di Alessandro Andronio, Consigliere Corte di Cassazione

Sommario: 1. Introduzione: la peculiarità dell’obbligazione tributaria. – 2. Le fattispecie penali-tributarie di omesso pagamento e le situazioni di crisi dell’impresa nell’attuale quadro normativo e giurisprudenziale. – 2.1. La configurabilità dei reati di omesso pagamento in relazione al concordato preventivo. – 2.2. I reati di omesso versamento in rapporto alla transazione fiscale e al trattamento dei crediti tributari e contributivi: evoluzione normativa e giurisprudenziale. – 3. La disciplina attuale: la mancata soluzione del problema dell’interazione fra diritto penale tributario e Codice della crisi. – 4. Brevi riflessioni conclusive.

1. Introduzione: la peculiarità dell’obbligazione tributaria.

Il Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza, approvato con d.lgs. 12 gennaio 2019, n. 14, e di cui è fissata l’entrata in vigore il 16 maggio 2022[1], pone molteplici problemi di coordinamento con il diritto penale. Il presente intervento si concentra sul settore dei reati tributari di omesso versamento, che la riforma non ha espressamente preso in considerazione. Infatti, il mutamento della prospettiva di “fondo” del sistema, che – in linea con le indicazioni del diritto dell’Unione europea, e in particolare con la Direttiva 2019/1023 del Parlamento Europeo e del Consiglio del 20 giugno 2019, si orienta decisamente verso procedure tendenti alla conservazione dell’impresa, superando la precedente ottica liquidatorio-sanzionatoria – investe solo marginalmente le problematiche tipiche del diritto penale tributario: in primo luogo perché non tocca il rapporto fra questo e le situazioni di crisi che non sfociano in procedure concorsuali; in secondo luogo perché, pur modificando sostanzialmente il regime del concordato preventivo sotto il profilo degli accordi di ristrutturazione che possono essere adottati nel suo ambito, non stabilisce quali siano gli effetti di tali accordi (ormai omologabili anche quando l’Amministrazione Finanziaria non vi aderisce ed il suo voto sarebbe decisivo ai fini del raggiungimento della maggioranza necessaria) e, più in generale, delle varie fasi della procedura concorsuale[2].

In questo quadro, si impone, su un piano più strettamente giuridico, la verifica della tenuta dei principi giurisprudenziali e dell’attualità dei dibattiti dottrinali riferiti al precedente regime del concordato preventivo, con particolare riguardo alla disciplina dei pagamenti dei crediti sorti anteriormente alla presentazione della domanda e agli eventuali effetti novativi dell’obbligazione tributaria che possono prodursi nel corso della procedura o al di fuori di essa.

Allo scopo di delineare il rapporto tra diritto penale tributario e diritto della crisi d’impresa è opportuno prendere le mosse dalle caratteristiche peculiari dell’obbligazione tributaria, ben delineate dalla giurisprudenza costituzionale. Occorre riferirsi, in particolare, alla sentenza n. 90 del 2018[3], la cui ratio decidendi, risulta legata alla marcata connotazione di specialità dei crediti tributari, in ragione del principio di capacità contributiva di cui all’art. 53 Cost. In generale, la Corte, ponendo in comparazione le obbligazioni civili e quelle tributarie, ha precisato che «non è possibile una piena equiparazione tra l’inadempimento delle stesse e quello delle obbligazioni tributarie, oggetto, per la particolarità dei presupposti e dei fini, di disciplina diversa da quella civilistica» (sentenza n. 291 del 1997; nello stesso senso, sentenza n. 157 del 1996).

Inoltre, tali crediti vanno ad alimentare la finanza pubblica perché sia assicurato il prescritto equilibrio di bilancio tra entrate e spese (art. 81 Cost., nel testo introdotto dalla legge costituzionale 20 aprile 2012, n. 1). La sostenibilità della finanza pubblica e la stabilità finanziaria costituiscono altresì vincoli europei a seguito del Trattato sulla stabilità nell’Unione fatto a Bruxelles il 2 marzo 2012. Da tali vincoli deriva un’esigenza superiore di regolare l’adempimento delle obbligazioni tributarie, sul quale deve poter fare affidamento l’amministrazione finanziaria al fine di conseguire l’equilibrio di bilancio e rispettare i parametri europei del debito pubblico, tanto che le operazioni negoziali che costituiscono atti dolosamente preordinati a pregiudicare la garanzia dell’adempimento delle obbligazioni tributarie hanno un rilievo penale ex art. 11 del d.lgs. n. 74 del 2000, quale tutela ulteriore per l’amministrazione finanziaria rispetto al generale rimedio civilistico dell’azione revocatoria ex art. 2901 cod. civ.[4]

Agli argomenti utilizzati dalla Corte costituzionale per affermare la peculiarità dell’obbligazione tributaria se ne può aggiungere uno, che ha particolare attinenza con la questione oggetto del presente contributo, che è dato dall’esistenza non solo dell’art. 11 del d.lgs. n. 74 del 2000 (espressamente citato dalla Corte costituzionale), ma più in generale dell’intero decreto legislativo n. 74 del 2000, il quale, oltre a prevedere una serie di fattispecie di reato mediante frode (artt. 2 e ss.), prevede anche, agli artt. 10-bis (omesso versamento di ritenute dovute o certificate da parte del sostituto d’imposta) e 10-ter (omesso versamento Iva), due ipotesi di illecito penale per mancato adempimento dell’obbligazione, al di sopra delle indicate soglie di punibilità, che prescindono dalla frode e che, anzi, hanno per presupposto la dichiarazione del contribuente, oltre ad un’ipotesi mista, quella dell’art. 10-quater: a carattere non fraudolento nel comma 1, riferito all’indebita compensazione con crediti non spettanti e a carattere fraudolento nel comma 2, riferito all’indebita compensazione con crediti, invece, inesistenti. Esistono dunque – e questo va sottolineato – fattispecie di reato legate al semplice mancato adempimento dell’obbligazione tributaria, oltre ad un’analoga fattispecie, che punisce l’omesso versamento, nei termini prescritti, delle ritenute previdenziali e assistenziali operate sulle retribuzioni corrisposte ai dipendenti, anche in questo caso con una soglia di punibilità[5]; per quanto riguarda, invece, le obbligazioni che non rientrano in queste categorie, il loro mancato adempimento non implica l’applicazione di sanzioni penali.

