Il principio di proporzionalità, previsto, a livello sovranazionale, dal diritto dell’Unione e dalla Convenzione EDU, da criterio per la gestione del potere pubblico, ha assunto una funzione strumentale per la adeguata tutela dei diritti individuali anche in ambito processuale penale. Il suo utilizzo da parte della giurisprudenza di legittimità, come parametro per verificare la giustizia della soluzione relativa al caso concreto, è stato favorito dal frequente riferimento nelle sentenze nazionali a quelle delle Corti sovranazionali che impiegano con costanza questo canone. L’applicazione del principio di proporzionalità non deve porsi in contrasto con il principio di legalità processuale previsto dall’art. 111 Cost., essendo possibile nei limiti in cui le norme impongano al giudice di considerare idoneità, necessarietà e proporzione in senso stretto o adeguatezza, in particolare del mezzo di ricerca della prova.
SOMMARIO: 1. Principio di proporzionalità e diritto processuale penale. – 2. La proporzionalità delle misure cautelari personali. – 3. L’estensione del principio alle misure cautelari reali. – 4. segue: La proporzionalità nella fase esecutiva della misura cautelare reale. – 5. L’estensione del principio oltre la disciplina delle misure cautelari. – 6. La proporzionalità come principio del diritto processuale penale. – 7. segue: la disciplina dei mezzi di ricerca della prova area operativa d’elezione del principio di proporzionalità. – 8. La proporzionalità in tema di perquisizione. – 9. La proporzionalità nel caso del sequestro probatorio del telefono cellulare. – 10. segue: il cellulare come mero “contenitore” di dati. – 11. Il disegno di legge sul sequestro dei dispositivi elettronici. – 12. segue: La sentenza della Grande Camera della Corte di giustizia dell’Unione del 4/10/2024. – 13. La proporzionalità nella disciplina delle intercettazioni. – 14. Segue: Il principio di proporzionalità e la disciplina del captatore informatico. – 15. segue: Le Sezioni unite sulle chat tratte dai cd. criptofonini. – 16. segue: il canone di proporzionalità fonda la disciplina dell’uso dei risultati delle intercettazioni in procedimenti diversi. – 17. L’acquisizione dei dati trattati dai gestori nella più recente giurisprudenza europea. – 18. Qualche considerazione conclusiva.
1. Principio di proporzionalità e diritto processuale penale.
Il principio di proporzionalità, elaborato dalla giurisprudenza e dalla dottrina tedesca ed impiegato con costanza dalle Corti sovranazionali[1], è categoria concettuale ormai frequentemente evocata anche in tema di diritto processuale penale nella giurisprudenza italiana, sia costituzionale[2], sia di legittimità.
Sebbene sia previsto, a livello sovranazionale, dal diritto dell’Unione (art. 5, par. 3 e 4, Trattato UE; art. 49, par. 3 e art. 52, par. 1, della Carta dei diritti fondamentali UE[3]) e dalla Convenzione europea dei diritti dell’uomo[4], occorre constatare che il codice di procedura penale non offre, della proporzionalità, alcuna definizione. La stessa evocazione del concetto compare esplicitamente una sola volta nel codice di rito, all’art. 275 cod. proc. pen.
Da questa osservazione potrebbe concludersi che la proporzionalità non costituisca un principio generale del sistema processuale penale e che, al di fuori del terreno delle cautele personali, non possa ritenersi operante nel codice di rito il giudizio di proporzionalità che, del resto, non è esplicitamente richiesto.
2. La proporzionalità delle misure cautelari personali.
Secondo l’impostazione tradizionale, l’applicazione del principio di proporzionalità alle misure cautelari personali deriva dalla presunzione costituzionale di innocenza che, a sua volta, rappresenterebbe una conseguenza del principio di colpevolezza di cui all’art. 27 comma 1 Cost.[5]
Sulla disposizione di cui all’art. 275 cod. proc. pen., in particolare quanto al tema della legittimità delle presunzioni ivi previste, vi è stata una notevole elaborazione della giurisprudenza costituzionale.
La Corte costituzionale, come è noto, con diverse decisioni ha dichiarato l’illegittimità dell’art. 275, comma 3, cod. proc. pen. “nella parte in cui non prevede” che possa evitarsi l’applicazione della custodia in carcere ove siano acquisiti elementi specifici, in relazione al caso concreto, dai quali risulti che le esigenze cautelari possono essere soddisfatte con altre misure[6].
Queste decisioni, in buona sostanza, hanno fatto in modo che anche l’applicazione di una misura cautelare personale per un reato per il quale opera una delle presunzioni di cui all’art. 275, comma 3, cod. proc. pen. sia conforme al principio di proporzionalità, permettendo l’applicazione del cd. test di proporzionalità che costituisce il protocollo applicativo del principio in esame. Questo protocollo consta di tre passaggi: idoneità; necessarietà; proporzione in senso stretto[7].
Idoneità (Geeignetheit): la limitazione del diritto dev’essere idonea a perseguire il fine legittimo posto dalla legge (es. la misura cautelare personale si giustifica solo se punta a soddisfare una delle esigenze cautelari che la legge considera legittime alla luce dei principi costituzionali).
Necessarietà (Erforderlichkeit): fra più mezzi ugualmente idonei a raggiungere il fine legittimo, va scelto quello che comporta il minor sacrificio derivante dalla limitazione del diritto.
Proporzione in senso stretto o adeguatezza (Verhältnismässigkeit im engeren Sinne): la limitazione del diritto di libertà personale non si giustifica quando si tratta di perseguire reati poco gravi o quando la pena attesa è di lieve entità.
Sulle tre componenti del principio di proporzionalità, infatti, è incentrato l’art. 275 cod. proc. pen., che enuncia il criterio di idoneità nel 1° comma, quello di necessarietà nel 3° comma e quello di proporzione in senso stretto nel comma 2°, oltre che nell’art. 280 cod. proc. pen.[8].
3. L’estensione del principio alle misure cautelari reali.
L’analisi dell’elaborazione giurisprudenziale della Corte di cassazione sull’art. 275 cod. proc. pen., nondimeno, dimostra la notevole capacità espansiva dell’area operativa del principio in esame.
La ricerca del soddisfacente bilanciamento tra gli interessi costituzionali in conflitto in tema di misure cautelari reali, infatti, nella giurisprudenza di legittimità, è stata perseguita proprio per mezzo dell’applicazione del principio di proporzionalità. Tale principio, dunque, dettato dall’art. 275 cod. proc. pen. in tema di misure cautelari personali, è stato esteso dalla giurisprudenza anche alla disciplina del sequestro preventivo[9].
Il principio giurisprudenziale ormai consolidato afferma che i principi di proporzionalità, adeguatezza e gradualità – dettati dall’art. 275 cod. proc. pen. per le misure cautelari personali – sono applicabili anche al sequestro preventivo, dovendo il giudice motivare adeguatamente sulla impossibilità di conseguire il medesimo risultato attraverso una cautela alternativa meno invasiva al fine di evitare un’esasperata compressione del diritto di proprietà e di libera iniziativa economica privata[10].
Il canone di proporzionalità, in tal modo, viene ad assumere una funzione strumentale alla adeguata tutela dei diritti individuali in ambito processuale penale e una funzione finalistica, come parametro per verificare la giustizia della soluzione presa nel caso concreto.
E’ stato affermato, pertanto, che “Il principio di proporzione, certamente ancorato alla disciplina delle cautele personali nel procedimento penale ed alla tutela dei diritti inviolabili, ha nel sistema una portata più ampia; esso travalica il perimetro della libertà individuale per divenire termine necessario di raffronto tra la compressione dei diritti quesiti e la giustificazione della loro limitazione”[11].
4. segue: La proporzionalità nella fase esecutiva della misura cautelare reale.
L’analisi degli orientamenti giurisprudenziali di legittimità in tema di sequestro preventivo, invero, dimostra che l’applicazione del principio di proporzionalità non opera quale limite alla discrezionalità del giudice esclusivamente nella fase genetica della misura cautelare, ma impone al giudice, lungo tutta la fase della sua efficacia, anche nel momento esecutivo, nella cd. fase dinamica, di graduare e di modellare il contenuto del vincolo imposto, anche in relazione alle sopravvenienze che possono intervenire, affinché lo stesso non comporti restrizioni più incisive dei diritti fondamentali rispetto a quelli strettamente funzionali a tutelare le esigenze cautelari da soddisfare nel caso di specie[12].
In tema di sequestro preventivo cd. impeditivo, per esempio, è stato affermato che il principio di proporzionalità opera sia nella fase genetica, sia in quella funzionale della misura, nella quale ultima fase è ricompresa anche quella esecutiva, consentendo il sindacato del giudice, in tale ultima fase, sull’ordine di sgombero del pubblico ministero sotto il profilo dell’inesistenza del titolo e della sua indispensabilità al fine di dare esecuzione al provvedimento giurisdizionale[13].
Il ricorso al principio di proporzionalità, tuttavia, non comporta la rivalutazione, da parte del giudice cautelare, della sussistenza del requisito del “periculum in mora“, perché, ove ciò fosse consentito, si determinerebbe una sua indebita invasione in prerogative dell’organo requirente, preposto all’esecuzione del provvedimento[14].
Anche in tema di sequestro preventivo finalizzato alla confisca, con riferimento ad una fattispecie in cui il sequestro preventivo a fini di confisca per equivalente del profitto di reati tributari si era protratta per oltre nove anni, è stato osservato che il necessario rispetto del canone di proporzionalità non esaurisce la sua rilevanza nel divieto di aggredire beni di valore superiore al profitto confiscabile, ma impone altresì di considerare se il vincolo, pur legittimamente adottato, si protragga nel tempo eccedendo quanto strettamente necessario rispetto al fine perseguito di garantire l’effettività dell’ablazione in attesa della definizione del giudizio di merito, non potendo la misura – pur in assenza di un limite di durata analogo a quello stabilito per il sequestro probatorio dall’art. 262 cod. proc. pen. – risolversi in un’esasperata compressione dei diritti costituzionalmente presidiati di proprietà e di libera iniziativa economica privata, privando il soggetto ad oltranza dei propri beni[15].
5. L’estensione del principio oltre la disciplina delle misure cautelari.
Dal sequestro preventivo, poi, il principio di proporzionalità ha rapidamente esteso la sua area operativa, in particolare al sequestro probatorio, andando oltre la disciplina delle misure cautelari.
In questo ambito, la giurisprudenza della Corte di cassazione ha individuato nel controllo della motivazione del provvedimento lo strumento idoneo per assicurare il permanente controllo di legalità della misura ed il ragionevole rapporto di proporzionalità, anche sotto i profili dell’an e della sua durata, tra lo spossessamento del bene ed il fine endo-processuale perseguito, al fine di evitare un’esasperata compressione del diritto di proprietà e della libertà di iniziativa economica[16].
