Sommario: 1. Dal modello di magistrato al modello di dirigente dell’ufficio giudiziario.  2. Il centro di gravità della figura del dirigente. 3. La gestione partecipata dell’ufficio. 4. La dimensione di servizio.

  1. Dal modello di magistrato al modello di dirigente dell’ufficio giudiziario. 

Per potere adeguatamente discutere sui criteri di conferimento degli incarichi direttivi occorre aprire in ambito associativo una riflessione sul modello di dirigente verso il quale la Magistratura si sta orientando. In via di fatto mi sembra che il modello che si sta delineando risulta sempre più lontano da quello fondato sull’art. 107 comma 3 Cost., in base al quale i magistrati si distinguono fra loro solo per la diversità delle funzioni esercitate. Ciò per via del ruolo e delle funzioni che i capi degli uffici si trovano a svolgere, ruolo che di fatto è stato sempre più snaturato. Viceversa il dirigente deve essere parte essenziale di un progetto di giurisdizione al servizio dei cittadini nell’ambito del quale il ruolo assegnato all’Ordine Giudiziario è quello di garantire l’ordinato svolgimento dei rapporti e la corretta dialettica tra i soggetti sociali; in sostanza il dirigente è chiamato a garantire la funzione della giurisdizione quale luogo di regolamentazione dei conflitti ed affermazione dei nuovi diritti destinati a crescere sempre di più nella società multi globale. In tale direzione è necessario costruire una figura di magistrato dirigente che, nel rispetto dei principi costituzionali che hanno comportato l’abolizione delle forme di selezione previste dalla normativa previgente, sia idonea a rispondere alle sfide dei tempi attuali e non si riduca in una sommatoria di diverse capacità; segnatamente occorre addivenire all’individuazione di un criterio di sintesi fra le diverse capacità necessarie per essere un buon dirigente.

Tutto ciò potrà rappresentare la base culturale per le scelte che competono al C.S.M. ed alla S.S.M. nei rispettivi ambiti del conferimento degli incarichi e della formazione.  Attraverso questa attività culturale, che costituisce una delle principali ragioni di esistere delle correnti della Magistratura, è possibile contribuire, per quel che ci è legittimamente consentito, ad evitare che le scelte dell’autogoverno siano fatte privilegiando a volte una o a volte altre caratteristiche con il rischio concreto di pervenire a scelte incomprensibili e forse in alcuni casi anche arbitrarie.

Al magistrato con incarico direttivo è, in primo luogo, assegnata la dirigenza dell’ufficio con tutte le responsabilità che vi si connettono e che si devono sviluppare sulla base dei criteri guida di imparzialità e buon andamento dell’attività amministrativa di cui all’art. 97 Cost.; quindi ineriscono alla funzione direttiva la rappresentanza dell’ufficio nei rapporti esterni, l’organizzazione e la direzione dell’attività giurisdizionale, essendo, invece, l’organizzazione dei servizi di cancelleria ed in genere dei servizi amministrativi sotto la responsabilità del dirigente amministrativo,  anche con riguardo alla tenuta dei rapporti con il Ministero per quel che concerne le direttive relative ai servizi della giustizia; spetta  al dirigente dell’ufficio adempiere alle delibere del C.S.M., vigilare sull’osservanza da parte dei magistrati dei doveri deontologici e professionali. Vi sono poi tanti altri compiti che le leggi, in materia processuale ed in altre materie, attribuiscono al capo dell’ufficio; sintetizzando si può parlare di compiti di organizzazione della giurisdizione, con riguardo alla materia tabellare, nell’ambito della quale le funzioni di governo della Magistratura, comprendendo in esse anche le connesse funzioni amministrative, vengono dal C.S.M. in parte delegate, oltre che  ai Consigli Giudiziari, anche ai capi degli uffici; vi sono poi i compiti di sorveglianza e vigilanza che sono rilevanti sul piano disciplinare e su quello relativo al controllo su possibili situazioni di incompatibilità; vengono, quindi, in rilievo i compiti di informazione finalizzati all’espressione di pareri ai fini della progressione in carriera dei magistrati.