2. Le fattispecie penali-tributarie di omesso pagamento e le situazioni di crisi dell’impresa nell’attuale quadro normativo e giurisprudenziale.

Non è questa la sede per trattare analiticamente dei delitti di cui agli artt. 10-bis (introdotto nel 2004), nonché 10-ter e 10-quater (introdotti dal decreto-legge n. 223 del 2006, convertito dalla legge n. 248 del 2006)[6]. È però evidente che, nell’ambito del decreto legislativo n. 74 del 2000, sono proprio questi reati che pongono il problema del coordinamento tra disciplina penale tributaria e procedure concorsuali (dal maggio prossimo: Codice della crisi)[7].

Quanto alla struttura dell’art. 10-ter, è sufficiente qui ricordare che non assumono rilevanza penale le omissioni di versamenti periodici dell’Iva, perché ai fini penali ci si deve riferire al solo decorso del termine di pagamento dell’Iva annuale, fissato espressamente dal legislatore nella scadenza prevista per il versamento dell’acconto relativo al periodo d’imposta successivo (normalmente il 27 dicembre del periodo d’imposta successivo), che rappresenta il momento consumativo del reato. Ne consegue che l’inadempimento degli obblighi di versamento periodico assume rilevanza penale solo a distanza di tempo, sia dalla presentazione della dichiarazione annuale Iva (normalmente tra il 1° febbraio e il 30 aprile dell’anno successivo) sia dei termini per i versamenti periodici da effettuare durante il periodo di imposta; una distanza di tempo che può essere anche superiore all’anno e mezzo. È proprio in tale lasso temporale che può maturare o – più spesso – protrarsi la crisi di liquidità; concetto nel quale non possono essere fatte rientrare le situazioni di carenza di liquidità temporanea o, comunque, rimediabili attraverso il ricorso a finanziamenti bancari o attraverso l’alienazione di cespiti non strategici per il contribuente, che non ponga in pericolo la continuità aziendale[8].

In particolare, con la sentenza 28 marzo 2013, n. 37424, le sezioni unite hanno affermato, quanto all’art. 10-ter del d.lgs. 10 marzo 2000, n. 74, che la mancata effettuazione del pagamento al 27 dicembre 2006 denota un disvalore ulteriore rispetto al semplice omesso pagamento alle singole scadenze del 2005, che induce a ritenere che non vi sia continuità fra la disciplina amministrativa sanzionatoria e la disciplina penale. In altri termini, la condotta omissiva propria, che ha ad oggetto il versamento dell’imposta afferente all’intero anno, si protrae fino alla scadenza del richiamato termine, che coincide con la data di commissione del reato, a nulla rilevando il già verificatosi inadempimento agli effetti fiscali. Dunque, non vi è coincidenza fra il fatto oggetto della sanzione tributaria e il fatto oggetto della sanzione penale[9].

La soluzione interpretativa adottata in sede di legittimità – criticata dalla dottrina[10] – si impernia sulla ritenuta esclusione dell’identità tra il fatto punito con la sanzione amministrativa e quello punito con la sanzione penale e la successiva giurisprudenza della terza sezione penale della Corte di cassazione ha confermato i principi espressi dalle sezioni unite[11].

Più in particolare, focalizzando l’attenzione sul reato di cui all’art. 10-ter, deve rilevarsi come le sezioni unite, con la richiamata sentenza n. 37424, e la giurisprudenza successiva, abbiano affermato che il contribuente deve tenere accantonata l’imposta sul valore aggiunto riscosso dall’acquirente del bene o del servizio, organizzando le risorse disponibili in modo da potere adempiere all’obbligazione tributaria. Rispetto a tale soluzione interpretativa la dottrina ha avanzato critiche evidenziando che l’incasso dell’Iva proveniente da operazioni attive effettuate dal contribuente comporta un ingresso di denaro nel patrimonio del contribuente, con conseguente confusione patrimoniale; in altri termini, il contribuente non è detentore di una somma di denaro di cui è titolare l’erario ma è detentore di una somma che fa parte del proprio patrimonio. Si afferma, in particolare, che non vi sono norme che impongano l’accantonamento e che l’obbligo di versare l’imposta non consegue di regola all’incasso della somma fatturata ma dall’emissione della fattura; cosicché non potrebbe parlarsi di accantonamento di somme effettivamente non percepite[12]. E questo orientamento dottrinale giunge alla conclusione che l’esclusivo momento da prendere in considerazione, quanto alla valutazione della condotta omissiva tenuta dal contribuente, è quello della scadenza dell’obbligo rilevante ai fini penali e non quelli (precedenti) della scadenza degli obblighi tributari.

