Il potenziamento del controllo del giudice sui tempi di iscrizione delle notizie di reato si confronta con un contenuto assai più  pregnante dei presupposti per operarne l’attribuzione soggettiva  e con una nuova visione efficientistica del processo penale che legittima l’inazione nei casi dubbi e  impone l’archiviazione in assenza di ragionevole previsione di condanna.  Le garanzie arretrano alla fase delle indagini che  traggono giovamento in punto di attendibilità a discapito del dibattimento e della visione accusatoria classica anche se si rendono effettive solo dopo un’iscrizione soggettiva più ponderata. Quanto sia possibile coniugare garanzie con aspirazioni di efficienza è forse  la più grande aspirazione di un sistema che non sembra potersi permettere ancora una limitazione ragionevole e trasparente dell’obbligatorietà dell’azione penale.

Keywords  Iscrizione – notizia di reato – retrodatazione – archiviazione – ragionevole previsione di condanna

Sommario      1. Premesse. – 2. Il controllo dei tempi di iscrizione della notizia di reato. – 2.1. Il quadro antecedente al d.leg. n. 150/2022. – 2.2. Principi e criteri direttivi della legge delega. – 2.3. Il nuovo art. 335, commi 1 e 1 bis, c.p.p.: la nozione di notizia di reato e i criteri dell’iscrizione. – 2.4. La retrodatazione di ufficio dell’iscrizione (art. 335, commi 1 ter c.p.p.). – 2.5. Ordine di iscrizione del nome della persona sottoposta ad indagini (art. 335 ter c.p.p.). – 2.6. La retrodatazione a istanza di parte (art. 335-quater c.p.p.). – 3. La nuova regola di giudizio per l’archiviazione. – 3.1. Situazione antecedente al d.lgs. n. 150/2022. – 3.2. Il nuovo art. 408 c.p.p. dopo la novella del 2022. – 3.3. La nuova regola di giudizio per l’udienza preliminare e l’estensione ai reati a citazione diretta. – 3.4. L’avviso di archiviazione in caso di rimessione della querela. – 3.5. La riapertura delle indagini. – 4. Brevi note conclusive.

1. Premesse

Il d.leg. n. 150/2022[1] ha positivizzato la nozione di notizia di reato che il pubblico ministero è tenuto ad iscrivere nel relativo registro, introducendo forme di controllo, intrinseco ed estrinseco, sulla gestione dei tempi delle indagini, aprendo a più efficaci interazioni della difesa in seno a procedimenti finalizzati all’innovativo accertamento giudiziale della tempestività dell’iscrizione stessa. Rispetto alla fase  delle indagini preliminari, il regime dell’iscrizione nel registro ex art. 335 c.p.p. e il controllo sui tempi dell’iscrizione della notizia di reato e del nome della persona cui lo stesso è attribuito rappresentano alcune tra le novità più significative della riforma Cartabia, alla quale va riconosciuto il merito di aver affrontato l’impegno regolatorio rispetto ad un’area di attività del pubblico ministero tradizionalmente esposta a critiche, anche a causa di un tessuto normativo, sinora, arido[2].

L’importanza della scelta appare chiara: l’iscrizione della notizia di reato costituisce premessa imprescindibile dell’esercizio dell’azione penale e concorre a salvaguardarne l’obbligatorietà, elusa in caso di omissioni; inoltre, dimensiona i tempi delle indagini[3], che da essa prendono a decorrere[4]: iscrizioni tardive[5], rateizzate[6], progressivamente ripartite tra diversi registri ministeriali[7], protraggono la condizione di indagabile ed “eludono” la sanzione di inutilizzabilità ex art. 407, 3° comma c.p.p. prevista per le indagini svolte oltre i termini[8]. L’operazione riformatrice origina anche dalla presa d’atto della delicatezza di un passaggio sovente ridotto a mero atto dovuto con il rischio di un’iscrizione esclusivamente formale di fatti, ma soprattutto di soggetti – si pensi a quelli coinvolti in organismi societari ed equipe di lavoro – la cui posizione  risulta per lo più statisticamente estranea a profili di potenziale responsabilità penale. Come ricorda la relazione della Commissione Lattanzi, la giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo fa discendere le garanzie dell’art. 6 CEDU dalla “soggettivizzazione” dell’indagine, ossia dal momento in cui questa si polarizzi, da un quadro ad ampio raggio, su specifici soggetti; per altro verso, gli effetti negativi indiretti, correlati all’iscrizione, possono costituire nocumento per soggetti comunque destinati a fuoriuscire presto dal quadro investigativo[9].

La rilevanza dell’adempimento, per la sua incidenza sulle attività a valle, è già avvertita ed è ricavabile dal fatto che tra le prerogative del procuratore della Repubblica e del procuratore generale presso la Corte di Appello è annoverata quella di assicurare l’osservanza delle disposizioni relative all’iscrizione delle notizie di reato (cfr. artt. 2 e 6 d.leg. n. 106/2006).

È già stato colto nei primi commenti che il nuovo regime segna una modifica assoluta del ruolo e delle funzioni del GIP e del GUP,  i quali vedono fortemente ampliata la sfera di controllo rispetto ad un momento focale per la verifica della correttezza delle indagini, peraltro suscettibile di riproporsi, al mutare della base valutativa, in più momenti della stessa inchiesta[10]. Nel contesto di un generale potenziamento della garanzia giudiziale (le cd. “finestre di giurisdizione”), infatti, il Gip-Gup, in particolare, oltre a governare le nuove regole di giudizio per l’archiviazione e la sentenza di non luogo a procedere, viene responsabilizzato di decisioni rilevanti rispetto al vizio di utilizzabilità ex art. 407, 3° comma c.p.; la verifica di condizioni che incidono su di essa, seppur proiettata nella prospettiva della decisione dibattimentale, viene anticipata rispetto ad essa ed arretrata già al momento dell’esercizio dell’azione penale e del vaglio giudiziale in sede di udienza preliminare.

Alcuni effetti indiretti della riforma sono, però, del tutto inattesi quantunque meritino di essere considerati. Dal nuovo assetto promana un indubbio potenziamento della portata euristica e dell’attendibilità delle indagini preliminari a discapito della fase processuale e, in particolare, di quella dibattimentale: le prime perdono ogni aspirazione all’incompletezza e alla de-formalizzazione – caratteri coerenti con un processo accusatorio classico – e si allineano ad un’evoluzione normativa ondivaga, alimentata da controriforme inquisitorie, manovre garantiste, inevitabile incidenza crescente della prova scientifica e tecnologica. Le indagini preliminari, in particolare, acquisiscono definitivamente i caratteri di completezza e piena formalizzazione e ricevono un crisma di autorevolezza destinato ad avere un peso rilevante anche sul giudizio[11]. Ne scaturisce l’ulteriore marginalizzazione del contraddittorio dibattimentale quale metodo ottimale di ricerca della verità processuale, anticipato a momenti topici delle indagini.

La restituzione delle piene garanzie all’indagato, poi, sembra posposta rispetto al momento nel quale sarebbe stato legittimo attendersi tenuto conto delle ragioni di certezza alla base della riforma. Quasi che nella ricerca di maggiore dettaglio e di miglior specificazione della condizione e dello strumento della richiesta di retrodatazione si sia persa di vista la necessità di precorrere il momento che attiva le garanzie e si sia rimasti soggiogati,  piuttosto,  dalla preoccupazione degli inevitabili (anche dalle nuove regole ex art. 335-bis c.p.p.)  effetti sfavorevoli collegati alla condizione di indagato, da scongiurare  sino anche non si profilino indizi autentici. Ne costituisce riprova il nuovo regime delle iscrizioni, da leggere, inevitabilmente, alla luce del nuovo parametro di utilità dell’esercizio dell’azione penale (pure nel caso di riapertura) non parametrata più sull’accertamento processuale, ma sul risultato di esso in termini di probabile condanna. Se non si potrà dire che un’indagine è inutile se non perviene all’esercizio dell’azione penale come per contro deve riconoscersi, ora, per un esercizio dell’azione penale che non giunge a condanna, è indubbio che la riforma ha inferto una spinta efficientistica – un obiettivo di risultato verrebbe da sintetizzare – che finisce per condizionare ogni porzione della vicenda procedimentale e processuale.

2. Il controllo dei tempi di iscrizione della notizia di reato

2.1. – Il quadro antecedente al d.leg. n. 150/2022

La materia delle iscrizioni è stata tradizionalmente ritenuta funzionale al controllo del rispetto dei termini di durata previsti dall’art. 405 c.p.p., la cui violazione trova sanzione processuale nell’inutilizzabilità degli atti compiuti dopo la scadenza. Gli artt. 335 c.p.p. e 109 n. att. c.p.p. riservavano questo compito al Pubblico Ministero, in quanto titolare del monopolio della domanda penale (artt. 50 c.p.p. e 112 Cost.) e dominus esclusivo dell’adempimento che della domanda rappresenta la fase embrionale. L’iscrizione, inoltre, è sempre stata ritenuta attività tipicamente giurisdizionale e l’individuazione del registro nel quale procedere l’iscrizione competeva in esclusiva al pubblico ministero, organo destinatario dell’informativa, in quanto  costituiva esercizio di attività giudiziaria, non sindacabile in sede amministrativa[12]: il pubblico ministero era tenuto al “ponderato esercizio” dell’attività che l’ordinamento gli affida in ordine alla identificazione di una notizia di reato, concernente fatti astrattamente sussumibili in una determinata fattispecie criminosa e come tale iscritta nel registro delle notitiae criminis[13]; allo stesso non era conferito, però, un potere discrezionale, quanto un obbligo giuridico indilazionabile, da adempiere senza soluzione di continuità rispetto al momento in cui sorgevano i relativi presupposti, senza possibilità di scelta né in relazione all’an, né rispetto al quid e al quando dell’iscrizione[14] (il pubblico ministero era tenuto soltanto a riscontrare l’esistenza dei presupposti normativi che imponevano l’iscrizione e il suo aggiornamento)[15].

La natura di atto dovuto dell’iscrizione non ha impedito spazi di discrezionalità tecnica – ma non sindacabile da parte del giudice – rispetto ai presupposti valutativi – con riferimento alla sussistenza “degli specifici elementi indizianti”, evocati dall’art. 109 disp. att. c.p.p. (norma che con l’avverbio “eventualmente” era refrattaria ad automatismi). La giurisprudenza di legittimità ha aderito ad una visione realistica dell’adempimento, osservando come «ricorrono, nella struttura e nella disciplina dell’atto di iscrizione, elementi di inevitabile fluidità̀, che rendono lo scrutinio dei suoi presupposti meno meccanico di quanto i predicati di doverosità presenti nella disposizione dell’art. 335 potrebbero, prima facie, suggerire: l’iscrizione è atto a struttura complessa, nel quale simbioticamente convivono una componente “oggettiva“, qual è la configurazione di un determinato fatto (“notizia”) come sussumibile nell’ambito di una determinata fattispecie criminosa; e una componente “soggettiva”, rappresentata dal nominativo dell’indagato, dalla cui individuazione soltanto i termini cominciano a decorrere. Di guisa che l’iscrizione presuppone l’evidenza di specifici elementi indizianti, ovvero di una piattaforma cognitiva che consente l’individuazione degli elementi essenziali di un fatto di reato e l’indicazione di fonti di prova (…)»[16]. Sulla stessa linea, ai fini dei presupposti dell’iscrizione, risultava riconosciuta “un’area tutta da perscrutare sul piano contenutistico“, nella quale sono inevitabili margini di variazione, esemplificati con riferimento sia alla componente oggettiva (“è evidente che la configurabilità̀, anche solo in termini di notizia di reato, di una complessa fattispecie associativa, evoca un “lavorio” definitorio che può̀ comportare spazi temporali non comparabili rispetto a quelli che, invece, consuetamente richiedono fatti ictu oculi sussumibili nell’ambito di una determinata fattispecie di reato“), sia, e ancor più̀, con riferimento alla componente soggettiva (“al punto che è lo stesso legislatore, stavolta, ad aver espressamente previsto che l’obbligo di iscrizione del relativo nominativo debba avvenire soltanto “dal momento in cui esso risulta“)[17]. La consapevolezza della potenziale complessità̀ dello scrutinio – realtà che probabilmente nessuna riforma potrà mai mutare –  ha tradizionalmente  esaltato, dunque,  le prerogative processuali del Pubblico Ministero a fini di garanzia e condotto ad escludere la configurabilità̀ di un potere del giudice di verificare la tempestività̀ dell’iscrizione, per farne conseguire effetti sanzionatori di inutilizzabilità̀ degli atti compiuti dopo la scadenza del termine decorrente, anziché́ dal momento della formale iscrizione, da quando la notitia criminis avrebbe potuto e dovuto essere annotata.

