SOMMARIO. Premessa. 1. Il significato penale della definizione amministrativa del debito tributario. 1.1. Adesione e rateizzazione. 1.2. Il pagamento del debito erariale e degli accessori. 1.2.1 La tendenza storica verso il diritto penale tributario di matrice premiale-riscossiva.  1.2.2. Le cause sopravvenute di non punibilità. 1.2.3. Il rilievo esimente degli istituti di rottamazione e di pace fiscale.  1.2.4. La compensazione. 1.2.5. Applicabilità temporale della causa sopravvenuta di esclusione della punibilità ex art. 13 d.lgs. n. 74/2000.  1.2.6. Gli effetti del pagamento del debito tributario sulla responsabilità degli enti ex d.lgs. n. 231/2001.  2. L’art. 23 del d.l. n. 34/2023. 2.1. Il disposto normativo e la ratio. 2.2. Il contesto dell’iniziativa. 2.3. Operatività. 2.4. Il contesto fenomenico. 2.5. Profili critici.

Premessa.

L’equilibrio tra massimizzazione della riscossione e salvaguardia delle istanze general-preventive senza  premiare scelte opportunistiche rispetto all’adempimento erariale costituisce una delle condizioni per conservare razionalità al diritto penal-tributario e al sistema delle cause di non punibilità connesse alla definizione amministrativa del debito tributario. La causa di non punibilità delineata dall’art. 23 d.l. n. 34/2023 non invera al meglio tale bilanciamento e rischia di vanificare, assieme a molte risorse già spese per svolgere indagini e celebrare processi penali, anche le future prospettive di adempimento tempestivo e spontaneo, riducendolo a opzione gestionale con risvolti, per taluni aspetti, “autolesionistici”. Rispetto a una realtà evasiva che si attesta stabilmente su valori annuali superiori ai 10 miliardi di euro e che, per parte non trascurabile, non corrisponde affatto alla pretesa fenomenologia della “evasione di necessità” quanto ad autofinanziamento anticoncorrenziale, dopo l’inquadramento dei diversi significati storicamente rivestiti dalla definizione amministrativa del debito tributario rispetto alle fattispecie penali tributarie si curerà di illustrare le novità dell’istituto delineato dall’art. 23 del d.l. n. 34/2023, concentrandosi sui profili di maggiore criticità sistematica.      

  1. Il significato penale della definizione amministrativa del debito tributario.

La definizione della pretesa erariale in sede amministrativa ha avuto diversi valori nel contesto degli assetti storicamente assunti, in un arco temporale recente, dal diritto penale tributario, segnato da un’evoluzione che  registra una dilatazione progressiva del significato immunizzante ad essa attribuito via via che la tutela penale si è progressivamente trasferita dal momento dichiarativo a quello propriamente riscossivo e  la  rinuncia alla pena in ottica premiale ha guadagnato importanti spazi a scapito della tradizionale impostazione punitiva-repressiva; opzione di politica criminale in sé non criticabile, se accompagnata da una organizzazione razionale dello statuto della non punibilità, non ridotta a presa d’atto dell’impotenza nel contrastare su larga scala le dimensioni, parimenti estese, del fenomeno.       

1.1 Adesione e rateizzazione

In vigenza del d.l. 10 luglio 1982, n. 429, conv. dalla L. 7 agosto 1982, n. 516, ai fatti oggetto dell’accertamento definito con adesione, con effetto retroattivo (in deroga all’art.20 della legge 7 gennaio 1929, n. 4)  per tutti i periodi di imposta per i quali era intervenuta la definizione, era riconnessa la causa di esclusione della punibilità (art. 2, c. 3 d.lgs. n. 218/1997), con esclusione dei reati considerati più gravi previsti dall’art. 2, c. 3, e dall’art. 4 del medesimo decreto; tra le ipotesi per le quali non si applicava tale causa di non punibilità, peraltro, era annoverato il mancato versamento, entro il termine previsto per la presentazione della dichiarazione di sostituto di imposta, di ritenute per almeno dieci milioni di vecchie lire risultanti dalla dichiarazione rilasciata ai percipienti[1].

L’art. 25 d.lgs. 10 marzo 2000, n. 74 ha abrogato l’intero sistema penale tributario disciplinato dal titolo I del citato d.l. n. 429/82, sostituendolo con illeciti aventi diversa struttura, così determinando l’inefficacia delle disposizioni che al primo facevano riferimento, tra le quali il citato art. 2, c. 3, d.lgs. n. 218 del 1997[2].  Il d.lgs. n. 74/2000 aveva previsto, nella sua versione originaria, due circostanze attenuanti ad effetto speciale: il pagamento del debito tributario (art. 13) e la riparazione dell’offesa nel caso di estinzione per prescrizione del debito tributario (art. 14)[3].

Successivamente, con le modifiche apportate dal d.lgs. n. 158/2015, è stata anche prevista una particolare causa di non punibilità per i reati tributari di omesso versamento e indebita compensazione (art. 13, c. 1) e per alcuni reati dichiarativi ritenuti meno gravi (dichiarazione infedele ed omessa presentazione) nel caso in cui, entro una determinata tempistica, venga effettuato l’integrale pagamento del debito tributario (art. 13, c. 2). Tale causa di non punibilità è stata da ultimo (d.l. n. 124/2019) estesa anche agli altri reati dichiarativi connotati da fraudolenza.

Perciò, la definizione per adesione non esclude più la punibilità ai sensi dell’art. 13, c.  2, d.lgs. 74 del 2000 –  come sostituito dall’art. 11 d.lgs. 158/2015 e dal d.l. n. 124/2019 –   che per i reati ex art. 2, 3  4 e 5 d.lgs. n. 74/2000 prevede ora quell’effetto soltanto «se i debiti tributari, comprese sanzioni e interessi, sono stati estinti mediante integrale pagamento degli importi dovuti, a seguito del ravvedimento operoso o della presentazione della dichiarazione omessa entro il termine di presentazione della dichiarazione relativa al periodo d’imposta successivo, sempreché il ravvedimento o la presentazione siano intervenuti prima che l’autore del reato abbia avuto formale conoscenza di accessi, ispezioni, verifiche o dell’inizio di qualunque attività di accertamento amministrativo o di procedimenti penali”. A differenza di quanto previsto dal novellato art. 13, c. 1, d.lgs. 74 del 2000 per i reati di cui agli artt. 10-bis, 10-ter, 10-quater, c. 1 d.lgs. n. 74/2000 – che, presupponendo una fedele dichiarazione cui consegua soltanto l’omesso versamento dell’imposta dovuta, non sono punibili se l’integrale pagamento del debito tributario, comprensivo anche di sanzioni ed interessi, pur se intervenuto a seguito delle speciali procedure conciliative e di adesione all’accertamento previste dalle norme tributarie, avvenga prima della dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado – per i reati previsti dagli artt. 2, 3, 4 e 5 d.lgs. 74 del 2000 l’integrale pagamento del dovuto deve avvenire ancor prima che l’autore del reato abbia formale conoscenza dell’inizio di procedimenti amministrativi o penali.  Al di là della diversa disciplina connessa al tipo di illecito circa l’individuazione del termine entro cui il ravvedimento deve intervenire, gli effetti della nuova causa di non punibilità si producono soltanto al momento dell’integrale pagamento del debito e degli accessori, non essendo sufficiente il mero accertamento con adesione. Del resto, già con riferimento all’analoga, previgente, disposizione contenuta nell’art. 13, c. 1 e 2, d.lgs. 74/2000, che contemplava una mera circostanza attenuante applicabile a tutti i delitti previsti dal decreto (oggi sostanzialmente riprodotta, ampliando la forbice di riduzione della pena, nell’art. 13-bis, c. 1, d.lgs. 74 del 2000) il consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità era nel senso che essa non fosse applicabile in caso di mera adesione all’accertamento, il suo riconoscimento essendo subordinato all’integrale estinzione dell’obbligazione tributaria mediante il pagamento anche in caso di espletamento delle speciali procedure conciliative previste dalla normativa fiscale[4].

La Corte di Cassazione ha anche chiarito che «in tema di reati tributari, la causa di non punibilità dei reati di cui agli artt. 10-bis, 10-ter e 10-quater, comma 1, d.lgs. 10 marzo 2000, n. 74 opera solo a seguito dell’integrale pagamento, anche rateale, dell’importo dovuto a titolo di debito tributario, comprese sanzioni amministrative e interessi, prima della dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado, e non consegue al mero accordo intervenuto tra debitore e amministrazione finanziaria per la rateizzazione del debito e la rimodulazione della sua scadenza»[5]. In motivazione, la S.C. ha precisato che l’effetto novativo dell’obbligazione che deriva dall’accordo tra il contribuente e l’amministrazione rimane circoscritto all’ambito tributario, non producendo conseguenze sul piano penale. La giurisprudenza di legittimità non ha condiviso l’opinione per cui l’accordo raggiunto tra i debitori e l’erario realizzerebbe una novazione del debito che, se concluso antecedentemente alla scadenza del termine per l’adempimento, determinerebbe l’inapplicabilità della fattispecie di cui all’art. 10-ter d.lgs. 10 marzo 2000, n. 74, precludendo la configurabilità della condotta omissiva sanzionata, escludendo la permanenza dell’obbligazione tributaria omessa per effetto dell’accordo novativo (che all’obbligazione originaria sostituirebbe quella oggetto dell’accordo). Il reato di omesso versamento dell’Iva, infatti,  è unisussistente, consumandosi alla scadenza del termine per l’adempimento del versamento (entro il termine del versamento dell’acconto per il periodo di imposta dell’anno successivo). Sotto il profilo della qualificazione dell’accordo tra debitore e Amministrazione finanziaria, la S.C.  aveva affermato, prima della modifica legislativa del 2015, che, in tema di omesso versamento dei contributi previdenziali, la rateizzazione, rimodulando la scadenza dei debiti che viene scansionata nel tempo in corrispondenza ai termini di scadenza delle singole rate, comporta l’estinzione dell’obbligazione originaria e la contestuale costituzione di una nuova obbligazione che viene a sostituirsi a quella preesistente secondo lo schema civilistico della novazione[6]; con successiva sentenza, il principio è stato ribadito con riferimento alla fattispecie di omesso versamento dell’Iva ed è stato affermato che la rateizzazione per effetto dell’accordo intervenuto con l’Agenzia delle Entrate, quantunque comporti, attraverso la rimodulazione della scadenza del debito che viene scansionata nel tempo in corrispondenza dei termini delle singole rate, l’estinzione dell’obbligazione originaria e la contestuale costituzione di una nuova obbligazione che viene a sostituirsi a quella preesistente secondo lo schema civilistico della novazione, non interferisce, tuttavia, sul profilo penale in cui l’esistenza del reato si perfeziona con il mancato versamento dell’imposta sul valore aggiunto dovuta in base alla dichiarazione annuale nel termine previsto per il versamento dell’acconto relativo al periodo di imposta successivo. Soltanto nell’ipotesi in cui attraverso il pagamento rateale ovvero in unica soluzione venga integralmente saldato il debito tributario anteriormente all’apertura del dibattimento opera la speciale causa di non punibilità di cui all’art. 13, c. 1, d.lgs. 74/2000, introdotta con il 4 d.lgs. 158/2015 quale beneficio premiale per la condotta di quei contribuenti che provvedano alla piena soddisfazione dell’erario prima del processo penale[7]. Anche a seguire l’indirizzo ermeneutico che attribuisce l’effetto novativo dell’obbligazione a seguito dell’accordo[8], la S.C.  ha ritenuto che tale novazione dell’obbligazione rimane consegnata nell’ambito tributario e resta priva di effetto nell’ambito penale e ciò trova dimostrazione nella previsione legislativa della speciale causa di non punibilità, introdotta per effetto di una disposizione di legge nel 2015, in forza della quale il pagamento integrale, per effetto dell’accordo con l’Amministrazione finanziaria, costituisce una causa di non punibilità. In altri termini, solo per effetto dell’espressa previsione normativa, il pagamento integrale del debito tributario, alle condizioni previste, è causa di non punibilità dell’omissione del versamento dell’imposta che si è consumata alla data di scadenza per l’adempimento. Le cause di non punibilità, a differenza delle cause di giustificazione che elidono l’illiceità o antigiuridicità della condotta rendendo inapplicabile qualsiasi tipo di sanzione, rappresentano una causa sopravvenuta di esclusione della punibilità di un reato già consumato del quale vengono eliminati gli effetti (irrogazione della sanzione).  Conseguentemente, il reato di omesso versamento dell’Iva è integrato dall’omissione del versamento dalla data di scadenza e l’integrale pagamento del debito tributario, per effetto dell’accordo con l’Amministrazione finanziaria, sia con pagamento integrale che rateale, costituisce causa di non punibilità del fatto commesso esentando gli autori dall’irrogazione della sanzione penale prevista dalla norma incriminatrice.  La previsione della non punibilità del fatto, lascia immutata illiceità della condotta di reato, non configurandosi né l’assenza di lesione del bene giuridico, né una causa di giustificazione della condotta  per l’esercizio del diritto ex art. 51 c.p.[9].

Va anche ricordato che nell’elaborazione giurisprudenziale è stabile l’affermazione del principio dell’autonoma determinazione dell’imposta evasa in ambito penale rispetto a quella definita in sede amministrativaIn base allo stesso, in materia di reati tributari,«spetta esclusivamente al giudice penale il compito di determinare l’ammontare dell’imposta evasa, da intendersi come l’intera imposta dovuta e non versata, suscettibile dapprima di sequestro e, poi, di confisca, in base a una verifica che può venire a sovrapporsi ed anche entrare in contraddizione con quella eventualmente effettuata dal giudice tributario, non essendo configurabile alcuna pregiudiziale tributaria»[10]. Infatti«il giudice non è vincolato, nella determinazione del profitto confiscabile, all’imposta risultante a seguito dell’accertamento con adesione o del concordato fiscale tra l’amministrazione finanziaria ed il contribuente anche se, per potersi discostare dal dato quantitativo convenzionalmente accertato e tener invece conto dell’iniziale pretesa tributaria dell’Erario, occorre che risultino concreti elementi di fatto che rendano maggiormente attendibile l’originaria quantificazione dell’imposta dovuta»[11]. Perciò il compito di accertare l’ammontare dell’imposta evasa è rimesso al giudice penale, al quale spetta di compiere una verifica che, privilegiando il dato fattuale reale rispetto ai criteri di natura meramente formale che caratterizzano l’ordinamento fiscale, può sovrapporsi ed anche entrare in contraddizione con quella eventualmente effettuata in sede amministrativa o dinanzi al giudice tributario[12].  Ne consegue che il giudice penale non è condizionato, nella determinazione del profitto confiscabile, all’imposta risultante a seguito dell’accertamento con adesione o del concordato fiscale tra l’amministrazione finanziaria e il contribuente, anche se, per potersi discostare dal dato quantitativo convenzionalmente accertato e tener invece conto dell’iniziale pretesa tributaria dell’erario, occorre che risultino concreti elementi di fatto che rendano  maggiormente attendibile l’iniziale quantificazione dell’imposta dovuta[13]. L’autonomia del processo penale da quello amministrativo, sancita dall’art. 20, d.lgs. n. 74 del 2000[14] vale anche ai fini dell’individuazione dell’ammontare dell’imposta evasa per l’adozione e il mantenimento del provvedimento cautelare in funzione della confisca, nei casi di raggiunti accordi conciliativi con l’erario.