La motivazione deve concernere il requisito della proporzionalità della misura. Tale requisito, che “nell’ambito dei valori costituzionali, è espressione del principio di ragionevolezza, contiene in sé, inoltre, quello della “residualità” della misura: proprio la necessaria componente della misura di “incisione” sul diritto della persona di disporre liberamente dei propri beni senza limitazioni che non derivino da interessi di altro segno maggiormente meritevoli di tutela (come quelli pubblici, connessi al processo penale, di accertamento dei fatti) contiene necessariamente in sé l’esigenza che al sequestro possa farsi ricorso solo quando allo stesso risultato (nella specie l’accertamento dei fatti appunto) non possa pervenirsi con modalità “meno afflittive“[17].
Il decreto di sequestro probatorio – così come il decreto di convalida – anche qualora abbia ad oggetto cose costituenti corpo di reato, pertanto, deve contenere una motivazione che, per quanto concisa, dia conto specificatamente della finalità perseguita per l’accertamento dei fatti. Infatti, “solo valorizzando l’onere motivazionale è possibile … tenere “sotto controllo” l’intervento penale quanto al rapporto con le libertà fondamentali ed i beni costituzionalmente protetti quali la proprietà e la libera iniziativa economica privata, riconosciuti dall’art. 42 Cost. e dall’art.1 del Primo protocollo addizionale alla Convenzione Edu, come interpretato dalla Corte Edu”[18].
Si avverte in tali decisioni, pertanto, l’influenza delle sentenze delle Corti europee che applicano il canone della proporzionalità con costanza[19].
6. La proporzionalità come principio del diritto processuale penale.
L’elaborazione giurisprudenziale brevemente illustrata permette di cogliere il rilievo assunto dal principio di proporzionalità nel diritto processuale penale.
Occorre riconoscere come ormai il canone di proporzione sia da considerare un principio proprio del sistema processuale penale nella sua interezza e, dunque, capace di esplicare una sua efficacia al di fuori del Libro IV del codice, anche a seguito dell’influenza delle Corti sovranazionali.
La premessa è che i diritti fondamentali, in particolare quelli disciplinati dagli artt. 13, 14 e 15 Cost., pur inviolabili, possono essere limitati per attuare l’interesse pubblico alla prevenzione e alla repressione dei reati.
La legge consente un intervento della pubblica autorità che, per perseguire un fine legittimo, sacrifica un diritto dell’individuo, facendone salvo il nucleo incomprimibile.
In questo momento entra in gioco il principio di proporzionalità, perché nel regolare l’uso di mezzi lesivi di diritti, il legislatore ha stabilito che si debba tener conto sia del tipo di reato da prevenire o reprimere, sia del quantum di limitazione del diritto da consentire.
Si tratta di compiere un’opera di bilanciamento fra gli interessi pubblici e individuali in conflitto.
Il bilanciamento viene compiuto in forza del principio di proporzionalità, svolgendo, in buona sostanza, un test di proporzionalità che si articola nei passaggi illustrati.
L’utilizzo della proporzionalità offre un valido strumento capace di garantire un controllo effettivo sulle misure lesive di diritti individuali adottate nel corso del processo penale, purché ciò avvenga in base a parametri di giudizio prestabiliti dalla legge.
7. segue: la disciplina dei mezzi di ricerca della prova area operativa d’elezione del principio di proporzionalità.
Sviluppatosi in ambito europeo, pertanto, il principio di proporzionalità si è diffuso anche nell’ordinamento interno come parametro per assicurare che i diritti individuali siano compressi nel modo meno invasivo possibile rispetto agli interessi pubblici.
Il principio ha trovato nella disciplina dei mezzi di prova e dei mezzi di ricerca della prova il suo campo d’azione d’elezione.
Nel procedimento penale, il canone, pur svolgendo un ruolo essenziale nel bilanciare l’esigenza di reprimere i fenomeni criminosi e le libertà dei soggetti privati coinvolti nell’accertamento, non è però accolto in termini espliciti dalla disciplina dei mezzi investigativi.
Ciò nonostante la giurisprudenza ha affermato che il principio di proporzionalità “in quanto strumentale alla tutela dei diritti individuali anche nell’ambito processuale penale, trova piena applicazione con riguardo ai mezzi di ricerca della prova, attesa l’idoneità di questi a incidere su beni giuridici costituzionalmente tutelati”[20].
In dottrina, invece, è stato sostenuto che il rango conferito dall’ordinamento interno alle fonti sovranazionali (art. 52 CDFUE) consente di affermare che, qualunque sia la natura con cui sono costruite – sostanziale o processuale – le tutele dei diritti, si deve tenere conto del cd. test di proporzionalità, in particolare, “allorché sia necessario eseguire una disciplina attuativa delle norme o quando queste ultime sono direttamente applicabili”[21].
Ne deriva che “Il principio in esame è capace di fungere da guida per lo sviluppo futuro della materia dei diritti fondamentali, oggetto primario delle disposizioni normative processuali penali”[22].
8. La proporzionalità in tema di perquisizione.
La mancata previsione del canone di proporzionalità nel codice di rito nella disciplina dei mezzi di ricerca della prova, peraltro, potrebbe risultare solo apparente ed invece il rilievo del principio in esame potrebbe desumersi dalle norme vigenti.
Ad esempio, in tema di ispezione e di perquisizione il principio di proporzionalità rileva sotto il profilo della necessarietà e dell’adeguatezza in concreto del mezzo di ricerca della prova.
La perquisizione, in particolare, può essere disposta quando sussiste il “fondato motivo di ritenere che taluno occulti sulla persona il corpo del reato o cose pertinenti al reato” ovvero che tali cose siano presenti in un determinato luogo o in un sistema informatico telematico.
Il riferimento al “fondato motivo” esclude che siano sufficienti a giustificare la perquisizione meri sospetti, dovendo, viceversa, sussistere elementi obiettivi dai quali sia desumibile, in chiave prognostica, la probabilità che la res si trovi su una determinata persona o in un determinato luogo. Occorre, poi, illustrare il nesso tra il reato – di cui devono sussistere concreti che lo rendano astrattamente configurabile[23] – e l’oggetto della ricerca, cioè la necessarietà del mezzo di ricerca della prova, specificando la finalità probatoria che si intende soddisfare. Su quest’ultimo versante, il criterio di proporzionalità impone di disporre la perquisizione in materia mirata, circoscrivendolo all’ipotesi criminosa per la quale si procede.
A maggior ragione, in tema di perquisizione informatica, provvedimenti finalizzati ad esplorare, in modo generico, tutti i contenuti dell’hard disk, senza enucleare i criteri di selezione dei file rilevanti per le indagini, collidono con il principio di proporzionalità.
Il criterio di proporzione o, in altri termini, il canone del “minor sacrificio necessario” potrebbe costituire un valido antidoto per arginare il rischio di intrusione indiscriminate nei contenitori informatici, tutelando il diritto alla riservatezza, senza pregiudicare inutilmente le esigenze investigative[24].
Il rilievo del principio di proporzionalità in questo ambito è certamente aumentato dopo l’introduzione, ad opera dell’art. 12 del d. lgs. n. 150 del 2022, dell’art. 252-bis cod. proc. pen. che disciplina l’opposizione al decreto di perquisizione emesso dal pubblico ministero non seguito da sequestro, consentendo, dunque, la tutela all’interessato.
Questo mezzo di tutela parrebbe aprire uno spazio per l’immediata applicazione del principio di proporzione nella forma della verifica della necessarietà del mezzo di ricerca della prova rispetto all’obiettivo perseguito.
9. La proporzionalità nel caso del sequestro probatorio del telefono cellulare.
In tema di sequestro probatorio, l’applicazione del principio di proporzionalità, come strumento la adeguata tutela dei diritti individuali in ambito processuale penale ed anche come parametro per verificare la giustizia della soluzione presa nel caso concreto, si apprezza con chiarezza approfondendo l’elaborazione giurisprudenziale in tema di sequestro probatorio di dispositivi elettronici.
Si tratta di un tema attuale perché l’analisi dei repertori giurisprudenziali dimostra, ormai, che l’intrusione più significativa nella libertà di comunicare in modo riservato si verifica con l’accesso al telefono cellulare[25]piuttosto che con l’impiego delle intercettazioni.
Orbene, secondo un orientamento che appare ormai consolidato, è illegittimo, per violazione del principio di proporzionalità e adeguatezza, il sequestro a fini probatori di un dispositivo elettronico che conduca, in difetto di specifiche ragioni, alla indiscriminata apprensione di una massa di dati informatici, senza alcuna previa selezione di essi e, comunque, senza l’indicazione degli eventuali criteri di selezione[26].
Nel caso di sequestro probatorio di dispositivi informatici o telematici, tra cui rientrano certamente anche i telefoni cellulari capaci di conservare un’enorme mole di dati riservati, dunque, il decreto del pubblico ministero, al fine di consentire una adeguata valutazione della proporzionalità della misura sia nella fase genetica, sia in quella esecutiva, deve illustrare le ragioni per cui è necessario disporre un sequestro esteso e omnicomprensivo o, in alternativa, le specifiche informazioni oggetto di ricerca, indicando i criteri di selezione del materiale informatico archiviato nel dispositivo, la giustificazione della perimetrazione temporale dei dati di interesse e i tempi entro cui verrà effettuata tale selezione, con conseguente restituzione anche della copia informatica dei dati non rilevanti[27].
Così come è vietata l’acquisizione di un intero archivio di documentazione cartacea di un’azienda[28], altrettanto deve dirsi per l’indiscriminata acquisizione, in difetto di specifiche ragioni, di un dispositivo elettronico, anche un personal computer, contenente una messa indistinta di dati informatici[29].
Il sequestro del cellullare, dunque, deve essere ab origine commisurato, anche sul piano temporale, a quell’esigenza di estrapolazione e, allo stesso tempo, deve essere assicurato un canone di selezione in assenza del quale il vincolo risulta nel suo complesso ingiustificato per difetto di proporzionalità.
Si tratta di un tema cruciale, più volte esaminato dalla giurisprudenza di legittimità, che dimostra come il principio di proporzionalità permetta di contemperare le finalità investigative e i diritti individuali, tanto più quando venga in rilievo la necessità di salvaguardare da interventi invasivi soggetti portatori di interessi qualificati alla riservatezza, come i giornalisti[30].
L’acquisizione indiscriminata di un’intera categorie di beni, nell’ambito della quale procedere successivamente alla selezione delle singole “res” strumentali all’accertamento del reato, è consentita soltanto a condizione che il sequestro non assuma una valenza meramente esplorativa e che il pubblico ministero adotti una motivazione che espliciti le ragioni per cui è necessario disporre un sequestro esteso e onnicomprensivo, in ragione del tipo di reato per cui si procede, della condotta e del ruolo attribuiti alla persona titolare dei beni, e della difficoltà di individuare ex ante l’oggetto del sequestro[31].
10. segue: il cellulare come mero “contenitore” di dati.