Quanto ai criteri per la valutazione circa la configurabilità dell’elemento soggettivo e circa l’applicabilità delle circostanze scriminanti della forza maggiore e dello stato di necessità, la giurisprudenza della Corte di cassazione ha preso le mosse dalla considerazione che l’introduzione della norma penale risponde all’esigenza che l’organizzazione economica dell’impresa, per il pagamento dei tributi, si articoli su base annuale. Non può, quindi, essere invocata, per escludere la colpevolezza, la crisi di liquidità del soggetto attivo al momento della scadenza del termine, ove non si dimostri che la stessa non dipenda dalla scelta di non far debitamente fronte all’esigenza predetta. Né può ovviamente escludersi, in astratto, che siano possibili casi – il cui apprezzamento è devoluto al giudice del merito ed è, come tale, insindacabile in sede di legittimità se congruamente motivato – nei quali possa invocarsi l’assenza del dolo o l’assoluta impossibilità di adempiere all’obbligazione tributaria. È tuttavia necessario che siano assolti gli oneri di allegazione che, per quanto attiene alla crisi di liquidità, dovranno riguardare non solo l’aspetto della non imputabilità al sostituto di imposta della crisi economica che improvvisamente avrebbe investito l’azienda, ma anche la circostanza che detta crisi non possa essere adeguatamente fronteggiata tramite il ricorso, da parte dell’imprenditore, ad idonee misure da valutarsi in concreto. Occorre cioè la prova che non sia stato altrimenti possibile per il contribuente reperire le risorse necessarie a consentirgli il corretto e puntuale adempimento delle obbligazioni tributarie, pur avendo posto in essere tutte le possibili azioni, anche sfavorevoli per il suo patrimonio personale, dirette a consentirgli di recuperare, in presenza di un’improvvisa crisi di liquidità, quelle somme necessarie ad assolvere il debito erariale, senza esservi riuscito per cause indipendenti dalla sua volontà e a lui non imputabili (ex plurimis, Sez. 3, n. 42432 del 5/05/2015; Sez. 3, n. 8352, del 24/06/2014, dep. 2015, Rv. 263128; Sez. 3, n. 40795 del 24/06/2014; Sez. 3, n. 15416 del 8/01/2014; Sez. 3, n. 5467 del 5/12/2013, dep. 2014, Rv. 258055). Né il fatto che le obbligazioni tributarie siano rimaste inadempiute per l’esigenza di adempiere prioritariamente alle obbligazioni di pagamento delle retribuzioni dei lavoratori dipendenti è di per sé idoneo a configurare la circostanza scriminante dello stato di necessità. E anzi, la prova inequivocabile del dolo del reato è rappresentata proprio dalla consapevole scelta di non pagare il tributo. In relazione all’eventuale configurabilità della forza maggiore deve premettersi che la stessa rileva solo come causa esclusiva dell’evento e mai come causa concorrente di esso; essa sussiste, cioè, nei soli casi in cui la realizzazione dell’evento stesso o la consumazione della condotta antigiuridica sono dovute all’assoluta ed incolpevole impossibilità dell’agente di uniformarsi al comando, mai quando egli si trovi già in condizioni di illegittimità (ex plurimis, Sez. 3, n. 8352, del 24/06/2014, dep. 2015). In altri termini, nei reati omissivi, integra la causa di forza maggiore l’assoluta impossibilità, non la semplice difficoltà di porre in essere il comportamento omesso. In conclusione: a) l’esistenza di un margine di scelta per l’agente esclude sempre la forza maggiore perché non esclude la suitas della condotta[13]; b) la mancanza di provvista necessaria all’adempimento dell’obbligazione tributaria penalmente rilevante non può pertanto essere addotta a sostegno della forza maggiore quando sia comunque il frutto di una scelta imprenditoriale volta a fronteggiare una crisi di liquidità; c) l’inadempimento tributario penalmente rilevante può essere attribuito a forza maggiore solo quando derivi da fatti non imputabili all’imprenditore che non ha potuto tempestivamente porvi rimedio per cause indipendenti dalla sua volontà[14]. E tali criteri generali trovano applicazione – in mancanza di uno specifico intervento del legislatore sul punto che ridefinisca i confini dell’inadempimento, delle scelte imprenditoriali, dell’eventuale ricorrenza di circostanze scriminanti o cause di esclusione dell’elemento soggettivo – anche in relazione alla valutazione di inadempimenti tributari che intervengano nell’attuale periodo di emergenza epidemiologica Covid-19.

Venendo alle ragioni per le quali l’imprenditore decide di evitare di pagare l’erario, non può che evidenziarsi il fatto che quest’ultimo è un creditore poco tempestivo nel reclamare quanto gli spetta e, a differenza dei fornitori e dei dipendenti, non è in grado di bloccare l’attività di impresa, perché non svolge prestazioni direttamente influenti sull’attività stessa, come invece quelle dei fornitori e dei dipendenti. Oltre a questo, si è ricordato[15] che l’inadempimento può essere dovuto ad una – non sempre ben riposta – fiducia dell’imprenditore verso un miglioramento finanziario dell’impresa, che ha trovato nuova spinta ad opera dell’introduzione della causa di esclusione della punibilità prevista dall’art. 13, comma 1, del d.lgs. n. 74 del 2000, introdotta dal d.lgs. n. 158 del 2015, grazie alla quale la responsabilità penale viene meno in caso di estinzione della pendenza con il fisco prima dell’apertura del dibattimento, ovvero prima di un momento spesso piuttosto lontano sia dall’inadempimento dell’obbligazione tributaria sia dalla commissione del reato.

2.1. La configurabilità dei reati di omesso pagamento in relazione al concordato preventivo.

Né l’ordinamento penale tributario né quello fallimentare forniscono una soluzione univoca al problema del rapporto fra reati tributari di omesso versamento e concordato preventivo, mancando in entrambi i sistemi le norme per disciplinare i casi di interferenza[16].

Un primo caso che può porsi è quello in cui il termine penalmente rilevante per l’adempimento dell’obbligazione tributaria scada precedentemente alla domanda di concordato. Non vi sono, in questo caso, questioni sulla rilevanza penale dell’omissione costituente reato, perché in più decisioni di legittimità si è rilevato come sia presupposto necessario della non configurabilità dell’illecito l’anteriorità del provvedimento di ammissione al concordato rispetto alla scadenza dell’obbligazione[17].

Speculare è la fattispecie del mancato adempimento del debito IVA sorto prima dell’apertura della procedura di concordato preventivo, nel caso in cui, in data antecedente alla scadenza del debito stesso, sia intervenuto un provvedimento del tribunale che abbia vietato il pagamento di crediti anteriori. In tal caso è, infatti, pacificamente configurabile la scriminante dell’adempimento di un dovere imposto da un ordine legittimo dell’autorità di cui all’art. 51 cod. pen., derivante da norme poste a tutela di interessi aventi anche rilievo pubblicistico, equivalenti a quelli di carattere tributario[18].