  1. 2 Il pagamento del debito erariale e degli accessori
  1. 2.1. La tendenza storica verso il diritto penale tributario di matrice premiale-riscossiva.

Al netto delle continue revisioni e dei mutevoli cambi di rotta nella politica criminale, valsi ad incidere seriamente sulla complessiva linearità del sistema, nel diritto penale-tributario si registra una distinguibile tendenza a incentivare il pagamento del debito erariale del contribuente.  

L’art. 9, c. 2, lett. e) della L. delega n. 205/1999 ha riconosciuto l’opportunità di «prevedere meccanismi premiali idonei a favorire il risarcimento del danno», al fine di introdurre strumenti deflattivi dei procedimenti penali e soddisfare al contempo le pretese riscossive. Da qui la previsione, da parte del d.lgs. n. 74/2000, al verificarsi della “riparazione del danno” o della “eliminazione delle conseguenze dannose e pericolose del reato”, di effetti positivi[15], pur inizialmente limitati. L’art. 13 del d.lgs. n. 74/2000, nell’originaria formulazione, qualificava l’estinzione del debito tributario,  prima dell’apertura del dibattimento di primo grado,  mera circostanza attenuante, comportante una riduzione di pena fino alla metà[16]. In tale occasione, il legislatore aveva escluso che il pagamento dell’imposta potesse costituire una causa di estinzione del reato fiscale, ritenendo che, in materia di criminalità economica e tributaria, ciò avrebbe finito per frustrare la comminatoria della pena, potendo  sortire un effetto criminogeno, consentendo ai contribuenti di monetizzare il rischio penale; si temeva che una simile impostazione avrebbe offerto la possibilità al contribuente di tentare di evadere le imposte, salvo poi ravvedersi ed escludere la sanzione penale solo a seguito di onerosi accertamenti attuati dall’organo di controllo[17].

Forte stimolo al pagamento è provenuto dal d.l. n. 138/2011, conv. con modificazioni, dalla L. n. 148/2011, che ha introdotto all’art. 13 anche il c.2-bis, subordinando l’applicazione della pena su richiesta delle parti ai sensi dell’art. 444 c.p.p. al ricorrere dell’anzidetta circostanza attenuante, ovvero all’estinzione del debito tributario, trasformata in circostanza ordinaria e non più ad effetto speciale.

È con il d.lgs. n. 158/2015 che il recupero del gettito tributario ha assunto nitida centralità[18], concretizzandosi l’opzione di politica criminale verso un diritto penale c.d. della riscossione[19], piuttosto che della punizione: pur a fronte della commissione di un reato, l’ordinamento rinuncia al ricorso alla sanzione criminale in presenza di una contro-azione compensativa[20], arrivando a configurare l’estinzione del debito per pagamento quale causa di non punibilità.  Con l’art. 13 d.lgs. 74/2000 «la non punibilità viene in certo senso “istituzionalizzata”, guarda al passato, al presente ma soprattutto al futuro e si organizza saldamente quale forma alternativa alla pena di tutela del bene giuridico»[21]. Nel contesto di un interventovolto all’inasprimento del trattamento sanzionatorio, e, dall’altro lato, all’innalzamento delle soglie di punibilità, l’introduzione di speciali istituti premiali offre rilievo al versamento delle imposte evase dopo la consumazione della condotta criminosa escludendo la punibilità di un fatto pur tipico, antigiuridico e colpevole. Secondo una duplice scelta politico-criminale, anzitutto, viene  limitato il ricorso alla sanzione penale ai soli casi effettivamente lesivi dell’interesse economico dell’Erario e connotati da un «particolare disvalore giuridico, oltre che etico e sociale, identificati, in particolare, nei comportamenti artificiosi, fraudolenti e simulatori, oggettivamente o soggettivamente inesistenti, ritenuti insidiosi anche rispetto all’attività di controllo»[22]; inoltre, lo strumento penale, affiancato dalle sanzioni amministrative, diviene leva nei confronti del contribuente-imputato affinché si determini ad adempiere personalmente al versamento dei tributi per scongiurare l’esecuzione forzata del proprio patrimonio ogniqualvolta quello della società si riveli insufficiente. Con l’art. 13, innovando profondamente in materia, il legislatore ha individuato dunque un insieme di ipotesi delittuose di carattere tributario cui è possibile attribuire un trattamento di maggior favore, graduandolo ulteriormente a seconda che l’accesso a questo istituto sia possibile in ogni caso, oppure solo laddove il contribuente non abbia avuto formale conoscenza di accessi, ispezioni, verifiche o dell’inizio di qualunque attività di accertamento amministrativo o di procedimenti penali[23]. La riforma del 2015 ha confermato,  inoltre, la volontà di premiare, seppur – nella medesima suddetta ottica di gradualità – in modo più circoscritto l’estinzione del debito tributario nel caso di illeciti di carattere fraudolento (nonché di infedeltà dichiarative laddove il pagamento non sia intervenuto in modo spontaneo ma successivamente alla cognizione di avvio di una verifica o di un procedimento): a operare in queste ipotesi è la circostanza attenuante di cui al nuovo art. 13-bis, c.1, con una riduzione della pena fino alla metà, inapplicabile ai reati che sussistono in assenza di un’evasione di imposta, come il reato di emissione di fatture per operazioni inesistenti, di occultamento di documenti fiscali (art. 10) o di sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte (art. 11)[24]; si tratta di  un’attenuante speciale, rispetto a quella comune di cui all’art. 62, n. 6, prima parte, c.p., ad effetto speciale che  comporta la diminuzione della pena sino alla metà[25], estrinseca (integrata da un comportamento diverso e temporalmente successivo rispetto a quello caratterizzante il fatto di reato), soggetta al bilanciamento ex art. 69 c.p. nel caso di concorso eterogeneo, non estendibile ai compartecipi, a meno che essi non manifestino una concreta e tempestiva volontà riparatoria, consistente nel contribuire, anche parzialmente, all’adempimento del debito tributario[26]. Infine, nell’impianto delineato dal d.lgs. n. 158/2015, il pagamento del debito è rimasta condizione imprescindibile anche per accedere al patteggiamento, avendo il legislatore fatto confluire la disposizione, prima posta a chiusura dell’art. 13, nel c.2 del nuovo art. 13-bis, secondo cui «per i delitti di cui al presente decreto l’applicazione della pena ai sensi dell’art. 444 del Codice di procedura penale può essere chiesta dalle parti solo quando ricorra la circostanza di cui al comma 1, nonché il ravvedimento operoso, fatte salve le ipotesi di cui all’art. 13, commi 1 e 2» [27].

Il d.l. n. 124/2019, convertito, con modificazioni, dalla L. n. 157/2019, nel contesto di una riforma tesa ad aggravare la risposta sanzionatoria per i delitti tributari(18), ha esteso il perimetro applicativo della causa di non punibilità di cui all’art. 13, c 2. cit., includendovi le due forme della frode fiscale di cui agli artt. 2 (dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti) e 3 (dichiarazione fraudolenta mediante altri artifici). Anche per tali fattispecie, la non punibilità è subordinata al verificarsi di una caratteristica diversa e ulteriore al ravvedimento, ossia nella “spontaneità” individuata in un’attivazione tempestiva e anticipatoria rispetto alla formale conoscenza di un accertamento fiscale o di un procedimento penale. Requisito confermato per tutte le fattispecie diverse dagli omessi versamenti, nonostante le remore, già sollevate con riferimento alle infedeltà e omissioni dichiarative all’entrata in vigore del D.Lgs. n. 158/2015, secondo le quali la disposizione «se allontana possibili dubbi di incostituzionalità (regolando opportunamente in maniera diversa comportamenti differenti sotto il profilo dell’offesa), sul piano pratico rende poco probabile una significativa applicazione dell’istituto, potendo difficilmente pronosticarsi comportamenti di ‘ravvedimento’ da omessa/infedele dichiarazione che non siano in qualche modo ‘sollecitati’ dalla conoscenza di accertamenti in corso»[28]. Conservando credibilità alla sanzione penale, il pagamento spontaneo dell’imposta e della sanzione pecuniaria viene valorizzato quale dimostrazione da parte del reo di un genuino ritorno alla legalità e di adesione al precetto[29]. È stato osservato che la novella va accolta con favore, perché proprio per i delitti più complessi da scoprire e accertare deve ritenersi vantaggioso per l’ordinamento – in chiave di diritto penale riscossivo – incentivare, con la rinuncia alla pena, il contribuente al pagamento del dovuto comprensivo di interessi e sanzioni, in una pragmatica prospettiva di do ut des[30]. Quale contraltare all’allargamento dell’operatività della causa di non punibilità a seguito del pagamento del debito tributario, il d.l. n. 124/2019 ha aggravato la risposta sanzionatoria per i delitti tributari, non solo con un inasprimento delle cornici edittali (con la sola eccezione delle fattispecie di omesso versamento) e con l’introduzione della confisca per sproporzione, ma anche, con l’inserimento nel catalogo degli illeciti presupposto della responsabilità dell’ente ex d.lgs. n. 231/2001 (art. 25-quinquiesdecies) dei delitti di cui agli artt. 2, 3, 8 e 11 d.lgs. n. 74/2000; con  il d.lgs. n. 75/2020, a recepimento della Direttiva PIF (UE 2017/1371) il novero dei reati tributari presupposti è stato ampliato comprendendovi anche i delitti di dichiarazione infedele (art. 4 d.lgs. n. 74/2000), di omessa dichiarazione (art. 5) e di indebita compensazione (art. 10-quater), commessi anche in parte nel territorio di un altro Stato membro dell’Unione Europea allo scopo di evadere l’IVA con un ammontare dell’evasione non inferiore a 10 milioni di euro.  Per gli enti non è però previsto un effetto premiale analogo a quello che l’estinzione del debito tributario garantisce alle persone fisiche, non conducendo il pagamento all’esenzione di responsabilità per l’ente; situazione che si è posta all’origine di dubbi di legittimità costituzionale, per violazione del principio di ragionevolezza e del divieto di bis in idem, della previsione dell’art. 13 d.lgs. n. 74/2000, nella parte in cui risulta inapplicabile alle società[31].

  1. 2.2.Le cause sopravvenute di non punibilità.

Il vigente art. 13 D.Lgs. n. 74/2000, dunque prevede due cause sopravvenute di non punibilità11. Il primo comma stabilisce che i reati di cui agli artt. 10-bis, 10-ter e 10-quater, c.1, non sono punibili se, prima della dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado, i debiti tributari, comprese sanzioni amministrative e interessi, sono stati estinti mediante integrale pagamento degli importi dovuti, anche a seguito delle speciali procedure conciliative e di adesione all’accertamento previste dalle norme tributarie, nonché del ravvedimento operoso. Il secondo comma, avente ad oggetto i  reati di cui agli articoli 2, 3, 4 e 5, ne esclude la punibilità se i debiti tributari, comprese sanzioni e interessi, sono stati estinti mediante integrale pagamento degli importi dovuti, a seguito del ravvedimento operoso o della presentazione della dichiarazione omessa entro il termine di presentazione della dichiarazione relativa al periodo d’imposta successivo, sempreché il ravvedimento o la presentazione siano intervenuti prima che l’autore del reato abbia avuto formale conoscenza di accessi, ispezioni, verifiche o dell’inizio di qualunque attività di accertamento amministrativo o di procedimenti penali. Ai sensi del terzo comma, infine, «qualora, prima della dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado, il debito tributario sia in fase di estinzione mediante rateizzazione, anche ai fini dell’applicabilità dell’articolo 13-bis, è dato un termine di tre mesi per il pagamento del debito residuo[32]. In tal caso la prescrizione è sospesa. Il Giudice ha facoltà di prorogare tale termine una sola volta per non oltre tre mesi, qualora lo ritenga necessario, ferma restando la sospensione della prescrizione».

Più in dettaglio, per i reati di omesso versamento delle ritenute, dell’IVA e per quello di indebita compensazione di crediti non spettanti è previsto che il contribuente possa beneficiare della non punibilità qualora, prima della dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado, estingua il debito tributario, comprese sanzioni ed interessi, mediante integrale pagamento degli importi dovuti. Per tali reati[33] il legislatore ha inteso concedere al contribuente la possibilità di eliminare la rilevanza penale della condotta attraverso una piena soddisfazione della pretesa erariale purché ciò avvenga, evidentemente, prima dell’inizio dell’istruttoria dibattimentale e, al ricorrere delle condizioni ex art. 13, c. 3, entro il termine massino di sei mesi dalla prima udienza, con concomitante sospensione della prescrizione. La presenza di un mero inadempimento di un debito fiscale che, tuttavia, il contribuente ha correttamente indicato, induce a ritenere che il suo adempimento in tempo utile in rapporto alle scansioni processuali, anche se non spontaneo, giustifichi il solo ricorso alle sanzioni amministrative[34]. Trattandosi di causa personale di esclusione della punibilità, tenuto al pagamento del debito è esclusivamente l’autore del reato e, dunque, colui che era obbligato al versamento delle somme dovute al momento della scadenza del termine “lungo” previsto dagli artt. 10-bis e 10-ter, d.lgs. n. 74 del 2000, ovvero che ha omesso il versamento utilizzando in compensazione crediti non spettanti, anche se medio tempore abbia perduto la rappresentanza o la titolarità dell’impresa[35]. Il fatto, dunque, che l’autore abbia perso la legale rappresentanza dell’ente dopo aver commesso il reato non costituisce argomento dirimente, nemmeno se la perdita della rappresentanza avvenga a causa del fallimento dell’impresa[36].

