Sommario: 1. E’ necessaria una riforma processuale riguardante le persone, i minorenni e la famiglia?. – 2. Davvero un solo rito famiglia o ancora una pluralità di riti?– 3. L’avvento del giudice “psicologo”? – 4. La tutela della persona affidata al Notaio e al Giudice: semplificazione o complicazione del sistema?

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  1. E’ necessaria una riforma processuale riguardante le persone, i minorenni e la famiglia?

La risposta immediata dell’operatore del diritto è senz’altro affermativa ( per una valutazione complessiva dell’iter della riforma processuale e del suo valore diacronico e sincronico, si rinvia a F. Danovi, Le ragioni per una riforma della giustizia familiare e minorile, in Famiglia e Diritto, 2022, 4, 323). Come ricorda anche la relazione al Decreto legislativo 10 ottobre 2022 n. 149 di attuazione della Legge 26 novembre 2021, n. 206 il settore del diritto processuale della famiglia si caratterizzava per la molteplicità e proliferazione dei modelli processuali, in assenza di un disegno organico e unitario. La relazione precisa le criticità derivante dalla attuale situazione: difficoltà di individuazione per la parte delle forme necessarie per dare avvio al procedimento, l’organizzazione dei carichi per gli uffici giudiziari, diversi gradi di tutela talvolta anche incongruamente attribuiti a fattispecie analoghe quando non del tutto omologhe. La soluzione a tutte queste criticità sarebbe l’adozione di un modello generale e organico, il procedimento unitario in materia di persone, minorenni e famiglie (art. 473-bis e seguenti c.p.c.), valevole per la generalità dei procedimenti contenziosi che hanno ad oggetto i diritti della persona, dei minori e delle famiglie (con alcune specifiche eccezioni) (comma 23, l. n. 206/2021).

Se è vera la sensazione del giurista che il rito unitario per situazioni omologhe o analoghe ( separazione, scioglimento del matrimonio, unioni civili…) è un doveroso atto di uguaglianza, tuttavia la lettura della relazione produce tuttavia un’altra domanda. Come il modello unitario processuale potrebbe incidere sull’organizzazione del carico degli Uffici? Il riassetto di competenze, in sostanza la riformulazione del riparto disciplinato dall’art. 38 disp att. c.c.,  entrerà in vigore solo quando sarà costituito il nuovo Tribunale per le persone, per i minorenni, e per la famiglia e tale istituzione dovrà avvenire ai sensi del terzo comma dell’art. 45 “nell’ambito delle attuali dotazioni organiche del personale di magistratura e del personale amministrativo, dirigenziale e non dirigenziale, e senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica”. Proprio a questo nuovo Tribunale suddiviso in due articolazioni ( distrettuale e sedi circondariali) è affidato l’obiettivo di rendere la giustizia in materia di relazione tra persone non solo più omogena, ma anche più prossima al cittadino e soprattutto più specializzata. L’istituzione del Tribunale è inoltre subordinata all’emanazione di decreti del Ministro della Giustizia, sentito il Consiglio superiore della magistratura, di rideterminazione delle piante organiche sia dei magistrati giudicanti e requirenti che del personale amministrativo ai sensi del menzionato art. 45 del decreto legislativo 149/2022.

I due tasselli della riforma, quella processuale e quella ordinamentale, che reca con sé peraltro anche riflessi sul rito, quanto meno in punto di riparto di competenza, sono senz’altro ben congeniati al fine di superare, se realizzati congiuntamente, le criticità di una giustizia familiare. Concretamente in difetto di aumento dell’organico, non si vede come possano essere costituite sezioni circondariali specializzate, dedicate solo alla tutela delle persone. La criticità sottaciuta è che la ri-organizzazione dell’esistente non basta a risolvere il carico organizzativo dei magistrati.