La fattispecie più problematica è, indubbiamente, quella relativa alla rilevanza della domanda di concordato preventivo ai fini della sussistenza dei reati di omesso versamento, quando il termine rilevante a fini penali per la commissione di tali reati venga a scadere dopo la presentazione della domanda stessa, ma prima che il tribunale sia intervenuto imponendo il divieto di pagamento del debito erariale[19].

Si registra, in proposito, un primo orientamento, secondo cui la procedura di concordato preventivo scrimina i reati di omesso versamento, in relazione a obblighi scaduti tra la presentazione dell’istanza di ammissione al concordato, sia esso “in bianco” che con deposito del piano, e l’adozione del relativo decreto, solo ove sia intervenuto un provvedimento del tribunale che abbia vietato, o comunque non autorizzato, come invece richiesto dall’interessato, il pagamento dei suddetti debiti, essendo in tal caso configurabile la scriminante dell’adempimento di un dovere imposto da un ordine legittimo dell’autorità di cui all’art. 51 cod. pen.[20] Per contro, in mancanza di dette condizioni, il mero decreto di ammissione al concordato non vale a scriminare “retroattivamente” gli omessi versamenti relativi a debiti scaduti anteriormente. Si tratta di una giurisprudenza largamente maggioritaria[21], formatasi dopo una iniziale affermazione dell’irrilevanza della procedura di concordato preventivo ai fini della sussistenza del reato tributario[22], poi superata dall’affermazione secondo cui la procedura di concordato preventivo non inibisce – in linea di principio – il pagamento dei debiti tributari il cui termine di scadenza è successivo al deposito della domanda[23]. In particolare, si è affermato[24] che il pagamento del debito trova fondamento nella previsione normativa di cui agli artt. 161, comma 7, e 167 della legge fallimentare, come osservato dalla Cassazione civile, la quale afferma che non è tout court vietato il compimento di atti straordinari (tra cui il pagamento del debito tributario), i quali, se compiuti senza autorizzazione giudiziale, non comportano la revoca della procedura[25] (Sez. 1, n. 11958 del 16/05/2018 Rv. 648456, che richiama Cass. 14887/2017, 7066/2016, 3324/2016, successivamente ribadito da Sez. 1, n. 16808 del 21/06/2019 Rv. 654280).
 Un argomento a sostegno di questa ricostruzione può essere desunto da Corte cost., ord. n. 256 del 2017, che chiarisce – ove ve ne fosse la necessità – che il soggetto in concordato è la società e non l’imputato, e l’impossibilità di provvedere al pagamento a causa dei vincoli derivanti dal concordato preventivo riguarda solo la società e non anche l’imputato, che è, invece, l’autore del reato. Ne consegue che trova applicazione anche in relazione alla questione del rapporto fra crisi e concordato il principio – già richiamato secondo cui spetta all’imprenditore in crisi, che sa di avere un debito fiscale che verrà a scadenza certa, ponderare la miglior soluzione della crisi di impresa e valutare in tale ambito anche le conseguenze penali della sua eventuale omissione del pagamento del debito.
Un ulteriore argomento a favore di tale ricostruzione interpretativa è rappresentato dal fatto che il pagamento dell’Iva, che peraltro è un credito privilegiato ai sensi dell’art. 62 d.P.R. 633/1972, dopo la presentazione della domanda di concordato preventivo non può neanche dirsi diretto a frodare le ragioni dei creditori, in quanto impedisce l’ulteriore depauperamento per i creditori che può derivare dall’imposizione di sanzioni e interessi[26].

A tale orientamento se ne contrappone un secondo, minoritario in giurisprudenza anche se condiviso da una parte della dottrina[27], per il quale, nel caso di ammissione al concordato preventivo, non è configurabile il fumus del reato di cui all’art. 10-bis del d.lgs. 10 marzo 2000, n. 74, per l’omesso versamento di ritenute dovute o certificate in relazione agli obblighi scaduti successivamente alla presentazione dell’istanza di ammissione al concordato, in quanto gli effetti di tale ammissione decorrono dalla data della presentazione della relativa domanda. Si afferma, in particolare, che se il debitore è stato ammesso, prima della scadenza del debito tributario, alla procedura di concordato preventivo con pagamento dilazionato e/o parziale dell’imposta, l’inadempimento è scriminato dall’art. 51 cod. pen. (sub specie dell’adempimento di un dovere di legge, perché il debitore non può pagare i debiti anteriori alla presentazione della domanda, pena l’inefficacia). L’assunto si basa sull’interpretazione dell’art. 168, primo comma, l. fall., in verità non riferito espressamente alla condotta che deve tenere il debitore, ma agli “Effetti della presentazione del ricorso”, a tenore del quale, «dalla data della pubblicazione del ricorso nel registro delle imprese e fino al momento in cui il decreto di omologazione del concordato preventivo diventa definitivo, i creditori per titolo o causa anteriore non possono, sotto pena di nullità, iniziare o proseguire azioni esecutive e cautelari sul patrimonio del debitore»[28].