La giurisprudenza di legittimità, invero, ha mostrato piena consapevolezza che il sequestro del dispositivo elettronico costituisce soltanto un momento prodromico all’accesso ai dati ivi contenuti, che costituiscono l’obiettivo reale del mezzo di ricerca della prova.
Il cellulare è solo un contenitore di dati.
Il sequestro del dispositivo è necessario in luogo dell’estrazione immediata del suo contenuto, ove sussistano specifiche difficoltà tecniche; nondimeno, deve rilevarsi che, in casi siffatti, il vincolo risulta soltanto strumentale rispetto all’acquisizione mirata di dati in esso contenuti, risultando altrimenti di per sé privo di giustificazione.
Anche la Corte costituzionale, nella sentenza n. 170 del 2023, con riguardo al mezzo con cui i messaggi istantanei già trasmessi possono essere acquisiti nel processo penale, ha fatto espressamente riferimento al sequestro di telefoni cellulari, di computer o di altri dispositivi elettronici, indicati come “contenitori” di dati informatici.
Al riguardo, in detta decisione è stato rilevato che “gli organi inquirenti debbono ritenersi abilitati a disporre … il sequestro del contenitore”; tuttavia, “nel caso di sequestro probatorio informatico il “vero” oggetto del sequestro non è tanto il dispositivo elettronico (il “contenitore”) – il quale, di per sé, non ha di norma alcun interesse per le indagini – quanto piuttosto i suoi dati (il “contenuto”), nella parte in cui risultano utili alle indagini stesse …”; ciò comporta che i dati informatici contenuti nel dispositivo elettronico, “secondo le indicazioni della giurisprudenza di legittimità, vanno all’uopo selezionati e fatti possibilmente oggetto di una copia clone, con restituzione del dispositivo (e della disponibilità di tutti gli altri dati) al titolare”.
Se la finalizzazione dell’ablazione del cellulare alla sua successiva analisi, è solo strumentale all’identificazione e all’estrazione dei dati rilevanti per le indagini, la protrazione del vincolo sullo stesso, nel rispetto del principio di proporzionalità, deve essere limitata al tempo necessario all’espletamento delle operazioni tecniche, dovendosi, tuttavia, valutare la sua ragionevole durata in rapporto alle difficoltà tecniche di apprensione dei dati, da ritenersi accresciute nel caso di mancata collaborazione dell’indagato che non fornisca le chiavi di accesso alle banche dati contenute nei supporti sequestrati”[32].
11. Il disegno di legge sul sequestro dei dispositivi elettronici.
In data 10 aprile 2024, è stato approvato al Senato un disegno di legge che mira ad apportare modifiche al codice di procedura penale in materia di sequestro di dispositivi, sistemi informatici o telematici o memorie digitali, tra i quali anche lo smartphone. Si tratta del disegno di legge A.S. n. 806, che prevede l’introduzione dell’art. 254-ter c.p.p., intitolato “Modifiche al codice di procedura penale in materia di sequestro di dispositivi, sistemi informatici o telematici o memorie digitali”.
Il disegno di legge assegna al principio di proporzionalità un ruolo fondamentale per garantire che il vincolo sul “contenitore” per esigenze investigative non si riveli lesivo dei diritti individuali.
E’ previsto, invero, un percorso procedurale piuttosto articolato, che conduce all’accesso da parte della polizia giudiziaria e del pubblico ministero ai dati contenuti nell’apparecchio telefonico attraverso quattro momenti distinti.
Il giudice per le indagini preliminari, in un primo momento, su richiesta del pubblico ministero, dispone il sequestro del dispositivo o del sistema informatico o di memorie digitali “necessari per la prosecuzione delle indagini”, “nel rispetto del criterio di proporzione”.
Entro 5 giorni dal deposito del verbale di sequestro, il pubblico ministero conferisce l’incarico per la duplicazione del contenuto del dispositivo informatico.
Effettuata l’analisi del duplicato informatico, quindi, il pubblico ministero procede con decreto motivato al sequestro dei dati, delle informazioni e dei programmi “strettamente pertinenti al reato in relazione alle circostanze di tempo e di luogo del fatto e le modalità della condotta, nel rispetto dei criteri di necessità e proporzione”.
Qualora, però, il pubblico ministero intenda sequestrare dati inerenti a comunicazioni, è tenuto ad avanzare una richiesta al giudice per le indagini preliminari il quale provvede con decreto motivato in presenza dei presupposti di cui agli art. 266, comma 1, e 267, comma 1, cod. proc. pen.
Il disegno di legge, dunque, è incentrato sul giudice che è chiamato a servirsi del principio di proporzionalità per bilanciare la tutela della riservatezza individuale con le esigenze investigative.
12. segue: La sentenza della Grande Camera della Corte di giustizia dell’Unione del 4/10/2024.
Una spinta alla approvazione del disegno di legge sinteticamente illustrato dovrebbe derivare da una sentenza della Grande Camera della Corte di giustizia dell’Unione del 4/10/2024, causa C-548/21, pronunciata sul rinvio pregiudiziale da parte del Landesverwaltungsgericht Tirol (Tribunale Amministrativo Regionale del Tirolo, Austria), ha affermato che l’accesso da parte della polizia, nell’ambito di un’indagine penale, ai dati personali conservati in un telefono cellulare può costituire un’ingerenza grave, o addirittura particolarmente grave, nei diritti fondamentali dell’interessato. Esso, tuttavia, non è necessariamente limitato alla lotta contro i reati gravi, perché, altrimenti, risulterebbero indebitamente limitati i poteri di indagine delle autorità competenti, con un aumento del rischio di impunità nello spazio di libertà, sicurezza e giustizia nell’Unione.
Per garantire il rispetto del principio di proporzionalità, tuttavia, l’accesso al telefono cellullare deve essere subordinato a una previa autorizzazione da parte di un giudice o di un’autorità indipendente, salvo in casi di urgenza debitamente comprovati. Tale controllo deve garantire un giusto equilibrio tra i legittimi interessi connessi alle esigenze dell’indagine nell’àmbito della lotta alla criminalità e i diritti fondamentali al rispetto della vita privata e alla protezione dei dati personali.
Sottesa a tale decisione della Corte europea si potrebbe scorgere il retro-pensiero secondo cui l’applicazione del principio di proporzionalità presuppone che la limitazione del diritto individuale venga disposta dal giudice.
Va segnalato, peraltro, che la giurisprudenza di legittimità ha affrontato il tema della legittimità del sequestro di dati informatici senza un controllo preventivo da parte del GIP, a fronte dell’eccezione della difesa che aveva richiamato sul punto la sentenza della Grande Camera della Corte di giustizia dell’Unione del 4/10/2024, causa C-548/21[33]. La Corte ha rigettato l’eccezione, sostenendo che “Ente amministrativo autonomo certamente individuabile, quanto all’ordinamento italiano, nella figura del pubblico ministero, quale autorità giudiziaria che nell’esercizio delle sue funzioni pubbliche procede alle indagini secondo le specifiche regole dettate dal legislatore idonee a garantire anche i diritti dell’indagato”.
13. La proporzionalità nella disciplina delle intercettazioni.
Anche la disciplina delle intercettazioni di comunicazioni pare espressione del principio di proporzionalità: il criterio di idoneità è espresso nella finalità di “proseguire le indagini” (art. 267 comma 1); il criterio di necessarietà trova riscontro nella “assoluta indispensabilità” prevista dallo stesso art. 267 comma 1 (sicché, se quel fine potesse essere raggiunto con un mezzo meno invasivo del diritto alla segretezza e comunicazione della corrispondenza, non si giustificherebbe il ricorso alla intercettazione); infine, il criterio di proporzione in senso stretto trova espressione nell’elenco di reati fornita dall’art. 266 cod. proc. pen.[34]
Questo giudizio, poi, si deve svolgere secondo parametri diversi in tema di criminalità organizzata in ragione della maggiore gravità dei reati.
Valutata la disciplina delle intercettazioni nella prospettiva appena indicata, l’applicazione del principio di proporzionalità non contrasta con il rispetto del principio di legalità.
Anzi, ne costituisce attuazione.
Compito precipuo dell’interprete, nondimeno, è quello di rimanere nell’ambito del principio di legalità formale, svolgendo il test di proporzionalità secondo e nei limiti delle previsioni normative.
L’alternativa sarebbe quella di accogliere della proporzionalità una accezione astratta e troppo vasta.
L’intera materia del processo penale, infatti, costituisce una continua, ininterrotta, opera di armonizzazione o di sintesi proporzionata tra spinte contrapposte (tutela della società vs. tutela dell’individuo).
Inteso in termini ampi e in assenza di saldi punti di riferimento (da individuarsi nelle norme), peraltro, il canone di cui si discorre rischierebbe di diventare un recipiente privo di contenuti concreti.
Proporzionato equivarrebbe a “giusto” con il rischio, allontanandosi dalla norma, di derive soggettivistiche[35].
L’applicazione del principio di proporzionalità, pertanto, non deve porsi in contrasto con il principio di legalità processuale previsto dall’art. 111 Cost., essendo possibile nei limiti in cui le norme impongano al giudice di considerare idoneità, necessarietà e proporzione in senso stretto o adeguatezza del mezzo di ricerca della prova o della prova.
14. segue: Il principio di proporzionalità e la disciplina del captatore informatico.
La Corte di cassazione, a ben vedere, ha operato proprio nel modo descritto, ancorando il giudizio di proporzionalità a specifiche previsioni normative.
Ad esempio, occupandosi del captatore informatico, ha fondato il giudizio sulla legittimità del mezzo sulla legalità formale e sulla proporzionalità.
La sentenza Sez. U, n. 26889 del 28 aprile 2016, ha ricondotto la legittimità del trojan alla previsione dell’art. 13 del decreto-legge n. 152 del 1991, convertito dalla legge n. 252 del 1991 dell’art. 13 della legge del 1991, affermando che tale interpretazione è conforme all’art. 8 Cedu, dunque, per questa via, al giudizio di proporzionalità ivi previsto[36].
Nei soli procedimenti per delitti di criminalità organizzata, infatti, trova applicazione la disciplina di cui all’art. 13 del decreto-legge n. 151 del 1991, convertito dalla legge n. 203 del 1991, che, derogando a presupposti fissati dall’art. 266, comma 2, cod. proc. pen., consente la captazione anche nei luoghi di privata dimora, senza necessità di preventiva indicazione di tali luoghi e prescindendo dalla dimostrazione che siano sedi di attività criminosa in atto[37].
La sentenza “Scurato” è stata al centro di un profondo dibattito perché lo strumento tecnologico presenta una notevole capacità intrusiva, sollevando notevoli dubbi sulla sua proporzionalità.
La Corte ne ha legittimato l’impiego in forza della norma richiamata, non mancando di precisare che “la qualificazione del fatto reato, ricompreso nella nozione di criminalità organizzata, deve risultare ancorata a sufficienti, sicuri e obiettivi elementi indiziari, evidenziati nella motivazione del provvedimento di autorizzazione in modo rigoroso”[38].
