Premessa di Mirella Cervadoro

Si propone all’attenzione dei lettori l’ampia relazione di Grazia Corradini, nell’ambito dell’Evento di Fondazione del Laboratorio TRIBHUB nelle Corti di Giustizia Tributaria della Sardegna (che fa parte del PROGRAMMA OPERATIVO NAZIONALE GOVERNANCE E CAPACITA’ ISTITUZIONALE 2014-2020 (Assi 5-6-7 – REACT – EU) Progetto “PRO.DI.GI.T.” “PRO.DI.GI.T.: nuove, buone, prassi nelle Corti di Giustizia Tributaria” finanziato dal PNRR). Il Progetto Prodigit è un Progetto che si occupa di Intelligenza Artificiale e di Giustizia predittiva ed è finanziato con i fondi del PNRR.

Il tema affrontato dalla relazione sulla proposta di “Modifica dello Statuto dei Diritti del Contribuente”, è di grande attualità perché, recentemente,  il Consiglio dei Ministri ha inviato al Parlamento la bozza in vista della approvazione del decreto delegato di modifica dello Statuto dei diritti del contribuente.

FONDAZIONE DEL LABORATORIO TRIHUB NELLE CORTI DI GIUSTIZIA TRIBUTARIA DELLA SARDEGNA
EVENTO DI PRESENTAZIONE E FONDAZIONE
CAGLIARI 29 NOVEMBRE 2023

RELAZIONE DI GRAZIA CORRADINI
Garante del contribuente della Regione Sardegna- già Presidente della Commissione Tributaria Provinciale di Cagliari

Lo statuto dei diritti del contribuente o statuto del contribuente, come è noto, indica, nell’ordinamento giuridico italiano, una serie di disposizioni normative a tutela dei contribuenti nei confronti del fisco.

Le disposizioni sono state introdotte per la prima volta dalla legge 27 luglio 2000, n. 212 che ha avuto successive modifiche.

Alcuni principi fondamentali contenuti nella legge fin dal 2000 sono:

  1. l’irretroattività, già contemplata nel diritto penale e che viene estesa anche al contenzioso tributario ai sensi del principio in base al quale l’efficacia di una norma tributaria decorre successivamente alla sua approvazione e pubblicazione;
  2. il principio no taxation without representation, ai sensi del quale non si possono estendere tributi esistenti o imporre nuovi tributi per decreto, senza una votazione parlamentare (art. 4);
  3. la statuizione di termini perentori a pena di nullità per la notifica, la prescrizione e la produzione di documenti (minimo 30 gg);
  4. la limitazione dell’onere della prova, per cui è nulla ogni norma che obbliga il contribuente a tenere prova dei pagamenti per un periodo superiore a dieci anni (art. 8, comma 3); l’amministrazione tributaria non può chiedere al cittadino di produrre documenti o informazioni di cui sono già in possesso altri organi della pubblica amministrazione; deve concedere almeno 30 giorni per produrre qualsiasi documentazione;
  5. il principio di correttezza e buona fede, ai sensi del quale non possono essere irrogate sanzioni se non in presenza di violazioni sostanziali, ossia se non esiste debito d’imposta o se i ritardi dipendono da errori dell’amministrazione oppure da un’oggettiva incertezza della legge.

Occorre subito precisare che la legge 27 luglio 2000, n. 212 è una legge ordinaria che ha l’obiettivo di porsi come guida ai fini dell’interpretazione della normativa tributaria: eventuali deroghe o modifiche possono avvenire solo in maniera espressa – quindi non tacita – e tramite leggi aventi carattere generale e mai speciale, al fine di garantire l’omogeneità e la coerenza della normativa in essa disposta.

All’art. 1, comma 1 viene disposto che le disposizioni della presente legge, in attuazione degli artt. 3, 23, 53 e 97 della Costituzione, costituiscono principi generali dell’ordinamento tributario e possono essere derogate o modificate solo espressamente e mai da leggi speciali. È inoltre contemplata la chiarezza e trasparenza delle disposizioni tributarie nell’art. 2.

Così come avviene nel diritto penale, lo statuto prevede la non retroattività della norma. Viene affermato un principio fondamentale che attiene alla prescrizione dei termini. L’ultimo comma dell’art. 3 avverte che i termini di prescrizione e di decadenza per gli accertamenti di imposta non possono essere prorogati. Non si possono disporre con decreto-legge l’istituzione di nuovi tributi né prevedere l’applicazione di tributi esistenti ad altre categorie di soggetti (art.4).