2. Il centro di gravità della figura del dirigente.

L’ufficio giudiziario nel suo complesso e per esso il suo capo deve essere capace di rispondere alla domanda di giustizia che proviene da un certo territorio; ciò richiede che il dirigente sia, in primo luogo, colui che riesce a sviluppare ed a facilitare la produzione di quelli che vengono chiamati “beni relazionali”; ciò sia all’interno dell’ufficio che con riguardo ai rapporti con gli enti ed i soggetti esterni con i quali l’ufficio giudiziario ogni giorno entra in contatto.  Attorno a questa capacità relazionale devono trovare una sintesi le diverse caratteristiche professionali del dirigente, le quali devono essere indirizzate verso la produzione di relazioni positive e costruttive con tutti i soggetti che si trovano, a qualsiasi titolo, coinvolti nell’attività giudiziaria.  

In questa direzione devono essere intese le disposizioni contenute nella circolare sulle tabelle dedicate al benessere organizzativo, aspetto della vita dell’ufficio giudiziario che per la prima volta, in occasione della circolare sulla formazione delle tabelle degli uffici giudicanti per il triennio 2017 – 2019, ha trovato una regolamentazione nell’ambito della normazione secondaria, regolamentazione confermata nella circolare vigente. In quest’ottica si prevede espressamente che l’organizzazione dell’ufficio deve garantire il benessere fisico, psicologico e sociale dei magistrati. A ciò consegue che al dirigente compete di attivarsi al fine di garantire ai magistrati, ma io direi, unitamente al dirigente amministrativo, a tutto il personale, ambienti e relazioni di lavoro che contribuiscano al miglioramento della qualità della loro vita professionale. Ciò dovrà avvenire garantendo la partecipazione dei magistrati alle scelte organizzative ed ai progetti dell’ufficio, valorizzando le competenze e gli apporti che ciascuno è in grado di dare all’organizzazione.

Appunto la circolare sulle tabelle 2017 – 2019, innovando rispetto al passato, ha previsto espressamente come un compito del dirigente quello di creare e mantenere un clima di relazioni sereno attraverso la valorizzazione delle competenze di ognuno e la partecipazione di tutti ai progetti di innovazione ed in particolare grazie ad un’equa distribuzione dei carichi di lavoro. A questo riguardo il capo dell’ufficio è tenuto ad effettuare un costante monitoraggio dei carichi di lavoro con riguardo alle definizioni ed alle sopravvenienze onde potere tempestivamente individuare situazioni di criticità, in presenza delle quali è necessario avere la capacità di intervenire tempestivamente. Ciò deve avvenire attraverso appositi provvedimenti volti a riequilibrare i carichi di lavoro onde evitare che si verifichino situazioni di significativo ritardo nel deposito dei provvedimenti. A tal fine la circolare sulle tabelle prevede un monitoraggio del rispetto dei termini di deposito dei provvedimenti da effettuarsi con cadenza semestrale, ma forse è meglio predisporre un controllo mensile, onde potere individuare con maggiore tempestività eventuali situazioni di sofferenza. Ove emergano situazioni di criticità, il dirigente deve in primo luogo sentire i magistrati interessati e i relativi presidenti di sezione e quindi adottare le misure organizzative necessarie a porvi rimedio. Dette misure consistono, in primo luogo, nel riequilibrio dei carichi di lavoro o nel ridimensionamento delle competenze della sezione o del settore al quale è addetto il magistrato venutosi a trovare in una situazione di sofferenza. Al di là del dovere di segnalazione disciplinare, che costituisce solo l’aspetto repressivo del problema, il dirigente deve programmare con il magistrato interessato un piano di rientro nei ritardi maturati che sia sostenibile ed esigibile per lo stesso. Ove tali misure si rivelino insufficienti per superare le criticità accertate, dovranno essere adottate da parte del dirigente ulteriori misure organizzative, come il parziale o il totale esonero del magistrato interessato dall’assegnazione di nuovi affari, l’esonero temporaneo da specifiche attività giudiziarie, o la redistribuzione dei processi all’interno della sezione avvalendosi della collaborazione dei magistrati onorari. In sostanza, non solo il dirigente, ma tutti i magistrati della sezione o del settore vengono ad essere direttamente coinvolti e chiamati a contribuire al superamento della situazione di sofferenza e difficoltà in cui può venirsi a trovare un singolo.

