di Giuseppe De Francesca, G.D. Trib. Taranto

Sommario: 1. Premessa – 2. La vicenda e la decisione – 3. Le regole e le interpretazioni – 4. La funzionalità e la consecuzione – 5. La prededuzione concordataria nel Codice della Crisi. Cenni – 6. Brevi considerazioni finali sui riflessi operativi.

1. Premessa

Chiamate a comporre il contrasto a tratti disorientante stratificatosi attorno al tema della prededuzione del credito dei professionisti ingaggiati dal debitore in vista dell’accesso al concordato preventivo, le Sezioni unite ne rimarcano con cura i tratti, calcandone i connotati della funzionalità e tratteggiandone un volto che, superati gli approcci utilitaristici e valorizzata la regola relazionale che ne è alla base, finisce per specchiarsi nella fisionomia che l’attende nel Codice della Crisi. 

Il risultato è un approdo univoco, niente affatto sincretistico, a beneficio della avvertita esigenza di certezza delle regole di ingaggio destinate a risolvere il conflitto tra le forze che, a valle dell’insuccesso della iniziativa concordataria, si contendono aspettative di soddisfacimento preferenziale.

Del resto, così come l’ordinanza interlocutoria[1], anche le Sezioni unite, nel ricomporre i differenti indirizzi maturati attorno al tema, si fanno carico della diffusa preoccupazione del rischio di depauperamento della responsabilità patrimoniale fisiologicamente connaturato ad una gestione preconcordataria che, nel mentre produce debiti potenzialmente disputabili e riconducibili ad iniziative assunte dal debitore al di fuori del controllo tutorio degli organi concorsuali, non valga nel contempo a realizzare gli scopi della procedura: ciò che accade, in modo particolare, allorquando il procedimento a vantaggio del quale la prestazione è stata svolta e nel cui contesto la prededuzione è sorta non progredisca oltre il mero accesso, così finendo per rivelarsi fatalmente inidoneo a raggiungere – in uno con gli obiettivi minimali che lo connoterebbero tipologicamente – lo scopo (e l’utilità) al cui conseguimento il professionista incaricato dal debitore abbia cooperato.

Il tema, come è ovvio, continua ad urtare suscettibilità sedimentate[2], e tanto più riaccese a motivo del progressivo allargamento dell’area della concorsualità, sempre più anticipata, posto che se per un verso si affida alla prededuzione il ruolo di strumento promozionale per favorire l’ingresso del debitore nelle procedure concorsuali di iniziativa propria a vocazione conservativa e di continuità aziendale offrendosi una corsia preferenziale di pagamento ai professionisti chiamati a coadiuvare a tale scopo l’imprenditore, per altro verso già si programma per tal via il sacrificio dell’aspettativa di soddisfacimento dei creditori concorsuali, finanche prelatizi, sui quali soltanto è destinato ad essere ripartito il rischio – ed il costo – tanto della continuità quanto del suo insuccesso[3].

Nulla di più naturale, si direbbe, se è vero che la prededuzione, al fondo, è fenomeno tipico di ogni procedimento nel quale si attui la garanzia patrimoniale del debitore, a motivo del fisiologico rapporto che, in tale contesto, sorge tra crediti prededucibili, crediti preferenziali e crediti chirografari allo scopo di garantire (al di fuori e prima del concorso) una posizione di preminenza al creditore che per legge o per contratto ne risulti beneficiario in ragione della strumentalità dell’attività da cui il credito consegue agli scopi della procedura[4].

2. La vicenda e la decisione

La vicenda da cui sorge l’occasione nomofilattica è davvero lineare, quanto paradigmatica, nell’esemplificazione delle questioni oggetto di contrasto, tanto più perché si pone lungo la prima linea del conflitto interpretativo, ove a contendersi la preferenza prededuttiva sono i cosiddetti “professionisti aggiuntivi”, ovvero quelle figure professionali cui il debitore faccia ricorso ai fini dell’allestimento della domanda concordataria ancorchè a tal fine non obbligato dalla legge, dando luogo così ad apporti (e a costi) atipici, poiché non previsti: è il caso, per quel che qui rileva, dell’attività svolta dall’advisor contabile, di certo non compresa tra quelle esplicitamente contemplate dalla legge come indispensabili ai fini della presentazione della domanda (diversamente, ad esempio, dal ministero del professionista legale, dall’attività del professionista che attesti la veridicità dei dati aziendali e la fattibilità del piano, o di quella del professionista incaricato della perizia estimativa giurata).

Nel caso di specie, per l’appunto, un dottore commercialista si era visto rigettare, dapprima dal giudice delegato in sede di udienza di verifica e poi dal Tribunale all’esito del giudizio di opposizione, la domanda di insinuazione del credito professionale maturato in esecuzione di un contratto di consulenza professionale contabile al fine di coadiuvare la società debitrice ed il relativo legale nella predisposizione degli atti preparatori necessari a presentare la proposta ed il piano di un concordato preventivo.

Accadeva, però, che la committente, venuto meno l’apporto di finanza esterna che avrebbe dovuto assicurare l’adempimento della proposta di concordato, vi rinunziava, sicché, divenuta inammissibile la domanda di concordato nel corso della fase prenotativa, ne veniva dichiarato il fallimento. Di qui la domanda di insinuazione al passivo.

