Sommario: 1. Introductio in questionem; 2. La scissione del dogma: l’extranues nel delitto di autoriciclaggio; 3. Nuova linfa per l’unità? Rapporti tra estorsione e ragione fattasi; 4. La moderna colpevolezza e il superamento dell’unitarietà nei delitti ex art. 73 commi 1 e 4 e 73 comma 5 TU Stupefacenti; 5. Conclusioni

  1. Introductio in questionem

Con informativa del 15.12.2023 le Sezioni Unite hanno risposto in maniera affermativa al quesito posto dall’ordinanza n. 32320 del 25.07.2023 della IV Sez. così  formulato “se, in tema di concorso di persone nel reato di detenzione o cessione di sostanze stupefacenti, il medesimo fatto storico possa essere o meno qualificato  ai sensi dell’art. 73 comma 1 o 4, d.p.r. 9/10/1990 n. 309, nei confronti di alcuni concorrenti e contemporaneamente ricondotto nell’ambito dell’art. 73 comma 5, nei confronti di altri

Dopo un primo rigetto ad un quesito analogo[1], il massimo consesso nomofilattico statuisce, dunque, su una questione specifica ma di ampio respiro e terreno di antichi contrasti che coinvolgono le fondamenta dell’istituto del concorso eventuale di persone nel reato e, nello specifico, la natura unitaria o differenziata del reato plurisoggettivo.

Il procedimento penale origina da una iniziale contestazione ex art. 74 D.P.R. 309/1990 (T.U. Stupefacenti) dalla quale sono gemmate alcune riqualificazioni ai sensi ai sensi dell’art. 73 co. 1 e 4 per alcuni imputati e co. 5 per altri. Da qui la doglianza relativa proprio alla mancata riqualificazione in tal senso per tutti i concorrenti.

2. La scissione del dogma: l’extranues nel delitto di autoriciclaggio

In disparte l’atavico dibattito circa la configurabilità del concorso nel reato di persone sorrette da diverso atteggiamento psicologico e, segnatamente, sulla sostenibilità di un concorso doloso nel delitto colposo e di uno colposo nel delitto doloso[2], la scindibilità dell’unicum concorsuale è stata analizzata anche con riguardo all’unità nel fatto. L’esempio paradigmatico è incentrato sui rapporti tra il soggetto imputato del delitto di autoriciclaggio ex art. 648ter1 c.p. ed il professionista che coadiuva il primo in tali attività. Sul punto è ormai acquisito l’insegnamento della nota sentenza Tucci per cui “in tema di autoriciclaggio, il soggetto che, non avendo concorso nel delitto-presupposto non colposo, ponga in essere la condotta tipica di autoriciclaggio o contribuisca alla realizzazione da parte dell’autore del reato – presupposto delle condotte indicate dall’art. 648-ter.1 cod.pen., risponde di riciclaggio e non di concorso nel delitto di autoriciclaggio essendo questo configurabile solo nei confronti dell’ intraneus”. In tal caso il grimaldello argomentativo illumina la categoria dei reati a soggettività ristretta – a cui appartiene il reato di autoriciclaggio –nei quali la condotta tipica va posta in essere solo e soltanto dall’esecutore materiale.

A questo punto, ci si chiede come spiegare la circostanza per cui il professionista –extranues –– risponda per un reato diverso (art. 648bis c.p.)  rispetto a quello a cui ha effettivamente preso parte (art. 648ter1 c.p.). Ciò trova spiegazione proprio nell’inoperatività della forza unificante degli artt. 110 e 117 c.p. in ragione della non comunicabilità della condizione dell’auto-riciclatore all’extranues/professionista pur consapevole della qualifica del primo[3]. Più dettagliatamente, la dottrina suggerisce che la realizzazione plurisoggettiva vada letta attraverso la lente del concorso apparente di norme, declinato all’interno di una complessa fattispecie concorsuale sì da giustificare la coesistenza di titoli diversi. In altri termini il criterio risolutivo del conflitto è rinvenuto nei noti criteri dell’assorbimento o della sussidiarietà, non essendo, quindi, delineabile un rapporto di specialità unilaterale in astratto ex art. 15 c.p. tra riciclaggio e autoriciclaggio.