In questa prospettiva, si apprezza la funzione di garanzia della motivazione del decreto che autorizza le intercettazioni. L’impiego del mezzo altamente tecnologico, infatti, non muta il problema principale della disciplina delle intercettazioni. Il bilanciamento tra i diritti costituzionali confliggenti, individuali e collettivi, deve intervenire nella motivazione del provvedimento autorizzativo[39].
E’ il momento in cui il giudice valuta se ricorrono i presupposti di idoneità, necessità e adeguatezza del mezzo di ricerca della prova, dunque, se sussiste la proporzionalità dello strumento.
15. segue: Le Sezioni unite sulle chat tratte dai cd. criptofonini.
Non diversamente anche le Sezioni unite, nelle sentenze che hanno affermato l’utilizzabilità nel processo penale delle chat tratte dai cd. criptpfonini[40], hanno ancorato il giudizio di utilizzabilità nel processo penale delle chat tratte dai cd. criptofonini su norme che assicurano il rispetto del principio di proporzionalità.
L’utilizzazione nel processo penale degli esiti di intercettazioni, già in possesso dell’autorità giudiziaria dello Stato di esecuzione, effettuate con utilizzo di un captatore informatico installato su un server di una piattaforma criptata, infatti, è stata fondata sull’art. 270 cod. proc. pen.
Questa norma consente, su iniziativa del pubblico ministero e senza il ricorso al giudice, la circolazione dei risultati delle intercettazioni.
La prova, però, ai sensi dell’art. 270 cod. proc. pen., deve essere “rilevante” (idonea a perseguire il fine legittimo posto dalla legge, nella specie, deve avere capacità dimostrativa) ed “indispensabile per l’accertamento di delitti per i quali è obbligatorio l’arresto in flagranza” (proporzionata in concreto rispetto alla gravità dei delitti che si intende accertare).
La previsione dell’art. 270 cod. proc. pen., quindi, assicura il rispetto del principio di proporzionalità e, per questa via, il corretto bilanciamento tra i diritti individuali e collettivi in conflitto.
Le sentenze delle Sezioni unite, d’altra parte, sono estremamente significative perché le chat tratte dai telefoni criptati sono state acquisite in forza di ordini europei di indagine adottati dai pubblici ministeri italiani.
Il criterio di proporzionalità rappresenta l‘asse portante della disciplina dell’ordine europeo di indagine, come disegnato dalla direttiva 2014/41/UE, recepita con il d.lgs. 21 giugno 2017, n. 108, perché le autorità nazionali, per svolgere l’attività investigativa, devono adottare il mezzo meno lesivo per i diritti individuali.
Lo Stato emittente – oltre ad accertare che l’atto di indagine rispetti le condizioni stabilite dall’ordinamento interno per un caso analogo (art. 6, par. 1, lett. b) direttiva 2014/41/UE) – è tenuto a verificare che la misura sia “necessaria” e “proporzionata” al conseguimento dello scopo avuto di mira (art.6, par. 1, lett. a) direttiva 2014/41/UE).
Il vaglio di ammissibilità della prova, nell’impalcatura della direttiva 2014/41/UE, è devoluto all’autorità dello Stato di emissione ed è svolto secondo le previsioni di cui all’art. 6 della stessa direttiva, che consistono nella valutazione della “necessità” e della “proporzionalità” della prova (art. 6, § 1, della direttiva) e della possibilità di disporre l’atto istruttorio “alle stesse condizioni in un caso interno analogo” (art. 6, § 2, della direttiva).
In tema di ordine europeo d’indagine, la giurisprudenza di legittimità ha affermato che “sia in sede di esecuzione (“procedura passiva”) che in sede di emissione (“procedura attiva”) l’autorità giudiziaria, come emerge anche dalla relazione illustrativa, non è chiamata a svolgere un ruolo meramente passivo, ma deve esercitare il suo sindacato sull’atto richiesto anche attraverso il test di proporzionalità (ex artt. 7 d.lgs. cit. e 6, comma 1, lett. a), direttiva cit.), ad eccezione delle specifiche ipotesi di cui all’art. 9, comma 5 del decreto legislativo, ove, ferme le condizioni ostative in linea generale contemplate nell’art. 10 comma 1, il legislatore ha stabilito che “si provvede in ogni caso all’esecuzione” per determinate categorie di atti d’indagine o di assunzione della prova (acquisizione dei verbali di prove e di informazioni contenute in banche dati accessibili all’autorità giudiziaria, atti d’indagine privi di incidenza sulla libertà personale, audizioni di testimoni o consulenti, dell’imputato o dell’indagato ecc.)”[41].
La proporzionalità deve scongiurare che la circolazione probatoria transfrontaliera arrechi un sacrificio eccessivo ai diritti dei soggetti coinvolti nel procedimento, imponendo all’autorità giudiziaria di optare per il mezzo meno afflittivo possibile[42].
Nella relazione illustrativa al decreto legislativo n. 108 del 2017, si afferma espressamente che all’autorità giudiziaria è affidato il vaglio circa “… la capacità del mezzo richiesto di raggiungere l’obiettivo prefissato, secondo il criterio per il quale, a parità di efficacia, è da preferire sempre il mezzo che abbia conseguenze meno gravose. La proporzionalità-adeguatezza impone di porre in bilanciamento, da un lato, la restrizione imposta al singolo e, dall’altro, il valore del fine perseguito dal pubblico potere nell’esercizio della funzione. In questa valutazione, l’interprete sarà necessariamente guidato dalla natura del fatto per cui si procede”.
Orbene, recependo la direttiva, il legislatore, in tema di riconoscimento dell’ordine di indagine proveniente dall’estero, ha disciplinato il “principio di proporzione”, stabilendo che “L’ordine di indagine non è proporzionato se dalla sua esecuzione può derivare un sacrificio ai diritti e alle libertà dell’imputato o della persona sottoposta alle indagini o di altre persone coinvolte dal compimento degli atti richiesti, non giustificato dalle esigenze investigative o probatorie del caso concreto, tenuto conto della gravità dei reati per i quali si procede e della pena per essi prevista” (art. 7 d.lgs. n. 108 del 2017).
L’esito negativo del vaglio di proporzionalità, però non determina l’automatico rigetto dell’ordine proveniente dall’estero, imponendo preliminarmente di consultare l’autorità di emissione affinché fornisca le informazioni necessarie per rimediare ai limiti riscontrati e, solo in mancanza di opportuno adeguamento l’ordine può essere rifiutato (art. 6, comma 2 e 3, d. lgs. d. lgs. n. 108 del 2017)[43].
All’autorità di esecuzione espressamente riconosciuta la facoltà di servirsi di un atto di indagine alternativo rispetto a quello indicato nell’ordine europeo di indagine, purché sia assicurato il medesimo risultato “con mezzi meno intrusivi” (art. 10, par. 3 direttiva 2014/41/UE) [44]. Il criterio di proporzione, pertanto, promuove una fertile catena dialogica tra le autorità coinvolte allo scopo di realizzare la corretta sintesi tra le esigenze probatorie, connesse alla cooperazione giudiziaria, e le prerogative dell’individuo[45].
Nel caso di “procedura attiva”, dunque, di richiesta inviata all’estero, invece, la necessità di rispettare il canone di proporzionalità si desume dall’art. 6, par. 1, lett. a) della direttiva (“L’autorità di emissione può emettere un OEI solamente quando ritiene soddisfatte le seguenti condizioni: a) l’emissione dell’OEI è necessaria e proporzionata ai fini del procedimento di cui all’articolo 4, tenendo conto dei diritti della persona sottoposta a indagini o imputata”).
Lo stesso art. 6, par. 1, lett. b), della direttiva, imponendo il rispetto del principio di equivalenza (“l’atto o gli atti di indagine richiesti nell’OEI avrebbero potuto essere emessi alle stesse condizioni in un caso interno analogo”), nel caso di esiti di intercettazioni, impone di applicare le regole di cui all’art. 270 cod. proc. pen. e, quindi, anche per questa via assicura il rispetto del principio di proporzionalità.
Nel caso di specie, il pubblico ministero italiano, emettendo l’ordine di indagine per l’acquisizione delle chat intercettate all’estero, non ha dato indicazioni in merito alle formalità e alla procedura da seguire per l’acquisizione della prova; più semplicemente, ha indicato una determinata utenza, relativa a soggetto già raggiunto da sufficienti indizi, e, nel rispetto del principio di proporzionalità, ha chiesto l’acquisizione di specifiche conversazioni che ruotavano intorno a tale utenza, in un certo arco temporale, ipotizzando la commissione di gravi reati[46].
16. segue: il canone di proporzionalità fonda la disciplina dell’uso dei risultati delle intercettazioni in procedimenti diversi.
Volendo rimanere in tema di intercettazioni, anche la sentenza Sez. U, n. 51 del 28/11/2019, dep. 2020, Cavallo, In CED Cass. n. 277395 – 01, dovrebbe essere letta come il momento in cui le Sezioni unite hanno fissato un argine rispetto ad interpretazioni del dettato normativo – la nozione di stesso procedimento delineata anche con riferimento a fattispecie in cui ricorreva il solo fenomeno del collegamento probatorio ex art. 371 cod. proc. pen. – idonee ad aggirare il giudizio di proporzionalità che l’art. 270 cod. proc. pen. impone di effettuare.
La Corte ha affermato che il divieto di cui all’art. 270 cod. proc. pen. di utilizzazione dei risultati delle captazioni in procedimenti diversi da quelli per i quali le stesse siano state autorizzate – salvo che risultino indispensabili per l’accertamento di delitti per i quali è obbligatorio l’arresto in flagranza – non opera nello stesso procedimento che ricorre quando gli esiti delle intercettazioni sono relativi a reati che risultano connessi, ex art. 12 cod. proc. pen., a quelli in relazione ai quali l’autorizzazione era stata “ab origine” disposta.
Non basta il mero “collegamento probatorio” per ravvisare l’identità del procedimento.
Anche nel caso in cui sussista la connessione e, dunque, si possa ravvisare lo stesso procedimento, tuttavia, secondo la Corte di cassazione, non è possibile evitare il giudizio di proporzionalità, essendo necessario accertare che i reati emersi, pur connessi ex art. 12 cod. proc. pen., rientrino nei limiti di ammissibilità previsti dall’art. 266 cod. proc. pen.
Secondo la giurisprudenza di legittimità, in altri termini, l’autorizzazione del giudice ad eseguire le intercettazioni per determinati reati non può essere usata come “un grimaldello” per travalicare il limite inderogabile stabilito dall’ordinamento, limite che mira ad assicurare che la misura sia proporzionata in concreto[47].
