Con l’ordinanza 33193/23 pubblicata in data 29.11.23, la Suprema Corte di Cassazione ha operato importanti distinguo con riferimento all’affido dei minori ai Servizi Sociali, indicando le ipotesi in cui è più opportuno parlare di interventi di sostegno e supporto alle famiglie, rispetto a quelle in cui più propriamente può configurarsi un affido al Servizio Sociale.

In particolare, è stato evidenziato, che laddove l’affiancamento dei Servizi al nucleo familiare non si accompagni ad un provvedimento ablativo o limitativo della responsabilità genitoriale, tale affiancamento si configura quale intervento di supporto e sostegno, nell’ottica di ampliare le risorse di cui dispone il nucleo familiare e di esercitare anche un’attività di monitoraggio e vigilanza sul nucleo medesimo.

In tali casi, precisa la Corte, l’intervento dei Servizi deve qualificarsi come “mandato di vigilanza e supporto”, essendo  comunque  garantita la libertà dei genitori di autodeterminarsi in relazione alle scelte che riguardano i minori, risolvendosi il ruolo dei Servizi, in un’attività di sostegno, prevista laddove si riscontrino all’interno del nucleo familiare criticità e disfunzionalità di gravità non tale da rendere necessari provvedimenti ablativi o limitativi della responsabilità genitoriale.

Nell’ipotesi in cui vengano  adottati provvedimenti che escludano, in tutto o in parte la responsabilità genitoriale, può configurarsi, invece, un vero e proprio  affido ai Servizi Sociali, con conseguente trasferimento a quest’ultimo di una sfera più o meno ampia dei poteri/doveri legati all’esercizio della responsabilità genitoriale, proporzionato al  grado di incidenza del provvedimento sulla potestà in capo ai genitori.

In siffatte ipotesi, prosegue la Corte,  anche nel regime previgente alla entrata in vigore dell’art.5 della Legge 184/83, occorre che siano specificamente descritti i compiti dei Servizi, “ in relazione a quelli che sono i doveri e i poteri  sottratti all’ambito  della responsabilità genitoriale e distinti dai compiti che sono eventualmente  demandati al soggetto collocatario se questi è persona diversa dai genitori” . Tali provvedimenti, in quanto comportano una limitazione della responsabilità genitoriale, sono emanati previa nomina del Curatore speciale, i cui compiti, evidenzia la Corte, vanno pure precisati.

Nella pronuncia in esame La Corte non esclude che il Giudice possa adottare  misure cosiddette “atipiche” a tutela del minore, che possano in qualche modo contemplare un’attività di supporto dei Servizi al nucleo familiare, ma precisa che possa ipotizzarsi un affido al Servizio, solo laddove i compiti del Servizio siano “sostitutivi delle attribuzioni genitoriali e non anche integrativi  o additivi delle stesse, potendosi in quest’ultimo caso, più appropriatamente  parlarsi di mandato di vigilanza e supporto”.   

La pronuncia de qua, appare significativa poiché fa chiarezza sul diverso atteggiarsi del ruolo dei Servizi Sociali, in termini di supporto/vigilanza, laddove non vengano contestualmente adottati interventi ablativi o limitativi della responsabilità genitoriale, o in termini di affido vero e proprio, laddove, a seguito dell’adozione di un provvedimento de potestate, il servizio subentri anche nel potere di assumere scelte nell’interesse dei minori.

In entrambi i casi, è necessario circoscrivere  i limiti dei poteri dei Servizi Sociali, evitando le cosiddette deleghe in bianco, censurate più volte anche dalla giurisprudenza della CEDU, indicando compiutamente,  specie nel caso di affido vero e proprio, i poteri che residuano in capo ai genitori ed al curatore.

Le precisazioni poc’anzi esposte, si pongono in linea con quanto previsto dall’art. 473 bis  7, applicabile ratione temporis ai procedimenti  instaurati dopo il 28.02.23, che prevede la nomina di un tutore, nei casi di sospensione o decadenza della responsabilità genitoriale e del curatore nei casi di limitazione, nonché la necessità di indicare espressamente gli atti che curatore, genitori e collocatario (se diverso dai genitori) possano compiere.

Nell’ottica di circoscrivere e delimitare l’operato dei Servizi Sociali, si pone, altresi’, l’art. 473 bis a norma del quale i Servizi, nelle relazioni loro demandate dall’autorità giudiziaria, devono distinguere  i fatti accertati e le dichiarazioni rese dalle parti, dalle valutazioni formulate dagli operatori, rimarcandosi in tale modo la necessità che sia solo l’organo giudicante ad assumere le decisioni finali in ordine agli assetti familiari, previa valutazione dell’intero materiale istruttorio presente negli atti.

Invero, se nel corso del giudizio Giudice  può avvalersi dell’operato dei Servizi, per meglio conoscere la realtà di un determinato nucleo familiare, in sede di decisione, deve valutare l’attendibilità della relazione unitamente agli altri elementi probatori di cui dispone, specie nell’ipotesi in cui non vi sia da parte dei Servizi una lunga conoscenza del nucleo familiare in oggetto, risolvendosi, talvolta, l’operato dei Servizi in singoli ed episodici accessi all’interno del domicilio delle parti.

Analogamente, nel caso di affido ai Servizi Sociali o di previsione di un percorso di supporto alla genitorialità ai medesimi demandato, l’autorità giudiziaria deve necessariamente delimitare ed indicare i poteri del Servizio, atteso che diversamente opinando, ci si troverebbe di fronte ad una delega in bianco, o quasi, a gestire l’intera vicenda, data ad un’autorità amministrativa, la quale per sua natura opera al di fuori delle garanzie della giurisdizione.

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