Si rischia di affidare alla riforma processuale più di quello che da sola può realizzare. Certo la doglianza più ricorrente riguardava anche il profilo non solo disomogeneo del rito in relazione alle variegate situazioni familiari, ma anche un profilo di carenza di contradditorio specialmente nel rito camerale, uno dei tanti riti utilizzati nell’ambito familiaristico. Su questo fronte la riforma processuale che propone un rito molto simile a quello lavoristico fornisce una risposta condivisibile. Impone preclusioni, un costante richiamo al contradditorio nell’attività del consulente tecnico di ufficio e finanche nell’attività dei Servizi Sociali.

Tuttavia se la riforma processuale conforta l’utenza offrendole maggiori garanzie, l’incerta costituzione del nuovo Tribunale getta un’ombra sull’attuazione di queste garanzie. Come si può immaginare un effettivo contradditorio, la prossimità e la prontezza della risposta giurisdizionale, se poi il giudice, oberato da tanti altri affari contenziosi, non può dedicarsi in modo specialistico alla materia familiaristica?

Forse la definitiva risposta, meno impulsiva, rispetto a quella iniziale, è che la riforma davvero necessaria è quella ordinamentale, ancor prima, sia sul piano logico, oltre che cronologico, di quella processuale.

  • Davvero un solo rito famiglia o ancora una pluralità di riti?

L’art. 473-bis.19 prescrive: “Le decadenze previste dagli articoli 473-bis.14 e 473-bis.17 operano solo in riferimento alle domande aventi a oggetto diritti disponibili. Le parti possono sempre introdurre nuove domande e nuovi mezzi di prova relativi all’affidamento e al mantenimento dei figli minori. Possono altresì proporre, nella prima difesa utile successiva e fino al momento della precisazione delle conclusioni, nuove domande di contributo economico in favore proprio e dei figli maggiorenni non indipendenti economicamente e i relativi nuovi mezzi di prova, se si verificano mutamenti nelle circostanze o a seguito di nuovi accertamenti istruttori”.

Non è la sede per esaminare il corposo complesso normativo inserito nel Libro II del codice di procedura civile, dopo il Titolo IV, ossia il nuovo Titolo IV-bis “Norme per il procedimento in materia di persone, minorenni e famiglie”, le cui disposizioni in base all’art. 35  (disposizioni transitorie), avranno effetto a decorrere dal 30 giugno 2023 e si applicheranno ai procedimenti instaurati successivamente a tale data. Basti ricordare che le parti tendenzialmente dovranno depositare un ricorso, verrà fissata un’udienza di comparazione ( attualmente avanti al collegio ovvero al giudice relatore, poi un giorno, istituito il nuovo Tribunale, davanti al giudice monocratico), non vi sarà più la fase presidenziale, atteso che il presidente assegnerà il fascicolo al giudice relatore e fisserà direttamente udienza di comparizione delle parti ( cioè la prima udienza di trattazione), le parti avranno stringenti termini per depositare comparsa di costituzione ( il convenuto) ed eventuali repliche istruttorie. Questo iter è molto innovativo per la materia familiaristica, non solo per la tempistica strettissima, ma soprattutto perché impone una disclosure inziale molto penetrante in relazione alle condizioni economiche delle parti e l’impegno a formulare un piano genitoriale, “che indica gli impegni e le attività quotidiane dei figli relative alla scuola, al percorso educativo, alle attività extrascolastiche, alle frequentazioni abituali e alle vacanze normalmente godute” ( art. 473 bis. 12 c.p.c.). La novità più rilevante è che le preclusioni, a cui è correlato il principio dispositivo della prova, possono agevolmente “ saltare” se la domanda ad oggetto la tutela di diritti indisponibili, come appunto l’473-bis.19 c.p.c.