3. La gestione partecipata dell’ufficio.

Il dirigente è chiamato a raggiungere il miglior risultato possibile con le risorse umane e strumentali che gli sono state attribuite e nell’ambito del contesto normativo vigente. Per fare ciò egli è chiamato ad essere il leader responsabile di un gruppo di magistrati, altrettanto responsabili; difatti non può pensarsi ad un dirigente isolato dal gruppo in cui è inserito. Al capo dell’ufficio è richiesto di saper essere un vero leader, cioè una persona che è in grado di guidare un gruppo lungo un percorso e verso un obiettivo, nella consapevolezza che il gruppo rappresenta qualcosa in più della semplice somma dei singoli elementi individuali che lo compongono. Il capo deve sapere individuare il valore aggiunto che può derivare dal lavoro in comune e dallo spirito di collaborazione che deve instaurarsi fra i soggetti che compongono il gruppo; ciò è tanto più vero quanto più il dirigente è capace di stabilire fra i componenti dell’ufficio un clima positivo e costruttivo, consentendo a tutti di lavorare meglio sia sotto il profilo quantitativo che sotto quello qualitativo. Difatti un clima negativo e rapporti conflittuali fra gli appartenenti al gruppo è destinato, con tutta evidenza, ad incidere in modo negativo sul rendimento dell’ufficio.

Certo alla costruzione di questo clima positivo e costruttivo devono contribuire tutti e non solo il capo dell’ufficio; occorre che ognuno interpreti il proprio ruolo in modo attivo e sia impegnato concretamente in tutte quelle azioni necessarie per il miglioramento del servizio offerto al cittadino. Il dirigente deve dare l’input iniziale, nel senso che a lui compete in primo luogo comprendere le esigenze degli altri e riuscire a farsi comprendere da tutti, individuando i percorsi più idonei per costruire un ambiente di lavoro sereno ed efficace.

Ciò richiede una conoscenza veramente approfondita delle caratteristiche del tutto peculiari del lavoro giudiziario, delle sue molteplici sfumature e dei numerosi e diversi “mestieri” nei quali si ripartisce l’attività giurisdizionale. Il dirigente deve, in sostanza, essere capace di impostare e coordinare il lavoro giudiziario, ma tutti i magistrati devono sentirsi direttamente coinvolti nella sua attività, nel senso che, non solo ne devono essere consapevoli, ma ne devono, gradualmente, divenire corresponsabili.

Il dirigente deve essere capace di individuare e proporre soluzioni organizzative che assicurino la soddisfazione personale dei magistrati dell’ufficio, fattore che è strettamente collegato alla possibilità di instaurare relazioni positive e costruttive, superando egoismi ed individualismi sempre in agguato in qualsiasi organizzazione complessa. Con queste modalità il dirigente dovrebbe costruire il progetto tabellare e le variazioni più significative, onde rendere lo strumento organizzativo adeguato non solo alle esigenze del servizio, ma anche alle concrete possibilità dei magistrati e del personale. Per conseguire questi obiettivi sono fondamentali le riunioni che il dirigente deve convocare ed è altrettanto fondamentale la sua capacità di saperle preparare e dirigere adeguatamente onde assicurare che le stesse non si riducano in sterili dibattiti di natura tecnica, dovendo invece essere l’occasione concreta per coinvolgere i magistrati nella gestione dell’ufficio.

Oggi il coinvolgimento dei magistrati nelle scelte organizzative dell’ufficio è espressamente previsto nella circolare sulle tabelle e costituisce un loro individuato diritto al quale corrisponde un preciso dovere del dirigente, prevedendosi espressamente che l’inserimento dei magistrati in progetti organizzativi o di innovazione debba avvenire sulla base di regolari interpelli in modo tale da favorire la partecipazione di tutti i magistrati e non solo di quelli prescelti dal capo.

Lo strumento individuato dalla circolare sulle tabelle per ottenere una gestione partecipata è costituito dalla possibilità per il dirigente, di avvalersi di uno o più  magistrati collaboratori, che, cosa fondamentale, vengono scelti, previo interpello fra tutti i magistrati dell’ufficio e seguendo la procedura tabellare e con l’esclusione della possibilità di concedere, in ragione dell’incarico di collaborazione, esoneri dal lavoro giudiziario; la possibilità di avvalersi di tali strumenti è stata molto ridimensionata nell’ultima circolare sulla formazione delle tabelle negli uffici giudicanti con l’intenzione di responsabilizzare il dirigente ed imporgli di avvalersi per ogni incarico di collaborazione dei presidenti di sezione, generalmente, negli uffici di piccole e medie dimensioni, già particolarmente oberati; si tratta, a mio avviso, di una scelta regressiva che comporta, di fatto, il ritorno a moduli e forme troppo burocratiche e che, in particolare, si pone in controtendenza rispetto alla da sempre auspicata gestione partecipata dell’ufficio.