L’amministrazione finanziaria deve informare il contribuente assumendo idonee iniziative volte a consentire la completa e agevole conoscenza delle disposizioni legislative e amministrative vigenti in materia tributaria (art. 5).

La conoscenza degli atti e della semplificazione normativa è contemplata dal successivo art. 6, ai sensi del quale sono poste a carico dell’amministrazione finanziaria diversi obblighi quali la chiarezza degli atti redatti nei confronti del contribuente. A quest’ultimo non possono, in ogni caso, essere richiesti documenti ed informazioni già in possesso dell’amministrazione finanziaria o di altre amministrazioni pubbliche indicate dal contribuente. Tali documenti ed informazioni sono acquisiti ai sensi dell’art. 18, commi 2 e 3, della legge 7 agosto 1990, n. 241, relativi ai casi di accertamento d’ufficio di fatti, stati e qualità del soggetto interessato dalla azione amministrativa.

Fondamentale risulta essere l’art. 7 che prevede la chiarezza e la motivazione degli atti di accertamento pena la nullità dell’atto stesso. È confermato il principio che, se un atto ne richiama un altro, quest’ultimo deve essere allegato all’atto che lo richiama; in alternativa, è possibile riprodurre il contenuto essenziale dell’atto richiamato all’interno dell’atto che effettua il richiamo.

È disciplinata la tutela dell’integrità patrimoniale all’art. 9 e l’affidamento della buona fede all’art. 10. Il comma 1 recita che i rapporti tra contribuente e amministrazione finanziaria sono improntati al principio della collaborazione e della buona fede.

L’art. 10-bis, introdotto nel 2016, definisce la disciplina generale dell’elusione fiscale (o abuso del diritto). Per questa s’intende una o più operazioni prive di sostanza economica che, pur nel rispetto formale delle norme fiscali, realizzano essenzialmente vantaggi fiscali indebiti. È necessario il raggiungimento di un profitto indebito, che deve risultare prioritario rispetto a tutti gli altri scopi del contribuente e che consiste nell’assenza di corrispondenza dell’operazione compiuta rispetto agli obiettivi prefissati dalle leggi fiscali che la regolano; occorre inoltre che quest’ultimo sia riuscito ad aggirare la norma di legge. Con l’intervento della riforma del 2015 è stata esclusa la sanzionabilità penale delle condotte elusive ed è stata esplicitata invece quella amministrativa: prima del 2015 si riteneva che fossero penalmente rilevanti soltanto i comportamenti elusivi e non quelli abusivi. Si trattava di una ricostruzione fondata su norme sì presenti nel nostro ordinamento, ma per fini diversi da quelli penali. La riforma del 2015 mira quindi a superare l’ambigua distinzione tra elusione e abuso del diritto tramite un’esplicita equiparazione dei due concetti e con la conseguente abrogazione dell’art. 37 bis D.P.R 600/1973. Nel quadro normativo post riforma del 2015, i rapporti tra il campo di applicazione dell’abuso del diritto e l’intervento penale sono improntati alla “mutua esclusione”. Ciò significa, quindi, che, se la condotta ha una qualche rilevanza penale, allora non può essere contestato l’abuso del diritto, il quale potrà essere punito solo con sanzioni amministrative.

Con l’art. 11 viene introdotta una nuova disciplina dell’interpello. È data la possibilità a ciascun contribuente di inoltrare per iscritto all’amministrazione finanziaria, che deve rispondere entro centoventi giorni, circostanziate e specifiche istanze di interpello concernenti l’applicazione delle disposizioni tributarie a casi concreti e personali, qualora vi siano obiettive condizioni di incertezza sulla corretta interpretazione delle disposizioni stesse. La presentazione dell’istanza non ha effetto sulle scadenze previste dalla disciplina tributaria. Qualora la risposta non pervenga al contribuente entro 120 giorni dall’inoltro della domanda – s’intende che l’amministrazione concorda con l’interpretazione o il comportamento prospettato dal richiedente.