Altre acquisizioni consolidate erano quelle per cui l’obbligo d’iscrizione presupponeva l’emersione a carico di una persona di specifici elementi indizianti e non meri sospetti[18]; ulteriore ragione per la quale l’apprezzamento della tempestività dell’iscrizione, sinora, rientrava nell’esclusiva valutazione discrezionale del pubblico ministero[19] e, ferma la configurabilità di responsabilità disciplinari o addirittura penali nei confronti del p.m. negligente[20], è stato sinora sottratto, in ordine all’an e al quando, al sindacato del giudice, nelle fase delle indagini chiamato a controlli puntiformi anche perché in possesso di informazioni parziali oggettivamente di ostacolo allo svolgimento di tale valutazione. Ripetuta, così, è stata l’affermazione per cui al giudice non spettava il potere di sindacare le scelte del pubblico ministero in ordine al momento dell’iscrizione della notizia di reato nell’apposito registro, al fine di rideterminare il “dies a quo” dei termini di indagine e di dichiarare quindi l’inutilizzabilità degli atti compiuti oltre il termine così ricomputato[21]; così come stabile è stato il riconoscimento giurisprudenziale per cui la tardiva iscrizione del nome dell’indagato nel registro previsto dall’art. 335 c.p.p. non incideva sull’utilizzabilità delle indagini svolte prima della iscrizione[22]. Sulla scia delle Sezioni unite Tammaro[23] la giurisprudenza, infatti, ha stabilmente affermato che l’omessa annotazione della notitia criminis sul registro previsto dall’art. 335 c.p.p., con l’indicazione del nome della persona raggiunta da indizi di colpevolezza e sottoposta ad indagini “contestualmente ovvero dal momento in cui esso risulta”, non determinava l’inutilizzabilità degli atti di indagine compiuti fino al momento dell’effettiva iscrizione nel registro, poiché, in tal caso, il termine di durata massima delle indagini preliminari, previsto dall’art. 407 c.p.p., al cui scadere consegue l’inutilizzabilità degli atti di indagine successivi, decorreva per l’indagato dalla data in cui il nome era stato effettivamente iscritto nel registro delle notizie di reato, e non dalla presunta data nella quale il pubblico ministero avrebbe dovuto iscriverla.

Il contenuto della notitia criminis è stato identificato dalla Consulta negli elementi necessari per la richiesta della proroga delle indagini preliminari ossia “quei minima prescritti dalla legge per l’informazione di garanzia, ovvero l’indicazione delle norme di legge che si assumono violate, della data e del luogo del fatto[24].

Secondo il tessuto normativo letterale il p.m. iscriveva la notizia e l’ipotesi di reato di riferimento e ne curava l’aggiornamento sia con riferimento alla identificazione del soggetto cui il reato era attribuibile sia nel caso in cui mutava la qualificazione giuridica da dare al fatto, senza procedere a nuove iscrizioni. Qualora nel corso delle indagini fossero emerse nei confronti dell’indagato nuove circostanze che qualificavano il reato inizialmente ipotizzato oppure ragioni per diversamente qualificare il fatto, il p.m. era tenuto alla relativa iscrizione nel registro delle notizie di reato ma il termine per le indagini decorreva dalla data della iscrizione originaria[25]. Se invece, emergevano  nuovi fatti collegati al primo e riferibili agli stessi soggetti si doveva  procedere ad una nuova iscrizione ed il termine per le indagini preliminari, previsto dall’art. 405, decorreva in modo autonomo per ciascuna successiva iscrizione nell’apposito registro, senza che potesse essere posto alcun limite all’utilizzazione di elementi emersi prima della detta iscrizione nel registro.

L’iscrizione nel registro delle notizie di reato del nome del soggetto cui questo è attribuito, per gli effetti che ne conseguono ai fini del computo del termine di durata delle indagini e dell’utilizzabilità degli atti espletati, postulava la completa identificazione dello stesso, non essendo sufficiente l’indicazione del nome e cognome[26]. In nessun caso erano ammesse duplicazioni delle iscrizioni dello stesso fatto a carico del medesimo indagato: per cui i termini decorrevano sempre dalla iscrizione originaria[27].

2.2. – Principi e criteri direttivi della legge delega.

La legge delega n. 134/2021, all’art. 1, 9° comma, incide su tale assetto, fissando i seguenti principi e criteri direttivi: «p) precisare i presupposti per l’iscri­zione nel registro di cui all’articolo 335 del codice di procedura penale della notizia di reato e del nome della persona cui lo stesso è attribuito, in modo da soddisfare le esi­genze di garanzia, certezza e uniformità delle iscrizioni; q) prevedere che il giudice, su richiesta motivata dell’interessato, accerti la tempesti­vità dell’iscrizione nel registro di cui all’articolo 335 del codice di procedura penale della notizia di reato e del nome della per­sona alla quale lo stesso è attribuito e la re­trodati nel caso di ingiustificato e inequivocabile ritardo; prevedere un termine a pena di inammissibilità per la proposizione della richiesta, a decorrere dalla data in cui l’interessato ha facoltà di prendere visione degli atti che imporrebbero l’anticipazione dell’i­scrizione della notizia a suo carico; preve­dere che, a pena di inammissibilità dell’i­stanza, l’interessato che chiede la retrodatazione dell’iscrizione della notizia di reato abbia l’onere di indicare le ragioni che sor­reggono la richiesta; r) prevedere che il giudice per le inda­gini preliminari, anche d’ufficio, quando ri­tiene che il reato è da attribuire a persona individuata, ne ordini l’iscrizione nel regi­stro di cui all’articolo 335 del codice di procedura penale, se il pubblico ministero ancora non vi ha provveduto; s) prevedere che la mera iscrizione del nome della persona nel registro di cui all’articolo 335 del codice di procedura penale non determini effetti pregiudizievoli sul piano civile e amministrativo».

La legge delega aspirava a dotare la materia di un maggiore dettaglio normativo, coerentemente con l’esigenza di certezza e la garanzia della corretta evoluzione investigativa e probatoria. In proposito è stato rilevato  che sarebbe una delle declinazioni della tendenza ad aprire finestre di controllo giurisdizionale su momenti topici delle indagini preliminari, preferibile ad interventi gerarchici o disciplinari, che finirebbero per esaltare la logica di separatezza del pubblico ministero e limiterebbero l’indipendenza interna dei singoli magistrati dell’ufficio[28]. Al netto delle declinazioni di dettaglio operato dal legislatore delegato, era chiara la richiesta di un maggior impegno di puntualità da parte del pubblico ministero nel censire le condizioni che attivano il proprio dovere di disporre e aggiornare le iscrizioni. Tra le prime considerazioni conseguenti alla legge delega si era osservato che non poteva escludersi che si ponesse rimedio ai problemi di intempestività, prevenendo successive eccezioni difensive, disponendo le c.d. iscrizioni retrodatate decorrenti dalla data di ricezione (e non da quella eventualmente successiva di valutazione) della notizia di reato[29]; ed era  auspicabile che si individuassero termini calibrati sulle peculiarità dell’organizzazione delle Procure nelle quali l’analisi delle nuove notizie di reato è solo parte del complessivo carico di lavoro. In tal senso un rinvio a discipline di miglior dettaglio, affidate ai progetti organizzativi, non pareva soluzione impropria, né elusiva del dettato della delega.

2.3. – Il nuovo art. 335, commi 1 e 1 bis, c.p.p.: la nozione di notizia di reato e i criteri dell’iscrizione

Come si anticipava l’art. 1, 9° comma, lett. p) della legge delega ha affidato al legislatore delegato il compito di definire la nozione di notizia di reato, stabilendo i criteri in base ai quali il pubblico ministero è tenuto a provvedere alla relativa iscrizione nel registro.

 Ai sensi del novellato art. 335, 1° comma, c.p.p., quanto alla componente oggettiva dell’iscrizione, «Il pubblico ministero iscrive immediatamente, nell’apposito registro custodito presso l’ufficio, ogni notizia che gli perviene o che ha acquisito di propria iniziativa, contenente la rappresentazione di un fatto, determinato e non inverosimile, riconducibile in ipotesi a una fattispecie incriminatrice. Nell’iscrizione sono indicate, ove risultino, le circostanze di tempo e di luogo del fatto». Inoltre, venendo alla componente soggettiva, «il pubblico ministero provvede all’iscrizione del nome della persona alla quale il reato è attribuito non appena risultino, contestualmente all’iscrizione della notizia di reato o successivamente, indizi a suo carico» (art. 335, comma 1-bis c.p.p.).

L’intervento aspira ad assicurare certezza e omogeneità a un atto che segna la decorrenza del termine delle indagini preliminari, ma non solo[30]. Inoltre, dovrebbe offrire parametri oggettivi di riferimento al giudice ora chiamato a valutare la tempestività dell’iscrizione.

Come già osservato nella Relazione al testo della legge delega e confermato in quella allo schema di decreto legislativo, nella generale prospettiva di introdurre efficaci forme di controllo sulla gestione dei tempi delle indagini, viene perseguito l’obiettivo di sottrarre il momento delicato di iscrizione della notizia di reato – intesa nella sua componente oggettiva e soggettiva – a un duplice rischio: da un lato, quello di considerare tale atto un mero adempimento formale, con conseguente possibile iscrizione di notizie di reato generiche (che dunque propriamente tali non sono) e di soggetti raggiunti da meri sospetti, con possibili effetti pregiudizievoli nei loro confronti; dall’altro, il rischio speculare di richiedere, ai fini dell’iscrizione, requisiti troppo stringenti, con la conseguenza di ritardare sia il termine di decorrenza delle indagini, sia l’attivazione delle garanzie riconosciute alla persona sottoposta alle indagini. Pertanto, considerato che l’iscrizione è atto a struttura complessa, nel quale convivono una componente “oggettiva” – qual è la configurazione di un determinato fatto (“notizia”) come sussumibile nell’ambito di una determinata fattispecie criminosa – e una componente “soggettiva”, rappresentata dal nominativo dell’indagato, dalla cui individuazione soltanto i termini cominciano a decorrere, si sono individuati, per un verso, i presupposti per l’iscrizione nel registro delle notizie di reato e, per altro verso, i requisiti necessari per l’iscrizione del nominativo della persona – se identificata – alla quale la notizia stessa debba essere attribuita.

Secondo il parere del CSM del 22 settembre 2022 sullo schema di decreto legislativo recante attuazione della Legge n. 134/2021 la scelta del legislatore in ordine alle condizioni che rendono doverosa l’iscrizione della notizia di reato e dell’indagato è in linea con quanto auspicato dal CSM nel parere reso con delibera del 29 luglio 2021, nel quale ha evidenziato le ragioni che impongono di riconoscere al P.M. una discrezionalità valutativa con riferimento a tale adempimento e i rischi di iscrizioni precoci e indiscriminate che sarebbero conseguiti all’introduzione di criteri normativi rigidi. Le condizioni indicate nel novellato art. 335 c.p.p. si pongono inoltre in continuità con quelle elaborate, in via interpretativa, dalla giurisprudenza di legittimità nella vigenza dell’attuale, generica formulazione dell’art. 335 c.p.p., ed anzi, risultano meglio definiti.

Quanto al profilo oggettivo, rielaborando uno spunto nato in seno alla Commissione Riccio, la notizia di reato è stata definita come la rappresentazione di un fatto caratterizzato da determinatezza e non inverosimiglianza e riconducibile in ipotesi a una fattispecie incriminatrice. In base al parere del CSM del 22 settembre 2022 l’iscrizione della notizia di reato è, doverosa quando il fatto denunciato o del quale il P.M. sia venuto a conoscenza presenti, nella sua storicità, connotati di verosimiglianza e, giuridicamente, gli elementi costitutivi di una fattispecie di reato. Altra opinione, rimarcando quando indicato nella Relazione, ha osservato che la definizione riecheggia – con qualche adattamento linguistico – la proposta avanzata dalla Commissione Riccio, secondo la quale la notizia di reato andrebbe definita «come rappresentazione non manifestamente inverosimile di uno specifico accadimento storico, attribuito o meno a soggetti determinati, dalla quale emerga la possibile violazione di una disposizione incriminatrice contenuta nel codice penale o in leggi speciali»[31].

Gli elementi fondamentali sono, dunque, così riepilogabili: (i) una rappresentazione del fatto; (ii) la sua non inverosimiglianza; (iii) il suo carattere determinato con la precisazione che le circostanze di tempo e di luogo del fatto non sono indispensabili a integrare questo requisito e sono indicate solo ove risultino; (iv) la possibilità di sussumere l’accadimento in una fattispecie incriminatrice. Solo al ricorrere di tali congiunti requisiti è possibile distinguere il mero ed astratto sospetto di reato di cui all’art. 116 disp. att. dalla notizia di reato quale ipotesi concreta. Sono opportuni, al riguardo, alcuni chiarimenti.

Come si anticipava, le circostanze di tempo e di luogo del fatto, secondo l’espresso disposto normativo, non sono indispensabili a integrare il requisito della determinatezza e, dunque, sono indicate solo ove risultino; come riconosce la Relazione ove dovessero essere individuate in epoca successiva, l’iscrizione andrà in tal senso integrata. La precisazione assume rilievo esclusivamente ai fini della definizione del presupposto dell’iscrizione e muove da un evidente favore rispetto all’iscrizione nella componente oggettiva. D’altro canto, la riforma non introduce discontinuità con il precedente insegnamento giurisprudenziale rispetto alle situazioni rilevanti ai fini della decorrenza dei termini in presenza di aggiornamenti sostanziali delle originarie iscrizioni. Secondo il costante indirizzo della giurisprudenza di legittimità [32] nel corso delle indagini preliminari il P.M. deve procedere a nuova iscrizione nel registro delle notizie di reato previsto dall’art. 335 c.p.p. sia quando acquisisce elementi in ordine ad ulteriori fatti costituenti reato nei confronti della stessa persona, sia quando raccolga elementi in relazione al medesimo o ad un nuovo reato a carico di persone diverse dall’originario indagato; la decorrenza dei termini delle indagini non è incisa dal mutamento della qualificazione giuridica del fatto né dall’accertamento di circostanze aggravanti, cause di semplice “aggiornamento”, come conferma l’invariato testo dell’art. 335, 2° comma c.p.p.. Al di fuori tali situazioni di aggiornamento, la decorrenza è calibrata in maniera autonoma per ciascun indagato dal momento dell’iscrizione del nominativo dell’indagato nel registro delle notizie di reato e, per la persona originariamente sottoposta ad indagini, da ciascuna successiva iscrizione di circostanze di rilievo autonomo ai fini della definizione della condotta[33] o dell’evento tipico.