3. Nuova linfa per l’unità? Rapporti tra estorsione e ragione fattasi

Se quanto sopra è vero, un recente arresto delle Sezioni Unite ha interrogato la dottrina su un eventuale ritorno in auge del “dogma”. La questione riguarda i rapporti – in termini concorsuale-differenziato- tra i reati di ragion fattasi -art. 393 c.p. – ed estorsione – art. 629 c.p. – e, nello specifico, del titolo cui dovrebbe rispondere il soggetto che con violenza riscuote il credito su mandato del titolare del preteso diritto.

Sul punto, la nota pronuncia Filardo (SSUU n. 29541/2020) ha valorizzato il diverso atteggiarsi dell’elemento psicologico come discrimine tra l’una e l’altra fattispecie. In breve: data la natura di reato proprio esclusivo della fattispecie di cui all’art 393 c.p. e dello specifico elemento soggettivo all’uopo richiesto, si assume che l’ipotesi concorsuale sia ammissibile laddove vi sia un intervento consapevolmente solo facilitatore dell’esercizio del preteso diritto. Contrariamente, il “facilitatore” risponderebbe del più grave reato di estorsione.  In tal caso, però, – ed è questa la controdeduzione logica che rivitalizzerebbe il “dogma” – sarebbe l’asserito creditore a rispondere, in concorso eventuale, col “facilitatore” proprio del reato di estorsione, quasi che il proprio atteggiamento psicologico venisse assorbito in quello dell’-allora- estorsore.  Per tali ragioni, diversi commentatori hanno ritenuto che l’argomentato del Supremo collegio non potesse che presupporre la necessaria unitarietà del reato, non ritenendo ammissibile, nel caso di specie, un’imputazione diversificata tra i due correi per il medesimo fatto[4]. In tal senso, taluni, con velato piglio critico, hanno osservato come, in realtà, proprio la species facti della Filardo costituisca l’archetipo della teoria dell’accezione plurisoggettiva differenziata: stesso fatto storico- condotte teologicamente orientate al fatto medesimo – elementi psicologici diversi che integrano di per sé fattispecie diverse[5].

Sennonché, v’è da dirsi come nel caso Filardo l’applicazione orizzontale e integrale del meccanismo concorsuale è giustificato dalla circostanza che il reato di cui all’art.393 c.p. non è considerato “di mano propria”. Difatti, i due casi si distinguono proprio in relazione alla natura del concorso e alla tipizzazione delle condotte. La distinzione tra i due reati, invero, è essenzialmente di tipo psicologica e il concorso conserva la sua funzione caratterizzante anche quando un partecipe compie un atto tipico. Contra, nell’ipotesi dell’art. 73 coo. 1 e 4 e 75 co. 5, si hanno due condotte tipiche materialmente diverse e già di per sé autonome, per le quali, pertanto, non si pone un problema di vincolo concorsuale che le qualifichi reciprocamente[6].

4. La moderna colpevolezza e il superamento dell’unitarietà nei delitti ex art. 73 commi 1 e 4 e 73 comma 5 T.U. Stupefacenti 

Ciò detto, il caso di specie. L’art. 73 TU prevede un delitto a condotta mista alternativa; il legislatore del 2013 ha però reso autonomo la fattispecie di cui al co. 5 qualora “per i mezzi, le modalità o circostanze dell’azione” gli stessi fatti di cui ai commi 1 e 4 risultinodi lieve entità. La questione subito sorta è fino a quanto un giudizio sulla levitas – quindi ti tipo offensivistico- emancipi una diversa imputazione per il singolo concorrente.