E’ il caso di segnalare che l’applicazione del principio espresso dalle Sezioni Unite lascia una aporia: in taluni casi, nello stesso procedimento, una medesima base probatoria, al contempo, risulta utilizzabile per dimostrare la sussistenza di un reato e inutilizzabile per l’accertamento di altri reati[48]. E’ il caso, per esempio, degli esiti delle intercettazioni che potrebbero essere utilizzabili per dimostrare la sussistenza di una associazione per delinquere e non impiegabili per la prova dei delitti scopo del sodalizio, che non rientrassero nei limiti di ammissibilità previsti dall’art. 266 c.p.p.[49]
Questa difficoltà manifesta il limite di fondo della soluzione accolta dalle Sezioni unite, che consiste nell’aver attribuito all’art. 266 c.p.p. una funzione che non gli è propria, quella di selezionare “a valle” in senso limitativo il materiale probatorio utilizzabile, ottenuto da un mezzo di ricerca della prova legittimamente autorizzato, mentre la norma stabilisce una condizione di ammissibilità del mezzo di ricerca della prova[50].
Nello stesso tempo, l’obiettivo di non permettere il surrettizio aggiramento dell’art. 266 cod. proc. pen. e, quindi, della proporzione in concreto tra mezzo di ricerca della prova impiegato e reato per cui si procede, determina una frizione con altri principi desumibili dal codice di rito, come quello di “non dispersione della prova”, o anche di rilievo costituzionale, come l’obbligatorietà dell’azione penale di cui all’art. 112 Cost.[51]
17. L’acquisizione dei dati trattati dai gestori nella più recente giurisprudenza europea.
Il canone di proporzionalità, in tutti gli esempi fin qui svolti, è stato applicato nel rispetto del principio di legalità formale.
Recentemente, tuttavia, la Corte di Giustizia ha imposto alle autorità italiane di fare ricorso al principio di proporzionalità in concreto qualora debbano essere richiesti i dati esterni alle comunicazioni ai sensi dell’art. 132 d.lgs. 30/06/2003, n. 196, benché quest’ultimo non lo richieda espressamente (Corte di Giustizia, Grande Sezione, 30/04/2024, causa C-178/22, Procura della Repubblica presso il Tribunale di Bolzano)[52].
La norma, recentemente modificata dopo una fondamentale decisione della Corte di giustizia[53], stabilisce che “Entro il termine di conservazione imposto dalla legge, se sussistono sufficienti indizi di reati per i quali la legge stabilisce la pena dell’ergastolo o della reclusione non inferiore nel massimo a tre anni, determinata a norma dell’articolo 4 del codice di procedura penale, e di reati di minaccia e di molestia o disturbo alle persone col mezzo del telefono, quando la minaccia, la molestia e il disturbo sono gravi, ove rilevanti ai fini della prosecuzione delle indagini, i dati sono acquisiti presso il fornitore con decreto motivato del giudice su richiesta del pubblico ministero o su istanza del difensore dell’imputato, della persona sottoposta a indagini, della persona offesa e delle altre parti private”.
La Grande sezione, occupandosi proprio della normativa italiana[54], ha affermato che tale disciplina in tema di accesso ai dati trattati dai gestori può considerarsi compatibile con la normativa europea a condizione che, di fronte a una richiesta di acquisizione di dati «idonei a permettere di trarre precise conclusioni sulla vita privata dell’utente di un mezzo di comunicazione elettronica», il giudice «abbia la possibilità di negare detto accesso se quest’ultimo è richiesto nell’ambito di un’indagine vertente su un reato manifestamente non grave, alla luce delle condizioni sociali esistenti nello Stato membro interessato».
L’art. 132 cit., pertanto, non è stata bocciato dai giudici europei[55]; tuttavia, per potersi armonizzare con la normativa sovranazionale – e in particolare con la Carta di Nizza – essa deve essere integrata da un test di proporzionalità rimesso al giudice.
Più precisamente, riprendendo la c.d. teoria dei tre gradini, che scompone il principio di proporzionalità in tre differenti “elementi costitutivi” (idoneità, necessità e proporzionalità in senso stretto), si può dire che, ogni qualvolta la compressione del diritto alla riservatezza risulti “grave”, si rende necessario un giudizio di proporzionalità in senso stretto, volto a valutare se anche il reato per cui si procede sia a sua volta connotato da gravità.
In questo modo, peraltro, la normativa nazionale, interpretata alla luce della direttiva europea 2022/58/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 12 luglio 2002, relativa al trattamento dei dati personali e alla tutela della vita privata nel settore delle comunicazioni elettroniche – o meglio dell’interpretazione di tale direttiva effettuata dalla Corte europea – ha introdotto nella materia un margine di discrezionalità rimesso al giudice.
Il giudice è tenuto a valutare, in prima battuta, se l’insieme dei dati di cui si chiede l’acquisizione costituisce una “grave ingerenza” nei diritti delle persone interessate[56], e, dall’altro lato, se il reato per cui si procede sia “manifestamente non grave”[57].
18. Qualche considerazione conclusiva.
Il test prescritto dal criterio di proporzione – imponendo di verificare l’idoneità, la necessità e l’adeguatezza della misura costrittiva – può fungere, per la sua portata generale e la congenita attitudine a custodire le libertà fondamentali, da strumento per stimare la congruità delle scelte investigative, imponendo alla magistratura l’impiego di metodi di indagine congrui alle finalità investigative ed inducendola a prediligere quelli meno impattanti sulla sfera intangibile della persona.
Il richiamo all’osservanza del principio di proporzionalità proveniente dal diritto europeo, peraltro, parrebbe in grado di produrre i propri effetti anche oltre la materia dell’accesso ai dati trattati dai fornitori di comunicazioni elettroniche.
Anche la normativa in tema di intercettazioni, per esempio, non prevede espressamente che il giudice valuti se il reato per cui si procede sia, in concreto, manifestamente non grave e tale da non giustificare una grave ingerenza nella vita privata, pur sussistendo le condizioni previste dagli art. 266 e 267 cod. proc. pen.
Ciò nonostante non si deve ritenere che, anche in tema di ammissione di intercettazioni, il giudice sia tenuto a valutare se il reato su cui si procede sia “manifestamente non grave”.
La direttiva 2022/58/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 12 luglio 2002, relativa al trattamento dei dati personali e alla tutela della vita privata nel settore delle comunicazioni elettroniche non concerne la disciplina delle intercettazioni. Infatti, essa “non affronta le questioni relative alla tutela dei diritti e delle libertà fondamentali inerenti ad attività che non sono disciplinate dal diritto comunitario. Lascia pertanto inalterato l’equilibrio esistente tra il diritto dei cittadini alla vita privata e la possibilità per gli Stati membri di prendere i provvedimenti di cui all’articolo 15, paragrafo 1, della presente direttiva, necessari per tutelare la sicurezza pubblica, la difesa, la sicurezza dello Stato (compreso il benessere economico dello Stato ove le attività siano connesse a questioni di sicurezza dello Stato) e l’applicazione della legge penale”; “la … direttiva non pregiudica la facoltà degli Stati membri di effettuare intercettazioni legali di comunicazioni elettroniche o di prendere altre misure, se necessario, per ciascuno di tali scopi e conformemente alla Convenzione europea di salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, come interpretata dalle sentenze della Corte europea dei diritti dell’uomo” (così il considerando n. 11).
In forza dell’art. 1, par. 3, la Direttiva “non si applica alle attività che esulano dal campo di applicazione del trattato che istituisce la Comunità europea, quali quelle disciplinate dai titoli V e VI del trattato sull’Unione europea né, comunque, alle attività riguardanti la sicurezza pubblica, la difesa, la sicurezza dello Stato (compreso il benessere economico dello Stato ove le attività siano connesse a questioni di sicurezza dello Stato) o alle attività dello Stato in settori che rientrano nel diritto penale”[58].
Nel caso delle intercettazioni, d’altra parte, il bilanciamento tra gli interessi costituzionali confliggenti tutelati dall’art. 15 Cost. è realizzato in concreto dal provvedimento autorizzativo del giudice, anche la valutazione di proporzionalità. A tal proposito, è stato affermato che “l’atto dell’autorità giudiziaria con il quale vengono autorizzate le intercettazioni telefoniche deve essere puntualmente motivato”, ossia “deve avere una adeguata e specifica motivazione”[59]. Con la motivazione del decreto autorizzativo, il giudice deve chiarire le ragioni del provvedimento in ordine alla indispensabilità del mezzo probatorio ai fini della prosecuzione delle indagini ed alla sussistenza dei gravi indizi di reato, dando conto dei motivi che impongono l’intercettazione di una determinata persona ed indicando il collegamento tra questa e l’indagine in corso.
In tal modo, viene assicurato in concreto l’equilibrio presupposto dal parametro costituzionale di riferimento ed il rispetto del principio di proporzionalità e di legalità.
[1] La dottrina ha rilevato che è soprattutto in ambito comunitario che il criterio di proporzionalità ha acquisito la veste di principio generale (L. Belvini, Principio di proporzionalità e attività investigativa, Napoli, 2022, pag. 37), diventando la “chiave di volta” del diritto europeo (R.E. Kostoris, Processo penale, diritto europeo e nuovi paradigmi del pluralismo giuridico postmoderno, in Riv. it. dir.. proc. pen., 2075, p. 1192).
[2] Il riferimento è, ad esempio, alle numerose sentenze che hanno avuto ad oggetto l’art. 275 comma 3, c.p.p., a partire dalla n. 265 del 2010.
La Corte costituzionale, invero, ha affermato in più occasioni che il generale controllo di ragionevolezza, a sua volta effettuato attraverso il bilanciamento tra gli interessi in conflitto, comprenda il canone modale della proporzionalità.
Con la sentenza sul “caso Ilva”, ad esempio, si è affermato che nessun valore costituzionale può divenire “tiranno” nei confronti delle altre situazioni giuridiche, che il bilanciamento deve essere condotto dal legislatore e controllato dal Giudice delle leggi secondo criteri di proporzionalità e di ragionevolezza, fermo restando che – si tratta di una affermazione centrale – non è consentito un «sacrificio del […] nucleo essenziale» di alcuna delle istanze in conflitto (Corte cost., sentenza n. 85 del 2013).
Con la sentenza n. 20 del 2017, in cui la Corte costituzionale, in tema di “riservatezza”, ha ritenuto fondamentale che le disposizioni limitative della libertà di comunicazione rispettino la riserva assoluta di legge e di giurisdizione, nonché i princìpi di ragionevolezza e di proporzionalità alla luce dei parametri della idoneità, necessità e proporzionalità in senso stretto.
In dottrina, peraltro, è stato osservato che, nella giurisprudenza costituzionale italiana, “si nota un uso promiscuo dei termini come razionalità, ragionevolezza, proporzionalità ma anche adeguatezza, coerenza, congruenza, non arbitrarietà, pertinenza e molti altri quasi si trattasse di sinonimi” (M. Cartabia, Ragionevolezza e proporzionalità nella giurisprudenza costituzionale italiana, in A. Giorgis, E. Grosso, J. Luther (a cura di), Il costituzionalista riluttante, Torino, 2016, pag. 463.