Nell’intendimento del Tribunale, per quel che qui più rileva, il diniego della prededuzione scaturiva dalla duplice constatazione che se per un verso la prestazione professionale non aveva arrecato alla procedura concorsuale alcun tipo di beneficio, inteso quale “accrescimento dell’attivo e salvaguardia della sua integrità[5], poiché resa quando “ormai” la domanda era inammissibile, per altro verso la rinuncia aveva interrotto il carattere di “concreta funzionalità” della prestazione, facendo sì che la proposta di concordato preventivo cui ineriva si fosse rivelata non utile ai fini dell’accesso ad una soluzione della crisi d’impresa alternativa al fallimento.

Veniva quindi interposto ricorso per Cassazione, il primo motivo del quale, obiettando l’estraneità del riscontro di un risultato all’istituto della prededuzione, poneva le condizioni affinché, registrato a riguardo il non univoco indirizzo della giurisprudenza formatasi in seno alla Prima sezione della Suprema Corte, fosse sottoposta alla Sezioni unite la questione relativa alla sorte della prededuzione del credito del professionista il quale presti la propria opera in vista dello svolgimento di una procedura di concordato preventivo che, tuttavia, venga da subito abortita già nella fase di iniziale gestazione poiché rinunziata o dichiarata immediatamente inammissibile.

Più in particolare, come precisato dal Procuratore Generale nella propria requisitoria, la questione posta all’attenzione della Corte induce a stabilire se il credito avente ad oggetto un compenso professionale maturato in funzione della ammissione del debitore al concordato preventivo possa ambire ad essere collocato fra le prededuzioni nel successivo fallimento soltanto a condizione che il concordato sia stato aperto ovvero anche in caso di rinuncia alla domanda o di inammissibilità “originaria” del ricorso ex art. 162 l. fall.

All’esito di un’ampia ricostruzione delle soluzioni interpretative avvicendatesi in giurisprudenza anche a seguito del progressivo mutamento del quadro normativo, l’ordinanza interlocutoria, al preciso scopo di “offrire ai giudici di merito indicazioni chiare ed univoche, le quali possono orientare le loro decisioni in un contenzioso ampio e combattuto”, enuclea otto quesiti[6], transitando attraverso i quali le Sezioni unite, a soluzione del dedotto contrasto, enunciano un unico, chiaro, principio di diritto, per cui «il credito del professionista incaricato dal debitore di ausilio tecnico per l’accesso al concordato preventivo o il perfezionamento dei relativi atti è considerato prededucibile, anche nel successivo e consecutivo fallimento, se la relativa prestazione, anteriore o posteriore alla domanda di cui all’art.161 l.f., sia stata funzionale, ai sensi dell’art.111 co.2 l.f., alle finalità della prima procedura, contribuendo con inerenza necessaria, secondo un giudizio ex ante rimesso all’apprezzamento del  giudice del merito, alla conservazione o all’incremento dei valori aziendali dell’impresa, sempre che il debitore venga ammesso alla procedura ai sensi dell’art.163 l.f., ciò permettendo istituzionalmente ai creditori, cui la proposta è rivolta, di potersi esprimere sulla stessa; restano impregiudicate, da un lato, la possibile ammissione al passivo, con l’eventuale causa di prelazione e, per l’altro, la non ammissione, totale o parziale, del singolo credito ove si  accerti l’inadempimento della obbligazione assunta o la partecipazione del professionista ad attività fraudatoria».

Nel farne immediata applicazione alla vicenda di causa, la Corte rigetta il ricorso del professionista, dal momento che la prestazione, ancorchè svolta, non solo non poteva ritenersi avvinta da alcuna relazione strumentale al concordato preventivo, mai ammesso, ma era altresì risultata del tutto estranea agli scopi per i quali era stata acquisita, avendo il debitore mancato di allestire proposta, piano e documentazione entro il termine concessogli ai sensi dell’art.161 co.6 l. fall. ed anzi richiesto al Tribunale, a mezzo della rinuncia, di non emanare alcuna pronuncia di merito cui l’ingaggiata attività doveva risultare funzionale.

3. Le regole e le interpretazioni

Il contesto delle regole in cui si muove l’attuale prededuzione è distante dal modello immaginato in principio dalla legge fallimentare, posto che nel testo anteriore alla riforma del 2006 la prededuzione è essenzialmente, e soltanto, una modalità di pagamento delle spese e dei debiti generati dall’attività degli organi fallimentari attraverso lo svincolo dei costi della procedura dalla fase del riparto, coerentemente con la funzione distributiva ed il carattere solutorio dell’esecuzione collettiva; nel concordato, cui la finalità della prosecuzione dell’attività di impresa era in linea di principio estranea, la prededucibilità veniva riservata alle spese degli organi della procedura, e quindi pur sempre in favore di crediti maturati verso la massa quali meri costi della procedura, salvo il caso, solo eventuale, in cui la continuità avesse costituito elemento essenziale della proposta[7].

La riscrittura degli artt. 111 e 111-bis, l. fall., ad opera del D. Lgs. n. 169/2007, ridefinisce il modello accertativo e solutorio dei crediti prededucibili, i quali sono ora considerati tali perché “così qualificati da una specifica disposizione di legge”, oppure perché sorti “in occasione o in funzione delle procedure concorsuali di cui alla presente legge”: si tratta del procedimento identificativo descritto dall’art. 111, comma 2, l. fall., il quale altresì fa seguire all’enunciato definitorio la precisazione che “tali debiti sono soddisfatti con preferenza” nell’ordine di distribuzione delle somme rivenienti dalla liquidazione dell’attivo descritto nel primo comma; con la precisazione, resa necessaria da tale inciso, che se la prededuzione costituisce una “preferenza” assoluta accordata ai creditori della massa rispetto ai creditori concorrenti prima del (e fuori dal) riparto – per quanto pur sempre nei limiti della capienza dell’attivo realizzato e nel rispetto della regola interna di graduazione e proporzionalità per il caso di insufficienza (art. 111-bis, comma 4, l. fall.) – dal punto di vista concettuale è chiara la distanza che separa il piano – processuale – della prededuzione da quello – sostanziale – riservato alle cause legittime di prelazione.