Sotto questo profilo non va riconsiderato l’insegnamento giurisprudenziale che nell’ipotesi di reati permanenti, per i quali l’incolpazione sia stata formulata con cd.  “contestazione chiusa”, ossia con l’indicazione della data iniziale e finale della condotta addebitata, costituisce fatto nuovo e diverso il protrarsi della condotta[34]; parimenti è a dirsi nei reati abituali di evento (o di danno), come nel caso del reato di stalking[35], per i quali l’avverarsi di un ulteriore fatto che amplia la consumazione di una fattispecie concreta già perfezionata nei suoi elementi essenziali. Situazioni nelle quali una nuova iscrizione si impone e vale a segnare una nuova decorrenza del termine delle indagini.

Quanto all’iscrizione del nome della persona alla quale il reato è attribuito (attualmente disciplinata all’interno del vigente comma 1), i requisiti sono precisati nel nuovo comma 1-bis dell’art. 335 c.p.p.: il nominativo va iscritto quando, contestualmente all’iscrizione della notizia di reato o in epoca successiva, risultino «indizi a suo carico». L’espressione non sembra aver raccolto, stando ai primi commenti, i risultati di chiarimento sperati e la circostanza è destinata a pesare non poco sugli effetti della riforma.

A non risultare incontroverso, in particolare, è se il presupposto risulta autenticamente innovativo ovvero meramente confermativo della lettura venuta emergendo per via giurisprudenziale. Circostanza di rilievo tenuto conto dell’assenza in materia di un espresso regime transitorio.

L’innovatività del criterio non è affrontata ex professo dalla Relazione illustrativa salvo che nella parte in cui la stessa si limita a segnalare che il significato dell’espressione “indizi a suo carico” andrebbe mutuato, per coerenza sistematica, dall’art. 63 c.p.p.; norma che, per vero, riconnette gli indizi alla reità rivelata da dichiarazioni autoindizianti ossia quelle il cui contenuto integra l’esistenza di elementi di accusa nei confronti di chi le rende. In tal modo, il legislatore delegato avrebbe, da un lato, escluso la sufficienza di meri sospetti e, dall’altro, la necessità che sia raggiunto il livello di gravità indiziaria. Secondo il parere del CSM l’iscrizione del nome della persona alla quale il reato è attribuito si impone, invece, quando gli elementi a carico della stessa abbiano un grado di consistenza tale da attingere la soglia della probabilità di fondatezza dell’accusa, lettura che rimarca un contenuto assai più pregnante ed innovativo della valutazione rispetto allo standard che in passato imponeva l’iscrizione. Su questa linea è stato sostenuto che l’iscrizione a modello 21 deve escludersi sia in caso di “autore da identificare” (sia se completamente sconosciuto e da identificare anche come persona fisica, sia quando indicato in atti con generalità non complete e quindi da identificare ritualmente a norma del c.p.p.), sia nell’ipotesi di un fatto di possibile rilievo penale in ordine al quale manchi nel momento dell’iscrizione un quadro indiziario soggettivamente indirizzato; l’iscrizione nominativa dovrebbe essere fatta non perché una determinata persona sia indicata in denuncia come autrice del reato, ma solo se emerga al momento dell’iscrizione, in uno con il fumus del reato, anche un quadro indiziario soggettivamente indirizzato a carico di quel soggetto. Lo avvalorerebbe la formulazione del nuovo comma 1-bis dell’art. 335 del Cpp (“il pubblico ministero provvede all’iscrizione del nome della persona alla quale il reato è attribuito non appena risultino …indizi a suo carico”), indicazione normativa precisa, già venutasi delineando dalle puntualizzazioni della giurisprudenza[36]. Vanno quindi evitate iscrizioni arbitrarie, in assenza di un quadro indiziario soggettivamente indirizzato, “giustificate” con l’alibi dell’atto dovuto per la necessità di dovere compiere attività irripetibili.

 In dissenso da tale impostazione è stato osservato che il testo varato nel d.leg. 150/2022 non sarebbe così esigente, «nella consapevolezza che, se si richiedesse un grado troppo elevato di conferma, si finirebbe per assimilare l’iscrizione a una sorta di pre-giudizio di colpevolezza, con il risultato che sarebbe difficile non ricondurre alla mera iscrizione degli effetti pregiudizievoli». In particolare il legislatore delegato avrebbe deliberatamente non positivizzato la giurisprudenza delle Sezioni Unite della Corte di cassazione e la stessa “Circolare Pignatone”, che richiedevano “specifici elementi indizianti”; per coerenza sistematica con l’art. 63 c.p.p. – e con lo stesso art. 403 c.p.p. – si sarebbe preferito ricollegare l’iscrizione al momento in cui sussistono indizi a carico della persona, formula che porterebbe ad escludere la sufficienza di meri sospetti (l’ipotesi deve essere per l’appunto concreta), ma anche la necessità di un livello di gravità indiziaria che finirebbe per determinare un’eterogenesi dei fini. Lo standard individuato dal CSM, piuttosto, rileverebbe solo al termine delle indagini per l’esercizio dell’azione penale anche perché «se davvero l’asticella fosse così alta ci ritroveremmo in un sistema nel quale le indagini vengono fatte dal p.m. senza riconoscere alcun diritto all’interessato e il p.m. iscrive solo al termine delle stesse»[37]. Collegare la statuto di indagato a quella di persona seriamente indiziata del reato, inoltre, può sembrare eccessivo ove si consideri che un grado di maggior pregnanza è piuttosto richiesto per autorizzare specifici strumenti di ricerca della prova più invasivi (si pensi alle intercettazioni di conversazioni e comunicazioni, all’acquisizione dei dati del traffico telefonico o telematico) o iniziative limitative della libertà personale (come nel caso delle misure cautelari); quindi, il difetto di aggettivazione orienterebbe ad estendere la portata degli indizi utili.

Nonostante le considerazioni di ordine sistematico a sostegno di quest’ultima posizione, occorre riconoscere che altre, di pari natura e consistenza, militano in senso avverso, sostenute dal dato letterale. Il legislatore richiede letteralmente indizi (sostantivo declinato in maniera non casuale, si ritiene, al plurale) a carico delle persone da iscrivere nominativamente, identificando nella ricorrenza degli stessi la premessa imprescindibile per svolgere un approfondimento della responsabilità penale soggettiva secondo un grado che deve attingere almeno al livello della verosimiglianza; carattere, del resto, espressamente richiesto anche sul fronte oggettivo ai fini dell’identificazione delle notizie di reato e che segna la precondizione normativa della meritevolezza di una verifica la cui utilità finale, si vedrà, non è (più) parametrabile sul solo’accertamento giudiziale ma deve essere verificato alla luce della probabile condanna. In altri termini, alcuni caratteri degli indizi sono consustanziali alla loro stessa nozione, poiché in difetto di essi non di indizi si dovrebbe parlare ma di sospetti, grado di relazione soggettiva con il fatto che tutti i commentatori escludono come bastevole per l’iscrizione; si pensi alla loro certezza storica, alla loro concordanza (dovendo confluire verso una ricostruzione unitaria del fatto cui si riferiscono e non contrastare tra loro e con altri dati o elementi certi) e alla loro precisione (intesa quale impraticabilità di diversa e altrettanto,  se non più, verosimile interpretazione). Ciò che si può non esigere è la gravita degli indizi, ovvero la loro consistenza, intesa quale resistenza alle obiezioni e quindi l’immediata e autoevidente attendibilità e persuasività, la cui verifica va rimessa all’impegno delle indagini.        

In molti uffici le prime iscrizioni costituiscono prerogativa massiva del Procuratore della Repubblica e dei Procuratori Aggiunti e sovente comprensibili esigenze di speditezza consigliano di replicare nell’ordine di iscrizione i contenuti delle proposte qualificatorie offerte dalle comunicazioni della notizie di reato da parte della polizia giudiziaria o dall’estensore delle denuncia-querela di parte privata; d’altro canto, i sistemi informatizzati di gestione delle notizie di reato (si pensi al Portale della Notizie di Reato integrato con Rege Web) si basano sulla trasmissione di informazioni che possono essere gestite in modo più efficiente se si riducono gli spazi di discontinuità. Resterà il potere del singolo sostituto procuratore di aggiornare o integrare l’iscrizione ma è certo che il nuovo sistema normativo impone ponderazioni attente – al p.m. anzitutto – che collidono in maniera insanabile con acritiche gestioni tralatizie delle informazioni dalle comunicazioni di notizie di reato e dai registri informatici alimentati dalla PG e dai difensori al registro SICP o Rege Web ex art. 335 c.p.p.

Va ribadita, inoltre, la persistenza validità della giurisprudenza per cui l’iscrizione nel registro delle notizie di reato del nome della persona alla quale questo è attribuito, per gli effetti che ne derivano ai fini del computo del termine di durata delle indagini e della utilizzabilità degli atti compiuti, postula la completa identificazione della stessa, non essendo sufficiente al riguardo la semplice indicazione del nome e del cognome. Ciò si ricava, tra l’altro, dall’art.417, 1° comma, lett. a), cod. proc. pen., che, tra i requisiti formali della richiesta di rinvio a giudizio, indica le ” generalitàdell’imputato o le altre indicazioni personali che valgano a identificarlo”[38]; indicazione richiesta per le comunicazioni ex art. 127 n. att. c.p.p. delle notizie di reato al procuratore generale per i procedimenti nei quali si profilano possibili inerzie del pubblico ministero. D’altra parte, soltanto nei confronti della persona compiutamente identificata possono innestarsi i vari meccanismi di controllo e di contraddittorio che l’art. 406 c.p.p. prevede in sede di proroga dei termini delle indagini e oggi sulla stessa tempestività della iscrizione ex art. 335 quater c.p.p. , evocando, dunque, la necessità che alla formale iscrizione del nominativo dell’indagato nel registro di cui all’art. 335 c.p.p. corrisponda l’accertamento della completa identità soggettiva della persona cui l’iscrizione stessa si riferisce[39].

L’esperienza segnala, invece, che sovente l’iscrizione nominativa a mod. 21 si sostanzia, almeno in prima battuta, nell’annotazione del solo nome e cognome dell’indagato. Qui occorre distinguere, con spirito pratico, i casi in cui l’identificabilità è agevolmente conseguibile (sulla base di altri dati utili che accompagnano la notizia di reato) da quelli in cui il nominativo finisce per costituire proprio l’oggetto dell’impegno indagatorio. Nel primo caso, è consigliabile far svolgere solertemente le agevoli verifiche sull’identità ed annotare i dati mancanti, senza lucrare sulla portata costitutiva dell’adempimento e senza rischiare postume retrodatazioni, mantenendo la decorrenza dei termini dalla prima iscrizione. Nel secondo caso, invece, non si può evitare di rilevare l’improprietà del ricorso al mod. 21 e solo l’accertamento delle generalità complete varrà a creare le condizioni di un aggiornamento sostanziale utile a segnare la decorrenza del termine di indagine.

2.4. – La retrodatazione di ufficio dell’iscrizione (art.335, commi 1 ter c.p.p.)

Ai sensi dell’art. 335, comma 1-ter, c.p.p. quando non ha provveduto tempestivamente ai sensi dei precedenti commi 1 e 1-bis, all’atto di disporre l’iscrizione il pubblico ministero può indicare la data anteriore a partire dalla quale essa deve intendersi effettuata.

Secondo la Relazione illustrativa in tal modo si è tradotta in norma di legge la prassi virtuosa già attualmente seguita da alcune Procure consentendo al pubblico ministero, ove riconosca un ritardo delle iscrizioni, di porvi rimedio senza attendere l’attivazione del meccanismo giurisdizionale previsto dall’art. 335-quater c.p.p.

La previsione riconnette all’ordine di iscrizione del pubblico ministero efficacia costitutiva rispetto alla data a partire dalla quale l’iscrizione deve intendersi effettuata e produce effetti sulla decorrenza dei termini delle indagini; sotto questo profilo è destinata a porre in crisi la soluzione cui era pervenuta la giurisprudenza maggioritaria allorché aveva statuito che ai fini della previsione di cui all’art. 405 c.p.p., il termine di durata delle indagini preliminari decorreva dal momento della formale ed effettiva iscrizione nell’apposito registro ex art. 335 c.p.p. delle generalità della persona alla quale il reato era  stato attribuito e non da quello in cui il pubblico ministero aveva  disposto l’iscrizione medesima[40], sul presupposto peraltro che il S.I.C.P. – Sistema informativo della cognizione penale – assolveva ad una funzione interamente sostitutiva dei registri cartacei e dunque i relativi estratti erano idonei a comprovare le relative iscrizioni. A questa portata costitutiva dell’ordine del p.m. non è attualmente allineato il SICP che, piuttosto, permette di monitorare i termini a decorrere dall’effettiva iscrizione informatica del primo. Un difetto affatto trascurabile con potenziali effetti esiziali sull’utilizzabilità degli atti svolto dopo la decorrenza del termine.