 Il contribuente può eseguire il pagamento avvalendosi dei diversi istituti deflattivi previsti nell’ordinamento tributario, quali l’adesione all’accertamento, procedure conciliative ovvero il ravvedimento operoso. Per lo più il pagamento avverrà con ravvedimento o con sanzione ridotta a seguito di avviso bonario. Detti illeciti non sono quindi punibili se il contribuente: i) corrisponde le somme dovute beneficiando del ravvedimento operoso; ii) esegue il pagamento a seguito dell’avviso bonario dell’Agenzia delle entrate; iii) esegue il pagamento a seguito della ricezione della cartella da parte di Equitalia/Agenzia delle entrate-Riscossione. Ove l’interessato avvii un piano di rateizzazione (ad esempio in seguito alla ricezione dell’avviso bonario o della cartella di pagamento), ai fini della non punibilità del reato, l’integrale pagamento deve avvenire entro la dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado, non rilevando l’eventuale regolarità nei pagamenti delle rate, essendo necessaria l’estinzione del debito complessivo, per imposte, interessi e sanzioni.

Quanto ai reati di dichiarazione fraudolenta (artt. 2 e 3), infedele (art. 4) e omessa (art. 5) la regolarizzazione consiste, in sostanza, nel ravvedimento della dichiarazione contenente false fatture, connotata da altri artifizi ovvero infedele, o nella presentazione della dichiarazione omessa entro il termine di presentazione della dichiarazione relativa al periodo d’imposta successivo, prima che la violazione sia contestata. Il contribuente, quindi, regolarizza la propria posizione pagando imposte, interessi e sanzioni ridotte. Se ai fini amministrativi si può procedere con il ravvedimento anche dopo la consegna del PVC, ai fini penali, la causa di non punibilità scatta solo se la regolarizzazione avviene prima di qualsivoglia controllo. Sino al 2020 l’Amministrazione finanziaria aveva negato la possibilità di regolarizzare mediante ravvedimento gli illeciti tributari connotati da fraudolenza tra i quali, in primis, la dichiarazione contenente false fatture; in ogni caso, tuttora restano aspetti peculiari nella disciplina amministrativa della regolarizzazione, di rilievo anche ai fini della causa di non punibilità: i)  le violazioni prodromiche devono essere regolarizzate singolarmente senza possibilità di applicare il cumulo giuridico[37]; ii) l’emittente fatture per operazioni inesistenti non potrà regolarizzare la propria posizione e resterà esposto a seguito del ravvedimento dell’utilizzatore dei documenti fittizi, realizzabile con dichiarazione integrativa con cui espunge dai costi le false fatture; iii) per la dichiarazione omessa non esiste alcuna forma di ravvedimento, previsto solo le regolarizzazioni effettuate entro 90 giorni dall’ordinaria scadenza,  penalmente irrilevanti in quanto il delitto si consuma trascorsi proprio detti 90 giorni; onde, per la non punibilità, il contribuente oltre a presentare la dichiarazione entro il termine previsto per la scadenza di quella dell’anno successivo, dovrebbe pagare le imposte dovute, con interessi e sanzioni ordinarie (ossia 60% dell’imposta) intere (non potendo accedere al ravvedimento) non facilmente versabili senza attendere l’atto di irrogazione dell’Ufficio che,  però, vanificherebbe la non punibilità. In tutte le ipotesi, poi, è necessario che l’autore del reato non abbia avuto formale conoscenza di accessi, ispezioni, verifiche o dell’inizio di qualunque attività di accertamento amministrativo o di procedimenti penali nei suoi confronti. La non punibilità sopravvenuta per i delitti dichiarativi è racchiusa in un orizzonte temporale assai più ristretto poiché a un accresciuto disvalore delle condotte tipiche corrisponde un ridotto margine di resipiscenza: «resipiscenza che deve invero colorarsi di spontaneità (non potendosi l’agente avvalere della norma di favore una volta maturata la consapevolezza dell’avvio di un procedimento penale o – più verosimilmente, almeno in linea di fatto – amministrativo), caricandosi quindi di una marcata componente specialpreventiva»[38]. Come è stato rimarcato si richiede qui «anche una valutazione di tipo personalistico, (…) che va oltre una dimensione esclusivamente obiettivo-utilitaristica, (…) condizionando l’esenzione da pena ad una resipiscenza dimostrativa non soltanto della regressione dell’offesa, ma anche di una riappropriazione da parte del soggetto dei valori sui quali si regge il nostro ordinamento»[39]; non sarà bastevole il mero adempimento tardivo dell’obbligazione tributaria, occorrendo invece, oltre al “valore d’evento” (pagamento di imposte, sanzioni e interessi), anche un “valore di condotta” che annulli il corrispondente disvalore all’interno dello schema delittuoso tipico[40].

Se la nozione di  formale conoscenza di un’indagine preliminare è ricavabile dalle disposizioni del c.p.p.[41], le altre situazioni saranno costituite dalla fisica presentazione degli organi accertatori presso il luogo del contribuente con contestuale consegna dell’atto che legittima l’acceso, l’ispezione, la verifica, ovvero dalla notifica o comunicazione di un qualsiasi atto posto ad inizio dell’accertamento fiscale, da valutare con riferimento al singolo contribuente indagato/imputato, non rilevando l’eventuale conoscenza formale acquisita da soggetti solidalmente obbligati in via tributaria o concorrenti nel reato[42]. La necessità di presentare la dichiarazione corretta prima dell’inizio di qualunque attività di accertamento amministrativo o penale riduce fortemente il ricorso a tale istituto; il contribuente difficilmente regolarizza autonomamente la propria dichiarazione senza alcuna sollecitazione in tal senso, quale, ad esempio, la conoscenza di provvedimenti a suo carico[43].

  1.  2.3.  Il rilievo esimente degli istituti di rottamazione e di pace fiscale.

Sino al d.l. n. 34/2023 le varie definizioni degli atti o delle liti, comunque denominate, reiteratamente varate negli ultimi anni, non prevedevano espliciti effetti penali in ipotesi di adesione a tali istituti. Diversamente, per alcuni istituti con ratio assimilabile, quali la cd. voluntary disclosure (che ha consentito ai contribuenti di regolarizzare i patrimoni illecitamente detenuti all’estero mediante spontanea denuncia all’Amministrazione finanziaria della violazione degli obblighi di monitoraggio), il legislatore ha esplicitamente previsto gli effetti sui reati tributari (cfr. art.  5-quinquies del d.l.  n. 167 del 1990, introdotto dalla L. 186/2014)[44].

La Corte di Cassazione con la sentenza 43062 del 2021 si è pronunciata sulle possibili interferenze tra la disciplina della definizione agevolata (in particolare rottamazione-ter di cui all’art.3 del d.l. n. 118 del 2019) e le norme penali, affermando che non «appare ravvisabile una distonia del sistema normativo, rispetto al fatto che la richiesta di adesione alla cd. rottamazione ter non dispieghi effetti estintivi rispetto alla fattispecie delittuosa di omesso versamento dell’iva, non essendo affatto irragionevole la diversità di regime tra la disciplina penale, volta a sanzionare una condotta omissiva istantanea, che si consuma alla scadenza del termine per il versamento dell’Iva, e la procedura amministrativa di recupero dell’imposta evasa, che non elide il disvalore penale della condotta già realizzata, ma che può eventualmente rilevare ai fini della (non) operatività della confisca, ai sensi dell’art. 12-bis, c.  2 del d. lgs. n. 74 del 2000 […], fermo restando che, ove a seguito delle speciali procedure conciliative e di adesione all’accertamento previste dalle norme tributarie, vi sia stato il pagamento integrale del debito, lo stesso, in base all’art. 13 del d. lgs. n. 74 del 2000, rende non punibile l’autore del reato, nel caso in cui l’estinzione del debito avvenga prima dell’apertura del dibattimento, per cui deve concludersi che il legislatore ha già calibrato adeguatamente le possibili interferenze tra disciplina penalistica e disciplina amministrativa, senza dare luogo a situazioni di possibili incertezze».

In astratto, infatti, in alcune situazioni in cui la violazione definita costituisce reato, ricorrendo determinate condizioni, l’estinzione del debito tributario può consentire la non punibilità o comunque l’accesso a benefici penali 13-bis del D.Lgs. n. 74/2000, ove non ricorrano le condizioni della prima. In assenza di specifiche previsioni, potrebbe ritenersi che la definizione della pretesa fiscale contenuta in un atto impositivo anche oggetto di contenzioso, o in un PVC sia irrilevante rispetto al procedimento penale instaurato per i medesimi fatti. In realtà proprio l’art. 13 del D.Lgs. n. 74/2000 prevede la non punibilità per i reati di omesso versamento dell’IVA, delle ritenute e di indebita compensazione se, prima della dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado, i debiti tributari, compresi sanzioni e interessi, siano stati estinti mediante integrale pagamento degli importi dovuti, anche a seguito delle speciali procedure conciliative e di adesione all’accertamento previste dalle norme tributarie, nonché del ravvedimento operoso. Si tratta di violazioni che potrebbero essere state definite attraverso la rottamazione (se già sia giunta la cartella) ovvero (casi in verità più rari) attraverso la definizione delle liti nel caso in cui sia pendente un contenzioso per tali inadempimenti. L’art. 13-bis poi, per tutti i delitti tributari (dichiarazioni fraudolente, infedeli, ecc.), in presenza della medesima estinzione del debito tributario, prevede l’abbattimento fino alla metà della pena e la non applicazione delle pene accessorie. Inoltre, è possibile richiedere il patteggiamento solo in presenza di tale estinzione. Se le norme penali citate non prevedono gli istituti di pace fiscale, tuttavia l’adesione ad uno di essi potrebbe integrare una causa di non punibilità o, più frequentemente, di riduzione della pena e di accesso al patteggiamento. In altri termini, questi nuovi istituti si collocano nell’ambito delle speciali procedure conciliative e di adesione previste dai ripetuti artt. 13 e 13-bise la pace fiscale comporta anche i benefici penali. In effetti, le norme penali in esame non indicano una soglia minima di sanzioni da versare, prevedendo solo l’integrale pagamento di quanto dovuto dall’istituto deflattivo applicato, che, per la pace fiscale, non contempla sanzioni né interessi e addirittura un abbattimento delle imposte. Anche la giurisprudenza di legittimità ha avallato l’opinione per cui l’adesione a questi istituti comporti anche la fruizione dei benefici penali: gli artt. 13 e 13-bis del d.lgs. n. 74/2000 si rifanno, infatti, alle analoghe previsioni di favore del codice penale conseguenti al risarcimento del danno della parte offesa. In sostanza, se il legislatore ha ritenuto che null’altro sia dovuto all’erario per la vicenda che si definisce, non vi è altro da risarcire nel procedimento penale e pertanto non vi è ragione per escludere la fruizione dei benefici. La questione è stata affrontata, in particolare, dalla S.C. in due recenti sentenze. Nella prima sentenza (Cass., Sez. 3, n. 34940 del 9 dicembre 2020) il rappresentante legale di una società, poi dichiarata fallita, condannato per omesso versamento di ritenute, lamentava di non aver potuto beneficiare della causa di non punibilità di cui all’art. 13 del d.lgs. n. 74/2000 (estinzione del debito prima dell’apertura del dibattimento) in quanto l’Agenzia non aveva iscritto a ruolo la somma e, di conseguenza, il curatore non aveva effettuato la rottamazione; nel respingere il ricorso, la Cassazione ha sì rilevato che la lamentata omissione dell’Amministrazione era irrilevante in quanto il pagamento poteva avvenire nella sua interezza in altri modi, ma ha riconosciuto che le speciali procedure conciliative di cui al D.L. n. 119/2018 e in precedenza al D.L. n. 193/2016 e D.L. n. 148/2017 sono comprese tra quelle indicate dall’art. 13 del D.Lgs. n. 74/2000 anche se non siano dovute sanzioni e interessi, purché il pagamento intervenga nei termini previsti. Con altra pronuncia (Cass. n. 35175 del 10 dicembre 2020), dopo che  il  Gip e Tribunale del riesame avevano ritenuto illegittimo un sequestro eseguito per indebita compensazione di crediti inesistenti in quanto l’interessato aveva effettuato la rottamazione, la  Cassazione ha respinto il ricorso della Procura in quanto, essendo stato pagato quanto dovuto per la rottamazione delle cartelle, era venuto meno il profitto del reato aggredibile: con la rottamazione si estingue il debito fiscale e l’Amministrazione rinuncia agli interessi e le sanzioni. A fronte di una norma che richiama “speciali procedure”, non risulta di ostacolo che gli istituti in questione consentano un deciso abbattimento (in alcuni casi totale) delle sanzioni e interessi; l’integrale pagamento di sanzioni e interessi va dunque parametrato a quanto preteso dall’erario per estinguere la pendenza, con la conseguenza che se il Fisco non pretende più la somma inizialmente ipotizzata anche il pagamento deve riguardare i nuovi importi e non quelli originari. Come ricordato da Cass. n. 10730/2023tale impostazione è del resto coerente con la chiara finalità deflattiva della norma, volta evidentemente a incentivare la riscossione delle entrate tributarie anche mediante il richiamo, volutamente generico, alle “speciali procedure conciliative o di adesione all’accertamento” previste dalle norme tributarie, dovendosi pertanto ribadire che le cd. “rottamazioni” ben possono essere ricomprese nel novero delle procedure di cui all’art. 13 del D.Lgs. n. 74 del 2000, trattandosi di accordi di definizione agevolata delle pendenze tributarie che assicurano comunque il recupero all’Erario delle somme dovute.