Invero, per nota e condivisa acquisizione[8], mentre il privilegio “quale eccezione alla “par condicio creditorum”, riconosce una preferenza ad alcuni creditori e su certi beni, nasce fuori e prima del processo esecutivo, ha natura sostanziale e si trova in rapporto di accessorietà con il credito garantito poiché ne suppone l’esistenza e lo segue”, la prededuzione, attribuisce “non una causa di prelazione ma una precedenza rispetto a tutti i creditori sull’intero patrimonio del debitore e ha natura procedurale, perché nasce e si realizza in tale ambito e assiste il credito di massa finché esiste la procedura concorsuale in cui lo stesso ha avuto origine, venendo meno con la sua cessazione.[9].

L’idea secondo cui la prededuzione consiste in una preferenza tutta processuale, accordata in ragione dellastrumentalità dell’attività da cui il credito consegue agli scopi della procedura, consente alle Sezioni unite di rimarcare come proprio in tale relazione di strumentalità debba essere individuata la nozione unificante dei tre – autonomi – titoli di prededuzione contemplati dall’art. 111, comma 2, l. fall., invitando nel contempo l’interprete ad osservare l’istituto attraverso il filtro della causa concreta del concordato[10].

In altri termini, se gli “scopi” di tale procedura coincidono con la ristrutturazione dei debiti e la soddisfazione dei crediti attraverso la presentazione di una proposta e di un piano destinato ai creditori ai fini della relativa valutazione secondo le regole e le cadenze tipologiche del modello implicato, la modalità preferenziale di pagamento accordata con la prededuzione si giustifica quale incentivo della (e per la) concorsualità soltanto nella misura in cui possa dirsi riconoscibile un nesso tra la prestazione eseguita a favore del debitore e la stabilizzazione concorsuale che, secondo quella fattispecie, deve conseguire alla preparazione ed all’allestimento della procedura.

E, fra i connotati della prededuzione, quello della funzionalità, alternativo ed autonomo rispetto alla occasionalità in virtù della inequivoca accezione disgiuntiva da attribuire alla congiunzione[11], è il solo che consenta di cogliere e conferire significato operativo a tale relazione.

4. La funzionalità e la consecuzione.

Se più volte, nell’ampia motivazione resa dalle Sezioni unite, affiora il rilievo per cui la funzionalità, meglio degli altri anzidetti parametri, si presta a riconoscere la preferenza prededuttiva con riguardo a prestazioni svolte anche prima dell’inizio della procedura e per ciò solo al di fuori di un diretto controllo dei relativi organi, altrettante volte viene rimarcato che l’attività professionale che ne costituisce titolo deve risultare indefettibilmente avvinta allo scopo dell’iniziativa in una “relazione di inerenza necessaria”: ciò in quanto è proprio, e soltanto, in una tale relazione che la funzionalità diviene capace di esprimere “un’attitudine di vantaggio per il ceto creditorio” giustificando, nel contempo, la precedenza prededuttiva[12].

Con l’ulteriore avvertenza, tuttavia, che al fine di armonizzare la prestazione allo scopo per il quale è stata compiuta non basta che ad una procedura fenomenicamente ne segua altra: si tratta di un rilievo che costituisce uno snodo decisivo nella progressione dell’ordito motivazionale della pronuncia verso il tema e la risoluzione del conflitto, posto che è proprio dal differente modo di atteggiarsi della regola della consecutività che dipende la verifica della persistenza di un credito oltre il contesto concorsuale e procedimentale nel quale sia maturato. Occorre precisare, in proposito, che la prededuzione, in quanto qualifica processuale del credito, è destinata a venir meno con la chiusura della procedura in relazione alla quale sia sorta. Essa, però, può sopravvivere in una diversa procedura concorsuale che vi succeda a causa del negativo sviluppo della condizione di temporanea difficoltà o di una erronea prognosi di risanamento della prima (soltanto) se tra le procedure sia ravvisabile una consecuzione: in tal senso può dirsi che la consecuzione è limite esterno della prededuzione[13].

Come la pronuncia in commento ha cura di rammentare, infatti, “la precedenza di pagamento riservata al credito di massa permane anche al di fuori del perimetro procedurale d’insorgenza, ed in rapporto ai cui scopi l’attività sia stata prestata, se la regolazione finale della procedura di sbocco disciplini un fenomeno giuridico unitario, per identità di soggetti e di requisito oggettivo”.

Mentre in ordine ai presupposti identitari della consecuzione si registra una certa consonanza di opinioni, inclini a delinearne la nozione non tanto attorno all’accezione meramente cronologica, e quindi come tale definita entro il solo piano fenomenico di due procedure che semplicemente si avvicendino nella regolazione della evoluzione parossistica della condizione di dissesto, quanto a coglierne più esattamente i profili sostanziali[14], la divergenza interpretativa cui le Sezioni unite mettono capo scaturisce dall’attestarsi di un indirizzo che, nel fare applicazione della regola della consecutività al di là delle specifiche (diverse) finalità previste dalle norme poste in tema di cristallizzazione della massa passiva (art 169 l. fall.) e di retrodatazione del periodo sospetto ai fini dell’esperibilità delle azioni revocatorie (art. 69 bis, co. 2, l. fall.), ha ritenuto sufficiente a determinare il carattere prededucibile del credito del professionista la constatazione del difetto di una discontinuità dell’insolvenza, e ciò, quindi, anche nei casi in cui la domanda di concordato con riserva sia stata dichiarata inammissibile ex art. 162 l. fall. senza giungere all’apertura della procedura.

