dei magistrati del Comitato di direzione della rivista “Giustizia e Costituzione”; tra essi e tra i tanti nomi illustri, oltre Adolfo Beria di Argentine, Raffaele Bertoni e Mario Garavelli, spiccano tre nomi con tre croci accanto:

Guido Galli, Girolamo Minervini, Girolamo Tartaglione

La memoria ha bisogno di conoscenza storica

Cosa succederà tra qualche anno, quando la memoria di quei giorni sarà fatto remoto, le commozioni saranno cosa lontana e riservate agli ambiti familiari, mentre le commemorazioni si saranno consumate nella ripetizione di rituali?

La memoria e la commemorazione, quando “non corrette e integrate” con la conoscenza storica, possono avere, usando le parole del filosofo Todorov, gli effetti perversi della sacralizzazione e banalizzazione. L’una il contrario dell’altra, e tuttavia speculari e complementari, perché se la prima assolutizza il ricordo isolato (mentre la storia relativizza sempre), la seconda lo svilisce usandolo in modo superficiale e improprio come lente di ingrandimento per interpretare ogni fenomeno del presente. La prima impedisce ogni confronto; la seconda effettua comparazioni frettolose e inappropriate (cfr. T.Todorov, Memoria del male, tentazione del bene. Inchiesta su un secolo tragico, Garzanti, 2019).

Negli ultimi anni si è consumato poi un vero e proprio oscuramento di memoria fra le generazioni che, sommato alla perdita sempre più massiccia di conoscenza storica da parte dei giovani, e anche dei meno giovani, ha determinato il fatto che la storia ha smesso di rappresentare il terreno costitutivo e imprescindibile per un’identità collettiva e/o di comunità, come invece in passato è stato per molte generazioni precedenti.

Se a ciò si aggiungono gli effetti che ricorda Todorov, ci accorgiamo quanto gli effetti perversi della memoria rischino di annullare tutto quanto di positivo si intende produrre con l’uso della memoria stessa.

Questa è, in sostanza, la ragione per la quale mi sono regalata la lettura di qualche buon libro, e ne ho tratto qualche brano da donare; tra questi il quaderno di “Giustizia e Costituzione”.

Inizia il secondo anno

Certo, il percorso da seguire è difficile e tutto in salita. La giovanissima rivista di cui oggi festeggiamo il primo anno di vita ha ancora molta strada da fare, ma sono sicura che in questo luogo di incontro e di confronto tutti quelli che vi collaborano sapranno prendere forza da un’identità collettiva per arricchirsi culturalmente, e rendere un migliore servizio alla giustizia.

Sarà questo il modo più giusto per non perdere il filo della storia e ricordare i più augusti predecessori della storica rivista “Giustizia e Costituzione”; e il sacrificio di alcuni tra loro non sarà stato allora invano.

                                                                                                                                          Mirella Cervadoro

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