1.2.4. La compensazione.

La Cassazione ha fissato il principio di diritto per cui, in tema di reati tributari «la compensazione legale del debito Iva con i crediti del contribuente non integra la causa di non punibilità prevista dall’art. 13 d.lgs. 10 marzo 2000, n. 74, rappresentando un modo di estinzione dell’obbligazione diverso dall’adempimento e non costituendo, pertanto, una forma di “pagamento” del debito quale elemento richiesto espressamente dalla norma»[45]. La compensazione di diritto, ove maturata prima della scadenza dell’obbligo di versamento dell’Iva, non estingue in radice il debito stesso, non potendo parlarsi, ai sensi dell’art. 13, del pagamento di un debito; ove la compensazione sia maturata successivamente alla scadenza dell’obbligo di versamento, va rilevato che il dettato dell’art. 13 cit., che fa espresso riferimento al “pagamento”, in esso includendo anche ipotesi specifiche derivanti da istituti di natura conciliativa, non consente di includervi l’ipotesi della compensazione legale che, per espressa qualificazione del codice civile, rientra tra i “modi di estinzione delle obbligazioni diversi dall’adempimento“, ovvero, in altri termini, diversi proprio dal pagamento.

1.2.5. Applicabilità temporale della causa sopravvenuta di esclusione della punibilità ex art. 13 d.lgs. n. 74/2000.

La Cassazione ha ritenuto che «la causa di non punibilità contemplata dall’art. 13 del D.Lgs. n. 74 del 2000, come sostituito dall’art. 11 del D.Lgs. n. 158 del 2015 – per la quale i reati di cui agli articoli 10-bis, 10-ter e 10-quater del decreto 74 del 2000 non sono punibili se, prima della dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado, i debiti tributari, comprese sanzioni amministrative e interessi, sono stati estinti mediante integrale pagamento degli importi dovuti – è applicabile ai procedimenti in corso alla data di entrata in vigore del D.Lgs. n. 158 del 2015, anche qualora, alla data predetta, era già stato aperto il dibattimento»[46].  Ha chiarito la S.C., ancora, che ove alla data di entrata in vigore del D.Lgs. n. 158 del 2015 era già stato aperto il dibattimento di primo grado e i debiti tributari, comprese le sanzioni amministrative e interessi, risultavano estinti mediante integrale pagamento degli importi dovuti, anche se a seguito delle speciali procedure conciliative e di adesione all’accertamento previsto dalle norme tributarie[47] il principio di retroattività della lex mitior permetteva l’applicabilità della legge più favorevole anche ai fatti verificatisi prima della sua entrata in vigore. Se la causa di non punibilità del pagamento del debito poteva essere applicata retroattivamente anche al fatto reato commesso prima della sua entrata in vigore, la retroattività non si estendeva agli strumenti processuali che ne consentivano l’operatività. Nel caso di specie, il requisito normativo secondo cui tale possibilità deve essere esperita prima della dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado aveva evidentemente natura processuale e non sostanziale. L’art. 13 ha una doppia previsione, una di natura sostanziale (il pagamento del debito che estingue il fatto-reato commesso prima della sua entrata in vigore) e una processuale (il pagamento prima dell’apertura del dibattimento). In altri termini, la preclusione processuale è conseguenza del normale regime temporale della norma processuale e non si pone in contrasto con il riferimento all’art. 7 della CEDU, sotto il profilo della mancanza della retroattività della norma penale di favore secondo l’interpretazione fornita dalla Corte Edu. Il principio potrebbe essere derogato da una diversa disciplina transitoria, ma la mancanza di questa non è censurabile in forza dell’art. 7 della CEDU. Peraltro, onde evitare una prospettabile violazione dell’art. 3 Cost., per irragionevole disparità di trattamento la Cassazione ha ritenuto e che il limite temporale normativamente previsto (prima della dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado) debba essere interpretato, con conseguente applicazione della causa di non punibilità, laddove il pagamento integrale del debito tributario sia già avvenuto prima della prima data utile per chiedere l’applicazione della causa di non punibilità a seguito dell’introduzione della stessa ad opera della legge del 2015; non potendosi, viceversa, ritenere l’applicazione retroattiva ai fatti di reato per i quali il pagamento integrale del debito tributario non sia avvenuto entro tale termine, interpretazione che varrebbe ad una generalizzata rimessione in termini con ulteriori problematiche, in assenza di disciplina transitoria, prima tra tutte la prescrizione del reato che potrebbe venire a maturare nelle more del pagamento qualora si accogliesse la tesi della applicazione della causa di non punibilità anche per coloro che non hanno compiuto l’integrale pagamento del debito tributario.

Diversa la soluzione preferita con riferimento alla novella attuata con l’art. 39, c. 1, lett. q-bis), d.l.  26 ottobre 2019, n. 124, conv.,  con mod. dalla L. 19 dicembre 2019, n. 157, che ha esteso, per quanto di interesse, anche al reato di cui all’art. 2 d.lgs. n. 74/2000 la causa di non punibilità prevista dall’art. 13, c. 2, del medesimo d.lgs. 74/2000[48]. Tale causa di non punibilità potrebbe trovare applicazione retroattiva ai sensi dell’art. 2, c. 4, c.p., trattandosi di una norma sicuramente più favorevole, introducendo una causa di non punibilità prima non contemplata dall’ordinamento[49].  Tuttavia, l’applicazione retroattiva della norma esige che siano accertati tutti i requisiti in essa previsti, nessuno escluso. In particolare, occorre che, da un lato, il debito tributario sia stato integralmente pagato, compresi sanzioni e interessi e, dall’altro – in relazione all’ipotesi di reati qui in discorso – che il ravvedimento sia intervenuto prima che l’autore del reato abbia avuto formale conoscenza di accessi, ispezioni, verifiche o dell’inizio di qualunque attività di accertamento amministrativo o di procedimenti penali. Pretendere che sia sufficiente il solo verificarsi del primo dei due requisiti implicherebbe un’evidente quanto irragionevole disparità di trattamento, posto che l’applicazione retroattiva della causa di non punibilità soggiacerebbe a presupposti meno stringenti rispetto a quelli contemplati dalla norma e che devono essere accertati nei confronti di chi la invochi per fatti successivi alla sua entrata in vigore. In definitiva, la norma in esame deve essere coordinata con il disposto dell’art. 13-bis, c. 2 d.lgs. n. 74 del 2000, che consente l’accesso al “patteggiamento” per i delitti di cui al presente D.Lgs. “solo quando ricorra la circostanza di cui al comma 1“, ossia l’estinzione del debito tributario prima dell’apertura del dibattimento, “fatte salve le ipotesi di cui all’art. 13, commi 1 e 2“. Ciò significa che, con riferimento ai reati tributari dichiarativi richiamati dall’art. 13, c. 2 cit. (ossia quelli contemplati dagli artt. 2, 3, 4 e 5), l’integrale pagamento del debito (comprensivo di sanzioni amministrative ed interessi) assume una duplice connotazione. Se esso si verifica prima della formale conoscenza, da parte dell’autore del reato, di accessi, ispezioni, verifiche o dell’inizio di qualunque attività di accertamento amministrativo o di procedimenti penali, ciò integra la causa di non punibilità di cui all’art. 13, c. 2; soltanto a questa condizione l’adempimento del debito integra gli estremi di una spontanea condotta resipiscente che può giustificare la rinuncia alla punibilità. Se, viceversa, viene effettuato prima della dichiarazione di apertura del dibattimento ma dopo la formale conoscenza dell’inizio di un accertamento fiscale o di un procedimento penale, esso, per un verso, consente all’autore del reato di accedere al “patteggiamento” ed ai correlativi benefici premiali e, per altro verso, integra la circostanza attenuante di cui all’art. 13-bis, c.1 [50]. In relazione ai più gravi delitti dichiarativi, non è irragionevole – e, comunque, rientra nella discrezionalità legislativa – subordinare l’accesso al patteggiamento ad un ravvedimento operoso che, pur indotto dalla “scoperta” del reato (e perciò ovviamente non bastevole ad escludere la punibilità), valga almeno ad escludere la prosecuzione del contenzioso fiscale.

Infine, «la causa di non punibilità contemplata dall’art. 13 D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74, come riformulato dall’art. 11 D.Lgs. 24 settembre 2015, n. 158 – per la quale i reati di cui agli articoli 10-bis, 10-ter e 10-quater del decreto n. 74 del 2000 non sono punibili se, prima della dichiarazione di apertura del dibattimento, i debiti tributari, comprensivi di sanzioni amministrative ed interessi, sono stati estinti mediante integrale pagamento degli importi dovuti – non si applica ai procedimenti nei quali, pur essendo intervenuto il pagamento nei termini di legge, sia intervenuta sentenza irrevocabile prima dell’entrata in vigore D.Lgs. 24 settembre 2015, n. 158»[51].  In motivazione la Cassazione ha spiegato che la trasformazione del pagamento del debito tributario da circostanza attenuante del reato, quale era prevista dalla norma originaria, a causa di esclusione della punibilità, quale è invece oggi, e la mancanza all’interno del corpus del d.lgs. n. 158 del 2015, che ha in tali termini riformulato la norma, di disposizioni che regolino gli effetti penali nel tempo della nuova disciplina, conducono a dovere rinvenire nel “sistema” quali siano i margini di applicabilità del nuovo c.1 in particolare ai pagamenti già intervenuti prima dell’entrata in vigore della modifica normativa e ai quali, in ossequio alla connotazione attribuita dal legislatore, sia seguito a suo tempo un effetto unicamente di attenuazione del trattamento sanzionatorio “cristallizzato”, come nella fattispecie in esame, da pronuncia ormai passata in giudicato. Se la nuova disciplina sia applicabile anche ai procedimenti in corso al momento dell’entrata in vigore della novella, non essendo determinante il già intervenuto superamento del limite temporale assegnato dalla norma e rappresentato dalla dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado,  solo restando da comprendere se un limite vada individuato comunque nella prima udienza utile successiva all’entrata in vigore della norma[52], diversa è invece la situazione in cu il procedimento non sia più in corso e definito irreversibilmente. Se nel “sistema” deve essere rinvenuta la risposta in ordine alla applicabilità della nuova disposizione ai pagamenti intervenuti nei procedimenti già definiti, è alla fisionomia degli effetti del pagamento del debito tributario, espressamente ricondotti dal legislatore all’interno di una causa di esclusione della punibilità (“I reati…non sono punibili…“) e alla relazione di quest’ultima con gli artt. 2 c.p. e 673 c.p.p. che deve guardarsi. Sennonché, nessuna delle due disposizioni appare condurre all’esito di revoca della sentenza di applicazione della pena a suo tempo pronunciata. Non l’art. 2 c.p., posto che, nella specie, non essendo intervenuta alcuna abolitio criminis con effetto di iper-retroattività della nuova norma, ma unicamente una successione modificativa, è al c. 4 (e non al c.2) dell’art. 2 cit. che deve farsi riferimento[53], in tal modo inevitabilmente operando lo sbarramento rappresentato dalla pronuncia di sentenza irrevocabile. Non l’art. 673 c.p.p. che attua sul piano processuale il c. 2 dell’art. 2 cit. prendendo in considerazione, quale causa di revoca della sentenza, la sola “abrogazione o dichiarazione di illegittimità costituzionale della norma incriminatrice”[54]. Di qui, dunque, la preclusione inevitabilmente rappresentata dal giudicato anche con riferimento alla previsione di cui all’art. 13, c.1 cit. e l’impossibilità evidente di applicare analogicamente la norma processuale in oggetto alla fattispecie in esame attesa la irriducibilità di quest’ultima al tassativo ambito contenutistico della norma processuale. Né a conclusioni diverse potrebbero condurre le argomentazioni in ordine alla esecuzione di pene che sarebbero connotate, alla luce del mutamento successivo, da sostanziale “ingiustizia”. Se per le Sezioni Unite l’istanza di legalità della pena è tema che in fase esecutiva deve ritenersi costantemente sub iudice e non ostacolato dal dato formale della cosiddetta “situazione esaurita”[55], un tale assunto è collegato alla presenza di una declaratoria di illegittimità costituzionale, nella specie insussistente; infatti, mentre il succedersi di leggi (che in tutto o in parte disciplinano materie già regolate da leggi precedenti) e l’abrogazione di una norma per effetto di norma successiva sono fenomeni fisiologici dell’ordinamento giuridico, la dichiarazione di illegittimità costituzionale palesa un evento di patologia normativa; se, infatti, il primo fenomeno deriva da una rinnovata e diversa valutazione del disvalore penale di un fatto, fondata sull’opportunità politica e sociale, operata dal Parlamento, competente a legiferare in uno Stato democratico di diritto, la declaratoria d’illegittimità costituzionale di una norma, rimasta formalmente in vigore fino alla pubblicazione della sentenza costituzionale, ma sostanzialmente invalida, attesta che quella norma mai avrebbe dovuto essere introdotta nell’ordinamento repubblicano, che è Stato costituzionale di diritto. Di qui, dunque, la conseguenza che a tali distinte situazioni corrispondono diverse conseguenze: mentre l’applicazione della sopravvenuta legge penale più favorevole, che attiene alla vigenza normativa, trova un limite invalicabile nella sentenza irrevocabile, ciò non può valere per la sopravvenuta declaratoria di illegittimità costituzionale, che concerne il diverso fenomeno della invalidità; la norma costituzionalmente illegittima viene espunta dall’ordinamento proprio perché affetta da una invalidità originaria, ciò che impone e giustifica la proiezione “retroattiva”, sugli effetti ancora in corso di rapporti giuridici pregressi, già da essa disciplinati, della intervenuta pronuncia di incostituzionalità, la quale certifica la definitiva uscita dall’ordinamento di una norma geneticamente invalida[56].

1.2.6.  Gli effetti del pagamento del debito tributario sulla responsabilità degli enti ex d.lgs. n. 231/2001.

A fronte dell’allargamento dell’operatività della causa di non punibilità connessa al pagamento del debito tributario, il d.l. n. 124/2019 ha inasprito la risposta sanzionatoria per i delitti tributari, innalzato le cornici edittali (con la sola eccezione delle fattispecie di omesso versamento), introdotto la confisca per sproporzione e inserito i delitti di cui agli artt. 2, 3, 8 e 11 D.Lgs. n. 74/2000 nel catalogo degli illeciti presupposti della responsabilità dell’ente ex D.Lgs. n. 231/2001 (art. 25-quinquiesdecies); inoltre, con il d.lgs. n. 75/2020, a recepimento della Direttiva PIF (UE 2017/1371) il novero è stato ulteriormente ampliato comprendendovi anche i delitti di “dichiarazione infedele” (art. 4 d.lgs. n. 74/2000), “omessa dichiarazione” (art. 5) e “indebita compensazione” (art. 10-quater), che – se commessi anche in parte nel territorio di un altro Stato membro dell’Unione Europea allo scopo di evadere l’IVA con un ammontare dell’evasione non inferiore a 10 milioni di euro.