In tale ottica, invero, la prededuzione scaturirebbe dall’automatismo degli effetti protettivi per gli “atti legalmente compiuti” nella fase prenotativa ai sensi dell’art. 161 co. 7, l. fall., mentre d’altro canto la presentazione della domanda, ancorché in bianco, già delineerebbe un percorso procedimentale unitario. Secondo tale orientamento, in altri termini, il procedimento aperto dalla domanda con riserva non costituirebbe un primo procedimento distinto e antecedente rispetto a quello ordinario (che si aprirebbe invece solo con la presentazione della proposta, del piano e della documentazione), ma costituisce un “segmento dell’unico procedimento” articolato in due fasi “interne[15].

Accanto, viene da dire, a tale indirizzo si sono registrate altre, pur coeve, opposte pronunce che per contro, dubitando in verità della stessa anzidetta idea che la fase preconcordataria possa dirsi assimilabile ad ogni effetto al regime pieno del concordato preventivo nel contesto di un unitario segmento procedimentale, hanno posto in discussione l’esistenza di una nozione unica di continuità, la quale, oltre all’identico elemento oggettivo, esigerebbe anche che la procedura evolva quantomeno nella formale ammissione ai sensi dell’art.163 l. fall.[16]

Inoltre, la preferenza accordata al credito del professionista che abbia assistito il debitore non discenderebbe, come invece postulato dal predetto orientamento, dalla considerazione di tale prestazione fra gli “atti legalmente compiuti dal debitore”, e quindi dal richiamo dell’art.161 co.7 l. fall. (invece riferito e circoscritto alla gestione dell’impresa), ma direttamente dalla funzionalità di cui all’art.111 co. 2 l.fall., la quale dovrà pertanto dirsi assente ogniqualvolta il concordato non sia stato aperto in ragione della discontinuità formale con il successivo fallimento.

È a tale secondo indirizzo che le Sezioni Unite, nel comporre il contrasto interpretativo, hanno ora inteso dare continuità, (ri)costruendo la regola relazionale posta alla base della funzionalità come “clausola generale” che, attraverso una valutazione condotta necessariamente ex ante e reiettiva di ogni automatismo accertativo, consente di valorizzare le aspirazioni prededuttive di tutte le prestazioni collegate all’attività del debitore che siano risultate direttamente strumentali agli “scopi” della procedura, nel senso cioè di averla resa possibile per il fatto di averne agevolato l’istaurazione o la prosecuzione, nell’ambito di un giudizio, in definitiva, di apprezzamento dell’adeguatezza della prestazione alla “intera” vicenda concorsuale, cominciata con un progetto di ristrutturazione e finita con un esito infausto.

Ma perché, ad avviso delle Sezioni unite, una tale adeguatezza della prestazione possa dirsi riconoscibile e valutabile “anche” nella inattesa successiva procedura, è necessario che fra le procedure non vi sia discontinuità “organizzativa”, nel senso che la prima deve essere stata quantomeno aperta ed abbia così raggiunto almeno gli obiettivi minimi che la connotano tipologicamente al cui conseguimento il terzo abbia, appunto, cooperato.

In tale direzione ermeneutica la regola della consecutività compie dunque un salto di qualità e, affrancandosi dal mero riscontro dell’elemento oggettivo sia pure sostanzialisticamente inteso, giunge ad assolvere alla decisiva funzione di veicolare verso l’altra procedura la funzionalità e, unitamente ad essa, il rapporto strumentale di inerenza che la sottende.

Non appare allora sufficiente, come insiste a far intendere la pronuncia in commento indugiando attorno a tale decisivo rilievo, chel’apporto del terzo abbia “meccanicamente” permessol’instaurazione della prima procedura “se poi essa, interrotta giudizialmente o comunque non proseguita per scelta dello stesso debitore, non realizzi alcun integrale continuum con la procedura seguente, omettendo di attuarvi altresì una riconoscibile traslazione di risorse e valori aziendali  alla cui riorganizzazione in funzione concorsuale (cioè con una conduzione secondo le rispettive regole ed effetti pieni) l’apporto del terzo era stato ingaggiato e al cui obiettivo la relativa prestazione non abbia affatto contribuito; diversamente, si precisa “la consecuzione tra procedure, pur sussistente quale rinnovata prosecuzione di un regime concorsuale, si evidenzierebbe come consegna programmaticamente ritardata alla procedura finale liquidatoria di un’impresa per la quale l’originario istituto concordatizio ha acquisito apporti di terzi ma non li ha trasformati in un innesto strumentale agli scopi della prima procedura, mai raggiunti e la cui finalità essenziale è quella di far decidere ai creditori, cui la proposta è diretta (come ripetono inequivocamente gli artt.160 co.1, 171 co.2, 175 co.1 (e co.5),177 co.1, 178 (rubrica)  l.f.),  la convenienza o meno di una ristrutturazione fondata su un piano realizzabile”.

È, quindi, per questo che si giustifica la necessità che il concordato sia stato almeno aperto, affinchè cioè possa riuscire ad apprezzarsi la funzionalità degli apporti cui abbia fatto ricorso il debitore – specie se si tratti di apporti atipici e di prestazioni aggiuntive – rispetto al conseguimento delle finalità tipiche dell’istituto e se, altresì, l’attività che abbia dato origine al credito sia stata ragionevolmente assunta a tale fine.