Ma qual è l’ambito dei diritti indisponibili nel diritto di famiglia? In generale cosa si intende per “indisponibilità dei diritti”? L’indisponibilità anche se viene menzionata spesso all’interno del Codice Civile, non è mai stata definita dettagliatamente, essendo priva di un espresso riferimento legislativo. Nell’ambito di un più ampio dibattito dottrinale, pare più esaustiva la definizione di Pugliatti ( S. PUGLIATTI, L’atto di disposizione e il trasferimento di diritti, in Annali Messina, I, 1927, 165 ss., ora in S. PUGLIATTI, Diritto civile. Metodo-Teoria-Pratica, Giuffrè, Milano, 1951, 1 ss.; ID., Considerazioni sul potere di disposizione, in S. PUGLIATTI, Diritto civile, cit., 33 ss.) secondo il quale   “Il potere di disposizione presuppone «una soggezione materiale (…)rivestita di formalità giuridica”, dalla quale «nasce il diritto soggettivo (…) che importa preliminarmente la legittima attribuzione ad un soggetto, con la conseguente garanzia di protezione verso tutti gli altri consociati, e nel contempo di disporre del diritto a favor d’altri, cioè di far sì che altri si sostituisca al titolare originario nel godimento e nell’esercizio del diritto”. In sostanza ciascun negozio dispositivo o di trasferimento dei diritti soggettivi si compone di due elementi eterogenei, uno oggettivo e uno soggettivo: l’elemento oggettivo concerne il diritto soggettivo, dal contenuto del quale viene completamente assorbito e che coincide con la facoltà o potere di disposizione; l’elemento soggettivo, riferito al titolare del diritto, consiste nell’emanazione della sua personalità e della sua libertà giuridica e si identifica con la manifestazione di volontà del soggetto titolare, per il tramite della quale il potere di disposizione diviene operativo. I diritti qualificati in questi termini devono essere considerati indisponibili non perché rispetto ad essi la capacità di agire non consenta al loro titolare l’esercizio del potere di disposizione, come potrebbe essere nelle ipotesi di pignoramento dei beni, ma perché privi dell’attitudine a costituire l’oggetto di negozi dispositivi, o meglio (dell’attitudine) ad essere trasferiti ad altri soggetti. La indisponibilità dei diritti riguarda anche diritti patrimoniali, atteso che è riduttivo ritenere che solo i diritti della personalità risultano essere indisponibili, per il solo fatto di essere strettamente legati al concetto di persona.

Nell’ambito del diritto di famiglia lo spazio alla libera negoziabilità è davvero risicato ( per una panoramica di comparazione con altri ordinamenti si rinvia a Giovanni Liberati Buccianti, Autonomia privata e ordine pubblico familiare, in Actualidad Jurídica Iberoamericana Nº 16, 2022, pp. 46-79). Visto il tenore dell’art. 160 c.c. “gli sposi non possono derogare né ai diritti né ai doveri previsti dalla legge per effetto del matrimonio”, la giurisprudenza è consolidata nell’affermare che perfino il diritto all’assegno di mantenimento tra coniugi è indisponibile, a prescindere dalla contribuzione per i figli, atteso che esso è traduzione, trasformazione, modificazione, specificazione, estrinsecazione, manifestazione di un aspetto o di una componente di quello all’assistenza materiale ex art. 143, comma 2, c.c., con la precisazione che quest’ultimo non subisce alcuna sospensione con la separazione personale. Pertanto, il diritto di assistenza materiale o il diritto all’assegno di mantenimento, corrisponde a ciò che è necessario alla conservazione del tenore di vita e della propria posizione economico- sociale, quando a ciò non siano sufficienti i propri redditi e siano invece adeguati i mezzi economici dell’altro coniuge. In particolare la Cassazione con sentenza Sez. I Ord., 26 aprile 2021, n. 11012, in Fam e Dir., 2021, 10, 885 con nota di Carlo Rimini, I patti in vista del divorzio: la cassazione rimane ancorata alla nullità, e in Nuova Giur. Civ., 2021, 6, 1303 con nota di Andrea Caravita di Toritto, Matrimonio – accordi in vista della crisi familiare: contemperamento del tradizionale divieto con alcune ipotesi di validità, ha confermato la radicale indisponibilità dei diritti in materia matrimoniale così pronunciandosi: “In tema di soluzione della crisi coniugale, ove in sede di separazione, i coniugi, nel definire i rapporti patrimoniali già tra di loro pendenti e le conseguenti eventuali ragioni di debito – credito portata da ciascuno, abbiano pattuito anche la corresponsione di un assegno dell’uno e a favore dell’altro da versarsi “vita natural durante”, il giudice del divorzio, chiamato a decidere sull’an dell’assegno divorzile, dovrà preliminarmente provvedere alla qualificazione della natura dell’accordo inter partes, precisando se la rendita costituita (e la sua causa aleatoria sottostante) “in occasione” della crisi familiare sia estranea alla disciplina inderogabile dei rapporti tra coniugi in materia familiare, perchè giustificata per altra causa, e se abbia fondamento il diritto all’assegno divorzile (che comporta necessariamente una relativa certezza causale soltanto in ragione della crisi familiare)“.