Sennonché per gli enti non è previsto un effetto premiale analogo a quello che l’estinzione del debito tributario garantisce alle persone fisiche, non conducendo il pagamento ad alcuna esenzione di responsabilità per l’ente. Non sono mancate prospettazioni di incostituzionalità dell’art. 13 d.Lgs. n. 74/2000 per violazione del principio di ragionevolezza e del divieto di bis in idem, nella parte in cui tale causa di non punibilità non è applicabile alle società[57]. Specificamente, l’ampliamento della causa di non punibilità per estinzione del debito ai delitti di cui agli artt. 2 e 3 D.Lgs. n. 74/2000 non è stata coordinata con l’introduzione dei medesimi tra i reati presupposto della responsabilità degli enti ex d.Lgs. n. 231/2001, non essendo stata considerata la portata dell’art. 8, c. 1, lett. b), del medesimo decreto laddove prevede che «la responsabilità dell’ente sussiste anche quando […] il reato si estingue per una causa diversa dall’amnistia»; non solo la dottrina[58], ma la stessa Corte di cassazione[59], del resto, convengono nel ritenere che l’estinzione del reato per il sopravvenire di una causa di non punibilità non abbia ricadute sull’imputazione dell’ente.

Va chiarito che l’estinzione del debito potrà produrre qualche “sconto” anche nell’ambito del processo 231/2001. Anzitutto, in base all’art. 11 d.lgs. n. 231/2001, nella commisurazione della sanzione pecuniaria il giudice deve tenere conto «della gravità del fatto, del grado della responsabilità dell’ente nonché dell’attività svolta per eliminare o attenuare le conseguenze del fatto e per prevenire la commissione di ulteriori illeciti». In secondo luogo, l’art. 12, ai commi 2 e 3, 11 d.lgs. n. 231/2001 prevede una riduzione della sanzione da un terzo alla metà se, prima della dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado, l’ente ha risarcito integralmente il danno. Ancora, pagando il debito tributario, sarà restituito all’erario il profitto derivato dal reato, e, al sussistere degli ulteriori requisiti previsti dal legislatore (a condizione che l’ente proceda all’adozione di adeguati modelli organizzativi) verrà esclusa l’applicabilità delle sanzioni interdittive[60], e non vi sarà spazio per la confisca diretta (38) con riferimento alla parte del prezzo o del profitto restituita all’Erario[61]. Resta, invece,  irrisolto il quesito se l’estinzione del debito tributario costituisca condicio sine qua non perché l’ente possa accedere all’istituto del patteggiamento; in assenza di un indirizzo univoco, appare più accreditato  propendere per la più rigorosa soluzione affermativa. L’art. 63 d.lgs. n. 231/2001 prevede che per l’ente l’istituto è ammesso, oltre che «in tutti i casi in cui per l’illecito amministrativo è prevista la sola sanzione pecuniaria» (ipotesi che non sussiste quando il delitto presupposto è un reato fiscale, posto che l’art. 25-quinquiesdecies contempla anche le sanzioni interdittive), se «il giudizio nei confronti dell’imputato è definito ovvero definibile a norma dell’art. 444 del Codice di procedura penale». In altre parole, le preclusioni che il legislatore ha individuato per la persona fisica sbarrano le porte del rito premiale anche alla persona giuridica. In tali condizioni, non sarà facile persuadere l’ente e il suo legale rappresentante al pagamento spontaneo del debito tributario con la possibilità per la persona giuridica di godere di uno sconto di pena, nonché di definire il giudizio con il patteggiamento, essendo più plausibile un’astensione dal ravvedimento, nella consapevolezza che il procedimento che con l’autodenuncia si instaura automaticamente si concluderebbe con una condanna (pur a pena ridotta) dell’ente. Non potendosi l’ente avvalere della causa di non punibilità, dunque, lo stesso potrebbe essere disincentivato dal procedere al pagamento del dovuto al fine di far beneficiare la persona fisica della causa di non punibilità[62]. A tale inconveniente non può rimediarsi per altra via. La responsabilità dell’ente ex d.lgs. n. 231/2001,  per solido indirizzo, costituisce un tertium genus rispetto a quella amministrativa e soprattutto a quella penale della persona fisica-legale rappresentante della società, non essendo inquadrabile come di tipo concorsuale; non pare nemmeno potersi confidare, dunque, nell’operatività – sulla base di un’oggettività del recupero dell’imposta evasa – dell’art. 119, c. 2, c.p., secondo cui le circostanze oggettive che escludono la pena hanno effetto per tutti coloro che sono concorsi nel reato.  Si è, infatti, in presenza di due nuclei di disvalore, l’uno identificabile nel deficit di organizzazione, l’altro nel “fatto” della persona fisica, il quale coincide con quello costitutivo del reato-presupposto commesso da soggetto apicale o sottoposto dell’ente; ciò preclude di postulare la natura plurisoggettiva dell’illecito dell’ente, al fine di recuperare l’operatività della causa di non punibilità a favore dello stesso, facendo leva sul mero fatto oggettivo dell’estinzione del debito tributario a prescindere da chi materialmente vi abbia provveduto[63].

2. L’art. 23 del d.l. n. 34/2023

2.1 Il disposto normativo e la ratio.

L’art. 23 del d.l. n. 34/2023 introduce un’innovativa causa di non punibilità per taluni reati tributari (omesso versamento di ritenute, omesso versamento di IVA e indebita compensazione) qualora le violazioni sottese a tali reati siano state definite e vi sia stato l’integrale pagamento delle somme dovute prima della pronuncia della sentenza di appello. In base al primo comma, «I reati di cui agli articoli 10-bis, 10- ter e 10-quater, comma 1, del decreto legislativo 10 marzo 2000, n. 74, non sono punibili quando le relative violazioni sono correttamente definite e le somme dovute sono versate integralmente dal contribuente secondo le modalità e nei termini previsti dall’articolo 1, commi da 153 a 158 e da 166 a 252, della legge 29 dicembre 2022, n. 197, purché le relative procedure siano definite prima della pronuncia della sentenza di appello». Gli ulteriori commi offrono una disciplina procedurale: «Il contribuente dà immediata comunicazione, all’Autorità giudiziaria che procede, dell’avvenuto versamento delle somme dovute o, in caso di pagamento rateale, del versamento della prima rata e, contestualmente, informa l’Agenzia delle entrate dell’invio della predetta comunicazione, indicando i riferimenti del relativo procedimento penale” (c. 2). Inoltre, “Il processo di merito è sospeso dalla ricezione delle comunicazioni di cui al comma 2, sino al momento in cui il giudice è informato dall’Agenzia delle entrate della corretta definizione della procedura e dell’integrale versamento delle somme dovute ovvero della mancata definizione della procedura o della decadenza del contribuente dal beneficio della rateazione». In base all’ultimo comma, «Durante il periodo di cui al comma 3 possono essere assunte le prove nei casi previsti dall’articolo 392 del codice di procedura penale».

Secondo la relazione tecnica, le disposizioni di cui all’art.  23 «potrebbero incentivare la definizione dei debiti fiscali e comportare, pertanto, potenziali effetti positivi sul gettito»; tali effetti, tuttavia, non sono stati quantificati.

2.2. Il contesto dell’iniziativa.

La previsione s’innesta nell’ambito delle misure agevolate di regolarizzazione fiscale previste dalla legge di bilancio 2023. Infatti, l’art. 23, c. 1, cit. prevede che non siano punibili i contribuenti che si avvalgano delle procedure di definizione agevolata introdotte dall’art. 1, commi da 153 a 158 e da 166 a 252, della L.  n. 197 del 2022. Con tale intervento normativo è stato allestito uno strumentario di norme che permette ai contribuenti di definire con modalità agevolate e, dunque, in deroga alle regole ordinarie, la pretesa tributaria ovvero il relativo contenzioso. Le misure si riferiscono a un ampio ventaglio di fasi dell’adempimento fiscale che va dall’accertamento alla cartella di pagamento fino al contenzioso innanzi alle corti di merito e di legittimità che consentono di usufruire di dilazioni dei pagamenti dovuti e dell’abbattimento di alcune somme dovute al fisco a titolo di aggio, di interessi, ovvero a titolo di sconto sulle sanzioni[64]. Seri dubbi sulla opportunità di tale tecnica legislativa,  richiamando indistintamente  situazioni non omogenee con le imposte assistite  dal presidio penale.

2.3. Operatività.

La circostanza esimente opera esclusivamente se le violazioni sono state comunque definite ed il contribuente ha provveduto ad effettuare l’integrale pagamento degli importi dovuti, secondo le modalità e nei termini stabiliti dalla procedura agevolata di cui ha usufruito, prima che venga pronunciata la sentenza di appello.

Secondo il dettato normativo l’operatività della causa di non punibilità è riservataai seguenti reati: omesso versamento di ritenute certificate (art. 10-bis); omesso versamento di IVA (art. 10-ter); indebita compensazione (art. 10-quater, c.1), riferita ai crediti non spettanti[65] .

2.4. Il contesto fenomenico.

La relazione sul rendiconto generale dello Stato approvata dalla Corte dei conti per il 2021 segnala come i dati forniti annualmente dall’Amministrazione finanziaria rivelino la gravità del fenomeno del mancato versamento delle imposte dichiarate (IVA, ritenute, imposte proprie), “divenuto da tempo una impropria modalità di finanziamento e in non pochi casi una modalità di arricchimento illecito, attraverso condotte preordinate all’insolvenza”. Secondo quanto riferito dall’Agenzia delle entrate “all’attualità, per gli anni d’imposta 2018 e 2019, non sono disponibili dati per effetto del differimento dei termini di decadenza per la notifica delle cartelle di pagamento che ha comportato una preventiva ripianificazione delle tempistiche di invio delle comunicazioni di irregolarità. Analogamente non sono disponibili gli aggiornamenti dei dati relativi alle ritenute dell’anno d’imposta 2017 poiché la quasi totalità delle comunicazioni sono state inviate nell’ultima parte del 2021 e all’inizio del 2022”. I dati aggiornati fino al periodo d’imposta 2017 confermano la persistente anomala dimensione del fenomeno, stabilmente superiore ai 10 miliardi di euro nel quadriennio 2014-2017, interessando nel 2017 una platea di oltre 3,1 milioni di posizioni fiscali, con aggravamento nell’anno anche per il mancato versamento delle ritenute. Come più volte segnalato dalla Corte dei conti, la rilevanza e gravità del fenomeno richiederebbero, oltre a una maggiore tempestività ed efficacia nell’azione di recupero dei tributi non spontaneamente versati, l’adozione di nuove strategie finalizzate a salvaguardare più efficacemente gli interessi dell’Erario, anche attraverso il ricorso a modalità di gestione delle transazioni finanziarie che comportino l’intervento di intermediari (banche) obbligati alla effettuazione di ritenute.

2.5. Profili critici.

Consistenti sono le diversità tra la nuova causa di non punibilità e quella prevista dall’art. 13, d.lgs. 74/2000 e non secondarie appaiono le criticità sistematiche ingenerate dalla prima.

La prima attiene al profilo temporale, affatto secondario nello statuto della razionalità della premialità.L’art. 13 d.lgs. 74/2000prevede l’esito della non punibilità nelle sole ipotesi di pagamento del debito tributario, comprensivo di interessi e sanzioni amministrative, prima dell’apertura del dibattimento, ferma la possibilità di una proroga massima di sei mesi in ipotesi di rateizzazione del debito. La stessa circostanza attenuante prevista dall’art. 13-bis, c. 1, d.lgs. n. 74/2000 statuisce  che  le pene per i delitti di cui al presente decreto sono diminuite fino alla metà e non si applicano le pene accessorie indicate nell’art. 12 se i debiti tributari, comprese sanzioni amministrative e interessi, sono stati estinti mediante integrale pagamento degli importi dovuti, anche a seguito delle speciali procedure conciliative e di adesione all’accertamento previste dalle norme tributarie, ne condiziona l’operatività all’anteriorità rispetto alla dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado.

Maggiore è lo spazio di riflessione concesso dal d.l. 34/2023 a coloro cui siano contestati i reati di cui agliartt. 10-bis, 10-ter e 10-quater, d.lgs. 74/2000, per cui l’adesione alla tregua fiscale e l’esito di non punibilità saranno possibili fino alla pronuncia di appello, dunque anche dopo la celebrazione del giudizio di primo grado e l’intervenuta (eventuale)  pronuncia di una sentenza di condanna (ampiamente dopo il termine ultimo per l’accesso ai riti alternativi della messa alla prova,  del patteggiamento o del giudizio abbreviato) beneficiando peraltro, in ipotesi di pagamento dilazionato, dell’effetto di sospensione del processo sin dalla comunicazione del versamento della prima rata. Inoltre, «la  rateizzazione, secondo la disciplina di diritto tributario richiamata, potrà comportare la sospensione del processo penale per periodi ben più lunghi di tre o sei mesi: fino a cinque anni (venti rate trimestrali), nel caso della definizione degli atti del procedimento di accertamento (art. 1, commi 179-185 l. n. 197/2022)»[66].