Tra le due soluzioni proposte appare preferibile la prima, che incontra il favore della maggioranza della giurisprudenza di legittimità, perché più coerente con il dato, difficilmente controvertibile, rappresentato dalla specialità dell’obbligazione tributaria, il cui inadempimento è addirittura assistito, a certe condizioni, da sanzione penale, a differenza di quanto accade per la generalità delle altre obbligazioni. Nell’interferenza fra diritto penale e diritto delle procedure concorsuali, il legislatore ha, dunque, inteso dare spazio all’effettività della tutela penale, anche a scapito della par condicio creditorum, dovendosi considerare che, diversamente opinando, il profitto da omesso versamento – consistente in un risparmio di spesa corrispondente all’entità del tributo non versato – andrebbe di fatto ad incrementare il patrimonio del contribuente. In altre parole, la configurabilità dei reati di omesso versamento anche nel caso in cui il termine rilevante ai fini penali venga a scadere dopo la presentazione della domanda di concordato risponde all’esigenza di garantire in modo particolarmente pregnante il credito erariale, rispetto al quale l’ordinamento appronta anche lo strumento della confisca, la quale svolge una funzione che, vista dal lato dello Stato, ha un carattere sostanzialmente ripristinatorio. La soluzione qui criticata rischierebbe, invece, di consentire l’utilizzazione strumentale della domanda di presentazione di concordato preventivo al solo scopo di evitare la responsabilità penale per inadempimento fiscale, quasi giungendo a configurarla come una condizione meramente potestativa di non punibilità[29]. Inoltre, l’orientamento in parola arriva a concepire il reato tributario come se la sua esistenza dipendesse dal diniego dell’ammissione al concordato preventivo, sostanzialmente ammettendo che, dopo la consumazione, si possa verificare una sua estinzione a seguito del decreto di ammissione al concordato preventivo. Non si considera, però, che dopo l’ammissione al concordato preventivo se ne può avere la revoca, mentre dopo l’omologa, anziché esservi l’esecuzione, possono esservi la risoluzione o l’annullamento del concordato; dunque, non si può annettere una così peculiare rilevanza al momento dell’ammissione al concordato, perché questa genera, nell’ambito della procedura concorsuale, conseguenze tutt’altro che definitive e irreversibili.


[1] D.L. 24 agosto 2021, n. 118 Misure urgenti in materia di crisi d’impresa e di risanamento aziendale, nonché ulteriori misure urgenti in materia di giustizia, convertito, con modificazioni, dalla l. 21 ottobre 2021, n. 147

[2] La nuova normativa prevede, però, meccanismi di collaborazione preventiva fra amministrazione finanziaria e imprenditore contribuente allo scopo di far emergere anticipatamente la crisi ed evitarne gli effetti dirompenti. Si tratta di una collaborazione che, vista la distanza temporale tra la scadenza dei termini di adempimento delle obbligazioni rilevanti e quella del termine rilevante a fini penali potrà effettivamente prevenire – al netto dei problemi pratici che la sua attuazione potrebbe presentare – la commissione di alcuni dei reati di omesso versamento.

[3] Su cui, v. Amoruoso – Di Bella, La “ragione fiscale” causa di minor appetibilità della scissione societaria, in Responsabilità civile e previdenza, 1, 2019, 138; Castaldi, Scissioni societarie e responsabilità tributaria: una sentenza apparentemente scontata, in Giurisprudenza costituzionale, 2, 2018, 766; Di Siena, La Corte costituzionale ed il regime della responsabilità fiscale in caso di scissione: la specialità della materia tributaria preserva lo ‘status quo’, in Rivista trimestrale di diritto tributario, 2, 2018, 429; Donatelli, Norma tributaria e norma civile: il caso della responsabilità solidale illimitata per i debiti tributari delle società beneficiarie nelle operazioni di scissione, in Diritto e pratica tributaria, 1, 2021, 398; Ferrara, Il principio dell’equilibrio di bilancio e l’interesse fiscale non giustificano la responsabilità solidale illimitata della beneficiaria di scissione parziale, in GT – Rivista di giurisprudenza tributaria, 7, 2018, 568; Fimmanò, La Consulta introduce la “supersolidarietà” tributaria nella scissione, in Le Società, 7, 2018, 894.

[4] Ulteriori profili di peculiarità dei crediti tributari sono rappresentati: dalla specialità del giudice che ha giurisdizione sulle controversie per il loro accertamento nel processo tributario; dal sistema della riscossione fiscale, che si discosta dal regime ordinario dell’espropriazione forzata regolata dal codice di procedura civile proprio al fine di meglio assicurare l’adempimento delle obbligazioni tributarie. Quanto a tale secondo profilo, la stessa Corte costituzionale ha più volte affermato che «la disciplina speciale della riscossione coattiva delle imposte non pagate risponde all’esigenza di realizzazione del credito fiscale a garanzia del regolare svolgimento della vita finanziaria dello Stato» (ex plurimis, sentenza n. 281 del 2011). Ove poi si tratti di tributi armonizzati secondo il diritto europeo, maggiore è l’esigenza di effettività del sistema di riscossione fiscale (sentenza n. 225 del 2014). Il corretto adempimento degli obblighi tributari è infine presidiato da una garanzia reale di ampia portata – il privilegio generale sui mobili del debitore in favore dei crediti per tributi diretti dello Stato, per imposta sul valore aggiunto e per tributi degli enti locali (art. 2752 cod. civ.) – e da più̀ specifiche tutele cautelari, quali l’ipoteca e il sequestro conservativo, previste a favore del fisco dall’art. 22 del d.lgs. n. 472 del 1997.

[5] Art. 2, comma 1-bis, del d.l. n. 463 del 1983, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 638 del 1983.

[6] Su cui cfr. Martini, Reati in materia di finanze tributi, Giuffrè, 2010, 607; Monticelli, sub art. 10-ter, in Nocerino – Putinati (a cura di), La riforma dei reati tributari, Giappichelli, 2015, 216; Musco – Ardito, Diritto penale tributario, Zanichelli, 2016, 287; Cernuto – D’Arcangelo, I reati omissivi e di indebita compensazione, in Giarda – Perini – Varraso (a cura di), La nuova giustizia penale tributaria, Cedam, 2016, 383; Gentili-Zunica, I delitti di occultamento, omesso versamento e indebita compensazione, in Scarcella (a cura di), La riforma della disciplina penale tributaria dopo il D. Lgs. 24 settembre 2015, n. 158, Giappichelli 2019, 223.