Solo in tale prospettiva, fa rilevare la Corte, il requisito della funzionalità consente di assimilare il credito del professionista ad un “costo esterno sostenibile” della procedura al pari di quelli prodotti dall’attività degli organi concorsuali, per tal via riconciliando la prededuzione con l’originaria vocazione retributiva e nel contempo offrendo al giudice di merito, cui è rimessa la valutazione dell’utilità prospettica – giacchè formulata secondo un giudizio ex ante – della prestazione professionale, una decisiva indicazione di metodo in un ambito di significanza in cui la funzionalità resta definitivamente impermeabile alla occasionalità.

A tale riguardo, allora, il mancato riconoscimento della prededuzione non dovrà discendere in via diretta dalla mera constatazione dell’insuccesso della domanda, bensì dalla inidoneità causale dell’apporto del terzo alle finalità istituzionali della procedura, per il fatto che il professionista abbia in altri termini confezionato la propria opera professionale a vantaggio di un progetto di risanamento che, a causa di quell’insuccesso, non è stato consegnato alle valutazioni dei creditori cui invece la proposta deve essere diretta in ragione della “finalità tipica” dell’istituto.

Al rovescio però – e per il medesimo ripudio di automatismi – la postulata necessità che il concordato venga aperto non potrà precludere, di per sé sola, il riconoscimento della qualità di servizio alla prestazione resa dal professionista che ambisca alla prededuzione quando invece all’apertura non si giunga.

Infatti, come già era stato peraltro evidenziato in alcune pronunce della Suprema corte che avevano messo a fuoco il predetto principio, la funzionalità può ben dirsi ravvisabile anche in caso di evoluzione fallimentare della vicenda concorsuale allorquando le prestazioni del terzo, per il momento ed il modo con cui sono state assunte in un rapporto obbligatorio con il debitore, “confluiscano nel disegno di risanamento da quest’ultimo predisposto in modo da rientrare in una complessiva causa economico-organizzativa almeno preparatoria di una procedura concorsuale[17], salvo che non ne risulti dimostrato il carattere sovrabbondante, superfluo o abusivo rispetto all’iniziativa assunta. Ed il compito di assicurare tale transizione, come detto, è assolto dalla regola della consecuzione.

5. La prededuzione concordataria nel Codice della crisi. Cenni.

La decisione delle Sezioni unite conduce spedita la prededuzione entro il rinnovato perimetro normativo che l’attende nel Codice della Crisi e dell’Insolvenza di cui al D. Lgs. n. 14/2019, nell’ambito del quale essa pare assumere, allo stato, una regolazione affatto coincidente con quella sin qui enunciata dal prescelto indirizzo, come del resto la pronuncia non manca di far rilevare.

L’art. 6 co. 1, lett. c) del Codice, infatti, considera prededucibili, tra gli altri, “i crediti professionali sorti in funzione della presentazione della domanda di concordato preventivo nonché del deposito della relativa proposta e del piano che la correda, nei limiti del 75% del credito accertato e a condizione che la procedura sia aperta ai sensi dell’articolo 47”. Analoga previsione ed identica cautela è prevista altresì alla lett. b) per gli accordi di ristrutturazione, in funzione della relativa domanda di omologazione ed a condizione che l’omologazione sia pronunciata.

È evidente che in un tale sistema l’apertura del concordato – o l’omologazione dell’accordo – si pone quale condizione indefettibile ai fini del giudizio di inerenza necessaria (e quindi di funzionalità) che abbia ad oggetto le prestazioni ingaggiate dal debitore, così “irrobustendo a ritroso – per utilizzare una fra le tante efficaci espressioni dell’estensore della pronuncia in commento – tutta l’attività già compiuta e strumentale al concorso” ed assumendo, nel contempo, il significato di una “conferma di adeguatezza”.

Vale la pena rilevare che la norma sulla prededucibilità dei crediti enunciata dall’art. 6 è posta tra i principi generali del Codice, nella II Sezione riservata al principio di economicità delle procedure, del quale peraltro costituisce l’unica norma. Si tratta, quanto a tale collocazione, di una indicazione di principio e di metodo assai rilevante, espressiva di un indirizzo apertamente restrittivo conforme agli obiettivi indicati dalla legge delega[18] ed agli interventi del legislatore unionale[19].

Il legislatore, pertanto, nel codice della crisi sceglie di abbandonare il sintagma “in occasione o in funzione”, declina la prededuzione per (sole) ipotesi tipiche, evidentemente tassative ed insuscettibili di applicazione analogica, e riconosce, quanto al concordato, che la funzionalità dell’opera del professionista rispetto alla specifica procedura per la quale il debitore ne abbia richiesto l’ausilio può essere riconosciuta soltanto sulla base – ed a condizione – del provvedimento di ammissione, poiché solo in tal caso quella attività che dà origine al credito può dirsi capace di attribuire un effettivo e reale beneficio alla massa dei creditori chiamati a sopportarne il costo.

La soluzione interpretativa enunciata dalle Sezioni unite si salda, pertanto, con le scelte del legislatore del codice della crisi, in perfetta aderenza alle note coordinate operative indicate dalla Suprema corte in altro esteso consesso e, quindi, in un ambito di evidente sintonica continuità tra il regime vigente e quello futuro[20], anticipando di fatto un assetto destinato a compiersi, tanto che, si osserva nella stessa pronuncia, a riforma vigente l’art. 6 co. 1, lett. c) del codice avrebbe risolto in modo diretto la controversia di causa, ove, come si ricorderà, non si era verificata la condizione dell’apertura della procedura.