L’art. 12 disciplina minuziosamente i diritti e le garanzie del contribuente sottoposto a verifiche fiscali. Dal tempo massimo di permanenza degli operatori civili o militari dell’amministrazione finanziaria, dovuta a verifiche presso la sede del contribuente, che non può superare i trenta giorni lavorativi, prorogabili per ulteriori trenta giorni nei casi di particolare complessità dell’indagine individuati e motivati dal dirigente dell’ufficio, ai tempi e modo di accesso, che devono avvenire durante l’orario ordinario di esercizio delle attività e con modalità tali da arrecare la minore turbativa possibile allo svolgimento delle attività stesse nonché alle relazioni commerciali o professionali del contribuente. È concessa la possibilità che su richiesta del contribuente, l’esame dei documenti amministrativi e contabili possa essere effettuato nell’ufficio dei verificatori o presso il professionista che lo assiste o rappresenta.

L’art. 13 istituisce la figura del Garante del contribuente. che provvede su richiesta del contribuente ad accertare se effettivamente vi siano state violazioni perpetrate dai Funzionari civili o militari dell’amministrazione finanziaria. Sono enunciati tutti i poteri che tale figura ha per poter espletare il compito affidatogli.

I restanti articoli (artt. 14-21) trattano delle garanzie ai contribuenti all’estero e del codice di comportamento per il personale addetto alle verifiche tributarie.

La legge n. 212 del 2000 tenta di porre il contenzioso tributario in analogia al diritto penale per la forte procedimentalizzazione in tema di termini perentori ed efficacia immediatamente esecutiva degli atti. Oltre ad aspetti procedurali, sorgono analogie nel merito: non-retroattività, interpretazione rigida delle norme (in merito alle sanzioni), obbligo di pubblicazione, correttezza e buona fede. Tuttavia manca nell’impianto dello statuto del contribuente del 2000 l’affermazione del principio per il quale l’onere della prova è di chi accusa: dell’amministrazione se iscrive a ruolo dei debiti di imposta; del cittadino, se chiede un rimborso. Manca inoltre un’interpretazione rigida delle norme tributarie nel merito dei debiti di imposta iscrivibili a ruolo, nel senso che in caso di dubbi interpretativi, non chiariti nei termini del contenzioso da successive disposizione normative, si dovrebbe applicare l’interpretazione più favorevole al contribuente, mentre, nell’impianto dello statuto del 2000 è soltanto prevista l’assenza di sanzioni se la norma è di dubbia interpretazione.

Risulta inoltre assente anche un principio di proporzionalità fra sanzione (la pena) e la gravità del “reato”, solo parzialmente rimediata da una sentenza della Cassazione che vieta il pignoramento di beni immobili per somme iscritte a ruolo inferiori ai 10.000 euro.

E’ stato sempre sostenuto che, essendo una norma di rango primario, lo statuto del contribuente resta derogabile da qualsiasi norma tributaria ordinaria successiva, in base al principio lex posterior derogat legi priori.

La Corte di Cassazione ha più volte ribadito la sua natura di fonte del diritto primaria per i principi sanciti, rispetto a norme tributarie ordinarie, però nell’attuazione pratica ben poco cambia.

L’Associazione Nazionale Commercialisti ha proposto di elevare lo Statuto dei diritti del contribuente a legge costituzionale però il legislatore non ha mai risposto a tale sollecitazione.