 Sennonché i diversi tempi previsti dall’art. 23 del d.l. n. 34/202 rischiano di travolgere un delicato l’equilibrio tra diverse esigenze che al contrario dovrebbe essere protetto con cura.  La non punibilità sopravvenuta per i delitti omissivi e di indebita compensazione con crediti non spettanti (art. 13, c. 1) e la circostanza attenuante ad effetto speciale per tutti i reati (art. 13 bis, c. 1) sono ancorate al termine ultimo dell’apertura del dibattimento di primo grado, specificamente correlato al procedimento penale già avviato: «limite consistente (in punto di cesura temporale rispetto al momento consumativo del reato) ma rigido, che trova radici giustificative tanto nell’esigenza di scongiurare rinvii del processo una volta iniziato il dibattimento (e, più in generale, di evitare una dispersione di attività processuale), quanto nella necessità di precludere strategie opportunistiche dell’imputato (che, magari, si determini a versare il dovuto sulla base dell’andamento del giudizio), e che trova una deroga parziale solo nei casi e con le modalità disciplinati dal comma 3 dell’art. 13»[67].  Per l’identico termine massimo di sei mesi, nei casi in esame, la prescrizione è sospesa e il Giudice delle Leggi (cfr. C. cost., ordinanze n. 256/2017 e 126/2019) ha, fino ad oggi, dichiarato inammissibili le questioni relative alla inflessibilità, anche a fronte di più consistenti termini per l’integrale versamento sul versante amministrativo, del termine in questione. Il pericolo di dispersione di attività processuale e della praticabilità di valutazioni opportunistiche sulla base della conoscenza avanzata di esiti processuali appare sottovalutato nella sistematica della non punibilità delineata dall’art. 23 del d.l. n. 34/2023, che finisce per costituire un’opzione incondizionata di favore per la massimizzazione della prospettiva di riscossione, in assenza di considerazione per le esigenze di general-prevenzione riconnesse alle sanzioni penali.  Una premialità così ampiamente posticipata e per giunta poco costosa, in regione delle agevolazioni in punto di riduzione delle sanzioni e di pagamento dilazionato e rateizzato, da ingenerare il rischio di generalizzare comportamenti attendisti, rassicurati dalla possibilità di virare su definizioni a “prezzi scontati” anche in situazioni processuali compromesse nelle quali si è venuta delineando con chiarezza la fondatezza della contestazione penale. Del tutto limitata, in tal senso, appare la percezione del pericolo dell’inutilità e dello spreco di risorse e di danaro per la celebrazione dei processi in primo grado rispetto a reati fiscali facilmente  vanificati successivamente per adempimenti tardivi e tutto sommati convenienti per il contribuente; e ancor prima la tendenziale inoperatività cui si riducono gli strumenti deflattivi come già previsti, funzionali a evitare il processo a condizione di un solerte adempimento.

La latitudine dei reati omissivi ai quali si applica la causa di non punibilità prevista dall’art. 23 d.l. n. 34/20023, negli stessi termini della causa di non punibilità ex art. 13, c. 1  d.lgs. n. 74/2000, risulta a rischio di estensione, ove la massimizzazione dell’interesse riscossivo dovesse costituire elemento centrale della futura iniziativa normativa in sede parlamentare[68] .

Non è testuale, infine, che alla sospensione del processo consegua la sospensione della prescrizione e dell’improcedibilità per superamento dei termini di fase ex art. 344-bis c.p.p. A differenza di quanto previsto dell’art. 13, c. 3, d.lgs. 74/2000 in relazione all’eventuale termine concesso dal giudice al contribuente per provvedere al pagamento, l’art. 23, d.l. 34/2023, non prende posizione in merito all’eventuale effetto sospensivo della prescrizione. Sembra si possa ritenere che tale conseguenza sia imposta, in virtù del disposto normativo di cui all’art. 159, c. 1, c.p., a sua volta richiamato dall’art. 344-bisc. 6, c.p.p.; se non dovesse optarsi per questa lettura, si verrebbero a generare ulteriori problemi connessi al carattere strumentale dell’accesso a soluzioni di dilazione e rateizzazione, con effetti estintivi anche sulle confische dichiarate in primo grado giusto il disposto dell’art. 578-ter c.p. Nondimeno, egualmente problematici potrebbero essere gli effetti di una lunga sospensione del processo, quale quella legata ad un piano di pagamento dilazionato negli anni (anche sino a cinque), potrebbe produrre sui relativi giudizi, specie in ipotesi di successiva decadenza dalla rateizzazione, come ad esempio nel caso di mutamento della persona del giudicante con necessità di rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale. Ma si pensi, vieppiù, anche alla difficoltosa e  diseconomica necessità di scindere processi nei quali siano contestati oltre ai reati condonabili (e sospendibili) anche reati tributari o del diritto penale della crisi per i quali l’esimente non può operare [69]

La soluzione offerta, probabilmente, mira a di rafforzare il principio di sussidiarietà della pena, a sua volta precursore di benefici general-preventivi: la contro-azione ripristinatoria, invero, suscitando la riappacificazione tra l’ordinamento e l’agente, promette la massimizzazione della prevenzione generale e l’«irrobustimento di un (…) clima di fiducia nella conformità a diritto da parte dei consociati»[70].  Sennonché, ogni tipizzazione eccessivamente disinvolta della non punibilità sopravvenuta può ingenerare un uso distorto della leva premiale, finendo per veicolare messaggi involontariamente  criminogeni; è stato osservato, in proposito,  che «laddove si limitasse la contro-azione al mero ripristino dello status quo ante, in assenza di connotati ulteriori, specie cronologici, e/o di altre note afflittive o altrimenti stigmatizzanti, l’agente potrebbe infatti violare la norma incriminatrice confidando nella certa possibilità, in caso di scoperta, di sanare gli effetti della condotta tipica – una sorta di « transazione col delitto», […]– e sfuggire comunque alla sanzione»[71]. È quanto si verifica in relazione a talune forme di “condono” che invece di costituire strumenti eccezionali di politica legislativa divengono ordinari strumenti per “fare cassa”, presto e subito[72]. Il “messaggio” che l’offesa si possa impunemente mantenere non già semplicemente sino al punto in cui possa essere efficacemente reintegrata per l’ordinamento, ma sino al momento in cui possa essere utilmente protratta per il reo[73] ha tragici inconvenienti in punto di prevenzione, generale e speciale[74]. Difetti che, peraltro, possono persino ampliarsi laddove le fattispecie incriminatrici siano strutturate come mere omissioni: il rischio è che la minaccia di pena valga come diffida ad adempiere automaticamente correlata alla scadenza del debito, a partire dalla quale inizia il “conto alla rovescia” per versare il dovuto, non sempre maggiorato di interessi e sanzioni, tradendo il significato stesso del precetto penale. A fronte di fattispecie omissive, infatti, «l’adempimento dilazionato ad efficacia estintiva implica che la norma incriminatrice non costituisca l’ultima Thule predisposta per la tutela dell’interesse, ma la prima Thule della sua realizzazione da parte dell’offensore: il “premio”, dipendendo dal solo fatto di tenere tardivamente il comportamento già originariamente prescritto, fa addirittura aggio sull’incriminazione»[75]. Residua dunque il tema generale, comprensibile anche dal cittadino non in possesso di competenze qualificate, del messaggio circa la convenienza all’evasione, che, nell’ipotesi di eventuale accertamento, potrà essere sanata in tempistiche più che comode. I principi di prevenzione generale e speciale della sanzione penale sono perciò messi in grave disagio. Più coerente sul piano giuridico, allora, sarebbe concentrare l’intervento punitivo su sanzioni diverse da quella penale, a quel punto più efficaci sul piano della deterrenza[76].  Sistematicamente pericoloso, in ogni caso, è trasformare la punibilità in strumento utilitaristico  di politica criminale, specie rispetto a fattispecie – ritenute – a basso contenuto di antagonismo (è il caso delle figure omissive degli artt. 10-bis e 10-ter), in carenza di analisi più approfondite sulle loro ragioni, anche opportunistiche.  Ciò apre ad una “amministrativizzazione” latente del diritto penale segnato dall’arretramento della sanzione punitiva, del tutto innaturalmente svilita e funzionalizzata a compiti promozionali, quali l’enforcement all’adempimento amministrativo, pur tardivo, nel versamento delle imposte[77].


[1]  Altre ipotesi cui non si applicava la causa di non punibilità erano l’occultamento e la distruzione delle scritture e documenti contabili e tutte le altre ipotesi di falso e frode fiscale.

[2] Cass. Sez. 3, n. 51038/2018,  Rv. 274094;   all’indomani della riforma dei reati tributari la S.C. ha affermato che tra la contravvenzione di omessa presentazione delle dichiarazioni ai fini delle imposte sui redditi e sul valore aggiunto, già prevista dall’art. 1, c. 1, d.l. 10 luglio 1982, n. 429, convertito con L. 7 agosto 1982, n. 516, ed il delitto di omessa dichiarazione, introdotto dall’art. 5 d.lgs. 10 marzo 2000, n. 74, non sussiste, stante la disomogeneità strutturale fra le due fattispecie, alcuna continuità di illecito (Cass. Sez. U, n. 35/2001, Sagone, Rv. 217374). Che l’accertamento con adesione non spieghi alcun effetto penalmente rilevante, del resto, risulta con evidenza dalla disciplina tributaria delineata nel d.lgs. 74 del 2000, sia prima, sia dopo le modifiche ad essa apportare dal d.lgs. 24 settembre 2015, n. 158.

[3] Per un commento sull’istituto cfr.  Manoni, Riparazione dell’offesa: non si estende ai compartecipi e non giustifica la confisca per equivalente, in Fisco, 2021, 39, p. 3750 ss.

[4] Cass. Sez. 3, n. 11352 del 10/02/2015, Murari, Rv. 262784; Id., n. 37748 del 16/07/2014, Di Febo, Rv. 260189; Id., n. 26464 del 19/02/2014, Manzoni, Rv. 259299, che ha ritenuto irrilevante l’avvenuta sottoscrizione del verbale di adesione e la stipulazione di una fideiussione bancaria a favore dell’Amministrazione finanziaria.

[5] Cass., Sez. 3,  n. 48375/2018, Rv. 274701, est. Gai, P.M. Canevelli (Diff.).

[6] Cass. Sez. 3, n. 32598 del 16/05/2014, PG in proc. Guercio, non mass.

[7]  Cass., Sez. 3, n. 16297 del 27/02/2018, De Sarlo, non mass.

[8] Altro orientamento esclude il carattere novativo dell’accordo (Cass. Sez. 5, n. 13244/2015; Id. n. 23051/2015).

[9]  Su questa linea cfr. Cass. Sez. 3, n. 16472 del 28/02/2020, Rv. 279012; Id. n. 48375 del 13/07/2018, Rv. 274701; Id., n 10730/2023 per le quali  in tema di reati tributari, l’accordo tra il contribuente e l’Amministrazione finanziaria per la rateizzazione del debito, quantunque comporti la rimodulazione della sua scadenza, che viene scansionata nel tempo in corrispondenza ai termini delle singole rate, non esclude che, al verificarsi di detta scadenza senza la soddisfazione totale del debito, il reato resti comunque configurabile, in quanto la previsione di una causa sopravvenuta di non punibilità del fatto lascia immutata l’illiceità della condotta, che non può ritenersi scriminata ai sensi dell’art. 51 c.p.  né ai sensi dell’art. 59, c.4, c.p., per cui l’effetto novativo dell’obbligazione che deriva dall’accordo tra il contribuente e l’Amministrazione rimane circoscritto all’ambito tributario, non producendo conseguenze sul piano penale.

[10] Cass.,  Sez. 3 , n. 50157/2018, Rv. 275439, est. Gai, P.M. Filippi (Diff.); cfr. Cass-. Sez. 3, n. 28710 del 19/04/2017, P.G. in proc. Mantellini, Rv. 270476; Id., n. 15899 del 02/03/2016, Colletta, Rv. 266817; Id., n. 38684 del 04/06/2014, Agresti, Rv. 260389; Id., n. 37335 del 15/07/2014, Buonocore, Rv. 260188; id., n. 36396 del 18/05/2011, Mariutti, Rv. 251280; Id. n. 5490 del 26/11/2008, Crupano, Rv. 243089.

[11] Cass.,  Sez. 3, n. 29091/2019,  Rv. 276756 – 03, est. Di Nicola, P.M. Seccia (Parz. Diff.).

[12] Cass., Sez. 3, n. 38684 del 04/06/2014, Agresti, Rv. 260389.

[13] Cass., Sez. 3, n. 5640/2012, Manco, Rv. 251892.

[14]  Norma alla cui stregua «il procedimento amministrativo di accertamento ed il processo tributario non possono essere sospesi per la pendenza del procedimento penale avente ad oggetto i medesimi fatti dal cui accertamento comunque dipende la relativa definizione».

[15] Giarda – Alloisio, Le nuove cause di estinzione del reato e di esclusione della punibilità. Le circostanze del reato, in A. Giarda – A. Perini – G. Varraso (a cura di), La nuova giustizia penale tributaria, i reati, il processo, Padova 2016, p. 450 ss.

[16] Melis, La nuova disciplina degli effetti penali dell’estinzione del debito tributario, in Rass. trib., n. 3/2016, 589.

[17] Cfr. la Relazione governativa al decreto.

[18] Ingrassia, Ragione fiscale vs “illecito penale personale”: il sistema penale-tributario dopo il D.Lgs. 158/2015, Santarcangelo di Romagna, 2016, p. 173 ss.

[19] Lanzi-Aldovrandi, Manuale di diritto penale tributario, 2014, p. 324 ss.

[20]  Piergallini, Fondamento, funzioni e limiti delle moderne forme di impunità retroattiva, in E. Dolcini – C.E. Paliero (a cura di), Studi in onore di Giorgio Marinucci, Milano, 2006, p. 1653 ss.

[21] Cavallini, La non punibilità nel prisma del diritto penale tributario: coerenza o lassismo di sistema? In Diritto penale contemporaneo, Rivista trimestrale, 3/2020, pp. 256-274.

[22] Cfr. Relazione illustrativa al decreto.

[23] Ambrosi -Iorio, Pagamento del debito tributario ed estinzione del reato, in il fisco, n. 5/2021, p. 441.

[24] Cass., Sez. 3,  n. 9883/2020, Rv. 278671, est. Gentili, P.M. Gaeta (Diff.)

[25] Originariamente ad effetto speciale, resa ad effetto comune con l’art. 2, c. 36-vicies semel, lett. i), del D.L. 13 agosto 2011, n. 138 conv., con modif., in L. 14/9/2011, n. 148, riconfigurata ad effetto speciale.

[26] Cass. Sez. 3 , n. 10916/2020;  Id., n. 35225/2021;  Id. n. 12344/2023, Cass. Sez. 7, n. 25227/2017, Rv. 270669.