[7] Bottai, La confusione sotto il cielo dei reati tributari, accentuata dall’emergenza COVID, in Il Fallimento, 1, 2021, 67, evidenzia che: «In tali comportamenti omissivi si compendiano tre gravi conseguenze: A) si priva lo Stato di risorse proprie dell’Unione europea (iva) o comunque necessarie al soddisfacimento dei bisogni della collettività (le imposte e le contribuzioni illecitamente trattenute); B) si altera la concorrenza fra imprese, in danno di chi rispetta le regole di base; C) si incentiva la pratica scorretta dell’autofinanziamento, trovando conveniente gli imprenditori con meno scrupoli ricorrere a tali mezzi illegali, che forniscono liquidità a costo zero, piuttosto che remunerare onerosamente prestiti bancari, peraltro neppure concedibili in situazioni di crisi».

[8] Analoghe considerazioni possono valere per il reato di cui all’art. 10-bis del d.lgs. n. 74 del 2000, avente ad oggetto le ritenute previdenziali e assistenziali operate sulle retribuzioni corrisposte ai dipendenti, in relazione alle quali l’inadempimento assume rilevanza penale con riferimento al termine previsto per la presentazione della dichiarazione annuale di sostituto d’imposta. La sentenza delle Sezioni unite penali n. 37425, del 28/03/2013, Rv. 255759, ha affermato che lo stesso si consuma con il mancato versamento per un ammontare superiore ad euro cinquantamila delle ritenute complessivamente risultanti dalla certificazione rilasciata ai sostituiti entro la scadenza del termine finale per la presentazione della dichiarazione annuale. Ne deriva che il delitto in questione è strutturato come reato omissivo proprio istantaneo, posto che si consuma in conseguenza del mancato compimento dell’azione dovuta, costituita dall’omesso versamento, entro il termine fissato, delle ritenute risultanti dalla certificazione rilasciata ai sostituiti dallo stesso contribuente. Tale termine non coincide con quello richiesto dalla normativa fiscale per l’adempimento dell’obbligazione tributaria, ma è ad esso successivo, avendo il legislatore ritenuto di lasciare al contribuente un lasso di tempo per poter sanare il proprio debito tributario prima che la condotta omissiva integri la fattispecie penalmente rilevante. Infatti, mentre la normativa tributaria fissa quale termine per il versamento all’erario delle ritenute effettuate il giorno sedici del mese successivo a quello in cui le stesse sono state operate da parte del sostituto (d.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, artt. 3 e 8), sanzionando l’omissione in via amministrativa in base al d.lgs. 18 dicembre 1997, n. 471, art. 13, comma 1, la normativa penale (d.lgs. n. 74 del 2000, art. 10-bis), si riferisce complessivamente a tutte le ritenute operate nell’anno di imposta e stabilisce, quale termine di adempimento penalmente rilevante, quello del 31 ottobre dell’anno successivo. Diversa, sul punto, è la struttura del reato di cui all’art. 10-quater, perché lo stesso si consuma al momento della presentazione dell’ultimo modello F24 relativo all’anno interessato e non in quello della successiva dichiarazione dei redditi, in quanto, con l’utilizzo del modello indicato, si perfeziona la condotta decettiva del contribuente, realizzandosi il mancato versamento per effetto dell’indebita compensazione di crediti in realtà non spettanti in base alla normativa fiscale (ex multis, Sez. 3, n. 4958 del 11/10/2018, dep. 2019, Rv. 274854).

[9] Ampiamente commentata in dottrina, ex plurimis: Traversi, Interpretazione rigorosa delle Sezioni Unite sull’omesso versamento dell’IVA e delle ritenute, in Corr. Trib., 2013, 3487; Ciraulo, La punibilità degli omessi strumenti dell’Iva e delle ritenute certificate nella lettura delle sezioni unite, in Cass. pen., 1, 2014, 66.

[10] Tra gli altri: Galantini, Il “fatto” nella prospettiva del divieto di secondo giudizio, in Riv. it. dir. proc. pen., 2015, 1205; Dova, Ne bis in idem e reati tributari, cit. Quest’ultimo critica tale ricostruzione, osservando che, «In tal modo, la giurisprudenza ha avallato la duplicazione punitiva. E lo ha fatto con particolare riguardo ai reati di omesso versamento: fatti che, nell’originario disegno riformatore del 2000, non rientravano neppure nel catalogo dei comportamenti meritevoli di pena. Infatti, è solo qualche anno più tardi, precisamente nel 2004 e nel 2006, che il legislatore, tornando sui propri passi, ha attribuito rilevanza penale, rispettivamente, all’omesso versamento di ritenute certificate e all’omesso versamento di IVA (artt. 10-bis e ter, d.lgs. 74/2000). Ciò ha prodotto una sovrapposizione tra reati e illeciti amministrativi di omesso versamento, che avrebbe dovuto essere risolta attraverso il principio di specialità». Più in generale, tali autori osservano che ciò che conta ai fini dell’applicazione del divieto del ne bis in idem convenzionale è l’identità del fatto, naturalisticamente inteso, al di là di eventuali diversità degli altri elementi costitutivi della fattispecie penale e di quella amministrativa; e la condotta, nelle fattispecie in esame, sarebbe la stessa: l’omesso versamento delle ritenute o dell’imposta dovuta.

[11] Per ragioni di sintesi, sia consentito rinviare a Andronio, Il problema del “ne bis in idem” tributario, in Scarcella (a cura di), La riforma della disciplina penale tributaria dopo il D. Lgs. 24 settembre 2015, n. 158, cit., 404 ss.