Dal suo canto il diritto vivente costituito dalla giurisprudenza consolidata della Corte Suprema di Cassazione ha sempre, fino all’attualità, affermato che il cd. Statuto del contribuente non ha rango superiore alla legge ordinaria e, pertanto, le norme tributarie possono addirittura essere modificate retroattivamente, anche in senso sfavorevole, purché ciò avvenga in modo razionale, nei limiti della proporzionalità e nel perseguimento di interessi pubblici (v. Cass. Sez. 5 -, Ordinanza n. 11077 del 09/05/2018 (Rv. 648063 – 01): “L’art. 3, comma 11, della l. n. 448 del 1998 ha abrogato, con decorrenza dal 1° gennaio 1999, l’art. 2, commi 210 e 213, della l. n. 662 del 1996, sicché il credito d’imposta per l’avvio di attività produttive o professionali ivi attribuito non spetta per le annualità successive al 1998, non sussistendo alcun diritto soggettivo perfetto dell’interessato a godere dell’agevolazione né potendo lo stesso vantare un legittimo affidamento, in quanto il cd. Statuto del contribuente non ha rango superiore alla legge ordinaria e, pertanto, le norme tributarie possono essere modificate retroattivamente, anche in senso sfavorevole, purché ciò avvenga in modo razionale, nei limiti della proporzionalità e nel perseguimento di interessi pubblici”; v., ancora Cass. Sez. 5 -, Ordinanza n. 5733 del 09/03/2018 (Rv. 647279 – 01). “In materia di agevolazioni tributarie, non contrasta con il principio di legittimo affidamento, la previsione dell’art. 29, comma 1, del d.l. n. 185 del 2008 (cd. “decreto anticrisi”), conv., con modif., in l. n. 2 del 2009, nella parte in cui istituisce un tetto massimo al credito d’imposta fruibile per le spese di ricerca e di sviluppo, anche con riguardo ai crediti maturati prima della sua entrata in vigore, perché, come affermato dalla Corte Cost. e dalla Corte di Giustizia UE, detto principio arretra quando l’intervento normativo è giustificato dalla salvaguardia di principi, diritti e beni di rilievo costituzionale, tra i quali rientra la finalità di detto decreto di mantenere il bilancio dello Stato nel rispetto dei limiti approvati anche in sede europea”; Cass. Sez. 5, Sentenza n. 696 del 16/01/2015 (Rv. 633979 – 01) “Le norme della legge 27 luglio 2000, n. 212, emanate in attuazione degli artt. 3, 23, 53 e 97 della Costituzione e qualificate espressamente come principi generali dell’ordinamento tributario, sono idonee a prescrivere specifici obblighi a carico dell’Amministrazione finanziaria e costituiscono, in quanto espressione di principi già immanenti nell’ordinamento, criteri guida per il giudice nell’interpretazione delle norme tributarie (anche anteriori), ma non hanno rango superiore alla legge ordinaria e, conseguentemente, non possono fungere da norme parametro di costituzionalità, né consentire la disapplicazione della norma tributaria in asserito contrasto con le stesse, per cui l’efficacia retroattiva delle rendite catastali, prevista dall’art. 2, comma 34, del d.l. 3 ottobre 2006, n. 262, convertito in legge 24 novembre 2006, n. 286, non è preclusa dall’art. 3 della citata legge”.

Da tempo si sollecitava una rivisitazione dello statuto dei diritti del contribuente ed il legislatore, in occasione della riforma fiscale, ha ora risposto.

A seguito della legge delega fiscale n. 111/2023, il 23 ottobre il Consiglio dei Ministri ha approvato lo schema di decreto contenente le modifiche da apportare allo Statuto dei diritti del contribuente che avvia il processo di revisione dello Statuto.

«Con la modifica dello Statuto del contribuente, il governo consegue un obiettivo su cui il centrodestra è impegnato da anni»: è quanto viene sottolineato da fonti di Palazzo Chigi dopo il Cdm che ha visto sul tavolo i decreti attuativi della delega fiscale su Statuto del contribuente e calendario fiscale. «Il governo – spiegano le stesse fonti – procede spedito nell’attuazione della Delega per la riforma fiscale. Si va verso un rapporto paritario che tiene conto sia delle esigenze di tutela del contribuente sia delle esigenze del contrasto all’evasione fiscale».

Si sostiene, sempre in base alle fonti governative, in primo luogo, che con la riforma sarebbero definiti meglio i contorni dell’autotutela: << in caso di errore evidente da parte dell’amministrazione finanziaria la stessa, di propria iniziativa o su istanza del contribuente, può provvede a ritirare l’atto più velocemente rispetto a prima >>.

Nella giurisprudenza costituzionale (sentenza n. 181 del 2017) si è affermato il principio secondo cui il potere di autotutela dell’Amministrazione finanziaria può essere discrezionalmente esercitato da quest’ultima, ma ciò non esclude che il legislatore, in particolari casi, possa imporne l’obbligatorietà. Si dice che va in questa direzione la bozza di decreto legislativo, approvato dal Consiglio dei Ministri il 23 ottobre 2023, sulle modifiche allo Statuto dei diritti del Contribuente, che dà svolgimento all’anzidetto principio, distinguendo tra autotutela obbligatoria, cui è dedicato il nuovo art. 10-quater dello Statuto, e autotutela facoltativa, disciplinata nel successivo art. 10-quinquies. È chiara però la preoccupazione del legislatore delegato: non allargare troppo il perimetro dell’autotutela obbligatoria a fattispecie di non evidente illegittimità per cui la estensione della autotutela facoltativa ai danni di quella obbligatoria non sembra avere tutelato adeguatamente i diritti del contribuente; quindi, la norma meriterebbe di essere rivista e il tempo per rimediare c’è.