6. Brevi considerazioni finali sui riflessi operativi.

Un’ultima breve considerazione a margine di queste prime riflessioni svolte a prima lettura e, quindi, di necessità incomplete.

Se la ricomposizione degli indirizzi e la risoluzione del conflitto deve offrire ai giudici di merito indicazioni chiare ed univoche affinchè ne siano orientate le interpretazioni e le decisioni in un contenzioso così complesso, occorre allora provare a cogliere, quanto meno sul piano delle coordinate generali, i primi riflessi operativi dei principi di diritto enunciati.

Tirando le fila, l’opzione ermeneutica condivisa e fatta propria dalle Sezioni unite postula che il giudice investito della istanza prededuttiva ricerchi innanzitutto, ed in via pregiudiziale, la necessaria esistenza di un nesso funzionale tra la prestazione acquisita dal debitore che abbia generato il credito di massa e l’indefettibile accesso alla concorsualità verso cui l’atto dovrebbe cooperare indispensabilmente; ciò in quanto, si diceva, solo per via di tale relazione la relativa qualità del credito può resistere anche nel caso in cui alla procedura che inizialmente costituiva l’obiettivo in vista del quale la prestazione era stata ingaggiata segua l’esito, infausto, del fallimento.

Un primo rilievo operativo deve allora essere colto nella distanza che separa tale modello ricostruttivo dal piano, del tutto distinto, dell’(in)adempimento della prestazione professionale.

Il riconoscimento della prededuzione funzionale, infatti, prescinde dall’indagine in ordine alla esattezza dell’adempimento.

Anzi, più esattamente la prededuzione presuppone l’adempimento.

Se, infatti, a far difetto è la funzionalità, l’effettivo adempimento della prestazione conferirà comunque titolo per l’ammissione al passivo, in privilegio.

Al contrario, in caso di inadempimento della prestazione – che dovrà essere eccepito (solo) dal curatore ai sensi e con le cadenze di cui agli artt. 1218 e 1460 c.c. in ossequio alla disciplina, anche probatoria, della responsabilità contrattuale – l’esito sarà non il mancato riconoscimento della prededuzione, evidentemente, quanto la totale esclusione dal passivo del credito o la sua parziale ammissione in ragione della conseguente riduzione quantitativa.

Certo, il rischio è che l’indagine sul nesso di inerenza condotta sul crinale prededuttivo finisca, nella prassi, per doppiare (o assorbire) in via anticipata il giudizio di esattezza dell’adempimento della prestazione nei casi in cui risulti che la inesatta prestazione del professionista abbia condizionato il mancato accesso alla concorsualità, invece di cooperarvi come era stato chiamato a fare dal debitore.

Ciò può accadere, nella varietà della casistica, quando ad esempio il professionista abbia confezionato perizie, attestazioni, ricorsi, piani che si siano dimostrati gravemente omissivi o reticenti, ovvero quando non abbia ravvisato la palese inidoneità della proposta o la manifesta insostenibilità del piano, tradendo in ciascuno di tali fatti di inadempimento contrattuale uno scarto di diligenza cui imputare la mancanza di conformità degli atti, che egli sia stato incaricato di predisporre, tanto al modello professionale quanto al paradigma legale della piena e completa informazione dei creditori, con conseguente radicale esclusione del credito dallo stato passivo[21].

Con l’avvertenza, tuttavia, come attraverso l’indagine sulla esattezza dell’adempimento rischi di insinuarsi, nella interpretazione della norma di cui all’art. 111 l.f. e nella regola di giudizio che ne discende, la nozione di utilità in concreto (che la prestazione cioè doveva essere in grado di procurare), invece estranea all’istituto; rischio tanto più serio nei casi di manifesta inutilità o, addirittura, dannosità della improvvida – quando non maliziosa – iniziativa concorsuale che, lungi dal preservare valori aziendali e capacità di risanamento, abbia anzi eroso risorse, generato altri debiti (appunto in prededuzione) e aggravato in definitiva il dissesto[22].

Del resto il professionista della crisi, in ragione delle elevate doti di indipendenza che gli sono richieste e delle capacità percettive che la vicinanza all’impresa gli consente di spendere, è sempre nella condizione di valutare le soluzioni di uscita dalla crisi concretamente praticabili, attorno alle quali calibrare il proprio apporto causale e quindi, in definitiva, di valutare l’assunzione del rischio di insuccesso. Di qui l’esigenza di una accentuata ed effettiva responsabilizzazione dei professionisti, entro un quadro di rinnovato risalto dei precetti di buona fede e correttezza.

Infine, sarà interessante valutare quanto l’ampiezza della esegesi oggetto della pronuncia sia capace di estendere la propria persuasività al di là della procedura concordataria, orientando lo sguardo critico, ed il giudizio attento, sulle aspirazioni prededuttive che nelle procedure minori, ed in special modo di sovraindebitamento, animano crediti ed apporti atipici sorti ad iniziativa privata e fuori da ogni controllo giudiziale: tema, quest’ultimo, non del tutto avvertito eppure di rilevantissimo impatto operativo a motivo della incidenza che tali costi esercitano sulle legittime attese di creditori destinati a contendersi i resti di risorse già per definizione scarse.


[1] Cass., Sez. I, ord. n. 10885 del 2021, con nota di F. Di Marzio, Credito professionale e prededuzione, in Giustiziacivile.com, 21.4.2021.