Nei primi commenti[41] è stato rimarcato che questo potere di retrodatazione officioso deve essere inteso in termini ragionevoli; è fisiologico e dunque tale da non imporre retrodatazioni il decorso di un lasso temporale di alcuni giorni e anche settimane imposto dalla lettura delle informative da parte del magistrato e dall’espletamento materiale dell’attività di registrazione da parte della segreteria. Anche l’art. 109 delle n. att. del c.p.p., con l’indicazione della sottoposizione “immediata” al pubblico ministero degli atti che possono contenere una notizia di reato va inteso realisticamente, non potendosi imporre retrodatazione automatiche senza tenere in conto il tempo materiale fisiologico imposto per registrare le notizie, per sottoporle al magistrato, per consentire a questi di esaminarle, specie se complesse, per la formale successiva iscrizione sul registro appropriato. Cosicché, il potere-dovere di retrodatazione sembra conveniente che venga utilizzato solo in presenza di ritardi “patologici” e, soprattutto, nelle ipotesi in cui il pubblico ministero ravvisi un proprio precedente errore di qualificazione, che lo abbia portato ad iscrivere impropriamente un fascicolo a modello 45 ovvero che lo abbia portato a non valorizzare indizi preesistenti carico di una persona.

2.5. – Ordine di iscrizione del nome della persona sottoposta ad indagini (art. 335 ter c.p.p.)

Parzialmente innovativo è l’istituto delineato dall’art. 335-ter c.p.p. che sottrae altro spazio al monopolio del pubblico ministero rispetto all’iscrizione. In base al primo comma della disposizione, «quando deve compiere un atto del procedimento, il giudice per le indagini preliminari, se ritiene che il reato per cui si procede debba essere attribuito a una persona che non è stata ancora iscritta nel registro delle notizie di reato, sentito il pubblico ministero, gli ordina con decreto motivato di provvedere all’iscrizione» . In tale caso, «Il pubblico ministero provvede all’iscrizione, indicando la data a partire dalla quale decorrono i termini delle indagini. Resta salva la facoltà di proporre la richiesta di cui all’articolo 335 -quater» (2° comma). La disposizione va letta considerando altresì l’art. 110-ter n. att. c.p.p. alla cui stregua “Il pubblico ministero, quando presenta una richiesta al giudice per le indagini preliminari, indica sempre la notizia di reato e il nome della persona a cui è attribuita”.

Come ricorda la Relazione illustrativa l’art. 335-ter riprende un meccanismo che il codice già conosceva e ne estende la portata. In particolare, l’art. 415, commi 2, secondo periodo, e 2-bis c.p.p. (dei quali si prevede l’abrogazione) statuiva che, nel procedimento a carico d’ignoti, il gip al quale fosse chiesta l’archiviazione ovvero l’autorizzazione a proseguire le indagini, qualora avesse ritenuto che il reato fosse ascrivibile ad una persona già individuata, potesse ordinare d’iscriverne il nome nell’apposito registro. Il precetto viene ora esteso lungo due direzioni: da un lato, il giudice potrà emettere l’ordine tutte le volte che il suo intervento sia sollecitato (come nel caso di una richiesta d’intercettazione) e non più solo soltanto in quelle due circostanze; dall’altro, la disposizione diventa applicabile anche nei procedimenti contro indagati noti, consentendo al giudice di individuare ulteriori persone da iscrivere nel registro, oltre a quelle che già vi figurano. La Relazione precisa che la prerogativa giudiziale riguarda unicamente soggetti a cui venga addebitato quello stesso fatto che forma oggetto della richiesta indirizzata al giudice; ove si trattasse di fatti illeciti diversi, potrebbe semmai venire in gioco la disciplina sull’obbligo di denuncia.

Poiché il gip non sempre è informato dei soggetti iscritti nel registro di cui all’art. 335 e, quindi, potrebbe aver difficoltà ad esercitare il potere, è stato previsto che, ogni qual volta avanzi una richiesta, il pubblico ministero debba anche indicargli la notizia di reato ed i soggetti ai quali è ascritta (art. 110-ter n. att. c.p.p.); disposizione che mira a far venir meno la prassi di indicare un unico responsabile, seguito dalla dicitura «ed altri».

L’ordine presuppone l’attivazione di un contraddittorio con il p.m., che deve essere «sentito», al fine di prevenire l’eventualità di iscrizioni che, alla luce di atti di cui il giudice non abbia avuto conoscenza, non appaiano realmente necessitate.

In via teorica il giudice potrebbe emettere l’ordine nel momento stesso in cui emergono gli indizi a carico del soggetto da iscrivere (si pensi ad un testimone che renda dichiarazioni accusatorie nel corso d’un incidente probatorio), anche se la decisione implicherà per lo più la valutazione di atti anteriori al provvedimento giudiziale, cosicché bisognerà anche stabilire il momento a partire dal quale decorrono i termini delle indagini. Il legislatore delegato ha attribuito tale compito al pubblico ministero, cui è riservata la prima decisione sulla data in cui è emersa la notitia criminis, lasciando al giudice solo un potere di controllo postumo. Il decreto motivato del giudice, dunque, avrà riguardo al nominativo della persona da iscrivere (e, nel caso d’una pluralità di fatti investigati, al reato che gli si attribuisce), ma non alla data in cui l’iscrizione sarebbe dovuta avvenire. Naturalmente, qualora l’interessato ritenesse che la data individuata dal pubblico ministero non fosse corretta, potrebbe innescare il meccanismo di controllo disegnato dall’art. 335-quater c.p.p.

Il CSM, nel parere del 22/9/2022, ha segnalato plurime criticità scaturenti dalla previsione. Non potendosi esigere che il GIP, nel richiedere al P.M. di interloquire, debba preventivamente motivare in ordine agli indizi ritenuti sussistenti a carico della persona di cui ritiene doverosa l’iscrizione (ipotesi da escludere, dovendo essere motivato solo il decreto che ordina l’iscrizione), non sarà agevole per il P.M. argomentare l’esclusione della ricorrenza delle condizioni per iscrivere. Inoltre, i tempi – indeterminati- dell’interlocuzione potrebbero ritardare l’esecuzione dell’atto richiesto dal P.M. al GIP, essendo la soluzione della questione dell’iscrizione sicuramente pregiudiziale nel caso in cui esso abbia carattere ‘garantito’ e potendo, negli altri casi, comunque, porsi un problema di utilizzabilità degli atti compiuti prima di procedere alla iscrizione. Ancora, al P.M. non sono attribuiti rimedi per contestare la legittimità (per assenza dei presupposti che rendevano doverosa l’iscrizione della persona come indagato) dell’ordine impartitogli dal GIP; «eppure è innegabile che lo stesso sia portatore dell’interesse ad ottenere una siffatta verifica, in specie nel caso in cui gli elementi valutati dal GIP di fatto implichino che l’iscrizione debba essere retrodatata, con effetti di inutilizzabilità degli atti di indagine già compiuti (così, ad esempio, nel caso in cui il GIP abbia ordinato l’iscrizione di una persona in precedenza assunta a sit, sulla scorta di elementi già nella disponibilità del P.M. alla data in cui detto atto è stato compiuto)». Il CSM ha escluso che le evidenziate criticità siano compensate dal vantaggio di evitare successive contestazioni in ordine alle iscrizioni e di preservare l’utilizzabilità degli atti di indagine, poiché, come si vedrà, l’indagato può contestare successivamente la tempestività dell’iscrizione.

Va inoltre aggiunto che le previsioni dell’art. 335-ter c.p.p. sembrano destinate a trovare immediata applicazione, non appena entrerà in vigore il d.lgs. n. 150/2022, senza che il GIP possa trovare ostacoli nel fatto che l’omessa iscrizione sia avvenuta in periodo antecedente al 30.12.2022 non individuandosi in tal senso addentellati nella riforma per ritenere temporalmente limitato tale potere e dunque non esercitabile anche per omissioni avvenute prima di quella data. La giurisprudenza ha riconosciuto, infatti, che, ferma la perdurante validità degli effetti già prodottisi degli atti ormai “compiuti” (tale non sembra possa considerarsi un’omissione), gli atti del procedimento che siano posti in essere sotto l’operatività della nuova legge non possono che essere regolati dalla disciplina novellata[42]. Emerge la concretezza, dunque, delle possibili criticità segnalate dal CSM rispetto a situazione in cui i GIP si determineranno ad ordinare l’iscrizione producendo l’effetto di retrodatazione dell’iscrizione sostanzialmente insindacabile; a meno di non voler ritenere che rispetto all’ordine di iscrizione non condiviso il pubblico ministero possa limitarsi ad un’iscrizione ex nunc, creando le condizioni per un successivo vaglio della tempestività dell’iscrizione secondo il meccanismo ex art. 335 quater c.p.p. rimettendo poi all’indagato la contestazione della correttezza della omessa retrodatazione dell’iscrizione rimediata.

2.6. – La retrodatazione a istanza di parte (art. 335-quater c.p.p.)

Il procedimento di accertamento della tempestività dell’iscrizione nel registro delle notizie di reato delineato dall’art. 335 quater c.p.p. è una novità assoluta. La previsione di un controllo sulla tempestività dell’iscrizione opera in chiara distonia con il precedente assetto normativo e con i dicta della giurisprudenza sull’insindacabilità della tempistica dell’iscrizione operata dal pubblico ministero e sull’utilizzabilità degli atti di indagine svolti anche a seguito di iscrizioni tardive.

Il procedimento di controllo sulla tempestività dell’iscrizione nel registro di cui all’articolo 335 della notizia di reato e del nominativo della persona indagata non è officioso ma è attivabile adomanda dell’indagato che può chiedere al giudice la retrodatazione.

A pena d’inammissibilità, la domanda deve indicare le ragioni che la sorreggono e gli atti del procedimento da cui è desunto il ritardo (1° comma ). I due requisiti semplificano il controllo del giudice e consentono di ridurre il pericolo di estenuanti reiterazioni delle medesime istanze; nuove domande sono ammesse solo se fondate su atti diversi, in precedenza non conoscibili (3° comma, ultimo periodo).

Secondo la Relazione illustrativa il riferimento ad atti «del procedimento»non andrebbe inteso in senso rigoroso e formalistico ma secondo la nozione “sostanziale” di procedimento delineata dalle Sezioni Unite Cavallo[43]. Se si seguisse tale impostazione l’atto del procedimento dal quale desumere la necessità della retrodatazione dell’iscrizione potrebbe invenirsi in un fascicolo relativo a procedimento avente ad oggetto una notizia di reato strettamente connessa e collegata sotto il profilo oggettivo, probatorio e finalistico al reato oggetto del procedimento in cui viene in diretto rilievo la questione, quand’anche non desumibile dagli atti dei quale dispone storicamente il singolo pubblico ministero, ad esempio perché instaurato presso diverso ufficio giudiziario. In realtà, tale risultato pare evitabile considerando le altre condizioni che legittimano la retrodatazione. In linea con la legge delega, la stessa viene disposta con ordinanza quando il ritardo è «inequivocabile» e «ingiustificato», situazione che legittima il giudice ad indicare la data nella quale deve intendersi iscritta la notizia di reato e il nome della persona alla quale il reato è attribuito (8° comma). Secondo il CSM (parere del 22/9/2022) la necessaria compresenza delle due condizioni circoscrive l’intervento emendativo del giudice a quelle situazioni in cui, sul piano oggettivo, sia conclamata la ricorrenza di indizi a carico dell’indagato in epoca antecedente la sua iscrizione, e, sotto il profilo soggettivo, risulti dimostrato che il ritardo nell’adempimento è imputabile ad una grave negligenza, se non ad un atteggiamento doloso del magistrato. Situazioni che non pare di dover riconoscere nei casi di atti contenuti nei fascicoli di procedimenti non conosciuti né conoscibili dal singolo pubblico ministero.

Si discute se il ritardo possa essere giustificato anche da carenze organizzative o dal sovraccarico dell’ufficio. A fronte di coloro che riferiscono a tale estensione il pericolo di vanificare la portata della novità e ritengono giustificato il solo ritardo derivante dalla oggettiva complessità delle valutazioni richieste ai fini dell’iscrizione, va riconosciuto che le due condizioni congiunte sembrano orientare unicamente ad un sindacato sulla valutazione storica svolta dal pubblico ministero e non al riconoscimento di una oggettiva realtà estranea alla effettività desumibilità dagli atti delle informazioni qualificanti. Resta il dato che l’apprezzamento di tali condizioni è rimesso all’ampio potere valutativo del giudice, con la possibilità che intervengano decisioni contrastanti nelle varie fasi e gradi in cui la questione può essere riproposta.

 L’istanza dev’essere avanzata in termini ristretti, ossia entro venti giorni da quello in cui l’interessato ha avuto facoltà di prendere conoscenza dell’atto che giustifica la retrodatazione; richieste ulteriori possono essere avanzate solo se proposte nello stesso termine, e se siano fondate su atti diversi, non conoscibili in precedenza. Nella maggior parte dei casi, la decorrenza coinciderà con l’avviso di conclusione delle indagini, ma potrebbe anche scattare prima o dopo, per esempio qualora, durante il dibattimento, il pubblico ministero “travasasse” un atto proveniente da un diverso procedimento, e proprio da quell’atto l’imputato scoprisse di aver diritto alla retrodatazione. La decorrenza è ricollegata alla data di effettiva possibilità di consultazione dell’atto che imporrebbe l’anticipazione dell’iscrizione e sembra prescindere dall’effettivo esercizio della facoltà.