E’ stato osservato che se le tesi prevalenti in dottrina e in giurisprudenza  propendono per la indisponibilità, in quanto il carattere indisponibile dell’assegno di mantenimento si ricava dalla sua natura assistenziale nonché dalla sua contiguità con il dovere di contribuzione in costanza di convivenza, inderogabile ai sensi dell’art. 160 c.c.,  tuttavia nella prospettiva  di valorizzare la negozialità nell’àmbito della crisi coniugale non può discorrersi di indisponibilità dell’assegno, se non con riguardo all’an: i coniugi, in definitiva, sono liberi di determinarne il quantum, ma mai di rinunziarvi ( Maria Novella Bugetti, Le rinunzie ai diritti contenute nell’accordo di separazione, in Riv. trim. dir. proc. civ., fasc.3, 2012, pag. 957). Ne consegue che nel controllo “ di legittimità” del giudice rientra anche la verifica in ordine alla dismissione volontaria di un diritto irrinunciabile, atteso la dichiarazione abdicativa che abbia ad oggetto una situazione giuridica soggettiva irrinunziabile è nulla.

Un ulteriore ambito nel quale ampio spazio è accordato all’autonomia privata è quello — comune peraltro alla separazione, consensuale e giudiziale, al divorzio ed allo scioglimento della convivenza more uxorio — dell’affidamento dei figli nonché al loro mantenimento. Del resto ai sensi dell’art. 337 ter c.c. il giudice “prende atto, se non contrari all’interesse dei figli, degli accordi intervenuti tra i genitori”. Il giudice può discostarsi dalle scelte manifestate dai genitori se non siano conformi all’interesse del minore; tale interesse costituisce dunque un limite invalicabile dell’autonomia dei genitori.

Altra questione è se possa essere riconosciuta al genitore affidatario o collocatario della prole la facoltà di rinunciare all’assegnazione della casa familiare, il cui godimento, a norma dell’art.  337 sexies c.c., deve essere attribuito tenendo prioritariamente conto dell’interesse dei figli. Se è pur vero che dell’assegnazione il giudice tiene conto nella regolazione dei rapporti economici tra i genitori, considerato l’eventuale titolo di proprietà, tuttavia sembra doversi predicare la indisponibilità del diritto che ne formi oggetto in quanto risulta particolarmente pregnante laddove la finalità sottesa della norma è la tutela del diritto del figlio di crescere nel proprio habitat, e pertanto un diritto personale dello stesso.

Indiscutibilmente indisponibile il diritto agli alimenti di cui agli artt. 433 e ss cc, il quale presuppone uno stato di bisogno. La ragione di detta indisponibilità va ricercata nella tutela della personalità di ciascun componente la famiglia, in quanto il diritto al sostentamento minimo e basilare è diritto funzionale a garantire detta tutela e pertanto deve essere sottratto al potere di disposizione delle parti.