[2] Alimentando, come attentamente osservato, “il rischio di dimenticare che i protagonisti della crisi non sono né i professionisti, né i giudici, ma i soggetti economici avvinti nella crisi”.  L’indicazione è di M. Fabiani, Il delicato ruolo del professionista del debitore in crisi fra incerta prededuzione e rischio di inadempimento, in Giur. comm., 2017, I, 720.

[3] S. Pacchi, Le prededuzioni dei professionisti nel concordato preventivo, in www.dirittodellacrisi.it, 27.10.2021, p. 18.

[4] S. Leuzzi, Dalla crisi all’emergenza: la prededuzione al tempo del covid-19, in www.ilcaso.it, 22.3.2020.

[5] Risuona chiaro nella decisione del Tribunale l’eco della ratio decidendi di Cass., n. 25589 del 2015, per cui il credito «dev’essere accertato non soltanto con riferimento al nesso tra l’insorgere del credito e gli scopi della procedura, ma anche con riguardo alla circostanza che il pagamento del credito, ancorché avente natura concorsuale, risponda agli scopi della procedura stessa, per i benefici arrecati in termini di accrescimento dell’attivo o di salvaguardia della sua integrità, indipendentemente dalla presenza o meno di una preventiva autorizzazione degli organi della procedura»; 

[6] Questi, testualmente, i quesiti che l’ordinanza interlocutoria ha chiesto di sottoporre alle Sezioni unite: “i) se la disciplina della revocatoria dei pagamenti di crediti insorti a fronte della «prestazione di servizi strumentali all’accesso alle procedure concorsuali» condivide la medesima ratio che è posta  a fondamento della prededuzione del credito dei professionisti che abbiano prestato la propria opera in vista dell’accesso alla procedura concordataria; ii) se debba essere ribadito che la prededuzione di detto credito non trova fondamento nel presupposto dell’occasionalità, ma in quelli della funzionalità e/o della espressa previsione legale; iii) se debba essere ribadito che il criterio della funzionalità va scrutinato ex ante, non considerando in alcuna misura l’utilità della prestazione del professionista; iv) se la previsione legale si riferisca al solo professionista attestatore o anche agli altri professionisti cui si è fatto cenno; v) se il preconcordato sia una fase di un’organica procedura o se la procedura di concordato preventivo, anche in caso di concordato in bianco, abbia inizio con il provvedimento di ammissione del tribunale; vi) se la prededuzione spetti anche in caso di procedura concordataria in bianco che non varca la soglia dell’ammissibilità ovvero in caso di revoca della proposta da parte del proponente; vii) se la prededuzione spetti al professionista che ha lavorato prima ancora del deposito della domanda di concordato; viii) se l’esigenza di contrastare il danno inferto ai creditori per effetto del depauperamento dell’attivo derivante da una gestione preconcordataria produttiva di debiti prededucibili possa essere soddisfatta attraverso la verifica dell’esatto adempimento, e del carattere non abusivo e/o fraudatorio, della prestazione richiesta al professionista in vista dell’accesso alla procedura concordataria”;

[7] Cfr., Cass., n. 7140 del 1996 e Cass., n. 1513 del 2014.

[8] Si veda, per tutte, Cass., n. 15724 del 2019, nonché, più di recente, Cass., n. 10130 del 2021.

[9] La prededuzione, dunque, è una corsia preferenziale interna al processo, in ragione della strumentalità dell’attività da cui il credito consegue agli scopi della procedura. In tal senso – e da una diversa angolazione – essa è una modalità di pagamento, che impone il prelievo dall’attivo di somme necessarie a colmare la ragione che assiste prima d’ogni altra operazione. Altro poi è il tema della corretta individuazione dei criteri da seguire per la distribuzione delle prededuzioni tra il ricavato dei beni costituenti l’attivo ai fini della relativa esatta imputazione, il quale peraltro refluisce sulla fattibilità, anche economica, così come attentamente osserva G. Bozza, I criteri per la distribuzione delle prededuzioni tra il ricavato dei beni messi a disposizione dei creditori dal debitore concordatario, in Il Fallimento, 2015, p. 700 ss.

[10] Cass., Sez. un., n. 1513 del 2013.

[11] Sulla considerazione normativa autonoma ed alternativa dei due criteri (cronologico e teleologico) previsti dall’art. 111 co 2, l. fall., nella locuzione “in occasione o in funzione”, v. Cass., n. 5098 del 2014.

[12] L’acquisizione si intona con quelle voci del variegato coro sul tema che avevano riconosciuto i tratti della prededuzione nel necessario legame di inerenza capace di avvincere il credito al processo concorsuale nella (sola) misura in cui l’attività da cui quel credito scaturisca si mostri idonea ad apportare una utilità per la massa dei creditori “non diversamente conseguibile” (v. S. Leuzzi, op cit., p. 10), sulla via già indicata da chi, ai fini del riconoscimento della prededuzione, non si accontentava della mera, acritica constatazione che l’obbligazione fosse stata contratta a servizio della procedura, ma pretendeva la verifica del requisito della “utilità” per la stessa, intesa “come rispondenza al suo scopo ed all’interesse della massa dei creditori“. (F. Lamanna, I crediti prededucibili perché “funzionali” alle procedure concorsuali previste dall’art. 111, comma 2, l. fall., 16 aprile 2013, in https://ilfallimentarista.it/articoli/blog), e quindi quale “risultato” non diversamente perseguibile se non “con minore efficienza e con minori benefici collettivi“. In tal senso, M. Fabiani, Diritto fallimentare. Un profilo organico, Torino, 2011, p. 299.