Il principio di proporzionalità, come si vedrà meglio nel prosieguo, è legato al tema della tutela dei diritti fondamentali, mentre il canone di ragionevolezza, trovando la propria genesi nel valore dell’uguaglianza (art. 3 Cost.), mira ad espungere dall’ordinamento le norme che determinano una ingiustificata disparità di trattamento. Ciò comporta differenti modalità applicative: la ragionevolezza implica il confronto tra disposizioni che disciplinano situazioni omogenee (cd. tertium comparationis); la proporzionalità comporta l’impiego del protocollo che si articola nella verifica di idoneità, necessità e adeguatezza.
L’uso promiscuo dei due principi rende manifesta una certa riluttanza della Corte costituzionale ad eseguire il proprio sindacato attraverso la logica tipica della proporzionalità. Il canone è adoperato come elemento per irrobustire la motivazione della decisione (L. Belvini, Principio di proporzionalità, pag. 70).
Una diversa prospettiva, peraltro, si nota in talune decisioni, talvolta non a caso relative a settori nei quali è necessario applicare fonti del diritto euro unitario. Nel dichiarare l’illegittimità della norma all’epoca vigente, che permette[va] di rifiutare la consegna solo nei confronti del cittadino italiano e non anche di quello di altro Paese membro, avente stabile residenza o dimora nel territorio nazionale, per esempio, la Corte costituzionale ha affermato che l’eventuale disparità di trattamento sia possibile solo quando “possiede una giustificazione legittima e ragionevole, sottoposta ad un rigoroso test di proporzionalità rispetto all’obiettivo perseguito” (Corte Cost. 24/06/2010, n. 227, in Giur. Cost. 2010, 2598.
Di recente, Corte Cost. n. 203 del 2024, in tema di misura di prevenzione del foglio di via obbligatorio, ha affermato che i rischi di uso arbitrario della misura in esame, e l’indebito chilling effect, sono soggetti a un controllo giurisdizionale effettivo, sia mediante il ricorso al giudice amministrativo, sia nell’ambito del procedimento penale per la violazione degli obblighi imposti con la misura, comprendendo tali controlli anche una valutazione di proporzionalità tra le legittime finalità di tutela perseguite dall’autorità di polizia e la concreta incidenza della misura sulla libertà di circolazione dell’interessato.
[3] Nelle fonti normative europee il principio di proporzionalità, da criterio per la gestione del potere pubblico, viene ad assumere una funzione strumentale per una adeguata tutela dei diritti individuali in ambito processuale penale e una funzione finalistica, come parametro per verificare la giustizia della soluzione presa nel caso concreto. In particolare, l’art. 5, par. 3, TUE prevede: “3. In virtù del principio di sussidiarietà, nei settori che non sono di sua competenza esclusiva l’Unione interviene soltanto se e in quanto gli obiettivi dell’azione prevista non possono essere conseguiti in misura sufficiente dagli Stati membri, né a livello centrale né a livello regionale e locale, ma possono, a motivo della portata o degli effetti dell’azione in questione, essere conseguiti meglio a livello di Unione.
Le istituzioni dell’Unione applicano il principio di sussidiarietà conformemente al protocollo sull’applicazione dei principi di sussidiarietà e di proporzionalità. I parlamenti nazionali vigilano sul rispetto del principio di sussidiarietà secondo la procedura prevista in detto protocollo”.
L’art. 5, par. 4, TUE prevede: “4. In virtù del principio di proporzionalità, il contenuto e la forma dell’azione dell’Unione si limitano a quanto necessario per il conseguimento degli obiettivi dei trattati.
Le istituzioni dell’Unione applicano il principio di proporzionalità conformemente al protocollo sull’applicazione dei principi di sussidiarietà e di proporzionalità”.
L’art. 49, par. 3, CDFUE prevede: “Le pene inflitte non devono essere sproporzionate rispetto al reato”.
L’art. 52, par. 1, CDFUE dispone: “1. Eventuali limitazioni all’esercizio dei diritti e delle libertà riconosciuti dalla presente Carta devono essere previste dalla legge e rispettare il contenuto essenziale di detti diritti e libertà. Nel rispetto del principio di proporzionalità, possono essere apportate limitazioni solo laddove siano necessarie e rispondano effettivamente a finalità di interesse generale riconosciute dall’Unione o all’esigenza di proteggere i diritti e le libertà altrui”.
[4] L’art. 8 Cedu prevede: “1. Ogni persona ha diritto al rispetto della propria vita privata e familiare, del proprio domicilio e della propria corrispondenza.
2. Non può esservi ingerenza di una autorità pubblica nell’esercizio di tale diritto a meno che tale ingerenza sia prevista dalla legge e costituisca una misura che, in una società democratica, è necessaria alla sicurezza nazionale, alla pubblica sicurezza, al benessere economico del paese, alla difesa dell’ordine e alla prevenzione dei reati, alla protezione della salute o della morale, o alla protezione dei diritti e delle libertà altrui”.
[5] M. Caianiello, Il principio di proporzionalità nel procedimento penale, in Diritto penale contemporaneo, Riv. Trim., 2014, 3-4, pag. 146, che rinvia a R. Orlandi, Provvisoria esecuzione delle sentenze e presunzione di non colpevolezza, in Aa.Vv., Presunzione di non colpevolezza e disciplina delle impugnazioni (Atti del Convegno, Foggia-Mattinata, 25-27 settembre 1998), Milano, 2000, p. 132 s.; D. Negri, Fumus commissi delicti. La prova per le fattispecie cautelari, Torino, 2004, p. 8 s.
[6] La Corte costituzionale, con sentenza 26 marzo 2015, n. 48, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale del secondo periodo di tale comma, nella parte in cui – nel prevedere che, quando sussistono gravi indizi di colpevolezza in ordine al delitto di cui all’art. 416-bis codice penale, è applicata custodia cautelare in carcere, salvo che siano acquisiti elementi dai quali risulti che non sussistono esigenze cautelari – non fa salva, altresì, rispetto al concorrente esterno nel suddetto delitto, l’ipotesi in cui siano acquisiti elementi specifici, in relazione al caso concreto, dai quali risulti che le esigenze cautelari possono essere soddisfatte con altre misure; con sentenza 23 luglio 2013, n. 232, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale di tale comma nella parte in cui nel prevedere che, quando sussistono gravi indizi di colpevolezza in ordine al delitto di cui all’articolo 609-octies del codice penale, è applicata la custodia cautelare in carcere, salvo che siano acquisiti elementi dai quali risulti che non sussistono esigenze cautelari non fa salva, altresì, l’ipotesi in cui siano acquisiti elementi specifici, in relazione al caso concreto, dai quali risulti che le esigenze cautelari possono essere soddisfatte con altre misure; con sentenza 18 luglio 2013, n. 213, l’illegittimità costituzione dello stesso nella parte in cui – nel prevedere che, quando sussistono gravi indizi di colpevolezza in ordine al delitto di cui all’articolo 630 del codice penale, è applicata la custodia cautelare in carcere, salvo che siano acquisiti elementi dai quali risulti che non sussistono esigenze cautelari – non fa salva, altresì, l’ipotesi in cui siano acquisiti elementi specifici, in relazione al caso concreto, dai quali risulti che le esigenze cautelari possono essere soddisfatte con altre misure»; con sentenza 29 marzo 2013 n. 57, l’illegittimità costituzionale del comma 3, secondo periodo, nella parte in cui «nel prevedere che, quando sussistono gravi indizi di colpevolezza in ordine ai delitti commessi avvalendosi delle condizioni previste dall’articolo 416-bis del codice penale ovvero al fine di agevolare l’attività delle associazioni previste dallo stesso articolo, è applicata la custodia cautelare in carcere, salvo che siano acquisiti elementi dai quali risulti che non sussistono esigenze cautelari, non fa salva, altresì, l’ipotesi in cui siano acquisiti elementi specifici, in relazione al caso concreto, dai quali risulti che le esigenze cautelari possono essere soddisfatte con altre misure; con sentenza 3 maggio 2012, n. 110, l’illegittimità costituzionale dello stesso nel prevedere che, quando sussistono gravi indizi di colpevolezza in ordine al delitto di cui all’art. 416 del codice penale, realizzato allo scopo di commettere i delitti previsti dagli artt. 473 e 474 del codice penale, è applicata la custodia cautelare in carcere, salvo che siano acquisiti elementi dai quali risulti che non sussistono esigenze cautelari, non fa salva, altresì, l’ipotesi in cui siano acquisiti elementi specifici, in relazione al caso concreto, dai quali risulti che le esigenze cautelari possono essere soddisfatte con altre misure; con sentenza 22 luglio 2011, n. 231, l’illegittimità del comma, nella parte in cui nel prevedere che, quando sussistono gravi indizi di colpevolezza in ordine al delitto di cui all’art. 74 del D.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309 (Testo unico delle leggi in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope, prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza) è applicata la custodia cautelare in carcere, salvo che siano acquisiti elementi dai quali risulti che non sussistono esigenze cautelari, non fa salva, altresì, l’ipotesi in cui siano acquisiti elementi specifici, in relazione al caso concreto, dai quali risulti che le esigenze cautelari possono essere soddisfatte con altre misure»; con sentenza 12 maggio 2011, n. 164, l’illegittimità costituzionale del secondo e terzo periodo, del terzo comma nella parte in cui «nel prevedere che, quando sussistono gravi indizi di colpevolezza in ordine al delitto di cui all’art. 575 del codice penale, è applicata la custodia cautelare in carcere, salvo che siano acquisiti elementi dai quali risulti che non sussistono esigenze cautelari, non fa salva, altresì, l’ipotesi in cui siano acquisiti elementi specifici, in relazione al caso concreto, dai quali risulti che le esigenze cautelari possono essere soddisfatte con altre misure; con sentenza 21 luglio 2010, n. 265, l’illegittimità costituzionale del secondo e terzo periodo nella parte in cui nel prevedere che, quando sussistono gravi indizi di colpevolezza in ordine ai delitti di cui agli articoli 600-bis, primo comma, 609-bis e 609-quater del codice penale, è applicata la custodia cautelare in carcere, salvo che siano acquisiti elementi dai quali risulti che non sussistono esigenze cautelari, non fa salva, altresì, l’ipotesi in cui siano acquisiti elementi specifici, in relazione al caso concreto, dai quali risulti che le esigenze cautelari possono essere soddisfatte con altre misure. Infine, il comma 3 è stato così modificato dagli artt. 3, comma 1 e 4, commi 1 e 2, L. 16 aprile 2015, n. 47.
[7] M. A. Sandulli, Proporzionalita`, in Dizionario di diritto pubblico, V, Giuffrè, Milano, 2006, p. 4643 ss., la quale definisce il principio come “uno e trino”.
[8] Cfr. R. Orlandi, Postulati del processo penale contemporaneo tra principi “naturali” e concezioni normative, in Riv. It. dir. proc. pen., 2024, 6, pag. 465, nota 52; G. Tabasco, Proporzionalità e misure cautelari, Milano, 2017, pag. 38 e ss.