L’art. 4, comma 1, lettera h), della legge 9 agosto 2023, n. 111 – delega al Governo per la riforma del sistema fiscale – cerca di far emergere le peculiarità dell’istituto, individuando tra i principi e criteri direttivi il potenziamento dell’esercizio del potere di autotutela “estendendone l’applicazione agli errori manifesti nonostante la definitività dell’atto, prevedendo l’impugnabilità del diniego ovvero del silenzio nei medesimi casi nonché, con riguardo alle valutazioni di fatto e di diritto operate, limitando la responsabilità nel giudizio amministrativo contabile dinanzi alla Corte dei conti alle sole condotte dolose”. Parrebbe evidente che non si possa più accettare che pretese del Fisco palesemente illegittime conservino la loro efficacia solo perché gli atti impositivi da cui promanano non siano stati impugnati nel ristretto termine di 60 giorni dalla loro notificazione, diventando così definitivi: è questa, infatti, la fattispecie in cui l’autotutela si manifesta in tutta la sua pregnanza, atteso che, negli altri casi, il contribuente può comunque contare sulla tutela giurisdizionale.

Nella bozza di decreto legislativo approvato dal Consiglio dei Ministri il 23 ottobre 2023 si sostiene di dare svolgimento all’anzidetto principio distinguendo tra autotutela obbligatoria e autotutela facoltativa.

La prima delle due ricalca nella sua struttura la disposizione che era stata proposta dalla componente professionale della Commissione della Cananea sulla riforma del processo tributario (cfr. relazione finale, p. 116), fatta salva tuttavia la limitazione dell’elenco delle fattispecie di manifesta illegittimità in cui l’Amministrazione deve procedere all’“annullamento di atti di imposizione ovvero alla rinuncia all’imposizione”. Nella proposta del 2021 non si faceva altro che prendere a riferimento l’elenco, peraltro non esaustivo, del D.M. 11 febbraio 1997, n. 37, di attuazione dell’abrogando l’art. 2-quater del D.L. 30 settembre 1994, n. 564; in quella contenuta nella bozza varata in sede di attuazione della delega l’elencazione è tassativa e si limita a quattro fattispecie, “l’errore di persona”, “l’errore di calcolo” (nel D.M. n. 37 si utilizzava la locuzione “errore logico o di calcolo”), “l’errore sull’individuazione del tributo”, “l’errore materiale del contribuente, facilmente riconoscibile dall’Amministrazione finanziaria”. Restano fuori, quindi, non solo l’“errore sul presupposto dell’imposta”, la “doppia imposizione”, la “sussistenza dei requisiti per fruire di deduzioni, detrazioni o regimi agevolativi, precedentemente negati”, ma anche, inspiegabilmente, la “mancata considerazione di pagamenti di imposta, regolarmente eseguiti” e la “mancanza di documentazione successivamente sanata, non oltre i termini di decadenza”: ma ci si chiede per quale ragione gli Uffici non dovrebbero essere obbligati all’autotutela a fronte di chi ha pagato l’imposta o ha sanato nei termini l’eventuale carenza nella produzione documentale.

È chiara -come già detto- la preoccupazione del legislatore delegato a non allargare troppo il perimetro dell’autotutela obbligatoria a fattispecie di non evidente illegittimità, risultato questo che si poteva, peraltro, raggiungere mantenendo la lista, vero e proprio vademecum che gli Uffici sono già abituati a utilizzare, e prevedendo che le fattispecie ivi indicate non debbano dare origine a forme di autotutela obbligatoria in tutti i casi in cui, per decidere, occorra risolvere questioni di carattere interpretativo.

Lascia molto perplessi anche la previsione del secondo comma, non tanto nella parte in cui si specifica, è una conferma, che “l’Amministrazione finanziaria non procede all’annullamento d’ufficio ovvero alla rinuncia all’imposizione per motivi sui quali sia intervenuta sentenza passata in giudicato ad essa favorevole” (anche se si poteva forse stabilire che nemmeno il giudicato costituisca insormontabile ostacolo all’autotutela facoltativa, quanto meno nei casi in cui la sentenza definitiva nazionale possa dare origine a decisioni di segno contrario di organi sovranazionali con conseguente pregiudizio per le casse erariali), quanto nella parte in cui, per gli atti definitivi, stabilisce che l’autotutela non possa più essere esercitata “decorsi tre mesi dalla definitività per mancata impugnazione”. Il termine, decadenziale, entro cui il contribuente deve presentare l’istanza di autotutela, è troppo esiguo, non risultando infrequenti i casi in cui il contribuente addiviene all’effettiva conoscenza di un atto definitivo nei suoi confronti all’inizio dell’azione esecutiva del fisco, che, in molte occasioni, si manifesta successivamente all’anzidetta decorrenza trimestrale. Né si dica che il contribuente che se ne accorga solo successivamente potrà comunque contare sull’autotutela facoltativa, atteso che: i) se si riterrà che la gravità del vizio sia talmente macroscopica da rendere inattuale la possibilità che l’Amministrazione non annulli l’atto, allora occorre prendere atto che perde di ogni significato la differenza tra autotutela obbligatoria e quella facoltativa; ii) se invece una differenza c’è, e si connette alla discrezionalità della seconda e non della prima, non si potrà che ammettere che il termine previsto è eccessivamente ridotto, anche perché la sua presenza finirà per costituire un formidabile disincentivo ad agire in annullamento in sede di autotutela facoltativa.