[13] In questa prospettiva S. Leuzzi, op. cit., p. 15, secondo cui la consecutio segna i confini esterni della prededuzione, nel senso che al di fuori di essa non può esservi alcuna corsia preferenziale per il credito di massa.

[14] V. Cass., n. 8534 del 2013. Circa l’intimo rapporto di connessione tra prededuzione e consecuzione di procedure, nonché per una ragionata visione di insieme dei presupposti del fenomeno e della relativa evoluzione, si vedano i perspicui rilievi di S. Leuzzi, Dalla crisi all’emergenza: la prededuzione al tempo del covid-19, cit., p. 13 ss.

[15] Così, da ultimo, Cass., n. 25471 del 2019, la quale, argomentando – in sintesi – dal fatto che l’art. 161, comma 7, l. fall., prevede tra l’altro che dopo il deposito del ricorso e fino al decreto di cui all’art. 163 l. fall. i crediti di terzi eventualmente sorti “per effetto degli atti legalmente compiuti dal debitore” sono prededucibili ai sensi dell’art. 111 l. fall., giunge a ritenere che il regime della prededuzione trovi applicazione, proprio perché fondato su “specifica disposizione di legge”, anche con riguardo ai crediti sorti nel periodo intercorrente tra il deposito di un ricorso per concordato in bianco e la scadenza del termine concesso al debitore per la presentazione della proposta, del piano e della documentazione come richiesto dai commi secondo e terzo dello stesso art. 161, salvo verificare che il debitore, nel porre gli atti “legalmente compiuti” produttivi di debiti prededucibili ex art. 161 co. 7, l. fall., non abbia abusato dello strumento concordatario.

[16] Cfr., Cass. nn. 639, 640 e 641 del 2021, nonché Cass. n. 4710 del 2021, secondo le quali “sono considerati prededucibili i crediti sorti “in funzione” di una procedura concorsuale solo se tale procedura sia stata aperta, non essendo all’uopo sufficiente la mera presentazione di una domanda di concordato che dà luogo unicamente ad una procedura di verifica volta al mero accertamento dell’ammissibilità della proposta” di tal ché “il credito del professionista che abbia svolto attività di assistenza e consulenza per la presentazione della domanda di concordato preventivo dichiarata inammissibile o rinunciata non è pertanto prededucibile nel fallimento, ancorché la sentenza dichiarativa si fondi sulla medesima situazione (di insolvenza) rappresentata nella domanda”.

[17] Così Cass., n. 27537 del 2019, ove pure è precisato che laddove alla procedura concordataria consegua il fallimento, alcuna verifica dovrà essere compiuta, ai fini del riconoscimento della prededuzione, in ordine al conseguimento di un’utilità in concreto per la massa dei creditori – concetto distinto da quello di funzionalità –, posto che la l’istituto previsto dall’art. 111, comma 2, l. fall., costituisce una eccezione al principio della par condicio che intende favorire il ricorso a forme di soluzione concordata della crisi d’impresa e rimane pertanto soggetta alla verifica delle sole condizioni previste dalla norma.

[18] La legge 19 ottobre 2017, n.155, nei principi generali, all’art.2, affida alla legislazione delegata la realizzazione della riforma con il preciso dichiarato obiettivo di “ridurre la durata e i costi delle procedure concorsuali, anche attraverso misure di responsabilizzazione degli organi di gestione e di contenimento delle ipotesi di prededuzione, con riguardo altresì ai compensi dei professionisti, al fine di evitare che il pagamento dei crediti prededucibili assorba in misura rilevante l’attivo delle procedure (lett. l) e riformulare le disposizioni che hanno originato contrasti interpretativi, al fine di favorirne il superamento, in coerenza con i princìpi stabiliti dalla presente legge (lett. m)”.

[19] Per una attenta disamina delle indicazioni rivenienti dagli interventi del legislatore unionale attorno al tema della prededuzione ma, più in generale, del relativo approccio volto a ridurre in generale i costi delle ristrutturazioni che caratterizza la Raccomandazione della Commissione Europea 2014/135 e la Direttiva Insolvency 2019/1023, S. Pacchi, Le prededuzioni dei professionisti nel concordato preventivo, cit., p. 19.

[20] Il riferimento è a Cass., Sez. un., n. 8404 del 2021, e al principio, enunciato in tutt’altra fattispecie, secondo cui il codice della crisi, in generale, non è applicabile alle procedure aperte anteriormente alla sua entrata in vigore, potendosi tuttavia rinvenire nello stesso “norme idonee a rappresentare un utile criterio interpretativo degli istituti della legge fallimentare solo ove ricorra, nello specifico segmento considerato, un ambito di continuità tra il regime vigente e quello futuro”.

[21] Sul rapporto di autonomia tra riconoscimento della prededuzione ed exceptio inadimpleti contractus si veda, ancora, S. Leuzzi, op. cit., p. 24.

[22] Cass., n. 3218 del 2017, ad esempio, finisce per escludere la prededucibilità “per quei crediti per prestazioni professionali che non arrechino alcun beneficio in termini di accrescimento dell’attivo o salvaguardia della sua integrità non essendo consentita l’estensione della prededucibilità a qualsiasi obbligazione caratterizzata da un labile collegamento con la procedura, dovendosi in ogni caso accertare il vantaggio arrecato alla massa dei creditori, con apprezzamento che, risolvendosi in un’indagine di fatto, è riservato al giudice di merito”.

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