[9] cfr., tra le altre, Cass. Sez. 2, n. 29687 del 28/05/2019, in CED Cass. n. 276979 – 01; Cass. Sez. 3, n. 21271 del 7/5/2014, Konovalov, in CED Cass. n. 261509; Cass. Sez. 5, n. 8382 del 16/1/2013, Caruso, in CED Cass. n 254712; Cass. Sez. 3, n. 38411 del 07/10/2010, in CED Cass. n. 248560 – 01; Cass. Sez. 5, n. 8152 del 21/10/2010, Magnano, in CED Cass. n. 246103.
[10] Cass. Sez. 3, n. 21271 del 07/05/2014, konovalv, in CED Cass. n. 261509 – 01, in una fattispecie nella quale la Corte ha ritenuto legittimo il sequestro preventivo di un intero “dominio” internet, in ragione della motivata impossibilità tecnica di oscurare il singolo file lesivo del diritto d’autore; Cass. Sez. 2, n. 29687 del 28/05/2019, Frontino, in CED Cass. n. 276979 – 01; Cass. Sez. 3, n. 25448 del 23/07/2020, in CED Cass. n. 279867 – 01, secondo cui, in tema di reati tributari, è legittimo il sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente di una quota dell’immobile di piena proprietà dell’indagato, ben potendo il vincolo essere apposto su di un bene solo fino alla concorrenza del profitto del reato da sequestrare.
[11] Così, Cass., Sez. 6, n. 34265 del 22/09/2020, Aleotti.
[12] Tale interpretazione è coerente, anzi è espressione dell’applicazione della giurisprudenza della Corte Edu che, ai fini della valutazione delle misure limitative del diritto di proprietà, richiede non solo che le stesse abbiano una base legale e rispondano ad una finalità di interesse di pubblica utilità (art. 1, par. 2, del Prot. n. 1 alla CEDU), ma anche che siano il frutto di un equo bilanciamento tra tale interesse e quello del privato (Corte Edu, Grande Camera, 5 gennaio 2000, Beyeler c. Italia), inteso in termini di rapporto di proporzionalità tra la misura adottata e l’interesse perseguito, che non potrebbe considerarsi soddisfatto se la persona interessata subisse un sacrificio eccessivo nel suo diritto di proprietà (Corte Edu, 13 dicembre 2016, S.C. Fiercolet Impex Srl c. Romania).
[13] Cass. Sez. 3, n. 30405 del 08/04/2016, in CED Cass. n. 267586 – 01, che ha precisato che il controllo sull’indispensabilità dell’ordine di sgombero comprende anche le modalità di attuazione del provvedimento, che devono essere le meno gravose tra quelle possibili ed adeguate a salvaguardare gli effetti del sequestro, in ossequio al principio di proporzionalità applicabile – sia nella fase genetica, sia in quella funzionale – anche alle misure cautelari reali.
[14] Cass. Sez. 3, n. 15637 del 13/03/2024, in CED Cass. n. 286173 – 01.
[15] Cass. Sez. 6, n. 1645 del 21/11/2022, dep. 2023, in CED Cass. n. 284158 – 01
[16] Sez. U, n. 5876 del 28/1/2004, Bevilacqua, in CED Cass. n. 226713; Sez. U, n. 36072 del 19/4/2018, Botticelli, In CED Cass. n. 273548.
[17] Così, Sez. U, n. 36072 del 19/04/2018, in CED Cass. n. 273548 – 01.
[18] Così, Sez. U, n. 36072 del 19/04/2018, in CED Cass. n. 273548 – 01.
[19] Nella motivazione della sentenza Sez. U, n. 36072 del 19/04/2018, in CED Cass. n. 273548 – 01 è precisato che “la portata precettiva degli artt. 42 Cost. e 1 del primo Protocollo addizionale della Convenzione Edu richiede che le ragioni probatorie del vincolo di temporanea indisponibilità della cosa, anche quando la stessa si identifichi nel corpo del reato, siano esplicitate nel provvedimento giudiziario con adeguata motivazione, allo scopo di garantire che la misura, a fronte delle contestazioni difensive, sia soggetta al permanente controllo di legalità – anche sotto il profilo procedimentale – e di concreta idoneità in ordine all’an e alla sua durata, in particolare per l’aspetto del giusto equilibrio o del ragionevole rapporto di proporzionalità tra il mezzo impiegato, ovvero lo spossessamento del bene, e il fine endoprocessuale perseguito, ovvero l’accertamento del fatto di reato (Corte Edu, 24 ottobre 1986, Agosi c. U.K.). Ed ogni misura, per dirsi proporzionata all’obiettivo da perseguire, dovrebbe richiedere che ogni interferenza con il pacifico godimento dei beni trovi un giusto equilibrio tra i divergenti interessi in gioco (Corte Edu 13 ottobre 2015, Unsped Paket Servisi SaN. Ve TIC. A. S. c. Bulgaria)”.
[20] Così, Cass., Sez. 2, n. 42058 del 08/09/2022, Pili. Sul punto, si veda Cass. Sez. 6, n. 6623 del 09/12/2020, dep. 2021, Pessotto; Cass. Sez. 6, n. 34265 del 22/09/2020, Aleotti.
[21] L. Belvini, Principio di proporzionalità, pag. 78.
[22] Così, Cass., Sez. 6, n. 34265 del 22/09/2020, Aleotti.
[23] Il decreto di perquisizione, per la sua genericità non deve divenire uno strumento di ricerca non di elementi di prova di un reato, ma di notizie di reato. A tal proposito, deve trovare giustificazione in concrete ipotesi di reato rinvenibili in fatti addebitati a un determinato soggetto (cfr., tra le altre, Cass. Sez. 2, n. 42048 del 8/09/2022; Sez. 6, n. 2882 del 06/10/1998, Calcaterra, in CED Cass. n. 212678-01).
[24] L. Belvini, Principio di proporzionalità e attività investigativa, Napoli 2022, pag. 178.
[25] L’accesso ai dati contenuti nel telefono cellulare, come è intuitivo, costituisce una grave ingerenza nei diritti fondamentali della persona interessata. Tali dati, difatti, includono generalmente messaggi, fotografie, video, cronologia della navigazione nel Web, ricerche su applicativi come Maps, permettendo di trarre conclusioni molto precise sulla vita privata della persona interessata.
Molti dei dati contenuti in un telefono cellulare, come le immagini o l’indirizzo IP, inoltre, consentono l’identificazione della persona o dei suoi interlocutori ovvero possono essere definiti “sensibili”, cioè sono in grado di rivelare l’origine razziale od etnica dell’interessato, le sue convinzioni religiose, filosofiche, le sue opinioni politiche, la sua appartenenza sindacale ovvero sono relativi alla sua salute o alla sua vita sessuale (si veda, per la definizione di tali dati il Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016 relativo alla protezione delle persone fisiche con riguardo al trattamento dei dati personali nonché alla libera circolazione di tali dati).
[26] Cass. Sez. 6, n. 6623 del 09/12/2020, dep. 2021, Pessotto, in CED Cass. n. 280838 – 01, in una fattispecie relativa a sequestro di un telefono cellulare e di un tablet.
[27] Cass. Sez. 6, n. 17312 del 15/02/2024, in CED Cass. n. 286358; Cass. Sez. 6, n. 6623 del 09/12/2020, dep. 2021, in CED Cass. n. 280838; Cass. Sez. 6, n. 24617 del 24/02/2015, in CED Cass. n. 264092.
[28] Cass. Sez. 6, n. 43556 del 26/9/2019, Scarsini, in CED Cass. n. 277211.
[29] Cass. Sez. 6, n. 24617 del 24/2/2015, Rizzo, in CED Cass. n. 264092.
[30] Cass. Sez. 6, n. 13165 del 4/3/2020, in CED Cass. n. 279143.
[31] Cass. Sez. 6, n. 34265 del 22/09/2020, in CED Cass. n. 279949 – 02.
[32] Cass. Sez. 3, n. 36776 del 04/07/2024, in CED Cass. n. 286923.
[33] Cass. Sez. 5, n. 8376 del 28/01/2025.
[34] Cfr. R. Orlandi, Postulati del processo penale contemporaneo tra principi “naturali” e concezioni normative, in Riv. It. dir. proc. pen., 2024, 6, pag. 465, nota 52.
[35] Cfr. M. Caianiello, Il principio di proporzionalità nel procedimento penale, cit. 146.
[36] Sez. U, n. 26889 del 28 aprile 2016, Scurato, in CED Cass. n. 266905. Sulla sentenza, sia consentito il rinvio anche a L. Giordano, Dopo le Sezioni unite sul “captatore informatico”: avanzano nuove questioni, ritorna il tema della funzione di garanzia del decreto autorizzativo, in Dir. pen. cont. 2017, 3, 184 e ss.
[37] Al contrario, è stato escluso l’utilizzo del mezzo per reati diversi perché, non essendo possibile prevedere i luoghi di privata dimora nei quali il dispositivo elettronico potrebbe essere introdotto, non si può verificare il rispetto della condizione di legittimità richiesta dall’art. 266, comma 2, cod. proc. pen. Il legislatore, poi, innanzi tutto con il d.lgs. n. 216 del 2017, è intervenuto sulla materia, disciplinando l’uso del captatore informatico in dispositivo elettronici portatili per la realizzazione di intercettazioni tra presenti, stabilendo, all’art. 266, comma 2, cod. proc. pen. che, qualora le intercettazioni con il captatore informatico avvengano nei luoghi di cui all’art. 614 del codice penale, esse sono consentite “solo se vi è fondato motivo di ritenere che ivi si stia svolgendo l’attività criminosa” e all’art. 266, comma 2-bis, cod. proc. pen. che è sempre consentito “nei procedimenti per i delitti di cui all’articolo 51, comma tre bis e comma tre quater e, previa indicazione delle ragioni che ne giustificano l’utilizzo anche nei luoghi indicati nell’articolo 614 del codice penale, per i delitti dei pubblici ufficiali degli incaricati di pubblico servizio contro la pubblica amministrazione per i quali è prevista la pena non inferiore nel massimo a 5 anni”.
[38] Nella sentenza in esame, in particolare, è stato escluso che, dall’art. 8 della CEDU, così come interpretato nella giurisprudenza della Corte di Strasburgo, possano desumersi “preclusioni riguardanti le intercettazioni effettuate mediante “captatore informatico” in procedimenti per delitti di criminalità organizzata, tenuto conto che: a) risulta chiaramente rispettato il principio di proporzione tra la forza intrusiva del mezzo usato e la calibrata e motivata compressione dei diritti fondamentali delle persone che ne deriva, avendo inteso il legislatore raggiungere lo scopo di una efficace tutela delle esigenze dei singoli e della collettività in relazione a reati di particolare gravità: ovviamente, a condizione che, una volta ritenuto necessario dover ricorrere a detto strumento investigativo, tale impiego sia rigorosamente circoscritto attraverso prescrizioni tecniche di utilizzo e limitazioni di ordine giuridico fissate dal giudice, ed altrettanto rigorosamente controllato quanto alla fase dell’esecuzione delle attività captative; b) secondo i principi enunciati nella giurisprudenza della Corte Europea dei diritti dell’uomo non è necessario che nel provvedimento autorizzativo delle Intercettazioni siano indicati i luoghi in cui le stesse devono svolgersi, purchè ne venga identificato chiaramente il destinatario”.