[27] Negli ultimo approdi (Cass., Sez. 3, n. 30706/2022) è venuta stabilizzandosi  l’affermazione per cui la preclusione al patteggiamento, posta dall’art. 13-bis, c. 2D.Lgs. n. 74 del 2000 per il caso di mancata estinzione del debito tributario prima dell’apertura del dibattimento, opera solo con riguardo ai più gravi reati dichiarativi di cui agli artt. 2, 3, 4 e 5, richiamati dall’art. 13, c. 2, dello stesso decreto, dal momento che, in tali ipotesi, l’integrale pagamento del debito effettuato prima del predetto termine, ma dopo la formale conoscenza, da parte dell’autore del reato, di accessi, ispezioni, verifiche o dell’inizio di qualunque attività di accertamento amministrativo o di procedimenti penali, vale solo a ridurre il disvalore penale del fatto e non esclude la punibilità, mentre non opera per i reati di omesso versamento di cui agli artt. 10-bis, 10-ter e 10-quater, richiamati dall’art. 13, c. 1, d.lgs. citato, per i quali l’estinzione del debito determina la non punibilità e, quindi, non può valere quale condizione per accedere al patteggiamento” (cfr.  Cass., Sez. 3, n. 9083/2021, Matassini, Rv. 281709; cfr. su detto ultimo punto Cass. Sez. 3, n. 38684/2018, Incerti, Rv. 273607; cfr. altresì Cass., Sez. 3, n. 47287 del 02/10/2019, Cetin, Rv. 277897).

[28] Cfr. Relazione n. III/05/2015 dell’Ufficio del Massimario della Corte di Cassazione.

[29] Di Siena, Il recente intervento in materia penale tributaria. Davvero tutto ciò che è reale è anche razionale?, in Rivista telematica di diritto tributario dell’8 aprile 2020.

[30]  Ingrassia, Ragione fiscale vs “illecito penale personale, cit., p. 181 ss.; Loconte, Estinzione del debito tributario e responsabilità 231: disallineamento voluto o vuoto normativo da colmare?, Fisco, 2022, 18, 1742.

[31] Bartoli, Responsabilità degli enti e reati tributari: una riforma affètta da sistematica irragionevolezza, in Sistema Penale, n. 3/2020, p. 219 ss.; in dottrina (Gianaria-Santoriello, Irrilevanza del pagamento del debito tributario in caso di “formale conoscenza del procedimento”, in Fisco, 2023, 7, 647; Ingrassia, Circostanze attenuanti e cause di non punibilità. La voluntary disclosure, in I reati tributari, a cura di Bricchetti-Veneziani, Torino, 2017) si ritiene che la causa di non punibilità abbia natura oggettiva, estendendosi ex art. 119, c.2 c.p. anche a favore de compartecipi che non hanno pagato.  

[32] Cass., Sez. 3,  n. 5288/2020, Rv. 278397: «In tema di reati tributari, la concessione del termine trimestrale di cui all’art.13, comma 3, d.lgs. 10 marzo 2000 n. 74, che consente il pagamento del debito erariale in pendenza del processo, presuppone l’esistenza di un piano di rateizzazione produttivo di effetti e il rispetto del termine di pagamento delle singole rate, previsto a pena di decadenza. (Fattispecie in cui la Corte ha ritenuto immune da censure la mancata concessione del suddetto termine non avendo l’imputato fornito prova della sussistenza di un valido piano di rateizzazione e dell’adempimento degli importi oggetto di dilazione ai sensi dell’art. 3-bis, d.lgs.18 dicembre 1997, n. 462)».

[33]  Si tratta di delitti omissivi istantanei che si perfezionano alla scadenza del termine previsto, puniti a titolo di dolo generico, ossia per la consapevolezza di non versare all’erario le imposte dichiarate e dovute alle previste scadenze. Il termine per il pagamento dell’acconto IVA (normalmente il 27 dicembre) segna la data di consumazione del reato di omesso versamento IVA, se il debito non pagato indicato nella dichiarazione dell’anno precedente è superiore a 250.000 euro. Così come la scadenza dell’invio del 770 individua la consumazione del reato di omesso versamento delle ritenute dell’anno precedente se superiori a 150.000 euro. Per il reato di indebita compensazione di crediti non spettanti, invece, è sufficiente non versare le somme dovute, utilizzando la compensazione, per un importo annuo superiore a 50.000 euro.

[34] In tal senso Relazione illustrativa al d.lgs. n. 158/2015.

[35] Sul punto, Cass. Sez. 3, n. 17695/2019, Rv. 275448; Id., n. 30879/2018, Rv. 273335; Sez. 3, n. 39072 del 18/07/2017, Rv. 271473.

[36] Cass. n. 34940/2020.

[37] Ad esempio, il caso di utilizzo in dichiarazione fraudolenta di fatture false rilevanti ai soli fini IVA, il contribuente dovrà regolarizzare sia l’infedele dichiarazione annuale, sia l’indebita detrazione dell’imposta ma, a tal fine, dovrà calcolare le sanzioni tributarie per ogni singola violazione senza poter cumulare le medesime, come avviene, al contrario, in ipotesi di accertamento da parte dell’Ufficio.

[38] Cavallini, op. cit., p. 265.

[39] Bellagamba, Il ravvedimento operoso nella nuova disciplina dei reati tributari: tra buone intenzioni ed imperfezioni tecniche, in Diritto penale e processo, 2016, p. 248.

[40] Ingrassia, Circostanze e cause di non punibilità. La voluntary disclosure, in Bricchetti – Veneziani (a cura di) I reati tributari, Trattato teorico – pratico di diritto penale, Palazzo – Paliero (diretto da), Torino, 2017, 527 ss.

[41] Ambrosi-Iorio, Pagamento del debito tributario ed estinzione del reato, 2021; possono considerarsi atti con cui l’indagato acquisisce conoscenza formale di un procedimento penale l’informazione di garanzia, l’avviso di conclusione e la richiesta di proroga delle indagini preliminari, l’invito a comparire per rendere interrogatorio, la fissazione dell’udienza a seguito di opposizione alla richiesta di archiviazione, i decreti di sequestro, le ordinanze relative a misure cautelari personali, il decreto penale di condanna e gli atti di vocatio in jus.

[42] Cfr. Relazione n. III/05/2015, sul d.lgs. n. 158/2015 pubblicata dal Massimario della Corte di cassazione il 28 ottobre 2015. Per un quadro delle diverse situazioni che integrano tale formale conoscenza cfr. Ambrosi-Iorio, Pagamento del debito tributario ed estinzione del reato, Fisco, 2021, 5, 441 e ss. con richiami ai chiarimenti offerti dalla Circolare n. 10/E/2015 in occasione della procedura di voluntary disclosure, per la quale la norma prevedeva una locuzione analoga. L’espressione “inizio di accessi, ispezioni o verifiche” ha quale riferimento normativo gli artt. 52 del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, 33 del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600;  per l’inizio di altre attività amministrative di accertamento, può essere compresa la notifica di atti quali inviti, richieste e questionari, escludendo le richieste di indagini finanziarie rivolte agli intermediari finanziari e la comunicazione derivante dal controllo automatizzato e formale delle dichiarazioni presentate dai contribuenti;   per situazioni controverse, per le quali si tende a escludere l’attitudine ad integrare formale conoscenza cfr. i questionari ricevuti dal contribuente con richiesta di chiarimenti/documenti in relazione a controlli nei confronti di un terzo soggetto (l’emittente di fatture per operazioni inesistenti),  la ricezione di un provvedimento di sequestro  non quale autore della violazione degli obblighi di dichiarazione ma quale  terzo destinatario, il caso di contestazioni di  violazioni per diversi periodi di imposta  o riferite a imposte estranee  alla tutela penale (si pensi all’IRAP ) o a violazione penali diverse da quelle dichiarative tributarie.

[43] In tal senso la Relazione n. III/05/2015 dell’Ufficio del massimario della Corte di cassazione.

[44] L’art. 13-bis del d.l. 1 luglio 2009 n. 78, conv. in L. 3 agosto 2009 n. 102 (disciplina del rimpatrio di attività finanziarie e patrimoniali detenute fuori del territorio dello Stato, c.d. “scudo fiscale”), prevedeva che «Il rimpatrio ovvero la regolarizzazione si perfezionano con il pagamento dell’imposta e non possono in ogni caso costituire elemento utilizzabile a sfavore del contribuente,  in ogni sede amministrativa o giudiziaria civile, amministrativa ovvero tributaria, in via autonoma o addizionale, con esclusione dei procedimenti in corso alla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto» (comma 3), e che «l’effettivo pagamento dell’imposta produce gli effetti di cui agli articoli 14 e 15 e rende applicabili le disposizioni di cui all’articolo 17 del decreto-legge 25 settembre 2001, n. 350, convertito, con modificazioni, dalla legge 23 novembre 2001, n. 409, e successive modificazioni. (…) l’effettivo pagamento dell’imposta comporta, in materia di esclusione della punibilità penale, limitatamente al rimpatrio ed alla regolarizzazione di cui al presente articolo, l’applicazione della disposizione di cui al già vigente articolo 8, comma 6, lettera c), della legge 27 dicembre 2002, n. 289, e successive modificazioni; resta ferma l’abrogazione dell’articolo 2623 del codice civile disposta dall’articolo 34 della legge 28 dicembre 2005, n. 262» (comma 4); nell’estendere al c.d. “scudo fiscale ter” le stesse modalità, in quanto applicabili, previste dagli articoli 11, 13, 14, 15, 16, 19, commi 2 e 2-bis, e 20, comma 3, del decreto-legge 25 settembre 2001, n. 350, convertito, con modificazioni, dalla legge 23 novembre 2001, n. 409, e successive modificazioni, nonché dal d.l. 22 febbraio 2002, n. 12, convertito, con modificazioni, dalla L.  23 aprile 2002, n. 73 (comma 5), la norma precisava, altresì, che «L’imposta di cui al comma 1 si applica sulle attività finanziarie e patrimoniali detenute a partire da una data non successiva al 31 dicembre 2008 e rimpatriate ovvero regolarizzate a partire dal 15 settembre 2009 e fino al 15 dicembre 2009» (comma 6). Al riguardo, la norma richiamata dall’art. 13-bis sugli effetti del rimpatrio, l’art. 14 del d.l. 350/2001, convertito in L. 409/2001, prevedeva, al 10 comma, che «Salvo quanto stabilito dal comma 7, il rimpatrio delle attività finanziarie effettuato ai sensi dell’articolo 12 e nel rispetto delle modalità di cui all’articolo 13: (…) c) esclude la punibilità per i reati di cui agli articoli 4 e 5 del decreto legislativo n. 74 del 2000, nonché i reati di cui al decreto-legge n. 429 del 1982, ad eccezione di quelli previsti dall’articolo 4, lettere d) e f), del predetto decreto n. 429, relativamente alla disponibilità delle attività finanziarie dichiarate»; il successivo comma 7, richiamato nella clausola di salvezza, disponeva che «Il rimpatrio delle attività non produce gli effetti di cui al presente articolo quando, alla data di presentazione della dichiarazione riservata, una delle violazioni delle norme indicate al comma 1 è stata già constatata o comunque sono già iniziati accessi, ispezioni e verifiche o altre attività di accertamento tributario e contributivo di cui gli interessati hanno avuto formale conoscenza (…)». In tema di reati tributari, l’adesione alla procedura di rimpatrio dei capitali cd. “scudati” di cui al D.L. n. 78 del 2009 (convertito in L. n. 102 del 2009), possibile solo in relazione ai procedimenti non iniziati alla data del 3 agosto 2009, determinava l’esclusione della punibilità solo con il pagamento dell’imposta e non con la mera dichiarazione riservata, sempre che, alla data di presentazione di tale dichiarazione, le violazioni non fossero  già state contestate e non fossero  comunque già iniziate attività di indagine e/o accertamento di cui gli interessati abbiano avuto formale conoscenza  (Cass.,  Sez. 3,  n. 55106/2016,  Rv. 268528).

[45] Cass., Sez. 3,  n. 17806 del 29/01/2020, Rv. 279426.

[46] Cass. Sez. 3, n. 15237/2017, Volanti, Rv. 269653-01, est. Mengoni, P.M. Mazzotta (Diff.); in applicazione di questo principio la S.C. ha ritenuto ammissibile la rilevabilità della suddetta causa di non punibilità anche nel giudizio di legittimità, rinviando al giudice di merito per la valutazione circa la sussistenza in concreto delle condizioni previste dall’art. 13 del d.lgs. n.74 del 2000.

[47] Cass., Sez. 3, n. 30139/2017, Fegolent, Rv. 270464.

[48] Se i debiti tributari, comprese sanzioni e interessi, sono stati estinti mediante integrale pagamento degli importi dovuti, a seguito del ravvedimento operoso o della presentazione della dichiarazione omessa entro il termine di presentazione della dichiarazione relativa al periodo d’imposta ti successivo, sempreché il ravvedimento o la presentazione siano intervenuti prima che l’autore del reato abbia avuto formale conoscenza di accessi, ispezioni, verifiche o dell’inizio di qualunque attività di accertamento amministrativo o di procedimenti penali.

[49] In tal senso, si sono espresse le Sezioni Unite di questa Corte con riferimento all’istituto della non punibilità per particolare tenuità del fatto, previsto dall’art. 131-bis c.p., affermando che esso, avendo natura sostanziale, è applicabile, per i fatti commessi prima dell’entrata in vigore del D.Lgs. n. 16 marzo 2015, n. 28, anche ai procedimenti pendenti davanti alla Corte di cassazione e per solo questi ultimi la relativa questione, in applicazione degli artt. 2, c. 4, c.p. e 129 c.p.p., è deducibile e rilevabile d’ufficio ex art. 609, c.2, c.p.p. anche nel caso di ricorso inammissibile (Cass. SU, n. 13681/2016, Tushaj, Rv. 266593-01).

[50] Cass., Sez, 3, n. 8174/2013; Id. n. 9083/2021, Matassini, Rv. 281709; Id., n. 47287/2019, Cetin Mehet Emin Rv. 277897.

[51] Cass. Sez. 3,  n. 13110/2018, Rv. 272513.

[52] Così, infatti, sostanzialmente, Cass. Sez. 3, n. 30139/2017, Fegolent, Rv. 270464.

[53] In tal senso, con riferimento alla causa di esclusione della punibilità dell’art. 131-bis c.p.., già Cass., Sez. 3, n. 34932/2015, Elia, Rv. 264160, non massimata sul punto; Id., n. 15449/2015, Mazzarotto, Rv. 263308, non massimata sul punto.