Questo excursus evidenzia la difficoltà di inquadrare cosa sia realmente diritto indisponibile ovvero disponibile. La sovrapposizione dei profili rende difficile il districarsi sul piano sostanziale. La riforma intenderebbe riflettere tale distinzione, già incerta nella sostanza, sul piano processuale distinguendone la tipologia di processo: quanto ai diritti disponibili il processo sarebbe condotto secondo lo schema del rito simil -lavoristico, quanto invece ai diritti indisponibili sembra tornare in concreto al rito camerale con qualche integrazione sul piano del contradditorio. In buona sostanza il principio di preclusione si applicherà solo nei processi aventi ad oggetto diritti disponibili.

Pertanto se è pur vero che in teoria il modello processuale è unitario, in concreto il processo è a geometria variabile, ed un unico processo può persino declinarsi in più riti contestualmente.

Per finire, il legislatore delegato ha previsto anche un rito ancora diverso, nel capo III, ove ricorra violenza domestica o di genere.

Se è pur vero che secondo autorevolissima dottrina ( Carnacini, Tutela giurisdizionale e tecnica del processo, Milano Giuffrè, 1965, Milano Giuffrè, 1965) si può senz’altro modellare la tecnica del processo in funzione della tutela giurisdizionale, resta urgente ed impellente una domanda, perché incerta pare sia la risposta: davvero la riforma ha operato una reductio ad unum del modello processuale ovvero surrettiziamente ha lasciato convivere in verità una pluralità di riti?.

  • L’avvento del giudice “psicologo”?

In base all’art. 473-bis.50 il giudice, quando adotta i provvedimenti temporanei ed urgenti di cui all’articolo 473- bis.22, primo comma, indica le informazioni che ciascun genitore è tenuto a comunicare all’altro e può formulare una proposta di piano genitoriale tenendo conto di quelli allegati dalle parti. Inoltre ai sensi dell’art. 473-bis.4 il minore che ha compiuto gli anni dodici e anche di età inferiore ove capace di discernimento è ascoltato dal giudice nei procedimenti nei quali devono essere adottati provvedimenti che lo riguardano. Ai sensi dell’art. 473-bis.5, l’ascolto del minore è condotto dal giudice, il quale può farsi assistere da esperti e altri ausiliari.

Il giudice è posto al centro di una raggera di possibili professionisti di scienze umane dal mediatore, al coordinatore familiare, per la prima volta previste e disciplinate dalla legge; inoltre il giudice deve rapportarsi con il CTU, con i Servizi Sociali, con il tutore del minore, con il curatore speciale.

Il giudice è persona che giudica le relazioni umane, ma prima ancora è persona che si interfaccia con altre persone, dovendone cogliere sapientemente il contributo  anche se proveniente da altre scienze; oserei dire che il giudice, giurista, nella sua attività necessariamente deve decifrare nozioni di altre scienze.

La trasversalità dei saperi arricchisce epistemologicamente qualsiasi attività umana, e il processo è un’attività umana particolarmente decisiva per la tenuta del tessuto sociale. Non è censurabile la scelta del legislatore, ma va sostenuta da adeguata formazione del giudice. Di ciò nella riforma non si vede traccia, se non nell’auspicio, che si confida non rimanga tale, di formare sezioni specializzate, ovvero sezioni composte da magistrati che si occupino solo di questa materia.

  • La tutela della persona affidata al Notaio e al Giudice: semplificazione o complicazione del sistema?

Il Decreto Legislativo abroga l’art. 375 del codice civile in materia di tutela, e inserisce le tipologie di atti a oggi contenute in detto articolo nel novellato art. 374 del c.c., con la conseguenza che la competenza ad autorizzare tutti gli atti del minore sotto tutela o dall’interdetto divengono di competenza del Giudice Tutelare, in analogia a quanto avviene già per il beneficiario di amministrazione di sostegno, con la sola eccezione, della continuazione dell’attività di impresa. Logico e coerente corollario è la modifica dell’art. 376, in tema di reimpiego, dal quale viene parimenti espunta la competenza del Tribunale.