[12] Tra i molti, Gullo, La rilevanza penale della dichiarazione del sostituto d’imposta, in Il fisco, 2013, 1, 2420 ss., D’Avirro, Reati tributari, omesso versamento dell’Iva e crisi di impresa, in Il fisco, 2017, 1963 ss. Analoga, è ancora una volta, la situazione delle ritenute d’imposta rilevanti ai fini dell’articolo 10-bis del d.lgs. n. 74 del 2000. Sul fatto che i due reati in questione non siano fattispecie speciali di appropriazione indebita, vedi, tra i molti, Flora, Crisi di “liquidità” ed omesso versamento di ritenute e di Iva: una questione davvero chiusa?, in Rassegna tributaria, 2014, 906 ss. In ogni caso, pur non condividendo la tesi dell’appropriazione indebita, la giurisprudenza di legittimità ha precisato che l’emissione della fattura, se antecedente al pagamento del corrispettivo, espone il contribuente, per sua scelta, all’obbligo di versare comunque la relativa imposta sicché egli non può dedurre il mancato pagamento della fattura né lo sconto bancario della fattura quale causa di forza maggiore o di mancanza dell’elemento soggettivo (ex multis, Sez. 3, n. 38594 del 23/01/2018, Rv. 273958). Sulla stessa linea Sez. 3, n. 23796 del 21/03/2019, Rv. 275967, ha precisato che la colpevolezza del contribuente non è esclusa dalla crisi di liquidità alla scadenza del termine fissato per il pagamento, a meno che non venga dimostrato che siano state adottate tutte le iniziative per provvedere alla corresponsione del tributo e, nel caso in cui l’omesso versamento dipenda dal mancato incasso dell’IVA per altrui inadempimento, non siano provati i motivi che hanno determinato l’emissione della fattura antecedentemente alla ricezione del corrispettivo.

[13] Ex multis, Sez. F, n. 23939 del 11/08/2020, Rv. 279539 e Sez. 3, n. 36421 del 16/05/2019, Rv. 276683. In particolare, il reato di omesso versamento delle ritenute previdenziali ed assistenziali non può essere scriminato, ai sensi dell’art. 51 cod. pen., dalla scelta del datore di lavoro, in presenza di una situazione di difficoltà economica, di destinare le somme disponibili al pagamento delle retribuzioni, perché, nel conflitto tra il diritto del lavoratore a ricevere i versamenti previdenziali e quello alla retribuzione, va privilegiato il primo in quanto è il solo a ricevere, secondo una scelta del legislatore non irragionevole, tutela penalistica per mezzo della previsione di una fattispecie incriminatrice. Dunque, è proprio la giurisprudenza della Corte di cassazione ad affermare con forza, quale fondamento della specialità dell’obbligazione tributaria, rilevante nel suo rapporto con la crisi d’impresa, l’esistenza di una tutela penalistica.

[14] Sulla rilevanza della crisi economica nei reati di omesso versamento, cfr. Gentili-Zunica, I delitti di occultamento, omesso versamento e indebita compensazione, cit., 236, con riferimenti anche alla giurisprudenza di merito; Soana, Crisi di liquidità del contribuente e omesso versamento di ritenute certificate e di Iva, in www.dirittopenalecontemporaneo, 7 ottobre 2013.

[15] Perini, Crisi di liquidità e reati tributari: l’omesso versamento dell’Iva alla vigilia dell’entrata in vigore del Codice della crisi, in Rivista di diritto tributario, 4, 2020, 144.

[16] Tale lacuna è oggetto di approfondimento da parte di: Oriana, La rilevanza della crisi aziendale nel reato di omesso versamento delle ritenute previdenziali e assistenziali, in Dir. pen. e proc., 2018, 1608; Antico – Conigliaro, La rilevanza penale degli omessi versamenti e il permanente rompicapo delle possibili esimenti, in Il fisco, 2018, 1744; Di Vizio, I rapporti tra la dilazione concordataria ed il reato di omesso versamento dell’IVA, in Il Fallimento, 3, 2019, 362; Genovesi, I reati di omesso versamento in tempo di pandemia, in Il fisco, 2020, 2260; Rubino, Il duplice profilo degli effetti della procedura di concordato preventivo: obbligazione tributaria e rilevanza penale della condotta imprenditoriale, in www.iltributario.it, 31 luglio 2020.

[17] Sez. 3, n. 39696 del 08/06/2018, Rv. 273838; Sez. 3, n. 15853 del 12/03/2015, Rv. 263436. Sulle pronunce che danno invece rilievo alla presentazione della domanda di concordato, v. infra.

[18] Sez. 4, n. 52542 del 17/10/2017, Rv. 271555; Sez. 3, n. 2860 del 30/10/2018, dep. 2019, Rv. 274822.

[19] Per quanto qui strettamente rileva, deve ricordarsi che le fasi in cui della procedura di concordato preventivo sono: la domanda (con piano o senza piano, e in questo secondo caso il tribunale assegna un termine per la relativa presentazione) che dev’essere iscritta nel registro delle imprese ai fini della pubblicità e degli effetti dell’art. 168 l. fall., nei confronti dei creditori (art. 161 l. fall.); il decreto di ammissione (art. 163 l. fall.); il decreto di omologa (art. 180 l. fall.); l’esecuzione del concordato (art. 185 l. fall.), o la sua risoluzione o annullamento (art. 186 l. fall.).

[20] Sulla portata scriminante dell’adempimento del dovere, Sez. 4, n. 52542 del 17/10/2017, precisa che se è vero che in tema di adempimento di un dovere imposto da un ordine legittimo, è sempre necessario, al fine di accertare l’effettiva sussistenza della esclusione della antigiuridicità del fatto, compiere, in concreto, un giudizio di bilanciamento tra il bene protetto dalla norma incriminatrice e la finalità cui mira la causa di giustificazione (Sez. 4, n. 12489 del 29/09/2000, Rv. 21923301), se ne deve concludere che nel caso – a conferma della operatività della scriminante – non si è verificata alcuna sproporzione tra il fine perseguito dall’ordine e la condotta di attuazione dello stesso, né che vi sia stata lesione di beni che, nel giudizio concreto, si rivelino preminenti rispetto all’interesse a che si realizzi la finalità dell’ordine impartito, posto che, come già visto, l’interesse statale e comunitario al versamento integrale dell’IVA può recedere di fronte a situazioni di insolvenza affrontate con la procedura di concordato preventivo, la quale, come riconosciuto dalla Corte di Giustizia U.E., offre ampie garanzie allo Stato (e alla stessa U.E.) per il recupero dei crediti IVA.