Non si sa poi, ancora, se e come sarà prevista la impugnabilità del diniego di autotutela a fronte di atti definitivi.

Più che opportuna, invece, la scelta di limitare la responsabilità dei funzionari, con riguardo alle valutazioni di fatto operate dall’Amministrazione, alle sole ipotesi di dolo affinché la più che comprensibile “paura della firma” non sia di ostacolo agli effetti positivi in termini di giustizia dell’imposizione e di deflazione del contenzioso dell’autotutela da rendersi obbligatoriamente.

La stessa bozza di decreto di cui parliamo precisa altresì che le disposizioni dello Statuto del contribuente concernenti la garanzia del contradditorio e dell’accesso alla documentazione tributaria, la tutela dell’affidamento, il divieto del ne bis in idem e l’autotutela attengono ai livelli essenziali delle prestazioni e stabilisce che le norme tributarie impositive che recano il presupposto d’imposta e i soggetti passivi si applicano ai soli casi previsti dalla norma.

Con riguardo alla disciplina dell’efficacia temporale delle norme tributarie, conferma il principio di irretroattività delle disposizioni tributarie e, in particolare:

specifica il regime dei tributi periodici, precisando che nel caso di tributi “dovuti, determinati o liquidati periodicamente” le modifiche introdotte si applicano solo a partire dal periodo d’imposta successivo a quello in corso alla data di entrata in vigore della modifica;

stabilisce che le presunzioni legali non si applicano retroattivamente;

stabilisce il regime dell’annullabilità (in luogo della vigente nullità ) dei provvedimenti emessi in violazione dell’obbligo di invitare il contribuente a fornire chiarimenti prima di procedere alle iscrizioni a ruolo derivanti dalla liquidazione dei tributi risultanti da dichiarazioni;

disciplina espressamente il principio del contraddittorio;

stabilisce che tutti i provvedimenti che incidono sfavorevolmente nella sfera del destinatario devono esser preceduti, a pena di annullabilità, da un contraddittorio informato ed effettivo (il diritto al contraddittorio è escluso per gli atti non aventi contenuto provvedimentale);

delinea la procedura, i requisiti e i termini del contradittorio tra amministrazione e contribuente;

interviene sulla disciplina della motivazione degli atti tributari, stabilendo che i provvedimenti dell’amministrazione finanziaria devono essere motivati “a pena di annullabilità, con l’indicazione specifica dei presupposti, dei mezzi di prova, oltre che delle ragioni giuridiche su cui si fonda la decisione;

– esplicita la possibilità di prevedere la motivazione anche per relationem;

– stabilisce che gli atti della riscossione debbano contenere con riguardo agli interessi i criteri di calcolo, la data di decorrenza e i tassi applicati.

Il testo interviene, come ho sottolineato, sull’ambito dei vizi degli atti dell’Amministrazione Finanziaria, disciplinando:

l’annullabilità, per cui gli atti dell’amministrazione finanziaria sono impugnabili dinanzi agli organi della giurisdizione tributaria e sono annullabili “per violazione di legge, ivi incluse le norme sulla competenza, sul procedimento, sulla partecipazione del contribuente e sulla validità degli atti”. I motivi di annullabilità non sono rilevabili d’ufficio;

la nullità, per cui i vizi di nullità devono esser qualificati come tali dalle norme e possono essere eccepiti in sede amministrativa o giudiziaria, sono rilevabili d’ufficio, danno diritto alla ripetizione di quanto versato, salva la prescrizione del credito;

l’irregolarità – l’incompleta o inesatta indicazione dell’ufficio presso il quale è possibile ottenere informazioni sull’atto di riscossione costituisce mera irregolarità e non vizio di annullabilità;

l’inesistenza – si chiarisce che è inesistente la notificazione degli atti impositivi e della riscossione priva dei suoi elementi essenziali (soggetti giuridicamente inesistenti, privi di collegamento con il destinatario, estinti); fuori dai predetti casi la notificazione eseguita in violazione di legge è nulla, sanabile in caso di raggiungimento dello scopo dell’atto.