Ma la norma più rivoluzionaria è contenuta nell’art. 21 (Attribuzione ai notai della competenza in materia di autorizzazioni relative agli affari di volontaria giurisdizione) che così si può riassumere.

Le autorizzazioni per la stipula degli atti pubblici e scritture private autenticate nei quali interviene un minore, un interdetto, un inabilitato o un soggetto beneficiario della misura dell’amministrazione di sostegno, ovvero aventi ad oggetto beni ereditari, possono essere rilasciate, previa richiesta scritta delle parti, personalmente o per il tramite di procuratore legale, dal notaio rogante. Il Notaio può farsi assistere da consulenti, ed assumere informazioni, senza formalità. Ove per effetto della stipula dell’atto debba essere riscosso un corrispettivo nell’interesse del minore o di un soggetto sottoposto a misura di protezione, il notaio, nell’atto di autorizzazione, determina le cautele necessarie per il reimpiego del medesimo. L’autorizzazione può essere impugnata innanzi all’autorità giudiziaria secondo le norme del codice di procedura civile applicabili al corrispondente provvedimento giudiziale.

Al netto della valutazione valoriale di questa scelta che comunque è in linea con l’estensione dell’istituto della mediazione civile, della negoziazione assistita, in cui gli avvocati potranno anche parzialmente svolgere attività istruttoria ( “giurisdizione” forense?), residua la domanda: avanti a quale “ autorità giudiziaria” è impugnabile l’autorizzazione del Notaio?

Il comma 23 nel suo sotto comma oo) della legge delega 206/2021 introduce una distinzione fra i provvedimenti aventi contenuto “patrimoniale gestorio” e quelli pronunciati “in tutti gli altri casi” con lo stabilire che i primi sono reclamabili al tribunale in composizione monocratica e gli altri non alla Corte d’Appello ma al tribunale in composizione collegiale mentre non è espressamente richiamato, per questi ultimi, il ricorso per cassazione che resta comunque esperibile per quanto stabilisce l’art. 111 Cost. ( in senso critico Ferruccio Tommaseo, Presente e futuro della giurisdizione volontaria, in Fam. e Dir., 2022, 7, 745).

Con la sentenza 30 luglio 2021, n. 21985, le Sezioni Unite precisavano che si propone reclamo ex art. 720 bis, comma 2, c.p.c., a prescindere dal contenuto decisorio o gestorio del provvedimento, sempre alla Corte di Appello.

La concentrazione in capo alla Corte d’Appello di tutti i reclami avverso i decreti del giudice tutelare, oltre che rispondere ad una valutazione discrezionale del legislatore, sul piano storico era stata salutata con favore in quanto erano sorte incertezze, soprattutto nella giurisprudenza di merito, a seguito della riforma del giudice unico (D.Lgs. n. 51 del 1998) che aveva soppresso l’ufficio di pretura, trasferendo le funzioni tutelari ad esso in precedenza appartenenti al tribunale in funzione monocratica, lasciando inalterato, tuttavia, il quadro normativo, ancora oggi in vigore, disegnato dall’art. 739 c.p.c. e art. 45 disp. att. c.c..

Prima della sentenza della Corte di Cassazione  bisognava distinguere tra i provvedimenti di apertura e chiusura della procedura di amministrazione (per i quali effettivamente sussiste la competenza sul reclamo della Corte d’Appello) ed i provvedimenti che investono le modalità di attuazione della misura (per i quali invece la competenza è del Tribunale in composizione collegiale).

L’art. 473-bis.58 dettato in materia di “procedimenti in materia di amministrazione di sostegno”, precisa che: “Contro i decreti del giudice tutelare è ammesso reclamo al tribunale ai sensi dell’articolo 739. Contro il decreto del tribunale in composizione collegiale è ammesso ricorso per cassazione”. Pare pertanto che il legislatore delegato, in attuazione dei criteri della delega, abbia sul punto retrocesso rispetto alla reductio ad unum operata dalla Cassazione.

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