Il dies a quo potrebbe anche trovarsi in mezzo all’indagine: la Relazione enuncia l’ipotesi in cui l’interessato venga a conoscenza dell’atto che può fondare l’istanza a seguito di un deposito disposto in base all’art. 366 c.p.p., ossia in un momento in cui mancherebbe lo “spazio” per avanzare la domanda; perciò indispensabile introdurre un procedimento incidentale ad hoc (autonomo), disciplinato nel 6° comma  dell’art. 335-quater, senza coinvolgere la persona offesa e con un contraddittorio che di regola sarà meramente cartolare, salvo che il giudice senta il bisogno d’approfondire alcuni aspetti fissando un’udienza camerale. Salvo che sia proposta in udienza oppure ai sensi del 5° comma, la domanda deve essere depositata nella cancelleria del giudice, con l’avvenuta prova della notifica al pubblico ministero. Nei sette giorni successivi il P.M. può presentare memorie delle quali il difensore può prendere visione ed estrarre copie. Entrambe le parti possono poi presentare ulteriori memorie nei sette giorni successivi, decorsi i quali, il giudice provvede sulla richiesta, sempre che non ritenga necessario il contraddittorio orale delle parti; nel qual caso fissa l’udienza e dà avviso al P.M. e al difensore dell’indagato, i quali, se compaiono, sono sentiti.

Se i presupposti della domanda maturano quando è in corso l’udienza preliminare o il dibattimento, non vi è luogo per innescare l’incidente ad hoc, potendosi discutere tutto all’interno dell’udienza aperta (7° comma).

Lo specifico procedimento incidentale (soggetto a termini serrati) può innestarsi in altri procedimenti incidentali; la Relazione illustrativa esemplifica a tal riguardo il caso in cui la persona sottoposta all’indagine venga a conoscenza dell’atto che giustifica la retrodatazione in seguito all’emissione di un’ordinanza di custodia cautelare nei cui confronti abbia presentato, o abbia intenzione di presentare, domanda di riesame. L’accertamento può essere richiesto nell’ambito di qualsivoglia procedimento, quando il giudice deve adottare una decisione con l’intervento del pubblico ministero e della persona sottoposta alle indagini e la retrodatazione sia rilevante ai fini della decisione; in tale situazione la domanda di retrodatazione davanti al tribunale della libertà è però eventuale, perché l’udienza potrebbe essere imminente e non lasciare il tempo sufficiente per formare una memoria ben argomentata, e perché ciò potrebbe ritardare una decisione capace di produrre effetti favorevoli sul piano della libertà personale. Perciò spetta all’interessato scegliere la sede più opportuna, mentre resta vietato che la domanda possa essere avanzata in entrambe: salvi fatti sopravvenuti, infatti, l’istanza può essere presentata una volta sola (3° comma, ultimo periodo).

I commi finali della disposizione regolano il sindacato sulla decisione del giudice. L’impugnazione può essere avanzata dall’imputato (nel caso l’istanza sia stata rigettata), sia dal pubblico ministero (nel caso sia stata accolta). Per entrambe le ipotesi – pur ritenendosi necessario che la parola finale sul tema sia riservata al giudice chiamato a definire la regiudicanda – si è avvertita l’esigenza concorrente di semplificare la procedura e di stabilizzare al più presto la base cognitiva del giudizio. Di qui la regola (8° comma) secondo cui la parte interessata deve sollecitare il sindacato sulla prima decisione entro determinati termini, stabiliti a pena di decadenza. In particolare, sia l’indagato, nel caso in cui sia stata respinta, sia il pubblico ministero e la parte civile, nel caso in cui la richiesta sia stata accolta, possono chiedere, a pena di decadenza, che la questione sia nuovamente esaminata, prima della conclusione dell’udienza preliminare o, se questa manca, entro il termine di cui all’art. 491 c.p.p. Nel dibattimento preceduto da udienza preliminare, la domanda di nuovo esame della richiesta di retrodatazione può essere proposta solo se già avanzata all’udienza preliminare. L’ordinanza adottata dal giudice del dibattimento può essere impugnata nei casi e nei modi di cui all’art. 586, 1° e 2° comma, c.p.p.

Nel parere del 22 settembre 2022 il CSM ha ribadito che l’assetto normativo origina serie criticità derivanti dalla verifica postuma della tempestività dell’iscrizione a fronte di un sistema che riconosce al P.M. ampi margini valutativi. Innanzitutto, l’accertamento giudiziale del rispetto del termine di venti giorni può risultare assai defatigante, potendo essere plurimi, e depositati in momenti diversi, gli atti dai quali l’indagato assume di aver tratto la prova della tardività dell’iscrizione, con tutte le difficoltà connesse alla valutazione della rilevanza di ognuno ai fini dell’individuazione del dies a quo di decorrenza del termine previsto a pena di inammissibilità. Entrambe le parti (P.M. e indagato) possono poi chiedere un nuovo esame della stessa questione già decisa nella fase delle indagini preliminari, nel caso di procedimenti relativi a reati a citazione diretta, al giudice dibattimentale, negli altri procedimenti, al gup e nuovamente al giudice del dibattimento.; l’ordinanza decisoria del giudice dibattimentale può poi essere impugnata ai sensi dell’art. 586, cit.; in definitiva il sistema determina un rilevante aggravio dell’iter processuale, la protrazione sino alla conclusione del giudizio delle incertezze collegate alla questione della tardiva iscrizione, con aumento esponenziale del rischio di decisioni difformi e, in ipotesi, anche contrarie al decisum del giudice di legittimità. Infatti nel caso di richiesta, nella fase delle indagini preliminari, dell’accertamento sulla tempestività dell’iscrizione in un procedimento incidentale diverso da quello previsto ad hoc, come il procedimento dinanzi al Tribunale del riesame, oltre all’eccentricità di attribuire al Tribunale del riesame il potere di impartire al P.M. l’ordine di retrodatare l’iscrizione dell’indagato nel registro di cui all’art. 335 c.p.p., l’ordinanza del riesame, anche quanto all’utilizzabilità degli atti di indagini, risulterebbe ricorribile in Cassazione; nondimeno le parti potrebbero chiedere un nuovo esame della questione, con la possibilità per il giudice di merito di rivalutare la questione in senso difforme dal giudice di legittimità. Il margine di imprevedibilità e di opinabilità delle decisioni rende, peraltro, prevedibile che l’innesto dell’istituto nell’attuale sistema incrementerà  il carico di lavoro degli uffici requirenti e una diminuzione delle garanzie per gli indagati, poiché, a fronte del rischio di una declaratoria di inutilizzabilità degli atti di indagine a causa della possibile retrodatazione del dies a quo di decorrenza del termine delle stesse, il pubblico ministero, anche a fronte di elementi opinabili, prudenzialmente procederà all’iscrizione; il CSM ha poi rilevato il pericolo di un rilevante aggravio processuale, sia per la possibilità di avanzare una nuova richiesta sulla base della condizione – di non facile accertamento – della sopravvenuta conoscenza di nuovi ‘atti’, sia per la possibile riproposizione della medesima richiesta all’udienza preliminare e nel giudizio, se avanzata nella fase delle indagini, e in grado di appello, con l’impugnazione dell’ordinanza dibattimentale ai sensi dell’art. 586, co. 1 e 2 c.p.p. Muovendo da tali rilievo il CSM ha auspicato un intervento emendativo, quantomeno per prevedere un sistema di reclami utile per una più tempestiva definizione della questione della tardiva iscrizione e che preservi, quindi, la stabilità delle decisioni. Auspicio non accolto nella versione finale.

Resta infine da esaminare la questione se il nuovo art. 335-quater c.p.p. operi per le iscrizioni effettuate prima del 30 dicembre 2022. In senso contrario militano alcune considerazioni difficilmente superabili. Resta problematico, anzitutto, applicare la nuova norma rispetto a iscrizioni effettuate secondo parametri diversi e con un regime che pacificamente non consentiva la sindacabilità del ritardo. Inoltre, rispetto ad una retrodatazione che porterebbe a contestare l’utilizzabilità per superamento dei termini ai sensi dell’art. 407, comma 3, c.p.p., la giurisprudenza è costante nell’affermare che la nuova disciplina dell’inutilizzabilità non si applica retroattivamente andando a invalidare le prove (o le fonti di prova) già formate secondo regole diverse[44]. Il discrimine per l’applicazione della normativa processuale sopravvenuta è rappresentato, infatti, dal momento dell’assunzione della prova, non della sua valutazione[45].

3. La nuova regola di giudizio per l’archiviazione

L’art. 1, 9° comma, della legge n. 134/2021 detta altri principi e criteri direttivi volti a riformare profili della disciplina in materia di indagini preliminari e udienza preliminare offrendo una nuova disciplina ordinaria dei presupposti dell’esercizio dell’azione penale. Nell’esercizio della delega di cui all’art. 1, 1° comma, i decreti legislativi dovevano essere adottati nel rispetto dei seguenti princìpi e criteri direttivi:« a) modificare la regola di giudizio per la presentazione della richiesta di archivia­zione, prevedendo che il pubblico ministero chieda l’archiviazione quando gli elementi acquisiti nelle indagini preliminari non consentono una ragionevole previsione di con­danna; ((…)); m) modificare la regola di giudizio di cui all’articolo 425, 3° comma, del codice di procedura penale nel senso di prevedere che il giudice pronunci sentenza di non luogo a procedere quando gli elementi acquisiti non consentono una ragionevole previsione di condanna». Tale formulazione è il frutto di una modifica approvata in sede referente, ispirata alla medesima ratio sottesa al testo originario del disegno di legge che faceva riferimento, per la richiesta di archiviazione, all’ipotesi in cui gli elementi acquisiti nelle indagini risultino insufficienti e contraddittori o comunque non consentano “una ragionevole previsione di accoglimento della prospettazione accusatoria del giudizio”.

3.1. – Situazione antecedente al d.lgs. n. 150/2022

Il parametro dell’infondatezza della notizia di reato all’origine della presentazione della richiesta di archiviazione, fissato dall’art. 125 disp. att. c.p.p., è costituito sino al 30.12.2022 dall’inidoneità degli elementi acquisiti nelle indagini preliminari a sostenere l’accusa in giudizio; ora si progetta la sostituzione dello stesso con l’inidoneità dei medesimi elementi a consentire una “ragionevole previsione di condanna”. Analogamente, il Governo è stato delegato a modificare la disciplina della sentenza di non luogo a procedere al termine dell’udienza preliminare, modificando la regola, enunciata dal 3° comma dell’art. 425 c.p.p., in base alla quale il G.U.P. pronuncia la sentenza di non luogo a procedere anche quando gli elementi acquisiti risultano insufficienti, contraddittori o comunque non idonei a sostenere l’accusa in giudizio.

Con riferimento al vigente parametro la C. Cost. ha specificato che il «quadro acquisitivo» va valutato «non nell’ottica del risultato dell’azione, ma in quella della superfluità o no dell’accertamento giudiziale, che è l’autentica prospettiva di un pubblico ministero, il quale, nel sistema, è la parte pubblica incaricata di instaurare il processo»[46]. Tanto che «il vero significato della regola così dettata è, quindi, quello della non equivoca, indubbia superfluità del processo». La successiva elaborazione giurisprudenziale ha chiarito che si tratta di una prognosi che concerne l’“utilità” del dibattimento[47], al quale dovrebbe transitarsi quando quest’ultimo, grazie alle superiori risorse cognitive attivabili con l’impiego del contraddittorio nella formazione della prova, possa apportare elementi rilevanti ai fini della decisione di merito[48]. La C. Cost. nel 1991 ha confermato la legittimità costituzionale dell’art. 125 disp. att. c.p.p. assumendo che il principio di obbligatorietà dell’azione penale esige che nulla venga sottratto al controllo di legalità effettuato dal giudice e che in esso è insito il “favor actionis“. Con rigetto del contrapposto principio di opportunità – che consente all’organo dell’accusa di non agire anche in base a valutazioni estranee all’oggettiva infondatezza della “notitia criminis” – e regola comportamentale per cui nei casi dubbi l’azione deve essere esercitata e non omessa. Azione penale obbligatoria non significa, però, consequenzialità automatica tra notizia di reato e processo, né dovere del P.M. di iniziare il processo per qualsiasi “notitia criminis“. Limite implicito alla obbligatorietà, razionalmente intesa, resta che il processo non si instauri quando oggettivamente superfluo: regola ancor più vera nel sistema vigente, che pone le indagini preliminari fuori dell’ambito del processo, stabilendo che, al loro esito, l’obbligo di esercitare l’azione penale sorge solo se sia stata verificata la mancanza dei presupposti che rendono doverosa l’archiviazione, che è, appunto, non-esercizio dell’azione (art. 50 c.p.p.). Ha chiosato, in proposito, la Corte costituzionale: «Il problema dell’archiviazione sta nell’evitare il processo superfluo senza eludere il principio di obbligatorietà ed anzi controllando caso per caso la legalità dell’inazione. II che comporta di verificare l’adeguatezza tra i meccanismi di controllo delle valutazioni di oggettiva non superfluità del processo e lo scopo ultimo del controllo, che è quello di far sì che i processi concretamente non instaurati siano solo quelli risultanti effettivamente superflui. Tale verifica opera su due versanti: da un lato, quello dell’adeguatezza al suddetto fine della regola di giudizio dettata per individuare il discrimine tra archiviazione ed azione[49]; dall’altro, quello del controllo del giudice sull’attività omissiva del pubblico ministero, sì da fornirgli la possibilità di contrastare le inerzie e le lacune investigative di quest’ultimo ed evitare che le sue scelte si traducano in esercizio discriminatorio dell’azione (o inazione) penale»