4. La dimensione di servizio.

Occorre recuperare la dimensione di servizio che è insita, come sua componente essenziale, nella funzione direttiva. Gli uffici giudiziari sono, nello stesso tempo, un’amministrazione ed un’istituzione, ma al centro dell’organizzazione di entrambi gli aspetti deve esserci il cittadino.

I nostri uffici sono organizzazioni che rimangono poco connesse tra loro; occorre, invece, creare un coordinamento fra i diversi servizi che fanno capo all’ufficio giudiziario, i quali devono sentirsi unificati dal comune e prioritario obiettivo che è quello di migliorare il servizio giustizia offerto al cittadino. In sostanza deve prevalere la cooperazione, la comunicazione, lo scambio di conoscenze, il senso di comunità. Sulla base di questa premessa appare necessario ridisegnare i processi, ricostruire i ruoli, rivedere l’organizzazione del lavoro, infondere fiducia e così generare motivazione ed impegno anche in assenza di ricompense materiali. In questa direzione il magistrato dirigente deve essere consapevole che l’organizzazione dell’ufficio non riguarda solo il funzionamento dei servizi amministrativi e/o di cancelleria, ma attiene all’intero processo di lavoro e coinvolge il sistema organizzativo complessivo della giurisdizione, unendo insieme magistrati e personale amministrativo. Questa prospettiva è insita nelle disposizioni normative e regolamentari attinenti all’istituzione ed al funzionamento degli uffici per il processo; il dirigente, in primo luogo ed insieme a lui tutti i magistrati dell’ufficio, sono chiamati a rispondere ad una nuova sfida: rendere efficace ed efficiente il modulo organizzativo ufficio per il processo, finalmente dotato di risorse effettive ed attraverso esso conseguire, in primo luogo, gli obiettivi dell’aumento di produttività dell’ufficio e di riduzione dell’arretrato in attuazione di quanto previsto nel d.l. n. 80 del 2021 convertito nella l. n. 113 del 2021, obiettivi entrambi connessi al rispetto del principio della ragionevole durata del processo.

Infine, è fondamentale che il capo continui ad essere e sentirsi prima magistrato e poi dirigente, il che comporta il sapere essere non egocentrici; solo in questo modo il dirigente potrà essere il primo difensore dell’autonomia e dell’indipendenza dei suoi magistrati; così potrà, non solo adempiere ad un suo fondamentale dovere istituzionale, ma si renderà promotore ed artefice di quel clima positivo e costruttivo a cui si è fatto riferimento, nell’ambito del quale magistrati e personale possono operare con serenità potenziando le loro capacità professionali.

Il dirigente ancora è chiamato ad essere dinanzi a tutti i magistrati, ma anche nei confronti degli utenti del servizio giustizia, il garante del rispetto delle regole e del rispetto degli impegni assegnati a ciascuno, impegni che devono poter essere mantenuti da tutti i magistrati onde creare e mantenere il clima di fiducia e rispetto reciproco necessario per il buon andamento dell’ufficio. In proposito occorre sapere essere difensori adeguati rispetto alle aggressioni che possono colpire alcuni, ma nello stesso tempo è necessario saper essere adeguati censori di quelli che non lavorano abbastanza, pur essendo stati messi nelle condizioni di poterlo fare; occorre saper essere i garanti della qualità del lavoro giudiziario che, in ragione della natura degli interessi coinvolti, non deve mai scendere al di sotto di un certo livello. Bisogna essere capaci di intervenire per rimuovere criticità e superare eventuali momenti di crisi nei rapporti fra magistrati dell’ufficio o nei rapporti con il personale amministrativo.

Infine, proprio intendendo il conferimento di un incarico direttivo come una funzione aggiuntiva che viene conferita al magistrato e non una semplice tappa di un cursus onorum verso funzioni considerate più prestigiose, è necessario prevedere la temporaneità dell’incarico valorizzando gli strumenti di verifica dell’operato del dirigente anche ai fini della conferma o del conferimento di nuovi incarichi.

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