Ebbene, si è sostanzialmente concordi, sul fatto che le due disposizioni si pongano in rapporto di specialità, sì che in assenza di un giudizio di offensività, la condotta verrebbe riattratta nella più generale categoria ex art 73 co. 1 e 4. Proprio la valorizzazione del criterio di specialità ex art. 15 c.p. risulterebbe, allora, determinante in punto di diversificazione dei titoli di reato tra i concorrenti.

D’altra parte, un chiaro indice rilevatore della differenziazione si evince dalla diversità delle attività alternative che integrano la fattispecie di cui all’art. 73 TU, e che, difatti, si riflette nel diverso ruolo assunto dagli imputati del caso di specie: soggetti entrambi apicali “della piazza di spaccio” che si servivano di collaboratori per la vendita al dettaglio della sostanza.

Ora, come nel caso Tucci, se per un verso la condotta del “gestore” (della piazza) va sussunta entro l’art. 73 co. 4, per altro verso la stessa sembrerebbe integrare, come contributo morale valido ex art. 110 c.p., quella tipica ex art. 73 co. 5 materialmente assunta dai “dettaglianti”. Ecco, allora, che si scorge – di nuovo – lo schema del concorso apparente – la detenzione illecita posta in essere dai “gestori” (comma 4), il concorso nella vendita eseguita da altri ma su richiesta dei primi (comma 5) – e, per questa via, quello della diversificazione dei titoli di reato.

Sennonché, l’argomento così impostato potrebbe infrangersi con l’assunto, tendenzialmente pacifico, che non ammette scissioni di sorta del titolo per reati che siano congegnati come a condotta monosoggettiva (proprio il caso di specie)[7].

Ecco che, allore, ai presenti fini è essere utile rivolgere lo sguardo al filtro dei principi generali del moderno diritto penale. Come osservato dall’Avvocato Generale[8], risulta imprescindibile partire dall’art. 27 Cost. e “all’insostituibile valore della colpevolezza «come essenziale requisito subiettivo (minimo) d’imputazione uno specifico rapporto tra soggetto (…) e fatto considerato nel suo <integrale> disvalore antigiuridico […][9]” “nonché al principio di concreta offensività, che si pone «come criterio interpretativo-applicativo affidato al giudice (…) nella verifica della riconducibilità della singola fattispecie concreta al paradigma punitivo astratto»[…][10]

Ebbene, saldare i titoli di reato in un unicum inscindibile sfruttando i meccanismi di cui agli artt. 116 e 117 c.p. si porrebbe in diretta frizione con i principi sopra cennati.

Fallace sarebbe, poi, ricorrere a tali norme proprio in riferimento al caso dell’art. 73 TU poiché: con riguardo all’art. 116 c.p. il dettagliante – concorrente lieve – non sarebbe concorrente atipico della condotta – non voluta – del gestore; rispetto all’art.117, sarebbe inaccettabile che il contravventore lieve ex art. co. 5 venisse attratto della più grave condotta del co. 4, pur in assenza di rapporti con l’offeso o di condizioni personali dell’altro concorrente.

Giunti a questo punto, la disamina affronta l’ultimo aspetto possibile dell’unitarietà e connessa al concorso nel fatto e limitata “all’esigenza che i partecipi contribuiscano alla stessa offesa tipica sotto un profilo essenzialmente causale, senza che ciò comporti alcuna conseguenza in ordine alla punibilità, al titolo di reato e alla forma dell’elemento psicologico[11].

Di fatti, al di là dell’etichetta, si riconosce al co. 5 art. 75 una capacità auto-perimetrativa alimentata proprio dal rilevo della minima offesa ed il cui accertamento si fonda sulla complessiva valorizzazione del contesto concreto in cui la condotta si cala[12]. Quindi, già il solo –rigoroso- accertamento della levitas[13] disvela la piena autonomia del (diversificato) tipo.

Ecco che, allora, diverrebbe arduo consentire che una così palmare singolarità possa perdersi “nell’unità del concorso del reato” (e) “diluirsi per il solo fatto di una sua contestazione in concorso, che nulla aggiunge alla sua tipizzazione che risulta del tutto estrinseco ad essa[14]”.