Rispetto all’originaria formulazione dell’art. 125 disp. att. c.p.p., condensata nell’art. 115 del progetto preliminare, la C. Cost. ha ricordato le vivaci critiche del CSM, all’origine dell’ultima versione. L’art. 115 cit. disponeva che «il pubblico ministero presenta al giudice la richiesta di archiviazione quando ritiene che gli elementi acquisiti nelle indagini preliminari non sarebbero sufficienti al fine della condanna degli imputati». La formula comportava che «all’oggetto proprio della valutazione del pubblico ministero circa i risultati delle indagini ai fini dell’esercizio, o no, dell’azione si sostituisse l’oggetto proprio della valutazione del giudice, che investe, appunto, la sufficienza delle prove per la condanna: e ciò in netta contraddizione con il fatto che, nel sistema del codice, quest’ultimo giudizio è frutto di un materiale probatorio da acquisire nel dibattimento. Si sarebbe trattato, inoltre, di una valutazione non coerente alla provvisorietà della fase in cui avrebbe dovuto compiersi, senza tener conto della possibilità di acquisire nuovi elementi dopo la richiesta di rinvio a giudizio (art. 419, terzo comma) o dopo la pronuncia del decreto che dispone il giudizio (art. 430), ovvero nel corso dell’udienza preliminare (art. 422), oltreché dell’attività probatoria esperibile nel contesto della dialettica dibattimentale»[50]. Ben diversa la prospettiva dell’art. 125 cit. che impone al pubblico ministero di valutare gli elementi acquisiti non più nella chiave dell’esito finale del processo, bensì nella loro attitudine a giustificare il rinvio a giudizio. Il quadro acquisitivo viene, cioè, valutato non nell’ottica del risultato dell’azione, ma in quella della superfluità o no dell’accertamento giudiziale, che è l’autentica prospettiva di un pubblico ministero, il quale, nel sistema, è la parte pubblica incaricata di instaurare il processo. Non solo la sostituzione del termine “idonei” a quello di “sufficienti” designa un quantum minore di elementi, ma la loro valutazione diventa funzionale non alla condanna, bensì alla sostenibilità dell’accusa. È stata recuperata, in tal modo, la provvisorietà del quadro acquisitivo e la prospettiva dinamica propria della fase, dato che l’esclusione della sufficienza dei dati acquisiti consente di far rientrare nella valutazione le attività integrative esperibili dopo la richiesta di rinvio a giudizio. L’infondatezza della notizia di reato esprime una valutazione in prospettiva processuale che identifica la chiara ed inequivoca impossibilità di coltivare in maniera attendibile la prospettazione accusatoria in sede dibattimentale.

Nondimeno, la C. cost. già nel 1991 era consapevole che la tendenza ad allargare l’area di operatività dell’archiviazione – manifestatasi prima con la redazione dell’art. 115 cit. nel progetto preliminare, poi con interpretazioni dell’art. 125 volte a stabilire una sostanziale omogeneità con quello – celava preoccupazioni di deflazione dibattimentale; rilevava, ciononostante, che il legislatore delegante non aveva attribuito all’archiviazione una funzione deflattiva o obiettivi di economia processuale, perseguiti con altri strumenti, quali i riti alternativi e il largo impiego del procedimento pretorile.

3.2. – Il nuovo art. 408 c.p.p. dopo la novella del 2022

Il d.leg. n. 150/2022, ora, spinge a superare il criterio dell’astratta utilità dell’accertamento dibattimentale e a legittimare l’instaurazione del processo nei soli casi in cui gli elementi raccolti nel corso delle indagini preliminari consentano una ragionevole previsione di condanna. Alla delega si è data attuazione abrogando l’art. 125 c.p.p. e modificando il 1° comma dell’art. 408 del Cpp, correlando la richiesta di archiviazione non più alla “infondatezza” della notizia di reato, bensì al fatto che «gli elementi acquisiti nel corso delle indagini preliminari non consentono di formulare una ragionevole previsione di condanna o di applicazione di una misura di sicurezza diversa dalla confisca».

Il riferimento all’applicazione di una misura di sicurezza diversa dalla confiscanon era richiesto dalla lettera della delega ma è stato suggerito dal coordinamento derivante dalla necessaria celebrazione del dibattimento, in tutti i casi in cui debba essere applicata una misura di sicurezza diversa dalla confisca, costituendo situazione preclusiva della pronuncia di sentenza di non luogo a procedere in udienza preliminare (art. 425, comma 4, c.p.p.) o nell’udienza filtro (art. 554 ter, comma 1, c.p.p.).

La nuova previsione ha ricevuto un generale apprezzamento, ritenendola compatibile con il ruolo del pubblico ministero oltre che rispettosa della regola probatoria alla base della condanna (art. 533, comma 1, c.p.p.). Quale parte pubblica il pubblico ministero deve soddisfare l’interesse superiore della legge (cfr. artt. 73 ordinamento giudiziario, 358 c.p.p), in relazione al quale deve chiedere l’assoluzione e, prima, in fase di indagini, l’archiviazione, senza che ciò rappresenti una “sconfitta” [..] «perché rientra nel proprium delle competenze di questi, in modo assolutamente fisiologico, il compito, rispetto alla denuncia di un fatto, di sapere valutare, con spirito laico ed indipendente, se l’accusa può reggere, in fatto e in diritto»[51]. La disposizione si correla alla regola di giudizio, stabilita dall’art. 533 c.p.p. ai fini della condanna, imponendo al pubblico ministero di sollecitare l’archiviazione in difetto di elementi spendibili a fini della condanna ovvero di un compendio indiziario idoneo ragionevolmente a portare ad una condanna al di là di ogni ragionevole dubbio, senza più dover solo apprezzare la possibilità di sostenere, in dibattimento, la tesi accusatoria, “sperando” che in quella sede si riesca ad acquisire la prova della condanna.

 Il venir meno del riferimento all’infondatezza della notizia di reato, ha indotto alcuni primi operatori a ritenere esigibile l’archiviazione anche in caso di notizia “fondata” ma inidonea, in termini prognostici, a condurre alla pronuncia di condanna. La situazione è stata esemplificata nell’ipotesi in cui, per il decorso del tempo, è pronosticabile comunque la prescrivibilità del fatto, quanto meno in primo grado, mancando il tempo, nello specifico ufficio giudiziario, neppure ai fini della soddisfazione degli interessi della costituenda parte civile, per ottenere la condanna. Una sorta di “archiviazione processuale”, finora difficilmente sostenibile[52] e che può essere oggi avvalorata anche dalla positivizzazione dei criteri di priorità ai sensi degli artt. 3 bis (Priorità nella trattazione delle notizie di reato e nell’esercizio dell’azione penale)[53] e 127 n. att. c.p.p. (Avocazione e criteri di priorità)[54]. Lo stesso è stato ritenuto nei casi in cui, anche per il decorso del tempo e per la natura degli elementi di prova spendibili in dibattimento, la prognosi di condanna è ostacolata dalla contraddittorietà, insufficienza, mancata tenuta del compendio suscettibile di essere acquisito in dibattimento. Si pensi ai procedimenti basati su dichiarazioni generiche rese da persone informate e tali, nella proiezione dibattimentale, di tradursi in dichiarazioni testimoniali di insufficiente valenza probatoria, anche a fronte del decorso del tempo, circostanza capace di influire negativamente sul ricordo. In altri termini al momento della definizione delle evidenze raccolte all’esito delle indagini il PM deve valutare se già dispone di un compendio attendibile e completo, non potendo contare su prospettive di implementazione scaturente dalla celebrazione del dibattimento.

Il cambiamento che si profila nell’impegno investigativo e valutativo del pubblico ministero appare consistente, scaturendo dalla riforma un «richiamo forte al pubblico ministero di evitare esercizi dell’azione penale “inutili” perché insostenibili in sede di prognosi di condanna». Nel contesto di una rimodulazione della disciplina dei termini per le indagini preliminari[55], infatti, all’esito di esse il pubblico ministero sarà tenuto a porsi in condizione di svolgere una prognosi che oltrepassa – e di molto – la ricognizione di imputazioni azzardate, la valutazione dinamica dell’utilità di una progressione processuale ovvero la previsione ragionevole sulle tematiche bisognose di approfondimento probatorio per calibrate richieste. Al pubblico ministero, infatti, è affidata una valutazione prognostica ragionevole sul risultato dell’azione e prima una ricerca esaustiva dei dati con attitudine probatoria rilevanti ai fini dell’emissione di una sentenza di accoglimento della prospettiva accusatoria nel giudizio[56]. La portata deflattiva rispetto al dibattimento, adesso, è dichiarata, come l’avversione verso processi inutili nella misura in cui gli stessi non giungano a condanna. Il nuovo assetto, nel contesto di un ammodernamento dell’obbligatorietà dell’azione penale, abbandona il “favor actionis” e, con esso, la regola comportamentale per cui nei casi dubbi l’azione deve essere esercitata e non omessa; resta il controllo di legalità del giudice a garantire che la valutazione svolta dal p.m. non camuffi inazioni opportunistiche.

La modifica della regola di giudizio, merita rimarcarlo, rende critica la compatibilità tra il principio di completezza (che da tendenziale diventa quasi ultimativa) e quello di continuità investigativa (tuttora) delineato dagli artt. 419, comma 3 e 430 c.p.p.: «convivenza fisiologicamente ipotizzabile solo se al pubblico ministero ci si limiti a chiedere la verifica della non superfluità del giudizio, dal momento che tale attività, ovviamente, non presume la svolgimento di una ricerca esaustiva dei fati probatori rilevanti ai fini dell’emissione di una sentenza»[57]. Restano poi i dubbi a suo tempo mossi alla formulazione originaria dell’art. 115 del progetto preliminare allorché si era stigmatizzato il fatto che il disposto chiamasse il pubblico ministero a svolgere una valutazione “da giudice” prima del dibattimento, in una fase provvisoria ancora incrementabile.

A livello intertemporale, poiché le nuove disposizioni costituiscono tipiche “regole di giudizio”, in quanto tali esse trovano immediata applicazione in tutti quei procedimenti pendenti in cui alla data del 30 dicembre 2022, non si sia ancora pervenuti ad una decisione (a fronte di richiesta di archiviazione depositata entro il 29 dicembre 2022, ovvero in esito ad udienza preliminare svoltasi o da svolgersi successivamente al 30 dicembre 2022, ovvero in esito ad udienza predibattimentale di comparizione innanzi al tribunale monocratico svoltasi successivamente al 30 dicembre 2022). Rispetto alle richieste di archiviazione già depositate alla data di entrata in vigore del decreto e fondate sulla pregressa regola di giudizio di cui all’abrogato art. 125 disp. att. c.p.p., il giudice delle indagini preliminari potrà ben fondatamente applicare i nuovi criteri di giudizio, siccome più ampiamente liberatori, essendo di sua spettanza la valutazione delle cause che giustificano il mancato esercizio dell’azione penale[58].

3.3. – La nuova regola di giudizio per l’udienza preliminare e l’estensione ai reati a citazione diretta

Omogenee regole di giudizio sono state introdotte per la sentenza di non luogo a procedere al termine dell’udienza preliminare e per i reati definibili a seguito di citazione diretta a giudizio. In particolare si è intervenuti sull’art. 425, comma 3, c.p.p. in base al quale il giudice era tenuto a pronunciare sentenza di non luogo a procedere anche quando gli elementi acquisiti fossero risultati “insufficienti, contraddittori o comunque non idonei a sostenere l’accusa in giudizio”; ora, il presupposto di tale pronuncia è il riconoscimento che gli elementi acquisiti “non consentono di formulare una ragionevole previsione di condanna”, regola di giudizio prevista pure per i reati definibili a seguito di citazione diretta a giudizio (a tal fine, nel procedimento a citazione diretta, è prevista una udienza di comparizione predibattimentale – c.d. “udienza filtro” – articolo 554 bis c.p.p., in esito alla quale, tra i provvedimenti che il giudice può adottare,  vi è anche la sentenza di non luogo a procedere “quando gli elementi acquisiti non consentono una ragionevole previsione di condanna” (art. 554 ter, comma 1, c.p.p.).