[54] Con riferimento alla causa di esclusione della punibilità è stato anche di recente chiarito che la stessa, presupponendo l’accertamento del reato e la riferibilità soggettiva all’imputato, differisce radicalmente sia dall’abrogazione della disposizione di legge che definisce il reato e le sue implicazioni sanzionatorie, sia dalla pronuncia dichiarativa di illegittimità costituzionale, non rientrando dunque tra le situazioni tassative previste dall’art. 673 citato, dal momento che non produce l’effetto di escludere la configurabilità del reato e la sua dimensione storico-fattuale e la responsabilità risarcitoria per i pregiudizi cagionati ai terzi, che restano immutate, incidendo soltanto sulla possibilità di irrogare la sanzione nei confronti del suo autore (così, con riferimento all’art. 131-bis c.p., Sez. 7, n. 11833/2016, Rondello, Rv. 266169).

[55] Cass., Sez. Un. n. 18821 del 24/10/2013, dep. 07/05/2014, Ercolano, Rv. 268550.

[56] Cfr. Cass., Sez. Un., n. 42858/2014, P.M. in proc. Gatto, Rv. 260695. La Corte ha anche escluso la sussistenza delle condizioni per sollevare una questione di legittimità costituzionale dell’art. 2 c.p. per contrasto, sul punto del limite del giudicato, con gli artt. 3,13, 27 e 117 Cost. La C. cost., pur avendo sottolineato che il principio di retroattività in mitius, non trovando copertura nell’art. 25, secondo comma, Cost. (ex plurimis, sentenze n. 80 del 1995, n. 6 del 1978 e n. 164 del 1974; ordinanza n. 330 del 1995), va ricollegato al principio di eguaglianza, che impone, in linea di massima, di equiparare il trattamento sanzionatorio dei medesimi fatti, a prescindere dalla circostanza che essi siano stati commessi prima o dopo l’entrata in vigore della norma che ha disposto la modifica mitigatrice (Corte cost. n. 394 del 2006), ha anche aggiunto che, proprio in ragione di tale esclusivo collegamento, lo stesso deve ritenersi suscettibile di deroghe legittime sul piano costituzionale ove sorrette da giustificazioni oggettivamente ragionevoli (Corte cost., n. 215 del 2008, n. 72 del 2008, n. 394 del 2006; n. 330 del 1995, n. 74 del 1980 e n. 6 del 1978), un limite in tal senso dovendo essere rinvenuto proprio nella intervenuta definitività dell’accertamento della responsabilità penale, rispondendo l’intangibilità del giudicato all’esigenza di salvaguardia della “certezza del diritto e di stabilità dell’assetto dei rapporti giuridici” (Corte cost., n. 210 del 2013; vedi anche Corte cost., n. 230 del 2012 e n. 236 del 2011); ed anche la Corte EDU, pur individuando nell’art. 7 della Convenzione l’elemento di “copertura” alla retroattività della norma più favorevole, ha individuato un limite a ciò nel giudicato (Corte EDU, 17/09/2009, Scoppola contro Italia), limite, anche da ultimo, nuovamente invocato dalla stessa Corte europea (Corte EDU, 12/01/2016, Gouarré Patte contro Andorra e 12/07/2016, Ruban contro Ucraina). Sicché, in definitiva, la scelta del legislatore secondo cui il principio di stabilità ed inviolabilità della “res iudicata” può subire deroga esclusivamente in presenza di una nuova disposizione eliminatrice del reato, successivamente intervenuta (v. in proposito, Sez. 3, n. 1002 del 17/03/1998, dep. 07/05/1998, P.M. in proc. Priolo, Rv. 210860) e non anche a fronte di modifiche normative in melius, appare non contrastante né con il principio di cui all’art.7 Convenzione edu né con gli invocati principi di ordine costituzionale.

[57] Bartoli, Responsabilità degli enti e reati tributari: una riforma affètta da sistematica irragionevolezza, in Sistema Penale, n. 3/2020, 219 ss.

[58] Mongillo, La responsabilità penale tra individuo ed ente collettivo, Torino, 2018, 390.

[59]  Cass.  n. 1420/2020, Id., n. 11518/2019 e Id., n. 9072/2018 con particolare riferimento alla diversa causa di esclusione della punibilità di cui all’art. 131-bis c.p., ovvero per particolare tenuità del fatto.

[60] Secondo l’art. 17 d.lgs. n. 231/2001 (“Riparazione delle conseguenze del reato”), infatti, ferme le sanzioni pecuniarie, le sanzioni interdittive non si applicano quando, prima della dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado, concorrono le seguenti condizioni: a) l’ente ha risarcito integralmente il danno e ha eliminato le conseguenze dannose o pericolose del reato ovvero si è comunque efficacemente adoperato in tal senso; b) l’ente ha eliminato le carenze organizzative che hanno determinato il reato mediante l’adozione e l’attuazione di modelli organizzativi idonei a prevenire reati della specie di quello verificatosi; c) l’ente ha messo a disposizione il profitto conseguito ai fini della confisca.

[61] Art. 19 d.lgs. n. 231/2001.

[62] Piergallini, La riforma dei reati tributari tra responsabilità della persona fisica e responsabilità dell’ente, in Sistema Penale, 2020.

[63] In tal senso, invece, Ingrassia, Circostanze, op. cit., 527 ss.

[64] In estrema sintesi: (i) con riferimento alla fase prodromica, le disposizioni della legge di bilancio 2023 (art. 1, c. 153-158 della legge n. 197 del 2022) consentono di definire con modalità agevolate le somme dovute a seguito del controllo automatizzato (cd. avvisi bonari); in particolare, sono ridotte le sanzioni dovute, ricalcolate in misura pari al 3% dell’imposta (non versata o versata in ritardo) che residua dopo aver considerato i versamenti rateali (codice tributo 9001) eseguiti fino al 31 dicembre 2022; (ii) si consente inoltre (c. 166-173) di sanare le infrazioni e le inosservanze di obblighi o adempimenti, di natura formale, non rilevanti sulla determinazione della base imponibile ai fini delle imposte sui redditi, ai fini dell’IVA e dell’IRAP e sul pagamento di tali tributi, se commesse fino al 31 ottobre 2022, mediante la loro rimozione e il versamento di una somma pari a 200 euro per ciascun periodo d’imposta cui si riferiscono le violazioni, eseguito in due rate di pari importo, la prima entro il 31 ottobre 2023 e la seconda entro il 31 marzo 2024 (termini modificati dall’articolo 19 del D.l. 34/2023); (iii) ai c. 174-178 è stata introdotto la possibilità di regolarizzare le dichiarazioni – purché validamente presentate – relative al periodo d’imposta in corso al 31 dicembre 2021 e a quelli precedenti, purché le relative violazioni non siano state già contestate alla data del versamento del dovuto (in unica soluzione o alla prima rata), mediante la rimozione dell’irregolarità o dell’omissione e il pagamento dell’imposta, degli interessi e delle sanzioni, queste ultime ridotte a un diciottesimo del minimo edittale irrogabile (gli   art. 19 e 21 del d.l. n. 34/2023 modificano i termini della procedura e recano disposizioni di interpretazione autentica per cui si rinvia); (iv)  un altro gruppo di norme (commi 179-185) ha introdotto la possibilità di definire con modalità agevolate gli atti del procedimento di accertamento adottati dall’Agenzia delle entrate, purché non impugnati e per i quali non siano decorsi i termini per presentare ricorso, nonché quelli notificati dall’Agenzia delle entrate entro la data del 31 marzo 2023; sulle modifiche a tali disposizioni interviene l’articolo 17 del d.l. n. 34/2023; v)  i commi 186-205 della legge di bilancio 2023 consentono di definire con modalità agevolate le controversie tributarie pendenti (data di entrata in vigore della norma), anche in Cassazione e a seguito di rinvio, in cui sono parte l’Agenzia delle entrate e l’Agenzia delle dogane aventi ad oggetto atti impositivi (avvisi di accertamento, provvedimenti di irrogazione delle sanzioni e ogni altro atto di imposizione), mediante il pagamento di un importo pari al valore della controversia (l’articolo 20 del d.l. 34  riapre i termini per avvalersi di tale istituto); vi)  in alternativa alla definizione agevolata delle controversie, è consentito definire – entro il 30 giugno 2023 – con un accordo conciliativo fuori udienza (commi 206-212) le controversie tributarie pendenti al 15 febbraio 2023 (termine modificato dall’articolo 17 del provvedimento in esame) di primo e secondo grado aventi ad oggetto atti impositivi in cui è parte l’Agenzia delle entrate; vii)  la legge (commi 213-218) introduce e disciplina, in alternativa alla citata definizione agevolata delle controversie, la rinuncia agevolata alle controversie tributarie in cui è parte l’Agenzia delle entrate e che sono pendenti in Corte di Cassazione (l’art.  20 del d.l. n. 34/2023 riapre i termini per usufruire della rinuncia agevolata delle liti tributarie pendenti in Cassazione, estendendoli dal 30 giugno al 30 settembre 2023); viii) si consente inoltre (commi 219-221) di regolarizzare l’omesso o carente versamento di alcune somme riferite a tributi amministrati dall’Agenzia delle entrate e, in particolare: delle rate, successive alla prima, relative alle somme dovute a seguito di accertamento con adesione o di acquiescenza agli avvisi di accertamento, degli avvisi di rettifica e liquidazione, nonché a seguito di reclamo o mediazione; degli importi, anche rateali, relativi alle conciliazioni giudiziali (l’articolo 18 del d.l. n. 34/2023  modifica tale istituto chiarendo che la regolarizzazione riguarda le somme per cui non sia stata notificata una cartella di pagamento o un atto di intimazione al 1° gennaio 2023); ix)  le disposizioni (commi 222-230) prevedono l’annullamento automatico dei debiti tributari fino a mille euro (comprensivi di capitale, interessi e sanzioni) risultanti dai singoli carichi affidati agli agenti della riscossione dal 1° gennaio 2000 al 31 dicembre 2015, ancorché ricompresi in precedenti definizioni agevolate relative ai debiti affidati all’agente della riscossione; x) analogamente a quanto disposto in passato dai decreti-legge nn. 193 del 2016, 148 del 2017 e 119 del 2018, la legge di bilancio 2023 (commi 231-252) consente di definire con modalità agevolate i carichi affidati agli agenti della riscossione (cd. rottamazione delle cartelle esattoriali) nel periodo compreso tra il 1° gennaio 2000 ed il 30 giugno 2022.

[65] La distinzione tra crediti non spettanti e inesistenti, peraltro, non è del tutto limpida, al netto degli interventi chiarificatori della giurisprudenza. In tema di reati tributari, ai fini dell’integrazione del delitto di indebita compensazione sono inesistenti i crediti Iva non risultanti dalle dichiarazioni o dalle denunce periodiche di cui all’art.17 del d.lgs. n. 241 del 1997 (Cass. Sez. 3 , n. 43627/2018, Rv. 274062); per Cass. Sez.3, n. 3367/2015, Napoli, Rv. 262003, per credito “non spettante” si intende quel credito che, pur certo nella sua esistenza ed esatto, sia, per qualsiasi ragione normativa, ancora non utilizzabile, ovvero non più utilizzabile, in operazioni finanziarie di compensazione nei rapporti fra il contribuente e l’Erario. Si vedano altresì, sul tema, Cass., Sez. 3, n. 48211 del 22/01/2015, Suni, Rv. 265384 secondo cui sono non spettanti i crediti posti in compensazione oltre i limiti dell’art. 34, c.1, L. 23 dicembre 2000, n. 388.

[66] Gatta, Tregua fiscale” e nuova causa di non punibilità dei reati tributari attivabile fino al giudizio d’appello. E il PNRR?, in Sistema Penale, 12 Aprile 2022.

[67]  Soana,  I reati tributari, IV ed. Milano, 2018, p. 521. Contra, nel senso che, con la non punibilità ad ampio raggio delineata dall’art. 13 c. 1, il legislatore abbia rinunciato alla efficacia general-preventiva della sanzione penale, ovvero che, in ogni caso, la sanzione penale si limiti a “rinforzare” la capacità dissuasiva del sistema sanzionatorio amministrativo, Lanzi-Aldrovandi, Diritto penale tributario,  Milano, 2017, pp. 101-102.

[68] Il dato sembra emergere dal Dossier Studi sul DDL AC 1060 del Servizio STUDI delle Camere che non sembra distinguere le figure criminose del 1° e 2° comma dell’art. 10 quater d.lgs. n. 74/2000 ai fini dell’esegesi dell’art. 23 in esame.  

[69] Si pensi agli spazi di configurabilità del concorso tra il delitto ex art. 10 ter d.lgs. n. 74/2000,  il delitto di causazione del fallimento per effetto di operazioni dolose previsto dall’art. 223 c.2, n.2, L. fall. (Cass., Sez. 5  n. 30735/2019, Rv. 276996) e il delitto di truffa aggravata ai danni dello Stato (Cass., Sez. 3, n. 15922/2016 Rv. 266828).

[70] Piergallini (2018), Pene ‘private’ e prevenzione penale: antitesi o sincrasi?, in Paliero, Vigano’,  Basile, Gatta (a cura di): La pena, ancora: fra attualità e tradizione. Studi in onore di Emilio Dolcini, Milano, 631- 642.

[71] Cavallini, op.cit., p. 260.

[72] Piergallini, Fondamento, funzioni e limiti delle moderne forme di impunità retroattiva”, in Dolcini,  Paliero (a cura di): Studi in onore di Giorgio Marinucci, Milano, 2006, pp. 1674 ss.

[73] Padovani, Il traffico delle indulgenze. «Premio» e «corrispettivo» nella dinamica della punibilità, Rivista italiana di diritto e procedura penale, p. 409.

[74] Rimarca la decisività del fattore-tempo nell’economia delle cause di non punibilità improntate alle contro-azioni compensative anche Piergallini, op. cit. 2006, pp. 1671 ss., evidenziando gli esiziali rischi – che si traducono nella stabilizzazione delle condotte violative dei precetti penali – sottesi all’aggiramento del requisito della temporaneità.

[75]  Padovani, op. cit., p. 426.

[76] Sul punto, Cavallini, op. cit., p. 271, che in luogo del comodo rifugio in una sostanziale rinuncia alla pena, con perdurante degradazione del diritto penale a braccio armato di altri rami del diritto e contestuale depenalizzazione in concreto, propone come salutare e razionale una potatura del sistema penale (tributario) attraverso una organica decriminalizzazione in astratto, con espunzione delle fattispecie più marcatamente ‘riscossive’, nel rispetto sostanziale dei principi, non privi di echi costituzionali, di offensività e di sussidiarietà (in astratto)

[77] Ancora, Cavallini, op. cit., p. 271.

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