Si estende l’obbligo di conservazione decennale della documentazione tributaria anche alle scritture contabili; decorso il decennio è preclusa all’amministrazione finanziaria l’utilizzabilità, a fini probatori, della documentazione.

Si introduce espressamente il principio del ne bis in idem nel procedimento tributario: stabilendo che l’amministrazione possa esercitare l’azione accertativa una sola volta per ogni periodo d’imposta.

Si vieta espressamente all’amministrazione finanziaria di divulgare, nell’esercizio dell’azione amministrativa, i dati dei contribuenti acquisiti anche attraverso l’interoperabilità con altre banche dati.

Si rimodula il principio della non sanzionabilità del ragionevole affidamento a favore del contribuente precisando che, solo in caso di tributi dell’Unione Europea, non è tenuto al versamento di sanzioni e interessi per il periodo di vigenza del tributo, quando le indicazioni contenute negli atti dell’amministrazione finanziaria sono formulate in maniera precisa.

Si introduce anche il principio di proporzionalità dell’azione dell’amministrazione finanziaria.

Con la bozza di decreto legislativo dello scorso 23 ottobre, il Governo ha dato altresì seguito a quanto contenuto nell’art. 4 della legge delega per la riforma fiscale (Legge 9 agosto 2023, n. 111), che attribuiva all’Esecutivo poteri delegati in ordine alla razionalizzazione della disciplina sugli interpelli.

La modifica involge, in realtà, la generalità di tutti i mezzi di supporto e di consulenza riferibili al rapporto tra Agenzia delle entrate e contribuenti: il nuovo articolo 10-sexies dello Statuto dovrebbe infatti operare una tipizzazione di tali strumenti, tra mezzi già conosciuti (le circolari interpretative ed applicative, la consulenza giuridica e, appunto, gli interpelli) e di nuova introduzione.

Rappresenta infatti una novità assoluta il nuovo istituto della “consultazione semplificata”. La sua introduzione appare palesemente connessa all’obiettivo di ridurre il ricorso agli interpelli, attraverso la messa a disposizione di una banca dati nella quale dovrebbero confluire le risposte rese dall’Agenzia ad ogni ipotesi di consulenza già fornita. A tale istituto è dedicato l’art. 10-nonies della bozza di decreto, che ne circoscrive l’utilizzo alle persone fisiche (anche non residenti) e ai contribuenti di minori dimensioni (specificamente individuati nelle società di persone e negli altri soggetti assimilati di cui all’art. 5 TUIR). Il servizio, usufruibile gratuitamente, è rimesso alla presentazione di un’apposita istanza contenente un quesito di natura interpretativa o applicativa riferito ad uno specifico comparto di norme applicabili in relazione alla fattispecie sottoposta dal contribuente. A differenza dell’istanza di interpello non dovrebbero richiedersi: (i) l’esposizione di una soluzione da parte del contribuente (su cui si formi assenso in caso di silenzio dell’Amministrazione); (ii) i requisiti di concretezza e personalità della fattispecie per la cui risoluzione si chiede la consulenza; (iii)la sussistenza delle obiettive condizioni di incertezza sull’interpretazione della normativa di interesse.

Sottoposta l’istanza con i servizi telematici, la banca dati dovrebbe individuare una soluzione univoca alla questione prospettata. Il contribuente che vi si adegui può giovarsi delle tutele apprestate dall’art. 10, c. 2, dello Statuto concernenti il legittimo affidamento: conseguentemente, in caso di contestazione, non rischierà l’irrogazione di sanzioni o la liquidazione di interessi in relazione alle imposte evase/eluse. Ove il sistema non individui una soluzione univoca, esso informerà (o meglio, abiliterà) il contribuente circa la proponibilità dell’istanza di interpello (a tal fine rileva quanto prescritto dal c. 4 dell’art. 10-nonies, per cui l’esperimento della consulenza semplificata “è condizione di ammissibilità ai fini della presentazione di istanze di interpello”).