3.4. – L’avviso di archiviazione in caso di rimessione della querela

L’articolo 1, 9° comma, lettera b), della delega ha voluto escludere l’obbligo di notificazione dell’avviso della richiesta dell’archiviazione stessa alla persona offesa che abbia rimesso la querela, riconoscendo la sterilità di un tale adempimento allorquando la stessa persona offesa, con la rimessione della querela, intende perseguire proprio lo scopo di chiudere la vicenda ed è ben consapevole che la propria determinazione dovrà condurre proprio all’archiviazione del procedimento. E’ stata così modificato il 2° comma dell’articolo 408 del Cpp, con la precisazione che l’avviso di archiviazione non è dovuto nei casi di rimessione della querela. In sede di attuazione, l’eccezione al diritto di avviso della richiesta di archiviazione è stata espressamente limitata ai procedimenti in cui è stata la stessa persona offesa a chiedere, nella querela o successivamente alla sua presentazione, di volere essere informata circa l’eventuale archiviazione; non è scontata l’applicabilità della regola anche alle ipotesi di reati procedibili a querela, in cui il pubblico ministero è comunque tenuto a notificare l’avviso, anche in assenza di espressa richiesta della persona offesa (art. 408, comma 3 bis, c.p.p) [59].

3.5. – La riapertura delle indagini

In virtù dell’art. 1, 9° comma, lettera t), della L. n. 134/2021 il Governo è stato delegato ad intervenire con criteri più stringenti sulla disciplina della riapertura delle indagini dopo il provvedimento di archiviazione la cui stabilità e tenuta risulta rafforzata dal decreto delegato. L’obiettivo che si è inteso perseguire è quello di evitare di sottoporre nuovamente ad indagini un soggetto già indagato, in difetto di condizioni tali, in termini prognostici, da sfociare nell’’esercizio dell’azione penale.

 L’originario articolo 414 c.p.p. prevedeva che la richiesta di riapertura dovesse essere motivata dal pubblico ministero e autorizzata dal giudice per l’esigenza di “nuove investigazioni”. Con tale espressione si intende l’acquisizione di elementi diversi rispetto a quelli già in atti ovvero l’elaborazione di quest’ultimi a mezzo di altre potenziali fonti di prova.

Il nuovo art. 414, comma 1, c.p.p. stabilisce che «la richiesta di riapertura delle indagini è respinta quando non è ragionevolmente prevedibile la individuazione di nuove fonti di prova che, da sole o unitamente a quelle già acquisite, possono determinare l’esercizio dell’azione penale“; in tal modo sono riprese le regole di giudizio più stringenti introdotte contestualmente per l’archiviazione e la sentenza di non luogo a procedere. L’art. 414, comma 2-bis, c.p.p. prevede che “gli atti di indagine compiuti in assenza di un provvedimento di riapertura del giudice sono inutilizzabili“, soluzione di portata chiarificatoria ma già acquisita alla riflessione giurisprudenziale[60].

La riapertura delle indagini, oggi più di prima, non può fondarsi su una semplice rilettura di elementi già presenti negli atti archiviati[61], attraverso una rivalutazione, in un’ottica diversa e in base ad un nuovo progetto investigativo, delle precedenti acquisizioni[62].

Tale disciplina non si estende all’archiviazione del procedimento contro ignoti. In tale ultimo ambito resta valido l’assunto cui era pervenuta la giurisprudenza per cui non è richiesta l’autorizzazione del gip alla riapertura delle indagini dopo il provvedimento di archiviazione per essere rimasti sconosciuti gli autori del reato, in quanto il regime autorizzativo prescritto dall’articolo 414 c.p.p. è diretto a garantire la posizione della persona già individuata e sottoposta alle indagini[63].  Né l’innovazione estende il vincolo dell’archiviazione imponendo il ricorso alla riapertura delle indagini anche ad autorità giudiziarie diverse da quelle che hanno provveduto all’archiviazione. Il decreto di archiviazione continua ad avere efficacia (limitatamente) preclusiva solo nei confronti dell’autorità giudiziaria che ha provveduto all’archiviazione, in ragione del fatto che l’autorizzazione alla riapertura delle indagini, rimuovendo gli effetti della precedente valutazione di infondatezza della notizia di reato al pari di un atto di revoca, non può che provenire dallo stesso giudice che ha emesso il decreto di archiviazione ed inerire ad un sindacato sul potere di esercizio dell’azione penale di cui è titolare il pubblico ministero presso quell’ufficio giudiziario, sicché nessun ostacolo incontra l’autorità giudiziaria di altra sede a compiere accertamenti su fatti oggetto del provvedimento di archiviazione[64].  Resta poi la possibilità di contestare utilmente, anche in assenza di formale riapertura delle indagini, i segmenti di condotta abituale o permanente successivi all’archiviazione[65]. La preclusione non opera quando l’archiviazione ha avuto ad oggetto solo una parte della notizia di reato avendo l’ufficio del pubblico ministero “selezionato” alcune delle condotte estrapolabili dalla stessa per poi, successivamente, esercitare l’azione penale in relazione ad altra condotta mai fatta oggetto di autonoma iscrizione[66].

4. Brevi note conclusive

L’apprezzamento della riforma del processo penale a cura del d.leg. 150/2022 è oggetto di controversie vivaci tra coloro che assumono indispensabile e urgente un cambiamento imposto dai dati di efficienza del processo penale, francamente insoddisfacenti, e chi ritiene che la stessa sia frutto di un’aspirazione troppo grande sorta in un contesto asettico e laboratoriale, scisso dalla realtà, che non coglierebbe l’inconciliabilità tra il desiderio di assicurare un’accelerazione dei tempi e l’introduzione di maggiori garanzie in momenti embrionali delle indagini, enfatizzando in esse il contraddittorio tra le parti e ammettendovi discussioni sull’utilizzabilità degli atti  (autentica ragione della retrodatazione) prima ancora che vengano in rilievo decisioni di merito.

Quale che sia l’opzione preferita, prima o poi, dovrà prendersi atto del fatto, che se a nessuna garanzia si può rinunciare ed anzi se ne creano ed anticipano di ulteriori, un tale sistema penale non sarà mai  strutturalmente in grado di assicurare la trattazione in tempi ragionevoli della mole di vicende che originano procedimenti penali, alla luce di una realtà che tradisce continuamente le raccomandazioni verso un contenimento della vorace penalizzazione.

 Ciò è a dirsi  almeno fintanto che i criteri di priorità nella trattazione delle notizie di reato avranno solo natura regolativa e non potranno essere spesi con trasparente logica selettiva: una prospettiva assolutamente problematica ma che, forse, è tempo di considerare – seriamente e senza infingimenti – accettando il rischio di una nuova visione del ruolo ordinamentale del pubblico ministero[67].


* Sostituto Procuratore presso la Direzione Distrettuale Antimafia Procura della Repubblica di Firenze.  

[1] D.leg. 10 ottobre 2022, n. 150 “Attuazione della legge 27 settembre 2021, n. 134, recante delega al Governo per l’efficienza del processo penale, nonché in materia di giustizia riparativa e disposizioni per la celere definizione dei procedimenti giudiziari” è stato pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale del 17 ottobre 2022. Per l’entrata in vigore delle modifiche disposte dal citato d.leg. n. 150/2022, vedi art. 99-bis, come aggiunto dall’art. 6, comma 1, DL 31 ottobre 2022, n. 162, non ancora convertito in legge.

[2] Cfr. GALANTINI, Il principio di obbligatorietà dell’azione penale tra interesse alla persecuzione penale e interesse all’efficienza giudiziaria, in DPC, 2019, 9 sulla Circolare n. 3225/17 del 2 ottobre 2017 della Procura della Repubblica presso il Tribunale di Roma in tema di “Osservanza delle disposizioni relative all’iscrizione delle notizie di reato”.

[3] Sui criteri di computo della decorrenza del termine per le indagini preliminari in ipotesi di iscrizione di nuovo reato a carico del medesimo indagato o carico di altri soggetti Cfr. Cass. 6 luglio 2006 – 3 ottobre 2006, n. 32776, Meinero, Rv. 234822; sui limiti di inutilizzabilità delle prove acquisite oltre il termine di durata delle indagini preliminari decorrente dalla data della prima iscrizione, da ultimo, Cass. 6 marzo 2019 – 20 maggio 2019, n. 22016, Nicotra, Rv. 276965.

[4] Il termine di durata delle indagini preliminari decorre dal momento dell’effettiva iscrizione nell’apposito registro ex art. 335 c.p.p. delle generalità della persona alla quale il reato sia stato attribuito e non da quello in cui il pubblico ministero abbia disposto l’iscrizione medesima (Cass. 1° dicembre 2020 – 15 marzo 2021, n. 10078, Baldocchi, Rv. 280718; contra Cass. 4 luglio 2017 – 28 settembre 2017, n. 44909, Romano, Rv. 271619. Sugli effetti della cd. riforma Cartabia cfr. § 2.4

[5] FABRI, Discrezionalità e modalità di azione del pubblico ministero nel procedimento penale, in Polis, 2 agosto 1997, XI, 180 ss.

[6] In tema cfr. PALMA, L’obbligo di esercizio dell’azione penale, carico giudiziario ed efficientamento di sistema: una prospettiva rispettosa del vincolo costituzionale, in Archivio penale, 1/2021, 9. Sul principio di autonomia della decorrenza dei termini per le indagini per ciascun indagato cfr. Cass. 6 luglio 2006 – 31 ottobre 2006, n. 32776, Meinero, Rv. 234822.

[7] Sulle iscrizioni a modello 45 cfr. le guidelines offerte dalla circolare ministeriale n. 533 del 18 ottobre 1989; cfr. anche la Circolare 21 aprile 2011 emessa dal DAG Direzione generale della Giustizia penale e la Circolare 11 novembre 2016; in tema cfr. Cass. S.U. 22 novembre 2000 – 15 gennaio 2001, n. 34, ignoti, Rv. 217473.

[8] La giurisprudenza assume utilizzabili gli atti che non siano il risultato di indagini finalizzate alla verifica ed all’approfondimento degli elementi emersi nel procedimento penale i cui termini delle indagini preliminari siano scaduti: cfr. Cass. 30 giugno 2015 – 8 settembre 2015, n. 36327, Sgarannella, Rv. 36327; Cass. 17 febbraio 2010 – 22 marzo 2010, n. 10996, Vanacore, Rv. 246686.

[9] Per mitigare tale effetto si è previsto, altresì, che il legislatore delegato riveda, rimuovendole, le ipotesi normative in cui dalla mera iscrizione nel registro delle notizia di reato discenda un effetto pregiudizievole per l’interessato, cfr. nuovo art. 335-bis c.p.p..

[10] Per Cass. 20/04/2016 – 13/07/2016, Api, Rv. 267733 non è abnorme il decreto che dispone il giudizio emesso senza che vi sia stata una pronuncia sulle questioni riguardanti la utilizzabilità degli atti processuali, in quanto, in sede di udienza preliminare, il giudice non è tenuto a decidere anticipatamente tali questioni, rispetto alla trattazione del merito, neppure al fine di consentire all’imputato di valutare l’opportunità di accedere al rito abbreviato, nella piena conoscenza delle prove utilizzabili, non essendo un obbligo in tal senso contemplato dalle disposizioni processuali; Conf. Cass. n. 40209 del 13/05/2014, Rv. 260423.

[11] GIALUZ, Per un processo penale più efficiente e giusto. Guida alla lettura della riforma Cartabia, in Sistema penale, 2 novembre 2022, 41.

[12] In termini Cass. S.U., 22 novembre 2000 – 13 dicembre 2000, n. 33, PM in proc. Ignoti, Rv. 217244; Cass. S.U. civili, 4 novembre 2004, n. 21094 Rv. 577941; Circolari del DAG – Direzione generale della giustizia penale in data 21 aprile 2011 e 11 novembre 2016.

[13] Cfr. C. cost. ordinanza n. 3 del 2020.

[14] Cass. 24 settembre 2019 – 03 ottobre 2019, n. 40500, Barletta e altri, Rv. 277345.

[15] Cass. SU, 24 settembre 2009 – 20 ottobre 2009, n. 40538, Lattanzi, Rv. 244378.

[16] Si veda, al riguardo, Cass. n. 40500/2019, cit.

[17] Cass. S.U., n. 40538/2009, Cit.

[18] Cass. 22 maggio 2013 – 9 agosto 2013, n. 34637, Longo, Rv. 257120.

[19] Cass. 8 aprile 2008 – 4 giugno 2008, n. 22340, Bruno, Rv. 240491.

[20] Cass. 14 novembre 2018 – 30 gennaio 2019, n. 4844, Ludovisi, Rv. 275046.

[21] Cass. 21 febbraio 2008 – 10 giugno 2008, n. 23299, Chirillo, Rv. 241103.

[22] Cass. 2 ottobre 2006 – 25 gennaio 2007, n. 2818, Bianchi, Rv. 235726; Cass. S.U., 24 settembre 2009 – 20 ottobre 2009, n. 40538, Lattanzi, Rv. 244376; v. anche Sez. 6, 19 marzo 2012 – 27 giugno 2012, n. 25385, G. C., Rv. 25310.

[23] Cass. S.U., 21 giugno 2000 – 30 giugno 2000, n. 16, Tammaro, Rv. 216248.

[24] C. cost. n. 182/1999.

[25] Cass. n. 4974/2008; Cass. 6 luglio-3 ottobre 2006, n.32776 Meinero, Rv. 234822; Cass. 10 gennaio-13 febbraio 2006,  n.5484,  PM in proc.Genovese, Rv. 235100.

[26] Cass. n. 24941/2013; Cass. 27 settembre 1996 – 23/11/1996, Maceri, Rv. 206218.

[27] Cass. 9 maggio 2017 – 12 giugno 2017, n. 29151, Cusani, Rv. 270573.

[28] In tal senso cfr. CANZIO, FIECCONI, Giustizia per una riforma che guarda all’Europa, Milano, 2021, 29, 149-154.