[21] In tal senso, ex plurimis, Sez. 3, n. 49795 del 23/05/2018, Rv. 274199; Sez. 3, n. 39310 del 17/05/2019, Rv. 277171, la quale precisa che il principio illustrato deve essere applicato a maggior ragione nel caso in cui la richiesta di ammissione alla procedura sia stata presentata dallo stesso imputato responsabile del dissesto, in quanto, diversamente opinando, questi potrebbe evitare di incorrere in responsabilità penale con il solo deposito del ricorso.

[22] Ex multis, Sez. 3, n. 44283 del 14/05/2013; Sez. 3, n. 12912 del 04/02/2016.

[23] Ex plurimis, Sez. 3, n. 39310 del 17/05/2019; Sez. 3, n. 49795 del 23/05/2018, Rv. 274199; Sez. 3, n. 2860 del 30/10/2018, dep. 2019, Rv. 274822; Sez. 4, n. 52542 del 17/10/2017, Rv. 271554.

[24] Sez. 3, n. 13628 del 20/02/2020, Rv. 279421. V. anche: Sez. 3, n. 13092 del 05/12/2019, dep. 2020; Sez. 3, n. 13327 del 05/02/2020.

[25] Nel settore penale, sul tema di quali siano gli atti di straordinaria amministrazione – tra cui vanno inclusi, in generale, anche i pagamenti di debiti – v. Sez. 3, n. 31327 del 06/06/2019, Rv. 276277, la quale afferma che, in tema di omesso versamento delle ritenute previdenziali ed assistenziali, il legale rappresentante della società tenuta agli obblighi contributivi può beneficiare della causa di non punibilità di cui all’art. 2, comma 1-bis, del d.l. 12 settembre 1983, n. 463, convertito dalla legge n. 638 del 1983, anche nel caso in cui, medio tempore, la società sia stata ammessa al concordato preventivo, eventualmente attivando la procedura di autorizzazione per il compimento di atti di amministrazione straordinaria urgenti, prevista dagli artt. 161, comma 7, e 167 legge fall. al fine di estinguere le passività.

[26] Cass. pen., Sez. 3, n. 45694 del 16/09/2019.

[27] Cfr. Bottai, op. cit., secondo il quale non è pensabile che il debitore, al fine di non incorrere nel reato tributario, provveda a pagare onerosi debiti fiscali o previdenziali ormai cristallizzati, rischiando la quasi certa apertura del subprocedimento di revoca del concordato ex art. 173 l. fall. per aver “distratto” risorse essenziali dalla continuità aziendale o dal pagamento di creditori più elevati in grado in una fase procedurale in cui non è sicura l’omologazione.

Sotto altro profilo, si sostiene che l’orientamento in parola trascura il tenore delle sentenze civili, le quali, in materia di sanzioni amministrative tributarie (i cui principi di fondo derivano dal diritto penale: cfr. artt. 3-6, del d.lgs. n. 472/1997, in specie l’art. 5), ne avevano escluso l’irrogazione a carico del contribuente che non aveva pagato le imposte dopo l’ammissione alla procedura di amministrazione controllata, recettiva della disciplina del concordato preventivo. Si richiama, in particolare, il principio di diritto (enunciato da Cass. civ., Sez. 5, n. 24071 del 10/11/2006, Rv. 595135, e Sez. 5, n. 18078 del 02/07/2008 Rv. 604003), secondo cui, alla luce dell’art. 168 l. fall. il debitore non può eseguire, per i debiti pregressi, alcun pagamento fino al termine della procedura, tenuto conto del fatto che il pagamento eseguito nei confronti di uno (o di alcuni) soltanto dei creditori determinerebbe un vantaggio per l’uno (o per alcuni) con danno per gli altri; principio applicabile anche se creditore è l’amministrazione dello Stato.

Al primo argomento, può replicarsi che il subprocedimento di revoca del concordato comporta la distrazione di risorse essenziali, che nel caso di specie non vi sarebbe, trattandosi del pagamento di un debito assistito da sanzione penale. Del resto, la giurisprudenza civile appena sopra richiamata nel testo afferma, sul punto, che il pagamento non autorizzato di un debito scaduto eseguito in data successiva al deposito della domanda di concordato preventivo, non integra in via automatica, ai sensi dell’art. 173, comma 3, l. fall., una causa di revoca del concordato, la quale consegue solo alla verifica, da compiersi ad opera del giudice di merito, che tale pagamento, non essendo ispirato al criterio della migliore soddisfazione dei creditori, sia diretto a frodare le ragioni di questi ultimi, così pregiudicando le possibilità di adempimento della proposta formulata con la domanda di concordato.

Quanto al secondo argomento, può replicarsi – oltre a quanto appena osservato – che le sanzioni amministrative tributarie si differenziano in modo essenziale da quelle penali, perché sono collegate al semplice inadempimento dell’obbligazione tributaria alla sua scadenza e non all’inadempimento che si verifica alla scadenza dell’ulteriore termine, rilevante ai fini penali proprio perché dotato di offensività crescente.

[28] Sez. 3, n. 36320 del 02/04/2019, Rv. 277687. La sentenza, portando alle estreme conseguenze l’efficacia scriminante dell’adempimento del dovere, giunge ad affermare che, poiché il debito tributario è scaduto dopo la presentazione della domanda, l’inadempimento, se pure possa mai avere avuto una rilevanza penale, cessa di averla, in quanto legittimato dalla sopravvenuta ammissione al concordato preventivo. Tale conclusione si fonda sull’applicazione del principio civilistico secondo cui gli effetti dell’ammissione al concordato preventivo – tra i quali vi è l’inefficacia dei pagamenti – retroagiscono al momento della domanda (art. 184 l. fall.).

[29] Ex multis, Sez. 3, n. 39310 del 17/05/2019, Rv. 277171.

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