La riforma prevede una completa riscrittura dell’art. 11 dello Statuto, in materia di interpelli. Vengono ora tipizzate, al comma 1, tutte le ipotesi di interpello esperibili nell’ordinamento (con l’eccezione dell’interpello nuovi investimenti ex art. 2, d.lgs. 147/2015) ed in particolare:

Interpello interpretativo
Interpello qualificatorio
Interpello antiabuso
Interpello disapplicativo
Interpello probatorio
Interpello neo-residenti

L’oggetto delle istanze di interpello di cui alle lett. a) – d) rimane inalterato rispetto alla previgente disciplina. Varia, invece, la disciplina dell’interpello probatorio, il cui esperimento viene ora circoscritto ad una platea specifica di contribuenti: coloro che aderiscono alla cooperative compliance (anch’essa oggetto di prossima riforma) nonché i contribuenti abilitati alla proposizione dell’interpello nuovi investimenti.

Viene previsto per ogni istanza di interpello (compreso l’interpello disapplicativo), quale termine per la risposta, quello di 90 giorni dalla proposizione dell’istanza e viene istituita per tale termine la sospensione feriale dal 1° al 31 agosto nonché la sospensione a causa di richiesta di “parere preventivo ad altra amministrazione”: in tali casi, la sospensione non durerà più di 60 giorni, giacchè in difetto di parere entro tale termine, l’Ufficio sarà comunque tenuto a rendere una risposta. Rimane fermo il termine entro cui rispondere alle richieste di documentazione integrativa (un anno, come da disciplina previgente ex art. 4 d.lgs. 156/2015).

La vera novità degli istituti riguarda, tuttavia, la condizione di proponibilità rappresentata dal versamento di un contributo, alla cui commisurazione concorreranno fattori quali la tipologia di contribuente, il suo volume d’affari o ricavi e la complessità della questione sottoposta. La più specifica tariffazione sarà rimessa ad un decreto del MEF.

E’ prevista la nullità degli atti impositivi emessi dall’Ufficio in difformità alla risposta ad interpello precedentemente resa.

Resta ferma la non impugnabilità della risposta ad interpello e l’ininfluenza dell’istanza sulle scadenze e sui termini di decadenza tributari.

Si istituisce infine il Garante nazionale del contribuente, con un ampliamento – si sostiene – delle funzioni rispetto all’attuale Garante del contribuente. Anche tale disposizione è stata oggetto di critiche assai pesanti sia per la impossibilità di un unico garante di operare nell’intero territorio nazionale, ma soprattutto per la mancanza di qualsiasi indipendenza di un tale organo nominato dal MEF che ne determinerebbe altresì il compenso neppure predeterminato e quindi per la inutilità di un organo che avrebbe sostanzialmente la funzione di tutela degli uffici finanziari.

Sempre secondo quanto sostenuto dagli organi governativi, con la nuova normativa, lo Statuto del contribuente si rafforzerebbe dal punto di vista legislativo: le sue disposizioni «si conformano alle norme della Costituzione rilevanti in materia tributaria, ai principi dell’ordinamento dell’Unione Europea e alla Convenzione europea dei Diritti dell’Uomo», con la conseguenza che, in caso di dubbi interpretativi di una norma tributaria, valgono le disposizioni dello Statuto.

Partendo dai principi generali, la bozza riscrive infatti l’art. 1, c. 1 dello Statuto prevedendo che le disposizioni dello stesso “si conformano alle norme della Costituzione rilevanti in materia tributaria, ai principi dell’ordinamento dell’Unione Europea e alla Convenzione europea dei Diritti dell’Uomo”.

La nuova formulazione è però giuridicamente meno precisa rispetto all’attuale. Si passa dalla previsione di disposizioni attuative di specifiche norme costituzionali, alla dichiarazione autoreferenziale secondo cui le disposizioni dello statuto si conformano alle norme della Costituzione rilevanti in materia tributaria, ai principi dell’ordinamento dell’Unione Europea e alla Convenzione europea dei Diritti dell’Uomo.

L’espressione “si conformano” è un’autodichiarazione – che, a mio avviso, a nulla serve – di compatibilità delle norme dello Statuto ai principi superiori di fonte costituzionale ed europea rilevanti in materia tributaria. Resta il fatto oggettivo che anche dopo la riforma lo Statuto resterebbe sempre una norma primaria che può essere modificata in qualsiasi momento da altra norma successiva.

Cagliari, 29 novembre 2023

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