[29] Alla stregua dell’attuale disciplina la giurisprudenza (Cass. 8 febbraio 1996 – 12 marzo 1996, n. 654, Alegi, Rv. 204261) ritiene abnorme il provvedimento con il quale il gip, richiesto della proroga del termine per il compimento delle indagini nei confronti di alcuni indagati, restituisca gli atti al pubblico ministero astenendosi dal provvedere sull’istanza ed ordinando la retrodatazione dell’iscrizione nel registro previsto dall’art. 335 c.p.p. di altro soggetto, a proposito del quale il titolare dell’azione penale non abbia sollecitato alcuna decisione.

[30] Dalla data della iscrizione decorrono anche altri importanti termini, oltre a quello per la conclusione indagini preliminari, quale quello l’emissione del decreto penale di condanna, per la richiesta di autorizzazione a procedere, per il rito direttissimo e per il giudizio immediato.

[31] Così GIALUZ, op. cit., che richiama il punto 55.1 della Bozza di delega legislativa al governo della Repubblica per l’emanazione del nuovo codice di procedura penale.

[32] Cfr. da ultimo Cass. 12 luglio 2019 – 29 luglio 2019, n. 34510, Zizzarri e altro.

[33] Cass, n. 32776/2006, cit.; nello stesso senso Cass. 3, 18 marzo 2015, 28 luglio 2015, n. 32998, M., Rv. 264191: «Qualora il P.M. acquisisca nel corso delle indagini preliminari elementi in ordine ad ulteriori fatti costituenti reato nei confronti della stessa persona già iscritta nel registro di cui all’art. 335 cod. proc. pen., deve procedere a nuova iscrizione ed il termine per le indagini preliminari, previsto dall’art. 405 cod. proc. pen., decorre in modo autonomo per ciascuna successiva iscrizione nell’apposito registro, senza che possa essere posto alcun limite all’utilizzazione di elementi emersi prima della detta iscrizione nel corso di accertamenti relativi ad altri fatti»

[34] Cass. Sez. 4, 30 maggio 2017- 7 luglio 2017 n. 33032; Cass. 4 novembre 2011 – 7 dicembre 2011, n. 45889, Lo Sardo, Rv. 251369.

[35] Cass., 10 febbraio 2020- 21 maggio 2020, n. 15651,Rv. 279154: il delitto di atti persecutori ha natura di reato abituale e di danno che si consuma con la realizzazione di uno degli eventi alternativi previsti dall’art. 612-bis cod. pen., conseguente al compimento dell’ultimo degli atti della sequenza criminosa integrativa della abitualità del reato, così che, nell’ipotesi di “contestazione aperta”, il giudizio di penale responsabilità dell’imputato può estendersi, senza necessità di modifica dell’originaria imputazione, anche a fatti verificatisi successivamente alla presentazione della denunzia-querela e accertati nel corso del giudizio, non determinandosi una trasformazione radicale della fattispecie concreta nei suoi elementi essenziali, tale da ingenerare incertezza sull’oggetto dell’imputazione e da pregiudicare il diritto di difesa.

[36] Per la Cassazione, infatti, l’obbligo dell’iscrizione modello 21 nasce solo ove a carico di una persona emerga l’esistenza di specifici elementi indizianti e non di meri sospetti (SU, 21 giugno 2000, Tammaro; SU, 24 settembre 2009, Lattanzi, che evidenzia che l’iscrizione nominativa della persona cui il reato deve essere attribuito deve avvenire soltanto quando I’ identificazione del soggetto e l’attribuibilità a questi del reato assumono “una certa pregnanza”; conf. Sezione I, 22 maggio 2013, Longo).

[37] GIALUZ, op. cit., 37.

[38] Cass. 27 settembre 1996 – 23 novembre 1996, n. 4795, Maceri, Rv. 206218.

[39] Cass. 26 settembre 2007 – 04 ottobre 2007, n. 36590, Trotta, Rv. 237806.

[40] Cass. 01 dicembre 2020 – 15 marzo 2021, n. 10078, Rv. 280718; Id. n. 12423/2020; Id., n. 25385/2012; Contra Cass. 4 luglio 2017 – 28 settembre 2017, n. 44909, Romano, Rv. 271619.

[41] AMATO, Circolare 9116/2022, in Riforma Cartabia: Tre circolari della Procura di Bologna, Sistema Penale, 27 ottobre 2022.

[42] Così, Cass. 14 febbraio 2019, n. 10260

[43] Cass. S.U., 28 novembre 2019 – 2 gennaio 2020, n. 51, Cavallo, Rv. 277395.

[44] GIALUZ, op. cit., 41.

[45] Cass. 20 ottobre 2003 – 02 dicembre 2003, n. 46221, Altamura e altro, Rv. 227482.

[46] C. cost. sentenza 28 gennaio 1991, n. 88.

[47] Cfr. Cass. 27 febbraio 2018- 29 maggio 2018, n. 24073, Zampino.

[48] Così, da ultimo, Cass. 28 gennaio 2019- 5 settembre 2019, n. 37322, Pierini.

[49] C. cost. n. 88/1991, cit.: «L’efficacia del sistema dei controlli rischierebbe, però, di risultare vana se la regola di giudizio dettata per individuare l’oggettiva superfluità del processo non fosse idonea a segnare il discrimine, spesso labile, tra l’oggettiva superfluità e la mera inopportunità comunque camuffata».

[50] La C. cost. n. 88/1991, cit., escluse che la conformità alla legge delega dell’iniziale art. 115 potesse argomentarsi richiamando la regola della direttiva n. 11 (“si ha mancanza di prova anche quando essa e insufficiente o contraddittoria“), introdotta per ragioni garantistiche, contro i pregiudizi derivanti dalle assoluzioni per insufficienza di prove e di coerenza delle formule assolutorie con la presunzione d’innocenza.

[51] AMATO, Circolare n. 9119/2022, in Riforma Cartabia, cit.

[52] La delibera del CSM in data 21 dicembre 2021 (su quesito di alcuni sostituti procuratori volto a conoscere il carattere vincolante o meno del protocollo – attuativo delle Linee guida in materia di trattazione dei procedimenti penali e di priorità) ha escluso la praticabilità di tale soluzione organizzativa rispetto a diverse ipotesi di c.d. “archiviazione processuale” a per prossima prescrizione del reato, sia anteriormente all’esercizio dell’azione penale sia per i procedimenti a citazione diretta, distinguendo tra procedimenti non prioritari per cui il PM aveva già chiesto la fissazione della prima udienza alla data di entrata in vigore del protocollo e quelli, prioritari o non prioritari, per cui il PM, alla data di entrata in vigore, non aveva ancora avanzato richiesta di fissazione della prima udienza.

[53] Nella trattazione delle notizie di reato e nell’esercizio dell’azione penale il pubblico ministero si conforma ai criteri di priorità contenuti nel progetto organizzativo dell’ufficio.

[54] Nel disporre l’avocazione delle notizie di reato nei casi previsti dagli articoli 412 e 421 – bis, comma 2, del codice, il procuratore generale presso la corte di appello tiene conto dei criteri di priorità contenuti nel progetto organizzativo dell’ufficio della procura della Repubblica che ha iscritto la notizia di reato.

[55] Art. 1, 9° comma, lett. c), d), e), legge n. 134/2021.

[56] La completezza delle indagini preliminari esige che il pubblico ministero predisponga un esaustivo quadro probatorio in vista dell’esercizio dell’azione penale:  C. cost. n. 88/1991, cit.; Id.  n. 115/2001.

[57] Per un’analisi completa cfr. MARZADURI, Qualche considerazione, op. cit., 120.

[58] NATALINI, Relazione del Massimario n. 68/2022 relativa alla Disciplina transitoria e prime questioni di diritto intertemporale del decreto legislativo 10 ottobre 2022, n. 150, come modificato dall’art. 6 del decreto-legge 31 ottobre 2022, n. 162, Roma, 7/11/2022.

[59] Lo esclude AMATO, Circolare n. 9119/2022, cit., che osserva come si sia persa una opportunità di ulteriore risparmio di attività inutili.

[60] Per Cass. S.U. 24 giugno 2010 – 29 settembre 2010, n. 33885, Giuliani e altro, Rv. 247834, il difetto di autorizzazione alla riapertura delle indagini determina l’inutilizzabilità degli atti di indagine eventualmente compiuti dopo il provvedimento di archiviazione e preclude l’esercizio dell’azione penale per lo stesso fatto di reato, oggettivamente e soggettivamente considerato, da parte del medesimo ufficio del pubblico ministero.

[61] Così come puntualizzato da Cass. S.U., 22 marzo 2000 – 1° giugno 2000, n. 9, Finocchiaro, Rv. 216004.

[62] Per questa possibilità invece Cass. 17 febbraio 2020 – 06 maggio 2020, n. 13802, Cestaro, Rv. 27899, per la quale l’art. 414 c.p.p. non richiede quale condizione necessaria per l’autorizzazione alla riapertura delle indagini che siano già emerse nuove fonti di prova o che siano acquisiti nuovi elementi probatori, essendo invece sufficiente l’esigenza di nuove investigazioni, circostanza quest’ultima che è configurabile anche nel caso in cui si prospetti la rivalutazione, in un’ottica diversa e in base ad un nuovo progetto investigativo, delle precedenti acquisizioni.

[63] Cass. 2, 13 ottobre 2015 – 22 ottobre 2015, n. 42655, Sabato, Rv. 265128; Cass. S.U., 28 marzo 2006 – 12 aprile 2006, n. 13040, P.M. in proc. Ignoti, Rv. 233198.

[64] Cass. 14 maggio 2019 – 10 settembre 2019, n. 37479, Costanzo, Rv. 277041, per la quale il decreto di archiviazione ha efficacia (limitatamente) preclusiva solo nei confronti dell’autorità giudiziaria che ha provveduto all’archiviazione, in ragione del fatto che l’autorizzazione alla riapertura delle indagini, rimuovendo gli effetti della precedente valutazione di infondatezza della notizia di reato al pari di un atto di revoca, non può che provenire dallo stesso giudice che ha emesso il decreto di archiviazione ed inerire ad un sindacato sul potere di esercizio dell’azione penale di cui è titolare il pubblico ministero presso quell’ufficio giudiziario, sicché nessun ostacolo incontra l’autorità giudiziaria di altra sede a compiere accertamenti su fatti oggetto del provvedimento di archiviazione.

[65] Cfr. Cass. 30 marzo 2021 – 16 giugno 2021, n. 23682, Rv. 281408; Cass. 2, 28 giugno 2018 – 01 febbraio 2019, n. 5220, Alampi, Rv. 276049: nell’ipotesi di reato permanente, qualora la contestazione sia formulata senza indicazione dell’epoca di cessazione della permanenza – c.d. contestazione “aperta”- in difetto di richiesta di riapertura delle indagini a seguito di decreto di archiviazione, il limite temporale della preclusione allo svolgimento delle indagini ed all’esercizio dell’azione penale per gli stessi fatti va individuato non nel momento dell’emissione del decreto di archiviazione dal parte del giudice per le indagini preliminari ma nella data della relativa richiesta formulata dal pubblico ministero, mentre per i segmenti temporali successivi è consentito l’esercizio dell’azione penale per il medesimo titolo di reato, ove sia proseguita la condotta criminosa oggetto dell’originaria contestazione con mutamento della caratteristiche strutturali del reato. (Fattispecie in tema di associazione di tipo mafioso ex art. 416-bis cod. pen.). Si tratta pur sempre di condotte aventi una loro autonoma rilevanza penale rispetto alla cui perseguibilità il prevedere la riapertura delle indagini rispetto ad una archiviazione che abbia riguardato condotte precedenti parrebbe una forzatura.

[66]Cass. 5, 21 marzo 2022 – 11 maggio 2022, n. 18690, Raucci, Rv. 283015.

[67] Per un’analisi del tema cfr. ROSSI, I “criteri di priorità” tra legge cornice e iniziativa delle procure, in Questione Giustizia Rivista trimestrale, 2021/4, 76 e ss.; DI VIZIO, Dall’obbligatorietà dell’azione penale all’obbligatorietà dei criteri di priorità, in Studio di Diritto Penale, Gli Speciali 1/2022, Il Foro Italiano, 269 e ss.; VERZELLONI, Il lungo dibattito sui criteri di priorità negli uffici giudicanti e requirenti, in Arch. pen., n. 3/2014, pp. 815 ss. (https://archiviopenale.it/il-lungo-dibattito-sui-criteri-di-priorita-negli-uffici-giudicanti-e-requirenti/articoli/5018); GALANTINI, Il principio di obbligatorietà dell’azione penale tra interesse alla persecuzione penale e interesse all’efficienza giudiziaria, in Dir. pen. cont., 23 settembre 2019; RUSSO, I criteri di priorità nella trattazione degli affari penali: confini applicativi ed esercizio dei poteri di vigilanza, in Dir. pen. cont., 9 novembre 2016, pp. 4 ss.; sulla concreta applicazione dei criteri, cfr. GRASSO, Sul rilievo dei criteri di priorità nella trattazione degli affari penali nelle delibere del Csm e nelle pronunce della sezione disciplinare, in Foro it., 2015, III, cc. 259 ss. ; FORTELEONI, Criteri di priorità degli uffici di procura, in Magistratura indipendente (web), 8 aprile 2019.

Scarica il pdf

Condividi