Proprio l’elemento specializzante del co. 5, rispetto alla generalità dei coo. 1 e 4, consente di superare indenne lo stress test del fatto concorsuale, risultando, la plurisoggettività, una circostanza pressoché neutra.

Date tali premesse, non vi sarebbero dubbi nell’ammettere un’imputazione in concorso differenziata, in applicazione del – proposto – principio di diritto suggerito dalla Procura Generale: “«In tema di concorso di persone nel reato di detenzione o cessione di sostanze stupefacenti, il medesimo fatto storico può essere qualificato ai sensi dell’art. 73, comma 1 o 4, d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309 nei confronti di alcuni concorrenti ed al contempo essere ricondotto nell’ambito della qualificazione dell’art. 73, comma 5, nei confronti di altri

5. Conclusioni

Appare evidente come la questione di specie costituisce (ulteriore) conferma dell’ormai più che avviato superamento del “dogma” dell’unitarietà del reato. Tuttavia, preme sottolineare non tanto il risultato, quanto il percorso che potrebbe ispirare le Sezioni Unite (nel momento in cui si scrive non si ha ancora contezza delle motivazioni); è la moderna concezione della colpevolezza a farsi leva per superare ogni barriera e rigidità dogmatica (e gli esempi in proposito sono molteplici[15]); tuttavia – e questo è l’aspetto che si intende evidenziare – “superamento” come “evoluzione” e non “distruzione”; come indice di tendenze innovative, non innovativiste, sì da evitare che ad un automatismo se ne sostituisca un altro uguale e contrario (cosa che si sarebbe verificata, ad esempio, nel citato ma diverso, caso della sent. Filardo).

Ancora una volta, al di là dei delle fluttuazioni della casistica, è la lente dei principi generali che orienta e deflette la potestà punitiva dal mero fatto storico alla effettiva condotta della persona per come esplicata in esso, in un’ottica più marcatamente sostanziale, soggettiva e individualizzante.


[1] Cass. Sez III ord. n. 20563 del 2022

[2] Questione non del tutto sovrapponibile all’odierno caso e per la quale si rinvia alle statuizioni espresse da Cass. Sez. IV sent. n. 7032 del 2019 che ha da un lato negato cittadinanza al concorso colposo in delitto doloso, dall’altro l’ha accordata al concorso doloso in delitto colposo.

[3] Cfr. SEMINARA, Tecniche normative e concorso di persone nel reato, Giuffrè, 1987 p. 394 e MUCCIARELLI, 2015 Qualche nota sul delitto di autoriciclaggio, in Dir. pen. cont.,

[4] Ex multis Piccardi, 2021, Le Sezioni Unite individuano il discrimen tra l’esercizio arbitrario delle proprie ragioni e l’estorsione, Cass. Pen., 1, pag. 62

[5] Morelli, 2023 Diversi titoli di reato per un medesimo fatto concorsuale? Il rompicapo della disciplina del concorso eventuale di persone nel reato: osservazioni a margine di Cass. Sez. III, ord. n. 20563 del 12 maggio 2022, in Archivio Penale n. 1 pag.23.

[6] Memoria della P.G. della Corte di cass. per l’ud. del 14.12.2023 Rg. 27140/2023

[7] Cfr., da ultimo, Cass., Sez. III sent. n. 3323 del 2022

[8] Memoria cit.

[9] Corte Cost. sent. n. 364 del 1988

[10] Corte Cost., sent. n. 207 del 2023

[11] Cass. Sez. IV sent. n. 7032 del 2019 cit.

[12] SSUU sent. n. 51063 del 2018

[13] Cass. Sez. IV sent. 9082 del 1996

[14] Memoria cit.

[15] Si pensi a Corte Cost. sent. 222 del 2018 in materia di pene fisse e rime obbligate o al graduale smantellamento dei divieti posti dal combinato disposto tra gli artt. 69 co. 4 e 99 co. 4 c.p.

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