[39] L. Giordano, Dopo le sezioni unite sul “captatore informatico”: avanzano nuove questioni, ritorna il tema della funzione di garanzia del decreto autorizzativo, in Diritto penale contemporaneo, 20 marzo 2017
[40] Sez. U, n. 23755 del 29/02/2024, Gjuzi Ermal, in CED Cass. n. 286573 e Sez. U, n. 23756 del 29/02/2024, Giorgi, in CED Cass. n. 286589
[41] Cass. Sez. 6, n. 8320 del 31/01/2019, Creo, in CED Cass. n. 275732 – 02, secondo cui “Il principio di proporzionalità impone che l’attività da compiere debba essere adeguata e funzionale sia rispetto al suo presupposto (il reato), sia rispetto all’obiettivo che intende perseguire («le esigenze investigative o probatorie»), in modo che la sua esecuzione comporti il minor sacrificio possibile per i diritti e le
libertà dell’imputato o dell’indagato”.
[42] Sul punto vedi M. Caianiello, La nuova direttiva UE sull’ordine europeo di indagine penale, tra mutuo riconoscimento e ammissione reciproca delle prove, pag. 6.
[43] L’art. 6, comma 3, d.lgs. n.108 del 2017 stabilisce che “l’autorità di emissione è tempestivamente informata, al fine di valutare l’opportunità di una nuova richiesta o di ritirare l’ordine di indagine, quando il contenuto dello stesso appare non proporzionato, secondo quanto previsto dall’articolo 7”.
[44] L. Belvini, Principio di proporzionalità e attività investigativa, Napoli 2022, pag. 122.
[45] R.M. Geraci, Il mutuo riconoscimento nella cooperazione processuale: genesi, sviluppo, morfologie, pag. 201
[46] I presupposti di ammissibilità della prova possono essere posti in discussione contestando, nello Stato di emissione, il provvedimento di ammissione tramite una impugnazione (CGUE, 11/11/2021, Gavanozov, C-852/19). L’art. 14, § 2, della direttiva, infatti, stabilisce che “le ragioni di merito dell’emissione dell’OEI possono essere impugnate soltanto mediante un’azione introdotta nello Stato di emissione”.
[47] cfr. Cass. pen., Sez. 5, n. 1757 del 17/12/2020, dep. 2021, secondo cui il criterio del “bilanciamento” tra valori costituzionali contrastanti, che ha ispirato la decisione delle Sezioni Unite dapprima citata, impedisce che il principio di “non dispersione della prova” possa consentire di travalicare le garanzie offerte al diritto fondamentale della segretezza delle comunicazioni dalla “riserva” di legge di cui all’art. 15 Cost.
[48] Cfr. F. Vanorio, Il permanente problema dell’utilizzo delle intercettazioni per reati diversi tra l’intervento delle sezioni unite e la riforma del 2020, cit., 184.
[49] Il reato di associazione per delinquere, ai sensi dell’art. 416, comma 1, c.p., permette l’impiego delle intercettazioni, le quali, pertanto, possono offrire elementi di prova su una serie potenzialmente indeterminata di delitti, anche non rientranti nell’elenco dei reati contemplati dall’art. 266 c.p.p., come le truffe semplici, i falsi non aggravati o diverse fattispecie di delitti tributari. Secondo l’indirizzo giurisprudenziale consolidato, è configurabile la continuazione, e, dunque, la connessione ex art. 12 c.p.p. che permette di ravvisare l’unicità del procedimento, tra il reato di partecipazione ad associazione criminale e i reati-fine nel caso in cui questi ultimi siano stati programmati al momento in cui il partecipe si è determinato a fare ingresso nel sodalizio, non essendo necessario che tale programmazione sia avvenuta al momento della costituzione dello stesso (cfr., tra le altre, Cass. pen., Sez. 1, n. 39858 del 28/04/2023, in CED Cass. n. 285369 – 01, in tema di partecipazione ad associazione mafiosa).
[50] Cfr. A. Innocenti, La Cassazione ribadisce l’applicabilità dei limiti generali di ammissibilità delle intercettazioni anche agli ulteriori reati emersi nello “stesso procedimento”, cit., 633.
[51] In giurisprudenza, peraltro, è stato affermato che il criterio del “bilanciamento” tra valori costituzionali contrastanti, che ha ispirato la decisione delle Sezioni Unite, in particolare, impedisce che il principio di “non dispersione della prova” possa consentire di travalicare le garanzie offerte al diritto fondamentale della segretezza delle comunicazioni dalla “riserva” di legge di cui all’art. 15 Cost. L’autorizzazione del giudice ad eseguire le intercettazioni per determinati reati, inoltre, non può essere usata come “un grimaldello” per travalicare il limite inderogabile stabilito dall’ordinamento(Cass., Sez. 5, n. 1757 del 17/12/2020, dep. 2021, in CED Cass., n. 280326).
[52] Sulla sentenza si veda D. Albanese, Dalla corte di giustizia dell’unione europea un’altra svolta garantista in materia di acquisizione dei tabulati telefonici, in Sistema penale 2024, 5, 71.
[53] Si tratta di CGUE, Grande Sezione, sentenza del 2 marzo 2021, H.K., C-746/18, su cui cfr., tra gli altri, G. Leo, Le indagini sulle comunicazioni e sugli spostamenti delle persone: prime riflessioni riguardo alla recente giurisprudenza europea su geolocalizzazione e tabulati telefonici, in Sistema penale, 31 maggio 2021, p. 11 ss. Con tale pronuncia, i giudici europei, rispondendo a un rinvio pregiudiziale sollevato dalla Corte suprema estone, hanno precisato che il diritto UE (e in particolare l’art. 15 della direttiva 2002/58/UE, letto alla luce degli artt. 7, 8, 11 e 52 della Carta di Nizza) osta a una disciplina nazionale che, da un lato, non circoscriva l’accesso di autorità pubbliche a dati idonei a fornire informazioni su comunicazioni effettuate da un utente «a procedure aventi per scopo la lotta contro le forme gravi di criminalità o la prevenzione di gravi minacce alla sicurezza pubblica», e, dall’altro lato, affidi nel corso di un rito penale al pubblico ministero, e non a un soggetto terzo, la competenza ad autorizzare l’accesso a tali dati.
[54] La Corte è stata investita da una domanda di pronuncia pregiudiziale proposta ex art. 267 TFUE dal giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di Bolzano.
[55] Cfr. in particolare il par. 56 della sentenza in commento, ove i giudici osservano che «una soglia fissata con riferimento alla pena della reclusione non inferiore nel massimo a tre anni non appare […] eccessivamente bassa», potendosi quindi considerare in linea con la normativa europea.
[56] La CGUE , per esempio, ha affermato che l’art. 15, paragrafo 1, della direttiva 2002/58/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 12 luglio 2002, relativa al trattamento dei dati personali e alla tutela della vita privata nel settore delle comunicazioni elettroniche (direttiva relativa alla vita privata e alle comunicazioni elettroniche), come modificata dalla direttiva 2009/136/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 25 novembre 2009, letto alla luce degli articoli 7, 8, 11 e 52, paragrafo 1, della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, deve essere interpretato nel senso che esso non osta a una normativa nazionale che autorizza l’autorità pubblica incaricata della protezione dei diritti d’autore e dei diritti connessi contro le violazioni di tali diritti commesse su Internet ad accedere ai dati, conservati dai fornitori di servizi di comunicazione elettronica accessibili al pubblico, relativi all’identità civile corrispondenti a indirizzi IP precedentemente raccolti da organismi degli aventi diritto, affinché tale autorità possa identificare i titolari di tali indirizzi, utilizzati per attività che possono costituire violazioni del genere, e possa adottare, eventualmente, misure nei loro confronti, purché, in forza di tale normativa, tali dati siano conservati in condizioni e secondo modalità tecniche che garantiscano che sia escluso che tale conservazione possa consentire di trarre conclusioni precise sulla vita privata di detti titolari – ad esempio tracciandone il profilo dettagliato – ciò può essere conseguito, in particolare, imponendo ai fornitori di servizi di comunicazione elettronica un obbligo di conservazione delle diverse categorie di dati personali, quali i dati relativi all’identità civile, gli indirizzi IP nonché i dati relativi al traffico e i dati relativi all’ubicazione, che garantisca una separazione effettivamente stagna di tali diverse categorie di dati tale da impedire, nella fase della conservazione, qualsiasi utilizzo combinato di dette diverse categorie di dati, e per un periodo non superiore allo stretto necessario
[57] D. Albanese, Dalla corte di giustizia dell’unione europea un’altra svolta garantista in materia di acquisizione dei tabulati telefonici, cit., pag. 99.
[58] La Direttiva in esame è stata adottata sul presupposto che la disponibilità di una enorme mole di dati conservati dai fornitori di servizi di comunicazione elettronica consente alle autorità pubbliche di “andare indietro nel tempo” e di reperire informazioni utili a scopi di prevenzione, indagine e repressione di minacce alla sicurezza pubblica e nazionale, svolgendo indagini “retrospettive”. Per tale ragione, la disciplina europea ha accolto un approccio fortemente attento al rispetto dei diritti fondamentali alla vita privata e alla protezione dei dati, anche a discapito della efficacia degli strumenti posti a garanzia della sicurezza.
La Direttiva, più in particolare, si è resa necessaria per garantire i diritti fondamentali individuali e per evitare la realizzazione di forme di sorveglianza di massa; in altri termini, la disciplina in esame mira a circoscrivere le informazioni che i privati fornitori di servizi possono conservare ed il loro uso successivo a scopo di prevenzione, di indagine e di repressione di minacce alla sicurezza pubblica e nazionale. Si tratta di informazioni riguardanti soggetti previamente sconosciuti e non sospettati dalle forze dell’ordine e, dunque, non sottoposti a controlli specifici o intercettazioni dirette da parte dell’Autorità giudiziaria.
Ne consegue che è netta la differenza tra le informazioni desumibili dai dati oggetto del trattamento da parte dei fornitori dei servizi e le intercettazioni che sono disposte per l’acquisizione di elementi probatori che emergeranno soltanto dopo l’autorizzazione del giudice, contestualmente all’esecuzione del mezzo di ricerca della prova e alla captazione di un flusso di dati elettronici in atto.
[59] Corte cost., sent. n. 366 del 1991; sent. n. 34 del 1973.